Saturday 05 April 2014 10:24:39

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Abusi edilizi: la richiesta di concessione in sanatoria di un'opera edilizia non inficia la legittimità dell'ordine di demolizione solo se la sanatoria sia stata poi respinta

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V

Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. St., Sez. V, 31 marzo 2010, n. 1875; Sez. II, 12 maggio 2004, n. 1056), ribadita nella sentenza in esame la richiesta di concessione in sanatoria di un'opera edilizia non inficia la legittimità dell'ordine di demolizione impartito in precedenza, quando la domanda di sanatoria sia stata poi respinta. L’ordine di demolizione risulta illegittimo soltanto se viene adottato all’indomani della domanda di sanatoria, ciò in ragione del fatto che l’istanza di sanatoria impedisce che l’amministrazione prima del suo esame si attivi per eliminare un abuso che potrebbe essere sanato. L’ordine di demolizione è infatti, un atto vincolato che poggia sull’atto presupposto che accerta la presenza di un abuso edilizio, conseguentemente l’efficacia dell’ordine di demolizione resta sospesa all’indomani della presentazione della domanda di sanatoria, ma al momento in cui la stessa venga respinta, l’ordine di demolizione torna a spiegare i suoi effetti, né appare necessario che l’amministrazione adotti un ulteriore ordine di demolizione, poiché la domanda di sanatoria non caduca l’ordine di demolizione, ma ne sospende gli effetti, che ricominciano a decorrere a far data dall’adozione del diniego di sanatoria. Per approfondire cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale *del 2003, proposto da:

Bortolotti Alma, rappresentata e difesa dagli avvocati Stefano Pantezzi, Ettore Maria Cerasa con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via del Viminale, n. 43;

 

contro

Comune di Trento, rappresentato e difeso dall'avvocato Paolo Stella Richter, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Mazzini, n.11; 

per la riforma

della sentenza del Tribunale regionale di giustizia amministrativa della provincia di Trento, n. 341/2002, resa tra le parti, concernente diniego concessione edilizia in sanatoria e ordine di demolizione.

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 marzo 2014 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati Ettore Maria Cerasa e Paolo Stella Richter;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

1. Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale regionale di giustizia amministrativa della provincia di Trento, l’odierna appellante impugnava i provvedimenti del Dirigente del Servizio edilizia privata del Comune di Trento dd. 8.6.2000, con cui veniva respinta la domanda di concessione edilizia in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 9.6.1999, e d.d. 14.7.2000, con cui veniva intimato il termine di 90 giorni per ottemperare all’ordine di demolizione e ripristino. A sostegno della propria iniziativa giurisdizionale la Sig.ra Bortolotti assumeva che i suddetti provvedimenti fossero viziati per i seguenti motivi: a) eccesso di potere per contraddittorietà della motivazione, per erronea rappresentazione della realtà, per incongruità; b) violazione dell’art. 77 bis L.P. 22/1991 e conseguente eccesso di potere; c) violazione di legge (art. 122 L.P. 22/1991) e conseguente eccesso di potere anche per disparità di trattamento.

2. Il primo Giudice riteneva infondate le censure proposte, rilevando in particolare che, quanto alle prime due, la documentazione acquisita agli atti di causa: il verbale di sopralluogo del 15.1.1999 e la documentazione fotografica prodotta dalla difesa dell’Amministrazione comunale, chiarissero come l’edificio contraddistinto dalla p.ed. 1081 C.C. Meano non corrispondesse a quello (semplice baracca in legno) oggetto di condono edilizio con provvedimento sindacale del 5.3.1997. Il primo, infatti, si presentava come una costruzione in muratura, con maggiore volumetria, sostitutiva della precedente e realizzata attraverso interventi non sostenuti da titolo concessorio e perciò abusivi. Notava il primo Giudice, infatti, che l’art. 61 delle norme di attuazione del P.R.G. del Comune di Trento disponeva che nelle “zone a bosco” - nelle quali ricadeva l’immobile in questione – “è vietata ogni edificazione, fatta salva la possibilità di ampliare malghe e rifugi classificati alpini in attività nella misura del 20% del volume per garantirne la funzionalità….”. Conseguentemente, non risultava possibile nei suoi confronti un provvedimento di sanatoria, irrilevante essendo a tal fine il richiamo alle tipologie di intervento poste dall’art. 77bis della legge (urbanistica) provinciale n. 22 del 1991. Del pari, infondata secondo il T.R.G.A. era anche la terza censura, stante la natura di atto dovuto del provvedimento dirigenziale del 14.7.2000, teso alla repressione di un abuso edilizio, e come tale necessariamente portatore di un nuovo termine per l’intervento ripristinatorio: termine il cui inizio – stante la (già) rilevata stretta correlazione fra ordinanza di rimessa in pristino e diniego della sanatoria – veniva correttamente riferito a quest’ultimo.

3. Con atto d’appello notificato il 16 dicembre 2002, depositato il 9 gennaio 2003, l’originaria ricorrente invoca la riforma della sentenza di primo grado, ritenendola erronea per le seguenti ragioni: a) non considererebbe che l’art. 61, comma 2, norme di attuazione del P.R.G. del Comune di Trento pone sì un divieto di edificazione, ma il successivo comma 3 fa salva la possibilità di ristrutturare gli edifici senza sostituzione o aumento di volumetria e senza cambio di destinazione d’uso. Inoltre, la sentenza del TAR utilizza quale argomento un aumento di volume dell’immobile, che, nell’odierna controversia, non assumerebbe alcun rilievo giuridico, essendo presupposto della domanda di concessione in sanatoria, che serve per ripristinare il volume dell’edificio nei limiti della volumetria preesistente all’intervento. Quindi, andrebbe solo verificato se l’edificio è nuovo, ma tale non è. Né ad una simile conclusione potrebbe giungersi per il sol fatto che ora è realizzato in mattoni invece che in legno. Né l’edificio sarebbe stato interamente demolito; b) l’amministrazione appellata avrebbe, inoltre, dovuto assegnare un nuovo termine per la spontanea demolizione, perché se il primo provvedimento di demolizione non poteva più spiegare efficacia a seguito dell’introduzione della domanda di concessione, il diniego non poteva farlo ritornare in vita, sicché sarebbe stato necessario adottare un nuovo provvedimento con un nuovo termine di 90 giorni.

4. Nelle proprie difese l’amministrazione comunale chiede la conferma della statuizione del primo Giudice, sottolineando come la richiesta dell’originaria ricorrente di sanatoria dell’immobile illegittimamente trasformato, a seguito dell’istanza di ricondurre nei limiti urbanistici la costruzione de qua, non poteva essere accolta non essendo prevista una simile possibilità nel nostro ordinamento. Inoltre, quello esistente sarebbe un edificio nuovo, poiché non si presenterebbe più come un edificio in legno adibito a deposito, ma come un manufatto in mattoni su sedime parzialmente diverso di volume maggiore con un diverso cambio di destinazione d’uso, visto che sarebbe presente una canna fumaria. Ancora, l’art. 77 bis, lett. e), l.p. Trento, n. 22/1991, prevederebbe che nell’intervento di ristrutturazione non possano demolirsi le murature perimetrali. Né risulterebbe fondata la terza censura introdotta con il ricorso di primo grado, riproposta in appello, atteso che con il venir meno dell’effetto sospensivo della domanda di concessione in sanatoria rivivrebbero ex lege gli effetti dell’ordine di demolizione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato e non merita di essere accolto.

2. Dall’esame della documentazione in atti emerge che il manufatto per il quale in data 5 marzo 1997 veniva concesso il condono edilizio ex l. 47/1985, era descritto come fabbricato adibito a deposito di attrezzatura agricola necessaria per la conduzione dei fondi limitrofi, realizzato con piantoni di legno, tamponamento in sciaveri, tavole e pannelli, tetto in travi di legno, manto in tegole marsigliesi e lamiera zingata. L’altezza dell’edificio riportata dal progetto allegato è di 3,20 mt. Dal verbale del sopralluogo del 15 gennaio 1999 si apprezza la presenza di una situazione radicalmente differente, che consente di affermare che correttamente l’amministrazione ha ritenuto che l’edificio in questione sia un edificio “nuovo”, ed, infatti, viene descritta la presenza di un immobile realizzato in muratura, con piano terra e sottotetto, solaio in laterocemento e tetto a due falde con struttura portante in legno e copertura in onduline metalliche zincate, con un’altezza media di 6 mt.

2.1. Sulla scorta di una situazione di fatto quale quella descritta appare del tutto erronea la prospettazione dell’appellante che ritiene sarebbe possibile applicare nella fattispecie l’art. 61 comma 3 delle n.t.a. del p.r.g. di Trento, poiché non si è in presenza di alcuna ristrutturazione, ma di una nuova edificazione, che ha comportato un considerevole aumento di volumetria. Circostanza quest’ultima che impedisce di ritenere si sia in presenza di una mera attività di manutenzione straordinaria ai sensi dell’art. 77 bis comma 1 lett. b), l.p. n. 22/1991, secondo il quale: “Gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente sono così definiti:…b) interventi di manutenzione straordinaria, le opere e le modifiche sugli edifici necessarie per rinnovare e sostituire gli elementi costruttivi degradati, anche quelli con funzioni strutturali e per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi o aumentino le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni d'uso;” Inoltre, anche a non voler considerare tale ultimo aspetto, la lettura offerta dall’appellante risulta contraddetta dalla circostanza che, nella fattispecie, vi è stata la demolizione dei muri perimetrali, sicché appare ostativo anche il disposto dell’art. 77-bis, comma 1, lett. e), l.p. n. 22/1991, secondo il quale: “Gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente sono così definiti:… e) interventi di ristrutturazione edilizia, quelli rivolti ad adeguare l'edificio a nuove e diverse esigenze anche con cambio della destinazione d'uso. L'intervento comprende la possibilità di variare l'impianto strutturale interno e distributivo dell'edificio, modificandone l'aspetto architettonico, formale, i tipi ed il modo d'uso dei materiali, purché le murature perimetrali non vengano demolite”.

2.2. Pertanto, appare correttamente applicato il disposto dell’art. 61, comma 2, delle n.t.a. del p.r.g. del Comune di Trento che vietava in zona bosco nuove edificazioni, non potendo considerare altrimenti gli interventi edilizi posti in essere dall’odierna appellante.

3. Destituita di fondamento appare anche la seconda censura, secondo la giurisprudenza di questo Consiglio (Cons. St., Sez. V, 31 marzo 2010, n. 1875; Sez. II, 12 maggio 2004, n. 1056), infatti, la richiesta di concessione in sanatoria di un'opera edilizia non inficia la legittimità dell'ordine di demolizione impartito in precedenza, quando la domanda di sanatoria sia stata poi respinta. L’ordine di demolizione risulta illegittimo soltanto se viene adottato all’indomani della domanda di sanatoria, ciò in ragione del fatto che l’istanza di sanatoria impedisce che l’amministrazione prima del suo esame si attivi per eliminare un abuso che potrebbe essere sanato. L’ordine di demolizione è infatti, un atto vincolato che poggia sull’atto presupposto che accerta la presenza di un abuso edilizio, conseguentemente l’efficacia dell’ordine di demolizione resta sospesa all’indomani della presentazione della domanda di sanatoria, ma al momento in cui la stessa venga respinta, l’ordine di demolizione torna a spiegare i suoi effetti, né appare necessario che l’amministrazione adotti un ulteriore ordine di demolizione, poiché la domanda di sanatoria non caduca l’ordine di demolizione, ma ne sospende gli effetti, che ricominciano a decorrere a far data dall’adozione del diniego di sanatoria.

4. Appare giocoforza, pertanto, respinge l’odierno gravame.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto, respinge l 'appello.

Condanna Bortolotti Alma al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in 3.000,00 euro (tremila/00), oltre accessori di legge, in favore del Comune di Trento.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Mario Luigi Torsello, Presidente

Fulvio Rocco, Consigliere

Doris Durante, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 31/03/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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