Sunday 27 October 2013 12:27:42

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Abusi edilizi: il calcolo dell'area di sedime da acquisire in caso di omessa demolizione degli abusi da parte del responsabile

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

L’art.7 comma 3 della legge n.47 del 1985 prevede che “se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi…il bene e l’area di sedime nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione delle opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”. Ebbene, nella specie non risulta che la norma disciplinante la suindicata procedura ablatoria sia stata messa in non cale dall’amministrazione in sede di adozione del provvedimento acquisitivo. Premesso che l’acquisizione è adempimento automatico e vincolato nell’an e nel contenuto, nella specie i criteri contenuti nella suindicata norma per la individuazione e quantificazione dell’area da acquisire risultano essere stati rispettati, tenuto conto che nell’atto ablatorio è esattamente calcolata l’area di sedime su cui insistono gli abusi nonché l’area necessaria alle opere analoghe a quelle realizzate sine titulo in misura non superiore a quella ammissibile. Invero se gli abusi eseguiti hanno la consistenza di circa 20.000 mq, l’aver disposto l’acquisizione di aree della superficie di 130.000 mq costituisce computo dell’area acquisibile che rientra nella misura, pure prevista in via residuale dalla norma de qua, inferiore al decuplo della complessiva superficie utile abusivamente realizzata .

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale **** del 2006, proposto da:

M.Group S.R.L., rappresentata e difesa originariamente dall’avv. Andrea Rianna, e in aggiunta dall’avv. Giuseppe Rianna, con domicilio eletto presso l’avv. Luciana Francioso in Roma, viale Parioli, 54;

 

contro

Comune di Caivano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Franco Iadanza, Vincenzo Pagnano, con domicilio eletto presso Studio Manzi in Roma, viale Angelico N. 193; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE II n. 01243/2006, resa tra le parti, concernente rigetto rilascio concessione edilizia in sanatoria e provvedimenti repressivi

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 giugno 2013 il Cons. Andrea Migliozzi e uditi per le parti gli avvocati Giuseppe Rianna e Vincenzo Pagnano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

La Società M.Group S.p.a. espone di essere proprietaria di un fondo sito in via S.Arcangelo n.33 in località Marzano del Comune di Caivano in catasto al foglio 15, particelle 48, 180, 215, 305, 306, 307, 308, 1224 e 1225 adiacente ad altro fondo con fabbricato industriale recante numero di particella 181, il tutto recintato da un unico muro di cinta, ricadente il predetto fondo dal punto di vista urbanistico in vigenza del preesistente Pdf in parte in zona 11” impianti industriali esistenti”, in parte in zona “ impianti industriali di nuova realizzazione” e in parte in zona CR “ zona agricola conservativa”, mentre secondo la normativa di PRG, in zona agricola produttiva con la sigla E2.

Riferisce altresì l’appellante che la precedente proprietaria dell’area aveva adibito tali immobili ad attività di raccolta , trasporto e smaltimento di rifiuti solidi urbani in favore anche del Comune di Caivano, come da relativo contratto di appalto stipulato nel 1993.

Tanto premesso, la Mr.Group S.p.A. presentava al Tar della Campania due ricorsi :

a) con il primo ( il n.10709/2001) impugnava rispettivamente il provvedimento n.11014 del 21/6/2001 di rigetto dell’istanza di rilascio di concessione in sanatoria prodotta in data 25/5/2001 prot. n.9127 e l’ordinanza comunale n.119 del 3/7/2001 n.11756 recante ordine di ripristino dello stato dei luoghi e rimozione scavo sbancamento nonché lavori di saldatura travetti di ferro.

Tale gravame era altresì successivamente corredato da due motivi aggiunti ( depositati rispettivamente il 28/11/2001 e il 1/2/2002 con cui erano rispettivamente impugnati l’ordinanza di demolizione n.214 del24/1/2001 nonché l’ordinanza n.224 del 9/11/2011 di acquisizione delle aree dell’insediamento ai fini della trascrizione e il verbale di constatazione del Comandante della Polizia Municipale dell’11/2/2002:

b) con il secondo ricorso ( il n.3480/2002) era gravata l’ordinanza n.60 prot. n.6615 del 25/3/2002 recante ordine di sgombero dei locali e dell’area acquisita al patrimonio comunale .

L’adito Tribunale amministrativo territoriale con sentenza n.1243/2006, riuniti i ricorsi, li respingeva in quanto infondati e dichiarava il difetto di giurisdizione relativamente all’atto impugnato con i motivi aggiunti depositati il 1/2/2002.

Avverso tale decisum è insorta Mr. Group s.p.a che non condivide le statuizioni rese dal primo giudice , deducendo a sostegno dell’appello i seguenti motivi:

1) erroneità delle osservazioni formulate dal Tar in ordine al primo motivo di ricorso relativo al diniego di sanatoria, laddove il primo giudice ha rilevato la impossibilità di individuare le opere legittimamente assentite per distinguerle dalle altre, mentre ad avviso dell’appellante sussistono tutte le condizioni per discernere e qualificare le opere da sanare;

2) in relazione al secondo motivo del ricorso di prime cure, il Tar ha espresso l’opinione che le opere non sarebbero sanabili per difetto del requisito di conformità allo strumento urbanistico, ma l’assunto del Tribunale è da considerarsi errato posto che la destinazione di zona contrassegnata da E2 non esclude, a differenza della zona E1, la possibilità di edificazione;

3) il provvedimento di rimozione delle opere, contrariamente a quanto ritenuto dal Tar, abbisognava di essere congruamente motivato, trattandosi di opere utilizzate a fini di pubblica utilità;

4) anche le osservazioni rese dal Tar circa la mancata osservanza delle procedure previste dall’art.27 del dlgv n.22/97 sono errate, posto che nella specie gli impianti in questione sono stati utilizzati dal Commissario per l’emergenza rifiuti come struttura di trasferenza e non come destinati allo smaltimento e recupero dei rifiuti;

5) non è condivisibile l’assunto del Tar di considerare la zona agricola E2 incompatibile con gli insediamenti aziendali di che trattasi , così come errata è la conclusione per cui l’amministrazione non sarebbe tenuta ad individuare l’esatta area da acquisire;

6) il Tar ha accettato acriticamente la quantificazione comunale dei suoli da acquisire; al contrario l’Amministrazione avrebbe dovuto dare conto dei calcoli effettuati per quantificare l’area di sedime con alla base i volumi abusivi.

Si è costituito il Comune di Caivano che dopo aver rilevato la inammissibilità dei documenti prodotti per la prima volta in appello ha contestato la fondatezza dei motivi di gravame di cui ha chiesto la reiezione.

Le parti hanno poi prodotto in giudizio apposite memorie , anche di replica a sostegno delle tesi difensive rispettivamente propugnate

DIRITTO

L’appello è infondato, meritando le statuizioni rese dal primo giudice con l’impugnata sentenza integrale conferma..

Nella memoria difensiva del 2/5/2013 il patrocinio di parte appellante rileva, in via preliminare, l’incompetenza funzionale del Tar Campania a giudicare in ordine alla controversia attinente il ciclo dei rifiuti la cui cognizione spetterebbe per legge al Tar del Lazio.

L’eccezione è inammissibile e infondata.

L’inammissibilità si appalesa sotto un duplice profilo:

1) il vizio de quo viene per la prima volta denunciato in sede di appello , in violazione della regola processuale del divieto di introdurre in appello questioni nuove che non siano state oggetto di impugnazione in primo grado ;

2) le censura non è fatta oggetto di specifico motivo, ma viene solo espressa, come “sommessa opinione”, in una memoria difensiva peraltro non notificata alla controparte .

Peraltro l’eccezione è anche infondata nel merito, atteso che oggetto di impugnazione sono i provvedimenti dell’Autorità comunale di diniego di condono edilizio, di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi nonché di acquisizione delle aree per opere realizzate sine titulo,venendo perciò in rilievo atti che per il loro tipico contenuto attengono alla materia urbanistico- edilizia per la quale non è configurabile alcuna competenza funzionale in capo al Tar del Lazio.

Con i primi tre mezzi d’impugnazione ( e in parte anche con il quinto ) che per ragioni di intima connessione vanno congiuntamente esaminati, parte appellante denuncia la illegittimità della determinazione comunale di rigettare l’istanza di sanatoria avanzata dalla società interessata ex art.13 della legge n.47/85, sulla scorta di argomentazioni così riassumibili:

a) non sussisterebbe alcun contrasto con la normativa urbanistica di riferimento, risultando le opere compatibili con la destinazione di zona e sul punto l’Amministrazione non avrebbe per nulla motivato il provvedimento negativamente assunto;

b) le opere per cui è stata chiesta sanatoria hanno natura pertinenziale, poste al servizio o in posizione strumentale al bene principale costituito da manufatti di tipo industriale preesistenti, adibiti all’attività di trasporto e raccolta di rifiuti solidi urbani;

c) l’Amministrazione avrebbe dovuto e potuto agevolmente distinguere le opere legittimamente assentite pure esistenti in loco e quelle abusive .

I dedotti profili di doglianza sono privi di fondamento.

Il Comune di Caivano ha opposto il proprio diniego in ordine al chiesto accertamento di conformità di cui all’art.13 della legge n.47/85 in ragione del rilevato contrasto delle opere oggetto di richiesta di sanatoria con le disciplina urbanistica vigente, ricadendo in particolare i manufatti di che trattasi in zona “E2 agricola produttiva” di cui all’art.49 NTA, oltre a porsi in contrasto con gli artt.47 e 49 delle NTA recanti destinazione agricola per tali siti.

Ebbene, così determinandosi, l’Amministrazione ha compiutamente definito l’istanza di sanatoria, rilevando correttamente l’esistenza di motivi ostativi all’accoglimento della istanza stessa, stante, specificatamente, la non conformità urbanistica delle opere edilizie realizzate in loco, circostanza di per sé impeditiva di qualsivoglia sanatoria.

Parte appellante sostiene che in realtà le opposte previsioni urbanistiche non sarebbero ostative, posto che non di edificazione residenziale si tratta , bensì di manufatti ad uso produttivo non incompatibili con la destinazione agricolo-produttiva.

L’assunto si rivela privo di giuridico fondamento.

Secondo un preciso orientamento di questo Consiglio di Stato, la classificazione di aree come destinate ad uso agricolo non deve rispondere necessariamente all’esigenza di promuovere l’insediamento di specifiche attività agricole , potendo trovare siffatta destinazione la sua ragion d’essere nella discrezionale volontà dell’amministrazione locale preposta al governo del territorio di sottrarre parte del territorio a nuove edificazioni ( Cons. Stato Sez. IV 2166/2010).

Del pari questa Sezione ha avuto modo di affermare il principio per cui la scelta di imprimere ad un’area la destinazione agricola può essere finalizzata all’esigenza di conservazione dei valori naturalistici e di contenimento del fenomeno insediativo e/o commerciale o produttivo senza che in ciò si possa ravvisare quale che sia abnormità ( sentenza n.4920 del 27//72010 ) .

Muovendo da siffatti parametri giurisprudenziali e tenuto conto del dato fattuale, è rilevabile ictu oculi la non compatibilità delle opere de quibus con la destinazione E2, laddove sono del tutto inconciliabili con detta previsione urbanistica opere edilizie di tipo imprenditoriale, come quelle qui in rilievo che non hanno attinenza alcuna con le attività tipiche della destinazione agricola.

Il fatto è che nella specie si è proceduto a realizzare manufatti che per la loro natura e funzione ( containers, capannoni, platee di cemento) nulla hanno a che vedere con la coltivazione dei campi e neppure con eventuali attività imprenditoriali rientranti nel campo agricolo, essendo le opere pacificamente funzionali ad impianti industriali per il trasporto e la raccolta di rifiuti solidi urbani,

Lamenta al riguardo parte appellante, a carico del provvedimento comunale di reiezione della sanatoria, una pretesa carenza di motivazione , ma il vizio non è minimamente configurabile, posto che il rilevato contrasto è condizione di per sé ampiamente sufficiente a giustificare e dare contezza del perché del diniego, senza che l’Amministrazione debba fornire altre delucidazioni in ordine ad una preclusione alla sanatoria deducibile pienamente dall’esistenza di normativa urbanistica di tipo preclusivo ( Cons. Stato Sez. V 11/6/2013; Cons. Stato Sez. VI 5/4/2013 n.1882 ).

Un difetto di motivazione non è rilevabile neppure per il fatto ( terzo motivo d’appello) che dette opere sono strumentali ad esistenti impianti utilizzati per attività di pubblica utilità quale quella riguardante la raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani : se anche così fosse, altro è l’esercizio di attività di tipo industriale se ed in quanto autorizzabile dalla preposta Autorità e altro ancora è l’assentimento sotto il profilo edilizio di opere aventi impatto urbanistico e tanto tenuto altresì conto che, come puntualmente dato atto dal primo giudice, nella specie è mancato, ratione temporis, il presupposto per l’applicabilità della disciplina legislativa dettata in materia di impianti e smaltimento di rifiuti, costituito dalla presentazione di specifica domanda di autorizzazione.

La indubbia legittimità del provvedimento che nega la sanabilità è rilevabile anche sotto il profilo strettamente edilizio, laddove non appaiono autorizzabili in sanatoria manufatti e opere varie, realizzate sine titulo che, contrariamente a quanto sostenuto da parte appellante, non rivestono natura pertinenziale, sicchè non può condividersi l’impostazione difensiva per cui non sarebbe necessario il previo rilascio di titolo edilizio.

La giurisprudenza riconosce il detto carattere pertinenziale alle opere che per loro natura e consistenza sono poste al mero servizio di un manufatto principale, in modo da non poter essere utilizzate separatamente dal manufatto cui accedono e non hanno autonomia e valenza economica ( Cass. Pen. Sez. III 27/11/1997 n.2660; Cons. Stato Sez. IV 27/5/2010 n.3127; Cons. Stato sez. V 7/12/2002 n.6126; idem 30/11/2000 n.3127), ma tali principi non sono applicabili alla fattispecie all’esame se è vero che le opere de quibus consistono in due containers prefabbricati di 32 e 40 mq, in altri quattro containers di 25 mq, in una. cabina e un ufficio vicino all’ingresso con relativa tettoia, in un capannone di 500 mq di superficie, in un corpo di fabbrica al piano terra trasformato in alloggio del custode, in casotti ed altri containers realizzati in aderenza per un superficie di 100 mq e in altre opere minori.

E’ evidente che appare veramente arduo se non impossibile parlare di natura pertinenziale di manufatti che per entità, tipologia e funzione sono costruzioni autonome per ciascuna delle quali s’impone la preventiva autorizzazione

Peraltro dalla descrizione sopra riportata si evince in maniera inequivocabile l’esistenza di una serie di innumerevoli manufatti realizzati sine titulo ( ben venticinque) che ha prodotto una situazione di alterazione dello stato dei luoghi, massiccia e per nulla armonica, sì da mutare radicalmente la fisionomia dell’intero sito, per cui ragionevolmente non è consentito, tale la consistenza e il continuum edilizio abusivamente eseguiti, distinguere le opere in origine autorizzate da quelle, numerosissime, abusive che con le prime fanno un tutt’ uno

Anche il quarto motivo d’appello non merita condivisione.

La Società interessata in sostanza invoca, come già in prime cure, l’efficacia dell’ordinanza commissariale n.35 del 29/1/2001 che avrebbe valore autorizzatorio e “sanante” in ordine a tutti gli aspetti inerenti le operazioni e gli impianti di raccolta e smaltimento dei rifiuti, ma il riferimento al suindicato provvedimento commissariale come causa di “validazione” delle opere de quibus non regge.

Invero, l’ordinanza commissariale risponde ad esigenze del tutto eccezionali ed emergenziali e come tale ha validità temporanea ed efficacia interinale senza che le misure straordinarie ivi recate possano sostituire in via permanente l’iter normale della procedura prevista dall’art.27 del dlgv n.22/97 per l’approvazione dei progetti e autorizzazione alla realizzazione di impianti di smaltimento e rifiuti , laddove siffatto procedimento non risulta,sia stato attivato a suo tempo dall’appellante e se così è, non è certo configurabile una sanatoria di tipo urbanistico- edilizio sulla base dell’esercizio de facto di attività industriale di raccolta, recupero smaltimento e rifiuto anche sotto l’aspetto di sito di trasferenza di detto materiale.

Non colgono nel segno , infine le censure di cui alla restante parte del quinto, sesto e settimo motivo di gravame con cui si denuncia, reiterando critiche formulate con i motivi aggiunti di primo grado, la illegittimità della disposta acquisizione e, in particolare la non corretta determinazione della quantità di sedime da acquisire gratuitamente al patrimonio del Comune.

L’art.7 comma 3 della legge n.47 del 1985 prevede che “se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi…il bene e l’area di sedime nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione delle opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L’area acquisita non può comunque essere superore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”.

Ebbene, nella specie non risulta che la norma disciplinante la suindicata procedura ablatoria sia stata messa in non cale dall’amministrazione in sede di adozione del provvedimento acquisitivo.

Premesso che l’acquisizione è adempimento automatico e vincolato nell’an e nel contenuto, nella specie i criteri contenuti nella suindicata norma per la individuazione e quantificazione dell’area da acquisire risultano essere stati rispettati, tenuto conto che nell’atto ablatorio è esattamente calcolata l’area di sedime su cui insistono gli abusi nonché l’area necessaria alle opere analoghe a quelle realizzate sine titulo in misura non superiore a quella ammissibile.

Invero se gli abusi eseguiti hanno la consistenza di circa 20.000 mq, l’aver disposto l’acquisizione di aree della superficie di 130.000 mq costituisce computo dell’area acquisibile che rientra nella misura, pure prevista in via residuale dalla norma de qua, inferiore al decuplo della complessiva superficie utile abusivamente realizzata .

Le censure fatte oggetto di appositi motivi d’appello da identificarsi, questi ultimi, unicamente in quelli contenuti nel gravame introduttivo del presente giudizio e come indicati sub numeri 1-7 , per quanto sopra esposto vanno disattese con conseguente reiezione della proposta impugnativa.

Parte appellante per il vero in sede di memorie difensive amplia le doglianze. formulate con l’atto introduttivo con accenno ad altre ragioni di pretesa illegittimità che però non possono valere come mezzi d’impugnazione e che in ogni caso non sono rilevanti e comunque si rivelano non idonee a mutare l’esito delle osservazioni e prese conclusioni.

Le spese e competenze del presente grado del giudizio seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo Rigetta.

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese e competenze del presente grado del giudizio che si liquidano complessivamente in euro 3.000,00 ( tremila ) oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Giorgio Giaccardi, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere, Estensore

Oberdan Forlenza, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il **/10/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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