Wednesday 24 July 2013 21:40:12

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

L’opera può definirsi precaria solo quando è destinata a soddisfare scopi cronologicamente delimitati

Prof. Avv. Enrico Michetti

Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha ribadito il principio già sancito (così Cons. Stato, V, 2 maggio 2001, n. 2471), secondo il quale l'opera solo quando è destinata a soddisfare scopi cronologicamente delimitati. Se l’opera, per le sue caratteristiche oggettive, è destinata a soddisfare esigenze prolungate nel tempo, non se ne può sostenere la precarietà. Sulla base di tale principio il Collegio ha ritenuto non convincenti in senso contrario le argomentazioni di parte appellante relative alla occasionalità degli eventi come matrimoni, feste ed altro, in occasione delle quali verrebbe sfruttato il locale ristorante. Tali osservazioni, che riguardano il ristorante ma anche gli altri locali menzionati nella sentenza sono stati ritenuto sufficienti al rigetto dell’appello e ciò assume valore dirimente ed assorbente, considerando altresì che la parte appellante non si premura di sostenere tale precarietà, invero non dimostrabile, per tutte le opere per le quali il primo giudice ha ravvisato un eccesso evidente (il doppio) della volumetria consentita. In tale contesto, relativo anche i locali- spogliatoio, la palestra, i locali termali, assume valore addirittura secondario il computo o meno dei locali adibiti a porticato, in relazione al quale, peraltro, va aggiunto come la giurisprudenza, anche penale (tra tante Cass. Penale, III, 19 febbraio 2004, n.6930) ne abbia affermato la natura di costruzione, ai fini della necessità del titolo abilitativo. Il motivo dell’eccesso di volumetria è stato ritenuto sufficiente a ritenere immune dalle censure contestate l’atto di annullamento impugnato in primo grado, anche per la ragione che, in caso di atto sorretto da una pluralità di motivi, è sufficiente la resistenza di uno solo di essi (nella specie, l’evidente eccesso di volumetria) a far ritenere valido l’atto impugnato.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 9792 del 2006, proposto da:

I.S. Costruzioni Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Lucio De Luca Di Melpignano, Jacopo Fronzoni, con domicilio eletto presso Luigi Napolitano in Roma, via Sicilia, 50;

 

contro

Comune di Forio D'Ischia, in persona del l.r.p.t., non costituito; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE III n. 10659/2005, resa tra le parti, concernente concessione edilizia e nulla osta ambientale

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 giugno 2013 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Lucio De Luca Di Melpignano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

Con ricorso proposto dinanzi al Tar Campania-Napoli, la società IS Costruzioni srl, attuale appellante, impugnava il provvedimento emesso dal Comune di Forio d’Ischia (si trattava di provvedimento sindacale n.156 del 3 giugno 1991) con cui veniva annullata la concessione edilizia rilasciata alla STI spa n.272 del 27 febbraio 1984.

In fatto era avvenuto che alla dante causa della appellante società (STI spa, poi fusa per incorporazione in IS Costruzioni srl), proprietaria di ampio suolo in Forio d’Ischia località “Zaro” della estensione di quasi 160.000 mq, il Comune di Forio di Ischia aveva rilasciato concessione edilizia n.272 del 27 febbraio 1984, previo parere della Commissione Edilizia Integrata, nel rispetto della legge Regione Campania n.17/82, essendo il Comune privo dello strumento urbanistico.

Tale concessione autorizzava la realizzazione ex novo di un albergo-residence con una superficie coperta di circa 1.500 metri quadri.

Con provvedimento 3293 del 3 dicembre 1984 il Presidente della Provincia di Napoli ordinava la immediata inibizione dell’intervento previsto dalla concessione suddetta. Avverso tale provvedimento la società interessata proponeva ricorso al giudice di primo grado che, con sentenza n.237 del 9 maggio 1989, previo accoglimento della istanza cautelare, annullava l’atto impugnato.

Il Comune con ordinanza n.32 del 17 febbraio 1989 revocava la concessione edilizia n.272/1984, ma tale atto veniva annullato da nuova sentenza del Tar Campania n.1 del 1991, confermata in appello da questo Consesso con sentenza n. 167 del 1999.

Con provvedimento sindacale n.156 del 3 giugno 1991, da ultimo, il Comune annullava la concessione edilizia n.272 del 1984; tale atto veniva impugnato dalla società attuale appellante con ricorso dinanzi al Tar Campania, deducendo i vizi di eccesso di potere e violazione di legge sotto svariati profili.

Il giudice di primo grado, con la appellata sentenza e previo esperimento di consulenza tecnica di ufficio, rigettava il ricorso ritenendolo infondato.

Avverso tale sentenza, ritenendola errata e ingiusta, propone appello la società IS Costruzioni srl, deducendo quanto segue:

-in primo luogo, la sentenza conterrebbe una motivazione perplessa, in quanto da un lato accoglie l’elaborato del CTU, ma dall’altro lato ritiene di poterne prescindere sotto gli aspetti tecnico-amministrativi;

-i profili di illegittimità della concessione edilizia contestati dal provvedimento di autotutela impugnato attengono a quattro aspetti e cioè la volumetria dell’albergo-residence, la esistenza o meno di opere di urbanizzazione, la configurazione della nozione di lottizzazione e la esistenza del vincolo idrogeologico.

In relazione alla volumetria, secondo la tesi di parte appellante, non andrebbe computato il ristorante, in quanto avente natura precaria e utilizzato saltuariamente; sarebbe erroneo il computo dei porticati come contributo alla formazione del volume complessivo, in quanto trattasi di regola non prevista dal Regolamento edilizio, di cui il Comune era all’epoca privo.

In relazione all’obbligo di lottizzazione e alle opere di urbanizzazione, l’appellante sostiene che il piano di lottizzazione non poteva esistere se non come strumento esecutivo di un non ancora esistente strumento urbanistico generale; la esistenza di opere di urbanizzazione era già dimostrata, oltre che dalle risultanze della consulenza tecnica, dalla circostanza che la intera località Zaro è interessata da una diffusa edificazione, in ogni caso di fatto, realizzata mediante gli atti autorizzativi allegati all’elaborato peritale. In senso diverso non può far ritenere né la mancanza di aree di parcheggio e verde attrezzato né la mancanza di rete di distribuzione del gas.

Sotto il profilo della compatibilità ambientale l’appello osserva come in quella zona sia possibile la realizzazione anche di “notevoli impianti” e che la costruzione non è visibile dalle altre parti, né dal mare né da sud, ovest, nord; inoltre, il progetto aveva già ottenuto il nulla-osta ambientale previo parere della Commissione Edilizia Integrata.

Per quanto riguarda il vincolo idrogeologico, l’appello deduce come sulla base del vigente Piano di Assetto Idrogeologico dell’Isola di Ischia, approvato dalla Autorità di bacino della Campania Nord occidentale, l’area in questione non sarebbe sottoposta a rischio idraulico o idrogeologico.

Alla udienza pubblica del 18 giugno 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato.

Come ha specificato anche la sentenza appellata, l’impugnato provvedimento conteneva una serie di diverse ragioni di autoannullamento: 1) l’intervento si sostanzia in due diversi edifici con volumetria pari a 4.260 mc; 2) la località in questione è del tutto carente di opere di urbanizzazione primaria e secondarie; 3) l’intervento assumerebbe le caratteristiche di una lottizzazione edilizia incidendo però su di un territorio privo delle indispensabili opere di urbanizzazione; 4) la concessione sarebbe avulsa da un piano di lottizzazione; 5) l’intervento determinerebbe una incidenza pesante sull’assetto idrogeologico e delle modifiche distributive delle acque; 6) la concessione del 1984 sarebbe in contrasto con la delibera consiliare n del 31 gennaio 1989, di cinque anni successiva; 7) sarebbe violata la normativa in tema di trasformazione dei boschi; 8) dovrebbe darsi rilievo rispetto all’interesse privato all’interesse pubblico alla esigenza di tutela del paesaggio e del rispetto dei vincoli idrogeologici.

Il Collegio osserva che, in primo luogo, è infondato il motivo con il quale si deduce la contraddittorietà della sentenza, perché da un lato avrebbe ragionato sulla base delle risultanze della consulenza tecnica di ufficio e dall’altro avrebbe ritenuto di prescindere dalle conclusioni del consulente tecnico di ufficio.

Infatti, purchè sia adeguatamente motivato il ragionamento dell’organo giudicante, è ben possibile recepire gli accertamenti di fatto tratti dal consulente tecnico di ufficio, senza aderire necessariamente a tutte le conclusioni dello stesso.

Nella specie, il primo giudice ha preso atto delle difficoltà riscontrate dal perito nella individuazione degli atti di acquisto e delle variazioni catastali.

Dalle autocertificazioni di parte, utilizzate anche dallo stesso consulente tecnico di ufficio in mancanza di altri atti sicuramente idonei alla prova, il primo giudice ha tratto con certezza la conclusione che la volumetria effettiva è largamente superiore a quella indicata nei grafici di progetto (pagina 9 della sentenza) e tale conclusione, sia pure in dimensioni minori, è la stessa alla quale è pervenuto lo stesso consulente tecnico di ufficio.

Il primo giudice ha rilevato come la cubatura indicata dal consulente tecnico di parte, in modo troppo benevolo, non abbia ritenuto di computare gli ampi porticati che contribuiscono ad incrementare una superficie ed un volume pressoché pari a quello complessivo delle unità.

Ma anche a non voler ritenere computabili gli ampi porticati - questione non convincente e quantomeno discutibile – non vi è dubbio che, per i principi in materia, non possa pervenirsi alla conclusione, auspicata e sostenuta invece dall’appello, di ritenere estranee alle opere realizzate interventi ben invasivi quali un locale ristorante per mc.1486 con sottostante cucina, mc.1387 per il complesso termale, mc.1387 per la palestra per ginnastica aerobica, mc.500 per spogliatoi per campi da tennis. Si arriva ad un totale di circa mc.4760 di intervento, che l’appello riterrebbe non computabili, sulla base di una certa lettura delle conclusioni della consulenza tecnica.

Il Collegio osserva che l’appello non ha dedotto in relazione a tutti i tipi di opere menzionati e che in ogni caso è inaccoglibile la tesi di ritenere a carattere mobile il ristorante in quanto precario.

L’opera può definirsi precaria, infatti (così Cons. Stato, V, 2 maggio 2001, n.2471), solo quando è destinata a soddisfare scopi cronologicamente delimitati.

Se l’opera, per le sue caratteristiche oggettive, è destinata a soddisfare esigenze prolungate nel tempo, non se ne può sostenere la precarietà e non convincono in senso contrario le argomentazioni di parte appellante relative alla occasionalità degli eventi come matrimoni, feste ed altro, in occasione delle quali verrebbe sfruttato il locale ristorante.

In definitiva, tali osservazioni, che riguardano il ristorante ma anche gli altri locali menzionati nella sentenza sono sufficienti al rigetto dell’appello e ciò assume valore dirimente ed assorbente, considerando altresì che la parte appellante non si premura di sostenere tale precarietà, invero non dimostrabile, per tutte le opere per le quali il primo giudice ha ravvisato un eccesso evidente (il doppio) della volumetria consentita.

In tale contesto, che riguarda anche i locali- spogliatoio, la palestra, i locali termali, assume valore addirittura secondario il computo o meno dei locali adibiti a porticato, in relazione al quale, peraltro, va aggiunto come la giurisprudenza, anche penale (tra tante Cass. Penale, III, 19 febbraio 2004, n.6930) ne abbia affermato la natura di costruzione, ai fini della necessità del titolo abilitativo.

Il motivo dell’eccesso di volumetria è sufficiente a ritenere immune dalle censure contestate l’atto di annullamento impugnato in primo grado, anche per la ragione che, in caso di atto sorretto da una pluralità di motivi, è sufficiente la resistenza di uno solo di essi (nella specie, l’evidente eccesso di volumetria) a far ritenere valido l’atto impugnato.

In ogni caso, per completezza, si osserva che immune dalle critiche ad esso rivolte è anche il ragionamento del primo giudice in ordine alle carenze di opere di urbanizzazione.

Il provvedimento impugnato concludeva nel senso della assoluta carenza di opere di urbanizzazione; il consulente tecnico di ufficio concludeva nel senso, deve intendersi, che tali carenze da un lato sussistevano ed erano innegabili, ma che dall’altro lato esse non erano state “del tutto” riscontrate e cioè erano state, almeno in parte, riscontrate senza dubbi di sorta.

La conclusione del consulente tecnico di ufficio non può quindi, per quanto intermedia (nel senso che l’assenza di opere di urbanizzazione non sarebbe assoluta), portare a sostenere la esistenza di una “sicura sufficienza” delle opere di urbanizzazione, come vorrebbe desumere la parte appellante, in quanto tale conclusione contrasterebbe con la logica, anche delle espressioni utilizzate.

Con riguardo all’assetto idrogeologico, l’amministrazione ha assunto che le costruzioni determinerebbero “una pesante incidenza per le modifiche distributive delle acque di percolazione, soprattutto considerando che il progetto risulta carente di qualsiasi specificazione in dettaglio di elementi di progettazione esecutiva con precisi riferimenti altimetrici”.

In ordine a tale aspetto, il consulente tecnico di ufficio avrebbe riferito di essere impossibilitato a verificare direttamente; il consulente del Comune in primo grado ha riferito di una incidenza compromissiva dell’assetto geologico e idrogeologico (pagina 18 della sentenza appellata), ma non risultano argomentazioni su elementi di fatto da parte dell’appello.

L’appellante sostiene soltanto che sulla base del nuovo P.A.I. l’area in questione sarebbe estranea a problematiche di tale tenore, ma pare riferirlo (pagina 10 dell’appello) alla normativa sopravvenuta e non a quella esistente al momento della emanazione dell’atto contestato.

Quanto al profilo della esigenza di un piano di lottizzazione, in disparte la considerazione della sufficienza dell’evidente eccesso di volumetria riscontrato e non adeguatamente contestato, il Collegio osserva come non sia destituita di fondamento la conclusione alla quale è pervenuto il primo giudice, secondo cui l’intero intervento in questione determinava un evidente e consistente carico urbanistico e ambientale, che certamente avrebbe dovuto necessitare sia di un previo piano esecutivo di lottizzazione, sia della realizzazione delle richieste opere di urbanizzazione.

Sulla base delle sopra esposte considerazioni, l’appello deve essere respinto, con conferma della sentenza appellata.

In assenza della costituzione dell’appellato Comune, non deve provvedersi in ordine alle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta, confermando l’appellata sentenza. Nulla sulle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Giorgio Giaccardi, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere, Estensore

Raffaele Potenza, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere

Giuseppe Castiglia, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

G.A. 2013

 

 

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