Sunday 22 February 2015 20:47:37

Giurisprudenza  Giustizia e Affari Interni

Giudizio sul silenzio: il giudice amministrativo non può andare di regola andare oltre la declaratoria di illegittimità dell'inerzia e l'ordine di provvedere

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di stato Sez. IV del 12.2.2015

Trattandosi di un giudizio su silenzio, il Consiglio di Stato nella sentenza del 12.2.2015 ha premesso che l'obbligo giuridico di provvedere - ai sensi dell'art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dall’art. 7 della legge 18 giugno 2009, n. 69 - sussiste in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l'adozione di un provvedimento e quindi, tutte quelle volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell'Amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 giugno 2010, n. 3487).Nei giudizi di tale natura, il giudice amministrativo non di regola può andare oltre la declaratoria di illegittimità dell'inerzia e l'ordine di provvedere; gli resta precluso il potere di accertare direttamente la fondatezza della pretesa fatta valere dal richiedente, sostituendosi all'Amministrazione stessa. Le disposizioni relative, ove interpretate diversamente, attribuirebbero illegittimamente, in modo indiscriminato, una giurisdizione di merito (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24 maggio 2010, n. 3270).Tuttavia, nell'ambito del giudizio sul silenzio, il giudice potrà conoscere dell’accoglibilità dell'istanza:a) nelle ipotesi di manifesta fondatezza, allorché siano richiesti provvedimenti amministrativi dovuti o vincolati in cui non c'è da compiere alcuna scelta discrezionale che potrebbe sfociare in diverse soluzioni e fermo restando il limite della impossibilità di sostituirsi all'Amministrazione;b) nell'ipotesi in cui l'istanza sia manifestamente infondata, sicché risulti del tutto diseconomico obbligare l’Amministrazione a provvedere laddove l'atto espresso non potrebbe che essere di rigetto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2010, n. 1468).

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale *del 2014, proposto da: 
Benedetta Barberini Colonna di Sciarra, rappresentata e difesa dall'avv. Vittorio De Franco, con domicilio eletto presso Andrea Imperiali in Roma, via Tacito, 41; 

contro

Comune di Melissa, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Poerio, Domenico Scrivano, con domicilio eletto presso Luigi Vulcano in Roma, via Benedetto Croce, 49; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CALABRIA – CATANZARO: SEZIONE II n. 00359/2014, resa tra le parti, concernente il silenzio serbato dall'Amministrazione su un’istanza di applicazione dell’art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001 – risarcimento danni

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Melissa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2015 il cons. Giuseppe Castiglia e udito per il Comune l’avv. Vulcano, in sostituzione dell'avv. Poerio;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

La signora Benedetta Barberini Colonna di Sciarra era comproprietaria di terreni e fabbricati nel Comune di Melissa, oggetto di dichiarazione di pubblica utilità (1987) e poi di occupazione (1989) da parte del Comune medesimo.

La dichiarazione di pubblica utilità sarebbe stata però illegittima per omessa indicazione delle date di inizio e di compimento dei lavori previsti. Tale omissione avrebbe determinato la nullità di tutti gli atti del procedimento espropriativo, come dichiarato dalla Corte d’appello di Catanzaro con sentenza 2 dicembre 2011, n. 1255, resa nel giudizio proposto da altro comproprietario degli stessi beni e passata in giudicato.

Dopo avere esperito un’iniziativa presso il giudice civile, senza successo, la signora Barberini ha diffidato il Comune ad adottare i provvedimenti previsti dall’art. 42 bis del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, prospettando l’alternativa fra l’acquisizione dei beni al patrimonio indisponibile dell’Ente, con il pagamento degli indennizzi di legge, e la restituzione, con il pagamento dell’indennità di occupazione.

Nella mancata risposta dell’Amministrazione, la signora Barberini ha agito per sentirne dichiarare l’illegittimità del silenzio.

Con sentenza 6 marzo 2014, n. 359, il T.A.R. per la Calabria, sez. II, ha respinto il ricorso, ritenendo che la questione del trasferimento della proprietà dei beni fosse stata definita con il decreto di esproprio n. 9 del 20 dicembre 1996, non impugnato, e che dunque il Comune non avesse alcun obbligo di provvedere sull’istanza.

La signora Barberini ha interposto appello contro la sentenza.

L’appellante afferma che l’art. 42 bis del d.P.R. 327 del 2001 sarebbe applicabile anche in mancanza di un preventivo accertamento giudiziale di nullità della dichiarazione di pubblica utilità, essendo sufficiente che l’invalidità risulti in modo oggettivo dal contenuto della dichiarazione stessa.

Inoltre, solo a partire dall’entrata in vigore dell’art. 42 bis citato - che espressamente stabilisce la propria efficacia retroattiva, con il solo limite dell’intervenuta usucapione o di un contratto stipulato fra le parti - la signora Barberini avrebbe avuto la possibilità legale di far valere il proprio diritto dominicale. Non le si potrebbe pertanto opporre un’inerzia ultraventennale.

L’appellante richiama, infine, l’art. 1105 c.c. per sostenere che la ricordata sentenza della Corte d’appello di Catanzaro gioverebbe a tutti i condomini, inclusi quelli che – come nel caso di specie – non avessero impugnato la decisione di primo grado.

Il Comune di Melissa si è costituito in giudizio tardivamente.

All’udienza pubblica del 13 gennaio 2015, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

DIRITTO

Trattandosi di un giudizio su silenzio, va premesso che l'obbligo giuridico di provvedere - ai sensi dell'art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dall’art. 7 della legge 18 giugno 2009, n. 69 - sussiste in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l'adozione di un provvedimento e quindi, tutte quelle volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell'Amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 giugno 2010, n. 3487).

Nei giudizi di tale natura, il giudice amministrativo non di regola può andare oltre la declaratoria di illegittimità dell'inerzia e l'ordine di provvedere; gli resta precluso il potere di accertare direttamente la fondatezza della pretesa fatta valere dal richiedente, sostituendosi all'Amministrazione stessa. Le disposizioni relative, ove interpretate diversamente, attribuirebbero illegittimamente, in modo indiscriminato, una giurisdizione di merito (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24 maggio 2010, n. 3270).

Tuttavia, nell'ambito del giudizio sul silenzio, il giudice potrà conoscere dell’accoglibilità dell'istanza:

a) nelle ipotesi di manifesta fondatezza, allorché siano richiesti provvedimenti amministrativi dovuti o vincolati in cui non c'è da compiere alcuna scelta discrezionale che potrebbe sfociare in diverse soluzioni e fermo restando il limite della impossibilità di sostituirsi all'Amministrazione;

b) nell'ipotesi in cui l'istanza sia manifestamente infondata, sicché risulti del tutto diseconomico obbligare l’Amministrazione a provvedere laddove l'atto espresso non potrebbe che essere di rigetto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2010, n. 1468).

Quest’ultimo è precisamente il caso di specie.

Come ha affermato correttamente il T.A.R., il decreto di esproprio del 1996 ha comportato il definitivo trasferimento della proprietà dei beni contesi.

L’appellante non può invocare a proprio vantaggio gli effetti di una sentenza favorevole a uno solo dei condomini, perché una simile estensione violerebbe i limiti di efficacia soggettiva del giudicato (art. 2909 c.c.).

Non vale certo in contrario la giurisprudenza della Corte di cassazione riportata dall’appellante (in particolare: sez. III, 31 gennaio 2008, n. 2399), che riguarda la fattispecie, ben diversa, della presunzione di consenso all’azione di risoluzione della locazione del bene in comproprietà, promossa da uno solo dei condomini.

Acquisita in modo irretrattabile la proprietà dei beni espropriati da parte dell’Amministrazione, non vi è alcuno spazio di applicabilità per l’art. 42 bis citato. Ne è vero che solo a partire dall’entrata in vigore di tale disposizione la signora Barberini avrebbe avuto la possibilità legale di tutelare il proprio diritto dominicale, perché ciò avrebbe potuto fare impugnando il decreto di esproprio: iniziativa che ha invece trascurato di assumere a suo tempo e che neppure potrebbe intraprendere ora, sul presupposto di un’asserita nullità dell’atto, in un sistema processuale in cui anche la relativa azione di accertamento è soggetta a termine di decadenza (art. 31, comma 4, c.p.a.).

Dalle considerazioni che precedono, discende che l’appello è infondato e va perciò respinto, con conferma della sentenza impugnata.

Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso. 

Considerato il comportamento processuale del Comune appellato, le spese di giudizio possono essere compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2015 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Goffredo Zaccardi, Presidente

Sandro Aureli, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

Silvestro Maria Russo, Consigliere

Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 12/02/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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