Tuesday 23 May 2017 10:49:13

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Occupazione di suolo pubblico: il silenzio dell'amministrazione sull'istanza non legittima l'esercizio dell'attività

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 23.5.2017

Nella vicenda giunta innanzi alla Quinta sezione del Consiglio di Stato l’appellante sostiene che, nella pendenza di un’istanza finalizzata all’occupazione del suolo pubblico, l’inerzia serbata dagli organi comunali giustificherebbe l’avvio dell’attività richiesta e che un’opzione di segno diverso finirebbe per impedire il libero e corretto esercizio dell’attività di impresa. Il Consiglio di Stato nella sentenza del 23 maggio 2017 ha ritenuto tale tesi priva di fondamento in quanto " il suo accoglimento finirebbe per trasformare irragionevolmente l’obbligo delle amministrazioni di provvedere sulle istanze di soggetti privati (articolo 2 della l. 241 del 1990) in una sorta di generalizzato e incondizionato obbligo di assentire tali istanze e di giustificare, in mancanza di un provvedimento espresso, l’esercizio dell’attività cui l’istanza è finalizzata". Per approfondire vai alla sentenza.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)


Pubblicato il 23/05/2017

N. 02396/2017REG.PROV.COLL.

N. 02270/2014 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 2270 del 2014, proposto dalla società Ba'Ghetto S.r.l., in persona del legale rappresentantepro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Giorgio Antonicelli, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Simeto, n. 12

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Sergio Siracusa, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Avv Capitolina-via Tempio di Giove, n. 21

per la riforma della sentenza del T.A.R. del Lazio, Sezione II-ter, n. 1225/2014;

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 marzo 2017 il Cons. Claudio Contessa e udito l’avvocato Sergio Siracusa per il Comune appellato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

Con Determinazione del 4 marzo 2013, il Comune di Roma (Roma Capitale) ha ordinato all’odierna appellante, Baghetto s.r.l., il ripristino, entro sette giorni, dello stato dei luoghi e la rimozione forzosa, in capo di inadempimento, dell’occupazione di suolo pubblico in via del Portico d’Ottavia, n. 2/A. 

Tale provvedimento è stato adottato a seguito del verbale di contestazione dell’abusiva occupazione nello spazio antistante il predetto esercizio commerciale, nonché dei rapporti della Polizia Locale di Roma Capitale del 2 gennaio 2013. 

Avverso il predetto diniego la società interessata ha proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, deducendone l’illegittimità per i seguenti motivi: Violazione e falsa applicazione della normativa costituzionale (art. 41 Cost.) e comunitaria in materia di libera circolazione dei beni e dei servizi. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 e dell’art. 14, comma 2, della deliberazione del Consiglio Comunale n. 119 del 2005, come modificata dalla delibera consiliare n. 75 del 2010. Violazione e falsa applicazione delle norme dell’art. 6 della legge 25 marzo 1997 n. 77 e dell’art. 14, commi 5 e 6, della deliberazione del Consiglio Comunale n. 75/2010. Violazione e falsa applicazione dell’ordinanza sindacale n. 258 del 27 novembre 2012. Violazione e falsa applicazione delle norme sul procedimento amministrativo. Violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del D.Lgs. 15 aprile 1992 n. 285 e dell’art. 3, comma 16, della legge 15 luglio 2009 n. 94. Eccesso di potere per difetto di motivazione, istruttoria, manifesta ingiustizia e disparità di trattamento.

Costituitasi in giudizio, Roma Capitale ha chiesto il rigetto del ricorso, in quanto infondato.

Con la sentenza segnata in epigrafe l’adito tribunale ha rigettato il ricorso.

Avverso tale sentenza ha proposto appello la Baghetto srl, chiedendone l’annullamento, sulla base dei seguenti motivi: violazione principi in materia di ordinanze sindacali; eccesso di potere, ingiustizia manifesta e difetto di istruttoria.

Ha resistito all’appello Roma Capitale, chiedendone il rigetto per infondatezza.

Con ordinanza 9 aprile 2014, n. 1491, la Sezione ha respinto l’istanza di sospensione degli effetti della sentenza in epigrafe.

Alla pubblica udienza del 2 marzo 2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge in decisione l’appello proposto da una società attiva nel settore della ristorazione (che opera da molti anni nell’area del Ghetto ebraico di Roma e che non ha mai ottenuto alcun titolo per l’occupazione di suolo pubblico per la posa di tavolini) avverso la sentenza del T.A.R. del Lazio con cui è stato respinto il ricorso per l’annullamento degli atti con cui il Comune ha dichiarato illegittima l’occupazione di fatto del suolo pubblico e ne ha fatto conseguire una sanzione.

2. Il ricorso è infondato.

In estrema sintesi:

- l’odierna appellante ha presentato in data 1 febbraio 2011 al Comune di Roma (Roma Capitale) un’istanza finalizzata al rilascio di un titolo abilitativo per l’occupazione di suolo pubblico per una superficie totale di 11,40 mq.;

- già nel corso del 2011 gli organi comunali avevano per ben tre volte (in data 5 aprile 2011, 23 agosto 2011 e 26 ottobre 2011) accertato e contestato l’illegittima occupazione de facto da parte dell’appellante della porzione di marciapiede antistante l’esercizio;

- nonostante il mancato rilascio di un qualunque titolo, l’odierna appellante ha comunque iniziato e proseguito di fatto l’occupazione di un’area pubblica di circa 24 mq. e ha mantenuto nel corso degli anni tale occupazione, malgrado l’adozione di numerosi atti comunali che hanno nel corso del tempo censurato l’occupazione sine titulo (ivi compreso il provvedimento in data 22 luglio 2011, di ripristino dello stato dei luoghi, mai impugnato);

- lo spazio occupato senza alcun titolo dall’appellante è pari (per ammissione della medesima appellante) a circa 24 mq, e si estende quindi su un’area più che doppia rispetto a quella cui si riferiva l’originaria istanza (peraltro, mai accolta) in data 1 febbraio 2011;

3. Ciò posto, l’unica tesi proposta dall’appellante consiste nel sostenere che, nella pendenza di un’istanza finalizzata all’occupazione del suolo pubblico, l’inerzia serbata dagli organi comunali giustificherebbe l’avvio dell’attività richiesta e che un’opzione di segno diverso finirebbe per impedire il libero e corretto esercizio dell’attività di impresa.

4. La tesi è priva di fondamento.

4.1. Infatti in primo luogo il suo accoglimento finirebbe per trasformare irragionevolmente l’obbligo delle amministrazioni di provvedere sulle istanze di soggetti privati (articolo 2 della l. 241 del 1990) in una sorta di generalizzato e incondizionato obbligo di assentire tali istanze e di giustificare, in mancanza di un provvedimento espresso, l’esercizio dell’attività cui l’istanza è finalizzata.

4.2.. In secondo luogo deve rilevarsi che, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, gli organi comunali non hanno serbato nel vicenda de quaun contegno radicalmente inerte, essendo stata chiaramente espressa nel provvedimento in data 16 settembre 2013 (impugnato con motivi aggiunti in primo grado) l’impossibilità di assentire la richiesta occupazione, la quale avrebbe potuto interferire con il cono visuale del monumento antico c.d. ‘Portico di Ottavia’, in tal modo contravvenendo alle indicazioni conformative impartite dalla competente Soprintendenza.

Si osserva inoltre che il T.A.R. non ha accolto in parte qua il ricorso per motivi aggiunti e che sul punto non sono state formulate contestazioni in sede di appello, ragione per cui il richiamato provvedimento ostativo risulta orma consolidato negli effetti.

4.3. Né può condividersi la tesi della asserita natura sostanzialmente “estemporanea” dell’occupazione di suolo pubblico che, anche per le concrete modalità di realizzazione (mera posa di sedie e tavolini), sarebbe assolutamente irrilevante ai fini della normativa nazionale e locale in tema di occupazioni di suolo pubblico.

Al riguardo ci si limita ad osservare che (come condivisibilmente rilevato dai primi giudici) l’articolo 1, comma 3, lettera a) della delibera consiliare n. 119 del 30 maggio 2005 (‘Regolamento in materia di occupazione di suolo pubblico – OS e del canone COSAP’) fa ricadere nell’ambito applicativo della disciplina in parola “l’occupazione di spazi e di aree (…) con e senza autorizzazione” senza distinzioni e limitazioni di sorta”.

Ne consegue che non vale ad escludere l’applicabilità della richiamata disciplina la sola circostanza che l’occupazione avvenga senza la stabile infissione al suolo di manufatti; ciò che rileva infatti è che una rilevante porzione di marciapiede antistante l’esercizio venga stabilmente occupata con tavolini, sedie e ombrelloni destinati all’attività di somministrazione.

4.4. Neppure può poi trovare accoglimento il motivo con cui si è lamentata l’illegittimità dell’ordinanza sindacale n. 258 del 2012 (espressamente richiamata nell’ambito dei provvedimenti impugnati in primo grado).

Al riguardo ci si limita ad osservare che, in disparte il contenuto sostanziale de motivi articolati avverso la richiamata ordinanza n 258 del 2012, la stessa non fonda in modo diretto e immediato l’esercizio dell’attività sanzionatoria impugnata in primo grado, ma rappresenta soltanto un atto di indirizzo con cui il Sindaco pro tempore rivolge(va) agli Uffici comunali indirizzi applicativi circa le modalità con cui sanzionare attività (quali quelle realizzate dall’appellante) la cui contrarietà all’ordinamento emergeva dal contrasto con la pertinente normativa primaria (articolo 20 del decreto legislativo n. 285 del 1992 e articolo 3 della l. 94 del 2009) e non certo dalle previsioni della richiamata ordinanza sindacale.

4.5. E’ parimenti infondato l’ulteriore motivo di appello con il quale si è lamentato il carattere “soprassessori[o] e francamente inutile” della scelta di richiedere il parere della Soprintendenza ai beni culturali del Comune di Roma e il parere preventivo (e non obbligatorio) dell’Ufficio Città Storica.

Invero le violazioni qui contestate risultano di carattere meramente procedimentale e che (anche ad ammettere il carattere non necessario della richiesta acquisizione di tali pareri), non ne emerge in alcun modo un conseguente profilo di illegittimità a carico del provvedimenti impugnati in primo grado.

9. Per le ragioni dinanzi esposte l’appello in epigrafe deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante alla rifusione delle spese di lite che liquida in complessivi euro 2.000 (duemila), oltre gli accessori di legge. 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2017 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Carlo Saltelli, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere, Estensore

Fabio Franconiero, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
Claudio Contessa   Carlo Saltelli
     
     
     
     
     

IL SEGRETARIO

 

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