Monday 23 September 2013 18:18:32

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Le conseguenze della caducazione del procedimento ablatorio: l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa venire meno l’obbligo dell’amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso

nota del Prof. Avv. Enrico Michetti a sentenza del Consiglio di Stato

Con la sentenza in esame il Consiglio di Stato, richiamando i principi più volte sanciti (Consiglio di Stato, sez. IV, 30 gennaio 2006, n. 290; 7 aprile 2010 n. 1983) procede a chiarire le conseguenze derivanti dalla caducazione dell’intero procedimento ablatorio rappresentando come, in linea di principio, l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa venire meno l’obbligo dell’amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso, con ciò superando la pregressa interpretazione che riconnetteva alla costruzione dell’opera pubblica e all’irreversibile trasformazione effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 29agosto 2012 n. 4650, 7 aprile 2010 n. 1983 e 30 gennaio 2006 n. 290) Infatti, muovendo dall’esame della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, deve ritenersi che il quadro normativo e giurisprudenziale nazionale previgente alla disciplina posta dapprima dall’art. 43 del T.U. approvato con D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 e – ora – dall’art. 42-bis del T.U. medesimo, non fosse aderente alla Convenzione europea per la protezione dei diritti dell’uomo e, in particolare, al suo Protocollo addizionale n. 1 (cfr. al riguardo la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo 30 maggio 2000, ric. 31524/96). Con tale sentenza il giudice sovranazionale ha infatti ritenuto che la realizzazione dell’opera pubblica non costituisce impedimento alla restituzione dell’area illegittimamente espropriata, e ciò indipendentemente dalle modalità - occupazione acquisitiva o usurpativa - di acquisizione del terreno e che, pertanto, il proprietario del fondo illegittimamente occupato dalla pubblica amministrazione, dopo aver ottenuto la declaratoria di illegittimità dell’occupazione e l’annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente chiedere sia il risarcimento del danno subito, sia la restituzione del fondo che la sua riduzione in pristino. La realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato si configura dunque ex se un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto da parte della pubblica amministrazione ed è come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà: dimodoché soltanto il formale atto di acquisizione da parte dell’amministrazione medesima può essere in grado di ovviare al diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in altri comportamenti, fatti o comportamenti. Dopo la caducazione dell’art. 43 del T.U. approvato con D.P.R. 327 del 2001, disposta dalla Corte Costituzionale con sentenza 8 ottobre 2010 n. 293, e nelle more dell’introduzione nell’ordinamento della disciplina attualmente contenuta nell’art. 42-bis del medesimo T.U., questa stessa Sezione - a sua volta - ha in tal senso avuto modo di affermare che è obbligo primario dell’amministrazione procedere alla restituzione della proprietà illegittimamente detenuta previa, riduzione in pristino (ex art. 2058 c.c.) e corresponsione del risarcimento del danno discente al mancato godimento del bene durante il periodo di occupazione illegittima (cfr. al riguardo, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 1 giugno 2011n. 3331), e posto che – di per sé - neppure all’eventuale domanda risarcitoria per equivalente proposta in giudizio dall’espropriato contra ius può essere attribuita efficacia abdicativa della proprietà (cfr. sul punto Cons. Stato, Sez. IV, 2 settembre 2011 n. 4970). Dopo l’entrata in vigore dell’anzidetto art. 42 bis del T.U. approvato con D.P.R. 327 del 2001, disposto per effetto dell’art. 34, comma 1, del D.L. 6 luglio 2011 n. 98 convertito con modificazioni in L. 15 luglio 2011 n. 111, nell’ipotesi di utilizzo di un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, la pubblica amministrazione ha in ogni caso l’obbligo di far venir meno l’occupazione sine titulo e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, dovendo scegliere a tal fine – alternativamente - tra l’emanazione di un provvedimento adottato in base alla disciplina ivi contenuta e – per l’appunto – sanante la situazione di illegittimità determinatasi, ovvero l’immediata restituzione del bene la cui occupazione si è protratta contra ius previo ripristino dell’area e il pagamento dei danni da illegittima occupazione, senza che l’avvenuta realizzazione dell’opera pubblica precluda l’una o l’altra via. Allo stesso tempo, non risulta esclusa dall’ordinamento la possibilità per le parti di accordarsi per una cessione bonaria dell’immobile alla pubblica amministrazione con contestuale accordo per il ristoro dei danni derivanti dall’occupazione illegittima subita. Per quanto segnatamente attiene all’art. 42-bis del T.U. approvato con D.P.R. 327 del 2001, va rimarcato che ivi si dispone al comma 1 che, “valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene”, con l’espressa precisazione che l’idoneo “atto di acquisizione” del bene “può essere emanato anche quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio” (cfr. ibidem, comma 2). Al fine del computo dell’indennizzo da corrispondere al soggetto cui il bene è stato appreso contra legem, il comma 3 dello stesso art. 42-bis dispone che “salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, l’indennizzo per il pregiudizio … è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l’occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell’articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7. Per il periodo di occupazione senza titolo e’ computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l’interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma”. “L’autorità che emana il provvedimento di acquisizione … ne dà comunicazione, entro trenta giorni, alla Corte dei Conti” – da intendersi come l’ufficio del Procuratore Regionale competente per territorio - “mediante trasmissione di copia integrale” (cfr. ibidem, comma 7). Va da subito evidenziato che se la deliberazione - di competenza del Consiglio comunale a’ sensi dell’art. 42, comma 2, lett. l), del T.U. approvato con D.L.vo 18 agosto n. 267 (e ciò anche con riferimento alla lett. b) dello stesso articolo, dovendosi pure previamente approvare la variante di cui all’anzidetto art. 9, comma 5, del T.U. approvato con D.P.R. 327 del 2001) - di provvedere a’ sensi dell’art. 42-bis, comma 3, all’acquisizione sanante dell’immobile espropriato contra ius è per certo provvedimento autoritativo rientrante nel sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo a’ sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f) cod. proc. amm., le questioni inerenti alla congruità dell’indennizzo fissato nel decreto di acquisizione non possono costituire oggetto di giudizio innanzi al giudice amministrativo, risultando le stesse sottoposte alla giurisdizione del giudice ordinario, a’ sensi dell’art. 133 comma 1 lett. g) , cod. proc. amm., dovendo le stesse essere infatti ricondotte alle ipotesi – ivi previste – di determinazione e di corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa. In ogni caso, quindi, conclude il Collegio che nel caso di specie il risarcimento del danno subito sarà limitato, nell’ipotesi di restituzione dell’immobile, a quanto derivante dall’occupazione contra legem da essa subita dal momento dell’esecuzione di tale provvedimento sino al momento della restituzione medesima, nel mentre si convertirà nell’indennizzo di cui all’art. 42-bis del T.U. approvato con D.P.R. 327 del 2001 qualora il Consiglio comunale deliberi di provvedere nel senso di sanare l’ablazione illegittima mediante la disciplina ivi prevista.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale **** del 2011, proposto da:

Agorà S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Alessandro Perrotta, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell’Avv. Raffaele Porpora, via della Giuliana, 74;

 

contro

Comune di Roccabascerana (Av)

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sede di Salerno, Sez. II, n. 503 dd. 21 marzo 2011, resa tra le parti e concernente approvazione progetto definitivo lavori di realizzazione istituto scolastico, con domanda di risarcimento dei danni.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 aprile 2013 il Cons. Fulvio Rocco e udito per l’appellante Agorà S.r.l. l’Avv. Alessandro Perrotta;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

1.1. Con deliberazione n. 16 dd. 12 maggio 2009 il Consiglio comunale di Roccabascerana (Av) ha approvato il progetto definitivo per la realizzazione dell’Istituto Scolastico Comprensivo in località Rocca Capoluogo, dichiarando contestualmente la pubblica utilità di tale opera.

Tale progetto prevede, tra l’altro, l’espropriazione delle particelle 1008, 1009 e 672 del Foglio 13 dell’omonimo Comune censuario, di proprietà dell’attuale appellante Agorà S.r.l..

Con decreto prot. n. 4634 dd. 30 giugno 2009, il Comune di Roccabascerana ha quindi disposto l’occupazione d’urgenza delle anzidette particelle di terreno.

1.2. Con ricorso proposto sub R.G. 1258 del 2009 innanzi al T.A.R. per la Campania, Sede di Salerno, Agorà ha chiesto l’annullamento dei seguenti atti:

1) deliberazione del Consiglio comunale di Roccabascerana n. 16 dd. 12 maggio 2009, recante l’approvazione del progetto definitivo per la realizzazione dell’Istituto Scolastico Comprensivo in località Rocca Capoluogo, con conseguente dichiarazione della pubblica utilità di tale opera;

2) comunicazione prot. 3664 dd. 26 maggio 2009, con la quale l’Amministrazione comunale ha informato la medesima Agorà di tale approvazione;

3) decreto di occupazione di urgenza prot. n.4364 dd. 30 giugno 2009, nonchè contestuale avviso di immissione in possesso dd. 21 luglio 2009;

4) piano particellare di esproprio;

5) determinazione dell’indennità provvisoria di esproprio.

L’impugnativa è stata inoltre estesa da parte di Agorà ad ogni altro atto presupposto e conseguente.

Agorà ha inoltre chiesto il risarcimento dei danni discendenti dagli atti impugnati.

Agorà ha dedotto al riguardo i seguenti ordini di censure:

1) violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 9, 10, 12 e 19 del T.U. approvato con D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327; violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della L. 5 agosto 1975 n. 412; violazione del P.R.G. esistente; violazione della L. 7 agosto 1990 n. 241; eccesso di potere;

2) violazione dell’art.3 della L. 241 del 1990, dell’art. 97 Cost., del principio del minimo aggravio del procedimento (art. 1 della L. 241 del 1990; art. 42 Cost; R.D. 25 luglio 1904 n. 523; T.U. approvato con R.D. 11 dicembre 1933 n. 1775; eccesso di potere;

3) violazione dell’art. 3 della L. 241 del 1990; violazione dell’art. 22 bis del T.U. approvato con D.P.R. 327 del 2001, dell’at. 97 Cost. e dell’art. 1 della L. 241 del 1990; eccesso di potere.

1.2. Si è costituito in tale primo grado di giudizio il Comune di Roccabascerana, concludendo per la reiezione del ricorso.

1.3. Con ordinanza n. 806 dd. 28 agosto 2009 la Sez. II dell’adito T.A.R. ha respinto la domanda di sospensione cautelare degli atti impugnati, avanzata da Agorà, “atteso che il ricorso non appare, prima facie, assistito dal prescritto fumus boni iuris”.

1.4.1. Con sentenza n. 503 dd. 21 marzo 2011 la medesima Sez. II ha respinto il ricorso di Agorà.

Nella sentenza impugnata si legge innanzitutto che “3.a. - Risulta infondato il primo motivo di censura, a mezzo del quale parte ricorrente assume che le particelle catastali interessate dall’esproprio, in quanto tipizzate “CP1 di espansione residenziale pubblica già programmata”,sarebbero caratterizzate da una generica destinazione residenziale pubblica, non idonea a conferire alcun vincolo preordinato all’esproprio, giusta indicazione scaturente dalla sentenza della Corte Costituzionale 20 maggio 1999 n. 179. Contrariamente a quanto dedotto, la certificazione versata in atti precisa all’art. 19 delle N.T.A. che la summenzionata zona CP1 riguarda aree di espansione residenziale pubblica, già destinata a tale scopo dal Piano per l’edilizia Economica e Popolare vigente e Nuovo Piano di Zona redatto ai sensi e per gli effetti della L. 14 maggio 1981 n.219 e del D.L.vo 30 marzo 1990 n. 76, escludendo, dunque, l’uso promiscuo pubblico-privato, per cui su tali aree esiste un vincolo preordinato all’espropriazione imposto dal vigente P.R.G. definitivamente approvato con decreto del Presidente della Provincia di Avellino n. 6/04 bis del 10 marzo 2006, pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Campania n. 18 del 18 aprile 2006. Né l’opera si pone in variante allo strumento urbanistico, attesa la sua destinazione ad attrezzature e servizi, per cui la pretesa violazione della procedura di variante semplificata, ex art. 19 del T.U. approvato con D.P.R. 327 del 2001, risulta malamente invocata. … Parimenti deve ritenersi insussistente la violazione dell’art. 10 della L. 5 agosto 1975 n. 412 recante la previsione della scelta delle aree da destinare ad edilizia scolastica previa acquisizione del parere obbligatorio della Commissione paritetica provinciale. La citata disposizione deve ritenersi non più operante a fronte delle sopravvenute previsioni di cui alla L. 11 gennaio 1996 n. 23, rubricata “Norme per l’edilizia scolastica” che non contiene la menzionata previsione dell’art. 10 della L.412 del 1975. D’altronde, lo stesso ricorrente, nella memoria finale depositata il 22 dicembre 2010, non reitera né coltiva la riferita censura. 3.b.- Le conclusioni riferite sub a) travolgono anche le ulteriori considerazioni, parimenti espresse con la prima censura in esame, a mezzo delle quali l’interessato lamenta la violazione delle previsioni di cui all’art. 10 del T.U. approvato con D.P.R. 327 del 2001, per le quali non sarebbe stata indetta la conferenza dei servizi o raggiunto un accordo di programma, una intesa ovvero un altro atto, anche di natura territoriale. In proposito, comunque, basterà osservare che l’opera ricade per intero nel territorio del Comune di Roccabascerana, per cui esula dalle invocate previsioni normative” (cfr. pag. 3 e ss. della sentenza impugnata).

1.4.2. Lo stesso giudice, nel respingere il secondo motivo di ricorso, con il quale Agorà aveva dedotto l’abnorme dilatazione dell’originaria previsione di esproprio della superficie interessata – in effetti passata dai mq 10.000 stabiliti con deliberazione consiliare n. 51 dd. 5 maggio 2005 (che escludeva dall’ablazione la particella n. 1008) ai mq.13.000 stabiliti con la deliberazione consiliare n. 16 dd. 12 maggio 2009, pur essendo immutate le superfici e la volumetria dell’opera da realizzare –, ha affermato che la relativa censura“risulta carente di un adeguato supporto probatorio (che pure era onere di parte ricorrente offrire al Collegio in applicazione del principio onus probandi incumbit ei qui dicit),in specie a fronte delle controdeduzioni opposte dall’amministrazione che, nelle proprie difese, rimarca l’inesistenza di una simile diversità offrendo come elemento di prova la comparazione tra le planimetrie allegate alle due delibere, asserendo che : l’estensione del terreno su cui realizzare l’opera pubblica è identica e, comunque, l’amministrazione si è rideterminata con la delibera n. 16 del 12 maggio .2009, in ordine a tutti gli elementi della scelta in ordine alla localizzazione, che, per giurisprudenza costante, sfuggono al sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo. se non per manifesta arbitrarietà o illogicità” (cfr. ibidem, pag. 5 e ss.).

Per quanto inoltre attiene ai profili di sviamento dedotti da Agorà, con specifico riferimento alla realizzazione di una strada su di un corso d’acqua e destinata di fatto a servire fondi privati con asserito indebito arricchimento in loro favore e danno alla parte espropriata, lo stesso giudice ha parimenti rinviato alle “puntuali controdeduzioni” della difesa del Comune, secondo la quale la strada di cui trattasi altro non sarebbe “che una strada di cantiere che insiste su terreni di proprietà di terzi, prevista in via provvisoria nell’ambito del piano di sicurezza del cantiere”, soggiungendo- altresì - che il “corso d’acqua” su cui insisterebbe la strada medesima si configurerebbe come un semplice fosso di scolo costeggiato dalla rampa di accesso al cantiere.

Il T.A.R. precisa inoltre che gli assunti della difesa del Comune non sono stati confutati sul punto nella memoria finale di Agorà.

1.4.3. Per quanto attiene all’ultimo ordine di censure contenuto nel ricorso proposto in primo grado, va rilevato che Agorà aveva dedotto l’illegittimità del decreto di occupazione del fondo in carenza di una urgenza qualificata - come viceversa richiesto dall’art. 22 bis del T.U. approvato con D.P.R. 327 del 2001, dpr n. 3272001 – affermando in proposito che i presupposti sostenuti dall’Amministrazione Comunale per fondare l’esigenza dell’occupazione d’urgenza del fondo - ossia la necessità dell’eliminazione del rischio strutturale degli edifici scolastici, della rimozione del cavidotto aereo elettrico che attraversa i terreni da espropriare dell’ effettuazione dei lavori di scavo dell’edificio prima dell’arrivo della stagione autunnale – risultavano insussistenti e, comunque, pretestuosamente invocati.

Sul punto, nella sentenza impugnata si legge, testualmente “5.a.- In applicazione del principio giurisprudenziale, di seguito esposto, e delle controdeduzioni della resistente amministrazione comunale, le censure sono infondate. 5.a.1.- Il Consiglio di Stato ha chiarito quanto segue : “Dall’altro, rileva la considerazione per cui ogni opera pubblica, specie quando siano stati reperiti i finanziamenti, è di per sé particolarmente urgente, perché si tratta di soddisfare interessi pubblici (nella specie, l’urgenza in re ipsadipende dall’esigenza di tutelare la pubblica incolumità). In altri termini, la motivazione sulla “particolare urgenza” di avviare i lavori, presa in considerazione dall’art. 22 bis del testo unico, non è sostanzialmente dissimile dalla “urgenza” indicata nell’art. 22. Infatti, in presenza dei presupposti procedimentali prescritti per l’emanazione dell’ordinanza di occupazione d’urgenza (il vincolo preordinato all’esproprio e la dichiarazione di pubblica utilità), l’Amministrazione ben può immettersi senz’altro nel possesso dell’area in esecuzione dell’ordinanza di occupazione d’urgenza, per realizzare le opere per le quali vi è stata l’approvazione del progetto e lo stanziamento delle risorse in bilancio.” (n. 23 del 2006) [va peraltro opportunamente qui denotato che tali estremi della decisione resa da questo giudice d’appello sono stati indicati in modo erroneo dal T.A.R..: le relative affermazioni sono tratte infatti da Cons. Stato, Sez. IV, 27 giugno 2007 n. 3696].5.a.2.- L’amministrazione comunale ha rimarcato la veridicità del percorso motivazionale del decreto di occupazione facendo presente che : il rischio strutturale degli edifici “trova triste conferma nel crollo parziale dell’edificio scolastico di “Cassano Caudino” frazione di Roccabascerana” e che “la circostanza del crollo parziale dell’edificio scolastico di “Casano Caudino” ha determinato la chiusura immediata anche della scuola sita in frazione Squillani sempre in via precauzionale, nonché ad attivarsi per la costruzione di una nuova struttura onde ricomprendere tutte le scuole elementari e medie del comune di Roccabascerana Centro” per cui “il ripristino dello svolgimento delle “normali” attività didattiche per alunni, docenti e cittadini dell’Ente comunale resistente potrà avvenire solo con l’urgente realizzazione del nuovo edificio scolastico”. Ad avviso del Collegio, ilcrollo dell’edificio scolastico alla frazione Cassano e lo sgombero per motivi precauzionali dell’edificio scolastico alla frazione Squillani, unitamente all’interro della linea elettrica aerea dell’Enel che attraversa il fondo interessato dai lavori da eseguirsi con urgenza, integrano i giusti presupposti per l’emanazione del decreto di occupazione d’urgenza, per cui la doglianza rassegnata non può trovare accoglimento siccome infondata, in applicazione di un principio consolidato in giurisprudenza, a mente del quale, quando l’atto amministrativo è sorretto da più motivi, autonomi tra loro, è legittimo quando anche uno solo di essi sia fondato (Cons. Stato, Sez. V 10 giugno 2005 n. 3052). 5.b.- Quanto infine alla mancata esplicitazione delle motivazioni che avrebbero indotto l’amministrazione al procedimento di cui all’art. 22 bis dpr n. 327/01 in luogo dell’art. 22, è appena il caso di osservare che trattasi di una censura generica che omette di considerare la traccia dell’art. 22 bis laddove si precisa che il ricorso a detto istituto risulta caratterizzato dalla particolare urgenza tale da non consentire l’applicazione delle disposizioni di cui al primo comma dell’art. 20.” (cfr. pag. 7 e ss. della sentenza impugnata).

Il T.A.R. ha condannato Agorà al pagamento delle spese di tale primo grado di giudizio, complessivamente liquidandole nella misura di € 2.000,00.-

2.1. Con l’appello in epigrafe Agorà chiede ora la riforma della sopradescritta sentenza, deducendo al riguardo i seguenti motivi:

1) assenza di vincolo preordinato all’esproprio;

2) assenza dei presupposti per procedere all’occupazione d’urgenza: violazione dell’art. 3 della L. 241 del 1990, violazione dell’art. 22-bis del T.U. approvato con D.P.R. 327 del 2001, violazione dell’art. 97 Cost., violazione del principio del minimo aggravio del procedimento (art. 1 della L. 241 del 1990), eccesso di potere per difetto dei presupposti di fatto, per carenza di motivazione, per sviamento, nonché per manifesta irragionevolezza, illogicità e contraddittorietà.

Agorà ha pure riproposto nel presente grado di giudizio la domanda di risarcimento dei danni derivanti dagli atti impugnati, quantificandone l’ammontare nella misura di € 125.000,00.- (centoventicinquemila/00).

2.2. Non si è costituito nel presente grado di giudizio il Comune di Roccabascerana.

3. Alla pubblica udienza del 16 aprile 2013 la causa è stata trattenuta per la decisione.

4.1. Tutto ciò premesso, l’appello in epigrafe va accolto per quanto qui appresso specificato.

4.2. Come detto innanzi, Agorà ha dedotto nel primo grado di giudizio e puntualmente reiterato anche innanzi a questo giudice d’appello la censura dell’assenza, nell’ambito della vigente strumentazione urbanistica primaria del Comune di Roccabascerana, di un vincolo preordinato all’esproprio idoneo alla realizzazione dell’opera in questione e incidente sul proprio fondo, posto che le particelle catastali apprese al fine della realizzazione dell’edificio scolastico risultano incluse in zona “CP1 di espansione residenziale pubblica già programmata”.

Tale censura è fondata.

A tale riguardo nella sentenza impugnata si legge – come rilevato innanzi – che “la certificazione versata in atti, precisa all’art. 19 delle N.T.A. che la summenzionata zona CP1 riguarda aree di espansione residenziale pubblica, già destinata a tale scopo dal Piano per l’edilizia Economica e Popolare vigente e Nuovo Piano di Zona redatto ai sensi e per gli effetti della L. 14 maggio 1981 n.219 e del D.L.vo 30 marzo 1990 n. 76, escludendo, dunque, l’uso promiscuo pubblico-privato, per cui su tali aree esiste un vincolo preordinato all’espropriazione imposto dal vigente P.R.G. definitivamente approvato con decreto del Presidente della Provincia di Avellino n. 6/04 bis del 10 marzo 2006, pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Campania n. 18 del 18 aprile 2006Né l’opera si pone in variante allo strumento urbanistico, attesa la sua destinazione ad attrezzature e servizi, per cui la pretesa violazione della procedura di variante semplificata, ex art. 19 del T.U. approvato con D.P.R. 327 del 2001, risulta malamente invocata”.

Le affermazioni del giudice di primo grado travisano la situazione di fatto e risultano infondate per quanto attiene alla configurazione giuridica della situazione medesima.

Le particelle catastali di proprietà di Agorà assoggettate nella specie ad espropriazione (nn. 1008, 1009 e 672 del Foglio 13) sono indubitabilmente incluse dal vigente P.R.G. del Comune di Roccabascerana in zona“CP1 di espansione residenziale pubblica già programmata”, destinata alla realizzazione di edilizia residenziale, sia pure esclusivamente ad iniziativa pubblica.

L’opera pubblica realizzata dal Comune è – viceversa – un edificio scolastico, la cui collocazione non è prevista in tale zona.

Dalla lettura della sentenza di primo grado parrebbe di intendere che la destinazione dell’area ad edilizia residenziale pubblica potrebbe nella specie consentire l’utilizzazione del relativo vincolo di esproprio anche per realizzare una scuola, verosimilmente in quanto “attrezzatura” “servizio” riconducibile all’urbanizzazione secondaria, trattandosi di servizio sociale a supporto di un insediamento abitativo.

In effetti, l’art. 4, secondo comma, lett. a) e b) della L. 29 settembre 1964 n. 847, come introdotto dall’art. 44 della L. 22 ottobre 1971 n. 865 e in parte sostituito dall’art. 17 della L. 11 marzo 1988 n. 67, menziona tra le opere di urbanizzazione secondaria gli “asili nido e scuole materne”, nonché le “scuole dell’obbligo nonché strutture e complessi per l’istruzione superiore all’obbligo”.

Ma, se le opere di urbanizzazione primaria (cfr. l’anzidetto art. 4, primo comma: strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione e spazi di verde attrezzato) sono ovunque realizzabili proprio in quanto essenziali per le fondamentali esigenze della collettività, la collocazione nel territorio pianificato delle opere di urbanizzazione secondaria necessita di una specifica destinazione dell’area su cui esse devono sorgere, ed a tal fine per ampia parte dell’elencazione contenuta nel secondo comma dell’art. 4 della L. 847 del 1964 si impone, quindi, la previa destinazione dell’area del relativo insediamento a zona F ( “parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale”: cfr. art. 2 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444).

Ciò non è avvenuto per il caso di specie; e – come rettamente dedotto da Agorà – risulta conseguentemente omesso l’apposito procedimento di cui all’art. 9, comma 5, del T.U. approvato con D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, il quale – per l’appunto – nel testo modificato per effetto del D.L.vo 27 dicembre 2002 n. 302, dispone che “nel corso dei cinque anni di durata del vincolo preordinato all’esproprio, il Consiglio comunale può motivatamente disporre o autorizzare che siano realizzate sul bene vincolato opere pubbliche o di pubblica utilità diverse da quelle originariamente previste nel piano urbanistico generale. In tal caso, se la Regione o l’ente da questa delegato all’approvazione del piano urbanistico generale non manifesta il proprio dissenso entro il termine di novanta giorni, decorrente dalla ricezione della delibera del Consiglio comunale e della relativa completa documentazione, si intende approvata la determinazione del Consiglio comunale, che in una successiva seduta ne dispone l’efficacia”.

L’accoglimento di tale censura risulta assorbente e determina la caducazione dell’intero procedimento ablatorio, impedendo in particolare che all’approvazione del progetto dell’opera disposto con la deliberazione consiliare n. 16 dd. 12 maggio 2009 possa riconoscersi anche il valore di dichiarazione di pubblica utilità dell’opera medesima.

4.3.1. Dall’integrale caducazione degli atti impugnati in primo grado discende quanto questa stessa Sezione ha già più volte precisato, ossia (Consiglio di Stato, sez. IV, 30 gennaio 2006, n. 290; 7 aprile 2010 n. 1983) che, in linea di principio, l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa venire meno l’obbligo dell’amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso, con ciò superando la pregressa interpretazione che riconnetteva alla costruzione dell’opera pubblica e all’irreversibile trasformazione effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 29agosto 2012 n. 4650, 7 aprile 2010 n. 1983 e 30 gennaio 2006 n. 290)

Infatti, muovendo dall’esame della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, deve ritenersi che il quadro normativo e giurisprudenziale nazionale previgente alla disciplina posta dapprima dall’art. 43 del T.U. approvato con D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 e – ora – dall’art. 42-bis del T.U. medesimo, non fosse aderente alla Convenzione europea per la protezione dei diritti dell’uomo e, in particolare, al suo Protocollo addizionale n. 1 (cfr. al riguardo la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo 30 maggio 2000, ric. 31524/96).

Con tale sentenza il giudice sovranazionale ha infatti ritenuto che la realizzazione dell’opera pubblica non costituisce impedimento alla restituzione dell’area illegittimamente espropriata, e ciò indipendentemente dalle modalità - occupazione acquisitiva o usurpativa - di acquisizione del terreno e che, pertanto, il proprietario del fondo illegittimamente occupato dalla pubblica amministrazione, dopo aver ottenuto la declaratoria di illegittimità dell’occupazione e l’annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente chiedere sia il risarcimento del danno subito, sia la restituzione del fondo che la sua riduzione in pristino.

La realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato si configura dunque ex se un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto da parte della pubblica amministrazione ed è come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà: dimodoché soltanto il formale atto di acquisizione da parte dell’amministrazione medesima può essere in grado di ovviare al diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in altri comportamenti, fatti o comportamenti.

Dopo la caducazione dell’art. 43 del T.U. approvato con D.P.R. 327 del 2001, disposta dalla Corte Costituzionale con sentenza 8 ottobre 2010 n. 293, e nelle more dell’introduzione nell’ordinamento della disciplina attualmente contenuta nell’art. 42-bis del medesimo T.U., questa stessa Sezione - a sua volta - ha in tal senso avuto modo di affermare che è obbligo primario dell’amministrazione procedere alla restituzione della proprietà illegittimamente detenuta previa, riduzione in pristino (ex art. 2058 c.c.) e corresponsione del risarcimento del danno discente al mancato godimento del bene durante il periodo di occupazione illegittima (cfr. al riguardo, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 1 giugno 2011n. 3331), e posto che – di per sé - neppure all’eventuale domanda risarcitoria per equivalente proposta in giudizio dall’espropriatocontra ius può essere attribuita efficacia abdicativa della proprietà (cfr. sul punto Cons. Stato, Sez. IV, 2 settembre 2011 n. 4970).

Dopo l’entrata in vigore dell’anzidetto art. 42 bis del T.U. approvato con D.P.R. 327 del 2001, disposto per effetto dell’art. 34, comma 1, del D.L. 6 luglio 2011 n. 98 convertito con modificazioni in L. 15 luglio 2011 n. 111, nell’ipotesi di utilizzo di un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, la pubblica amministrazione ha in ogni caso l’obbligo di far venir meno l’occupazione sine titulo e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, dovendo scegliere a tal fine – alternativamente - tra l’emanazione di un provvedimento adottato in base alla disciplina ivi contenuta e – per l’appunto – sanante la situazione di illegittimità determinatasi, ovvero l’immediata restituzione del bene la cui occupazione si è protratta contra ius previo ripristino dell’area e il pagamento dei danni da illegittima occupazione, senza che l’avvenuta realizzazione dell’opera pubblica precluda l’una o l’altra via.

Allo stesso tempo, non risulta esclusa dall’ordinamento la possibilità per le parti di accordarsi per una cessione bonaria dell’immobile alla pubblica amministrazione con contestuale accordo per il ristoro dei danni derivanti dall’occupazione illegittima subita.

Per quanto segnatamente attiene all’art. 42-bis del T.U. approvato con D.P.R. 327 del 2001, va rimarcato che ivi si dispone al comma 1 che, “valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene”, con l’espressa precisazione che l’idoneo “atto di acquisizione” del bene “può essere emanato anche quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio” (cfr.ibidem, comma 2).

Al fine del computo dell’indennizzo da corrispondere al soggetto cui il bene è stato appreso contra legem, il comma 3 dello stesso art. 42-bis dispone che “salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, l’indennizzo per il pregiudizio … è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l’occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell’articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7. Per il periodo di occupazione senza titolo e’ computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l’interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma”.

“L’autorità che emana il provvedimento di acquisizione … ne dà comunicazione, entro trenta giorni, alla Corte dei Conti” – da intendersi come l’ufficio del Procuratore Regionale competente per territorio -“mediante trasmissione di copia integrale” (cfr. ibidem, comma 7).

Va da subito evidenziato che se la deliberazione - di competenza del Consiglio comunale a’ sensi dell’art. 42, comma 2, lett. l), del T.U. approvato con D.L.vo 18 agosto n. 267 (e ciò anche con riferimento alla lett. b) dello stesso articolo, dovendosi pure previamente approvare la variante di cui all’anzidetto art. 9, comma 5, del T.U. approvato con D.P.R. 327 del 2001) - di provvedere a’ sensi dell’art. 42-bis, comma 3, all’acquisizione sanante dell’immobile espropriato contra ius è per certo provvedimento autoritativo rientrante nel sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo a’ sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f) cod. proc. amm., le questioni inerenti alla congruità dell’indennizzo fissato nel decreto di acquisizione non possono costituire oggetto di giudizio innanzi al giudice amministrativo, risultando le stesse sottoposte alla giurisdizione del giudice ordinario, a’ sensi dell’art. 133 comma 1 lett. g) , cod. proc. amm., dovendo le stesse essere infatti ricondotte alle ipotesi – ivi previste – di determinazione e di corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa.

4.3.2. In ogni caso, quindi, il risarcimento del danno subito da Agorà sarà limitato, nell’ipotesi di restituzione dell’immobile, a quanto derivante dall’occupazione contra legem da essa subita dal momento dell’esecuzione di tale provvedimento sino al momento della restituzione medesima, nel mentre si convertirà nell’indennizzo di cui all’art. 42-bis del T.U. approvato con D.P.R. 327 del 2001 qualora il Consiglio comunale deliberi di provvedere nel senso di sanare l’ablazione illegittima mediante la disciplina ivi prevista.

Ad Agorà va sin d’ora riconosciuta la tutela delle proprie ragioni patrimoniali accordando al Comune il termine di 90 (novanta) giorni decorrente dalla comunicazione della presente sentenza – ovvero dalla sua comunicazione se anteriormente avvenuta - per determinarsi, con deliberazione del Consiglio comunale, se disporre la restituzione dell’immobile illegittimamente appreso previa restituzione dello stesso in pristino e pagamento dei danni comunque subiti dalla medesima Agorà per effetto della sua illegittima occupazione, ovvero se intraprendere il procedimento sanante di cui all’art. 42-bis del T.U. approvato con D.P.R. 327 del 2001, o - ancora - se formulare alla controparte una proposta di risoluzione transattiva della controversia contemplante la cessione in via bonaria dell’immobile e la corresponsione del risarcimento dei danni subiti: in quest’ultima evenienza l’accordo tra le parti dovrà essere raggiunto entro i 30 (trenta) giorni successivi all’adozione della relativa deliberazione consiliare.

In difetto della realizzazione delle sopradescritte circostanze, Agorà potrà agire innanzi a questo stesso giudice, a tutela della propria posizione giuridica, a’ sensi e per gli effetti dell’art. 112 e ss. cod. proc. amm., al fine di ottenere la nomina di un commissario ad acta che si sostituisca negli adempimenti di competenza del Comune.

5. Le spese e gli onorari di entrambi i gradi di giudizio seguono la regola della soccombenza, e sono liquidati nel dispositivo.

Vanno – altresì – posti a carico del Comune gli importi corrisposti per entrambi i gradi di giudizio a titolo di contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e - per l’effetto –, in riforma della sentenza impugnata accoglie il ricorso proposto in primo grado e annulla gli atti ivi impugnati, salve restando le determinazioni di competenza del Comune di Roccabascerana.

Accoglie la domanda di risarcimento dei danni proposta dalla ricorrente in primo grado come specificato al § 4.3.2. della presente sentenza.

Condanna il Comune di Roccabascerana al pagamento delle spese e degli onorari di entrambi i grado di giudizio, complessivamente liquidati nella misura di € 6.000,00.- (seimila/00).

Pone – altresì – a carico del medesimo Comune di Roccabascerana il pagamento degli importi corrisposti per entrambi i gradi di giudizio a titolo di contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 aprile 2013 con l’intervento dei magistrati:

 

 

Paolo Numerico, Presidente

Diego Sabatino, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere

Fulvio Rocco, Consigliere, Estensore

Umberto Realfonzo, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il **/09/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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