Wednesday 30 April 2014 22:12:23

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Silenzio della P.A.: il Comune e' obbligato a provvedere sull’istanza di repressione di abusi edilizi realizzati sul terreno confinante salvo che il manufatto del denunciante sia, a sua volta, abusivo ed il Comune ne abbia ordinato, senza esito, la demolizione

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 29.4.2014

Lo ha stabilito la Quarta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza depositata in data 29.4.2014 nella quale si controverte della legittimità della sentenza di prime cure che con riferimento alla legittimazione ad agire ha rilevato che “nei limiti in cui la giurisprudenza riconosce la legittimazione ad impugnare il titolo edilizio a coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento, derivante dalla titolarità di un diritto reale o da un rapporto obbligatorio, con la zona in cui ricade l’intervento edilizio assentito …, la medesima tutela non può non essere accordata anche al medesimo titolare della situazione giuridica nel caso in cui faccia valere un interesse pretensivo, e non solamente oppositivo, quale l’interesse legittimo a che l’Amministrazione titolare del potere urbanistico di repressione degli illeciti urbanistici, lo eserciti compiutamente fino all’avvenuta eliminazione dell’abuso”. Aggiungono, al riguardo, i primi giudici, che “la situazione giuridica tutelata è la medesima, ed è costituita dalla posizione di interesse a che l’Amministrazione eserciti correttamente il proprio potere in materia urbanistica: la sua sostanza non muta a seconda che si agisca contro un titolo edilizio rilasciato e che si assume illegittimo, oppure che si lamenti l’inerzia nell’esercizio dei poteri di controllo e repressione, perché in entrambi i casi ciò di cui il ricorrente si duole è la sussistenza di un assetto dei luoghi difforme da quello che, in sede di pianificazione territoriale, è stato previsto e che è il frutto, rispettivamente, di una condotta positiva o di una condotta omissiva della PA, entrambe concorrenti con un fatto di terzi privati ed entrambe asseritamente illegittime”. Pertanto, la sentenza della cui impugnazione si tratta ha riconosciuto la legittimazione a proporre un ricorso ex art. 117 c.p.a. contro l’inerzia della PA che non esercita, in tutto o in parte, il proprio potere di vigilanza e repressione dell’abusivismo edilizio, a tutti coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento, derivante dalla titolarità di un diritto reale o da un rapporto obbligatorio, con la zona in cui ricade il manufatto abusivo e che dunque hanno titolo, in forza di ciò, a pretendere dal Comune la demolizione del fabbricato abusivo che lede il proprio interesse al corretto assetto urbanistico ed ambientale dei luoghi. Tale statuizione, contenuta nella sentenza impugnata, appare corretta. Sussiste, infatti, l’obbligo del Comune di provvedere sull’istanza di repressione di abusi edilizi realizzati sul terreno confinante. Il ricorrente, in tal caso, non agisce al fine di tutelare un interesse generale di rispetto o ripristino della legalità, ma agisce per la tutela del proprio specifico interesse di proprietario limitrofo al luogo in cui sarebbero stati perpetrati gli abusi (così Cons. St., sez. V, 21 ottobre 2003 n. 6531). Qualora, dunque, come nella fattispecie in esame, il comportamento omissivo (silenzio-rifiuto) dell’Amministrazione sia stigmatizzato da un soggetto qualificato (in quanto, per l’appunto, titolare di una situazione di specifico e rilevante interesse che lo differenzia da quello generalizzato di per sé non immediatamente tutelabile), tale comportamento assume una connotazione negativa e censurabile, dovendo l’Amministrazione (titolare dei generali poteri-competenze in materia di controllo e di repressione sull’abusivismo edilizio) dar comunque seguito (anche magari esplicitando l’erronea valutazione dei presupposti da parte dell’interessato) all’istanza. In altri termini ritiene la Sezione che sull’accertata sussistenza (come nella fattispecie) di una posizione qualificata e legittimante, e di un’istanza circostanziata e specifica relativa a presunte realizzazioni edilizie abusive, il Comune sia tenuto a corrispondere sull’istanza (anche e solo per dimostrarne l’eventuale infondatezza di presupposti), in quanto da un lato tale compartecipazione si conforma all’evoluzione in atto dei rapporti tra Amministrazione e amministrato (titolare di una specifica posizione), e dall’altro perché in tale ipotesi il comportamento omissivo (spesso causa di un’inerte complicità agevolatrice del degrado edilizio), assume una sua sindacabile connotazione negativa. Si deve, a questo punto, esaminare se tale legittimazione venga meno nel caso in cui parte ricorrente versi a sua volta in una condizione di abusivismo, così come ribadito dalla difesa del contro interessato, odierno appellante. Come giustamente rimarcato dai primi giudici, si deve a tal proposito osservare che, essendo il presupposto per la legittimazione a ricorrere, costituito tra l’altro, dalla titolarità di un diritto reale su un bene ricadente nella zona interessata dal manufatto abusivo, tale presupposto viene a cessare nei casi in cui il bene che forma l’oggetto del diritto di proprietà sia, a sua volta, interamente o prevalentemente abusivo ed il Comune ne abbia ordinato, senza esito, la demolizione, ossia in tutti quei casi in cui l’inottemperanza alla diffida a demolire produce di diritto l’acquisizione del bene al patrimonio pubblico con la sua area di sedime (art. 31, comma 3 del D.P.R. n. 380/2001). Nel caso odierno, tuttavia, tale condizione non appare sussistente, in quanto, come pure correttamente evidenziato nella sentenza impugnata, dall’esame dei documenti versati in giudizio a seguito dell’istruttoria, si evince che la parte ricorrente è titolare di un immobile che è solo in parte oggetto di interventi abusivi (opere interne e parziale copertura), i quali, trattandosi di interventi di ristrutturazione ex art. 10, comma 1, D.P.R. n. 380/2001, non incidono sulla proprietà complessiva del fabbricato (art. 33 D.P.R. n. 380/2001). L’eccezione preliminare della parte controinteressata, riproposta nel presente grado di giudizio nel primo motivo di appello, pertanto, giustamente è stata respinta dai primi giudici. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale * del 2011, proposto da:

Francesco Versace, rappresentato e difeso dagli avv. Michele Salazar, Giovanni Golotta, con domicilio eletto presso Michele Salazar in Roma, piazza Oreste Tommasini, 20;

 

contro

Agnese Paino; 

nei confronti di

Comune di Bagnara Calabra, Carmelo Versace, Carmelina Versace, Giuseppe Versace, Gregorio Versace, Agnese Buffa, Erica Versace, Rocco Versace, Maria Versace; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CALABRIA - SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. 00059/2011, resa tra le parti, concernente demolizione fabbricato

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2013 il Cons. Nicola Russo e uditi per le parti gli avvocati Nessuno è comparso per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

Con istanza del 14 aprile 2009 la signora Agnese Matilde Paino richiedeva informazioni al Comune di Bagnara circa lo stato giuridico ed amministrativo di un fabbricato di proprietà del controinteressato, contiguo a quello di sua proprietà.

Nel silenzio del Comune la signora Paino adiva il Tar di Reggio Calabria chiedendo non solo una pronuncia che obbligasse l’Amministrazione a rispondere, ma anche l’adozione di un provvedimento volto ad ottenere l’esecuzione dell’ordinanza di demolizione del fabbricato, emanata a suo tempo da parte del Comune, non impugnata dal soggetto interessato ed a tutt’oggi non ottemperata.

Invero, il Comune aveva ordinato la demolizione del fabbricato della parte controinteressata con ordinanza n. 18704 del 7 dicembre 2004, non eseguita, come da accertamento dei Vigili Urbani datato 20 aprile 2010, prot. 97/PM/10.

In diritto, la signora Paino affermava di essere legittimata ad agire in quanto proprietaria dell’immobile finitimo a quello oggetto di ordinanza di demolizione.

Costituitasi in giudizio la parte controinteressata eccepiva la carenza di legittimazione attiva della ricorrente, nonché l’inammissibilità e l’improponibilità della domanda volta a ottenere una decisione che imponesse al Comune di Bagnara Calabra l’effettuazione della demolizione in tutto o in parte del fabbricato.

Il Tribunale adito accoglieva il ricorso della signora Paino, e, per l’effetto, dichiarava l’obbligo del Comune di eseguire il procedimento amministrativo nei termini e con le modalità indicate in parte motiva, nominando nel caso di inadempimento un commissario ad acta e condannando il Comune ed il contro interessato al pagamento delle spese di giudizio.

A fronte di tale pronuncia il controinteressato, sig. Francesco Versace, ha proposto appello, affidato a due motivi.

Né il Comune né la sig.ra Paino, benché intimati, si sono costituiti nel presente grado di giudizio.

Con ordinanza n. 2538/2011 la domanda cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata è stata accolta “nei soli limiti in cui la decisione obbliga l’amministrazione ad un comportamento esecutivo predeterminato…, fermo rimanendo sia il dovere di provvedere che le ulteriori prescrizioni nel caso di ulteriore inadempimento”.

All’udienza del 3 dicembre 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

L’appellante impugna la sentenza proponendo due motivi di censura.

Con il primo motivo ripropone l’eccezione di carenza di legittimazione attiva della ricorrente in primo grado.

Sul punto il giudice di prime cure ha ritenuto la sussistenza della legittimazione ad agire della signora Paino, affermando che “nei limiti in cui la giurisprudenza riconosce la legittimazione ad impugnare il titolo edilizio a coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento, derivante dalla titolarità di un diritto reale o da un rapporto obbligatorio, con la zona in cui ricade l’intervento edilizio assentito …, la medesima tutela non può non essere accordata anche al medesimo titolare della situazione giuridica nel caso in cui faccia valere un interesse pretensivo, e non solamente oppositivo, quale l’interesse legittimo a che l’Amministrazione titolare del potere urbanistico di repressione degli illeciti urbanistici, lo eserciti compiutamente fino all’avvenuta eliminazione dell’abuso”.

Aggiungono, al riguardo, i primi giudici, che “la situazione giuridica tutelata è la medesima, ed è costituita dalla posizione di interesse a che l’Amministrazione eserciti correttamente il proprio potere in materia urbanistica: la sua sostanza non muta a seconda che si agisca contro un titolo edilizio rilasciato e che si assume illegittimo, oppure che si lamenti l’inerzia nell’esercizio dei poteri di controllo e repressione, perché in entrambi i casi ciò di cui il ricorrente si duole è la sussistenza di un assetto dei luoghi difforme da quello che, in sede di pianificazione territoriale, è stato previsto e che è il frutto, rispettivamente, di una condotta positiva o di una condotta omissiva della PA, entrambe concorrenti con un fatto di terzi privati ed entrambe asseritamente illegittime”.

Pertanto, la sentenza della cui impugnazione si tratta ha riconosciuto la legittimazione a proporre un ricorso ex art. 117 c.p.a. contro l’inerzia della PA che non esercita, in tutto o in parte, il proprio potere di vigilanza e repressione dell’abusivismo edilizio, a tutti coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento, derivante dalla titolarità di un diritto reale o da un rapporto obbligatorio, con la zona in cui ricade il manufatto abusivo e che dunque hanno titolo, in forza di ciò, a pretendere dal Comune la demolizione del fabbricato abusivo che lede il proprio interesse al corretto assetto urbanistico ed ambientale dei luoghi.

Tale statuizione, contenuta nella sentenza impugnata, appare corretta.

Sussiste, infatti, l’obbligo del Comune di provvedere sull’istanza di repressione di abusi edilizi realizzati sul terreno confinante.

Il ricorrente, in tal caso, non agisce al fine di tutelare un interesse generale di rispetto o ripristino della legalità, ma agisce per la tutela del proprio specifico interesse di proprietario limitrofo al luogo in cui sarebbero stati perpetrati gli abusi (così Cons. St., sez. V, 21 ottobre 2003 n. 6531).

Qualora, dunque, come nella fattispecie in esame, il comportamento omissivo (silenzio-rifiuto) dell’Amministrazione sia stigmatizzato da un soggetto qualificato (in quanto, per l’appunto, titolare di una situazione di specifico e rilevante interesse che lo differenzia da quello generalizzato di per sé non immediatamente tutelabile), tale comportamento assume una connotazione negativa e censurabile, dovendo l’Amministrazione (titolare dei generali poteri-competenze in materia di controllo e di repressione sull’abusivismo edilizio) dar comunque seguito (anche magari esplicitando l’erronea valutazione dei presupposti da parte dell’interessato) all’istanza.

In altri termini ritiene la Sezione che sull’accertata sussistenza (come nella fattispecie) di una posizione qualificata e legittimante, e di un’istanza circostanziata e specifica relativa a presunte realizzazioni edilizie abusive, il Comune sia tenuto a corrispondere sull’istanza (anche e solo per dimostrarne l’eventuale infondatezza di presupposti), in quanto da un lato tale compartecipazione si conforma all’evoluzione in atto dei rapporti tra Amministrazione e amministrato (titolare di una specifica posizione), e dall’altro perché in tale ipotesi il comportamento omissivo (spesso causa di un’inerte complicità agevolatrice del degrado edilizio), assume una sua sindacabile connotazione negativa.

Si deve, a questo punto, esaminare se tale legittimazione venga meno nel caso in cui parte ricorrente versi a sua volta in una condizione di abusivismo, così come ribadito dalla difesa del contro interessato, odierno appellante.

Come giustamente rimarcato dai primi giudici, si deve a tal proposito osservare che, essendo il presupposto per la legittimazione a ricorrere, costituito tra l’altro, dalla titolarità di un diritto reale su un bene ricadente nella zona interessata dal manufatto abusivo, tale presupposto viene a cessare nei casi in cui il bene che forma l’oggetto del diritto di proprietà sia, a sua volta, interamente o prevalentemente abusivo ed il Comune ne abbia ordinato, senza esito, la demolizione, ossia in tutti quei casi in cui l’inottemperanza alla diffida a demolire produce di diritto l’acquisizione del bene al patrimonio pubblico con la sua area di sedime (art. 31, comma 3 del D.P.R. n. 380/2001).

Nel caso odierno, tuttavia, tale condizione non appare sussistente, in quanto, come pure correttamente evidenziato nella sentenza impugnata, dall’esame dei documenti versati in giudizio a seguito dell’istruttoria, si evince che la parte ricorrente è titolare di un immobile che è solo in parte oggetto di interventi abusivi (opere interne e parziale copertura), i quali, trattandosi di interventi di ristrutturazione ex art. 10, comma 1, D.P.R. n. 380/2001, non incidono sulla proprietà complessiva del fabbricato (art. 33 D.P.R. n. 380/2001).

L’eccezione preliminare della parte controinteressata, riproposta nel presente grado di giudizio nel primo motivo di appello, pertanto, giustamente è stata respinta dai primi giudici.

Con il secondo motivo di appello parte appellante censura l’erroneità dell’impugnata sentenza per omessa applicazione del principio dell’affidamento in buona fede e per la necessità di una motivazione sulla sussistenza dell’interesse attuale all’esecuzione del provvedimento di demolizione.

Secondo l’appellante, essendo rimasta inattuata per oltre sei anni l’ordinanza di demolizione, essa avrebbe ingenerato nel destinatario un affidamento a che la stessa non sarebbe stata portata ad esecuzione, per cui, per riattivarla, si sarebbe dovuto avviare un nuovo procedimento amministrativo, ponendo il soggetto inciso nella condizione di esercitare la facoltà di intervenirvi.

Il motivo è privo di fondamento.

In base ad un orientamento giurisprudenziale, da cui il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, “l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato alla constatata abusività, che non richiede alcuna specifica valutazione delle ragioni d’interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati e neppure una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non essendo configurabile alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente, che il tempo non può legittimare in via di fatto” (cfr. Cons. St., Sez. IV, 28 dicembre 2012, n. 6702; Cons. St., Sez. VI, 11 dicembre 2013, n. 5943).

Orbene, alla luce di quanto precede ed in ragione della natura permanente dell’abuso di cui è causa, non può ritenersi sussistente alcuna posizione di affidamento in capo all’appellante.

L’appello, pertanto, deve essere respinto, essendo infondati i due motivi di impugnazione proposti.

Quanto alla motivazione dell’ordinanza cautelare di questa Sezione, con cui la domanda di sospensione proposta dall’odierno appellante è stata accolta “nei soli limiti in cui la decisione obbliga l’amministrazione ad un comportamento esecutivo predeterminato…, fermo rimanendo sia il dovere di provvedere che le ulteriori prescrizioni nel caso di ulteriore inadempimento”, si osserva che la portata ed i limiti della decisone di accoglimento del ricorso avverso il silenzio non hanno formato oggetto di specifico motivo di impugnazione nel presente ricorso in appello, per cui la sentenza impugnata rimane ferma anche nella sua portata conformativa.

In mancanza di costituzione delle parti appellate non si fa luogo a pronuncia sulle spese della presente fase di gravame.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla sulle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Marzio Branca, Presidente FF

Nicola Russo, Consigliere, Estensore

Sergio De Felice, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere

Francesca Quadri, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 29/04/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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