Monday 23 September 2013 18:03:13

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Il carattere pertinenziale delle opere: il Consiglio di Stato chiarisce i parametri fissati dalla giurisprudenza

nota del Prof. Avv. Enrico Michetti a sentenza del Consiglio di Stato

Per consolidato orientamento giurisprudenziale, il carattere pertinenziale viene riconosciuto alle opere, quando, per la loro natura e consistenza, risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al sevizio di un manufatto principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di un volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono (Cass. Pen. Sez. III 27 novembre 1997 n. 2660; Cons. Stato Sez. V 7 dicembre 2002 n. 6126; idem 30 novembre 2000 n.6538; Cons. Stato sez. IV 17 maggio 2010 n.3127). Alla luce dei suddetti parametri fissati dalla giurisprudenza, nella vicenda in esame il Consiglio di Stato ha ritenuto non appare condivisibile l’impostazione di parte appellante, che qualifica l’opera controversa come pertinenza, e ciò in quanto: a) il manufatto in contestazione misura 70 mq e 199mc, palesando, quindi una significativa consistenza; b) la struttura è composta da fondazioni di calcestruzzo e pareti di laterizi, con relativo manto di copertura in coppi, caratteristiche strutturali in parte già constatate nel 2004. Da ciò consegue che l’immobile, ancorché adiacente a preesistente edificio, non sia funzionalmente servente rispetto all’immobile “principale” ed anzi sia suscettibile di autonoma utilizzazione, a fini abitativi o diversi, sì che il fabbricato non può farsi minimamente rientrare nella categoria tipologica delle pertinenze, come descritta dall’art.3 del DPR n.320/2001.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale***** del 2006, proposto da:

Caprari Renato, rappresentato e difeso dagli avv. Tarcisio Giampieri, Giorgio Rossetti, con domicilio eletto presso Arturo Alfieri in Roma, via degli Scipioni, 191;

 

contro

Comune di Agugliano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Andrea Galvani, con domicilio eletto presso il medesimo, in Roma, via Salaria, 95; 

nei confronti di

Moreschi Tommaso; 



 

sul ricorso numero di registro generale 4069 del 2010, proposto da:

Renato Caprari, rappresentato e difeso dagli avv. Manuela Soligo, Dino Latini, con domicilio eletto presso Anna Gentili in Roma, viale Jonio, 359;

 

contro

Comune di Agugliano, rappresentato e difeso dall'avv. Andrea Galvani, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, via Salaria, 95; 

nei confronti di

Moreschi Tommaso Resp. 3° Settore Tecnico Servizio Urbanistica - Sportello Unico Edilizia del Comune di Agugliano; 

per la riforma

quanto al ricorso n. 9576 del 2006:

della sentenza del T.a.r. Marche n.443/2006, resa tra le parti, concernente diniego di condono e demolizione manufatto abusivo;

quanto al ricorso n. 4069 del 2010:

della sentenza del T.a.r. Marche n.43/2010, resa tra le parti, concernente rigetto istanza di sanatoria.

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Agugliano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 maggio 2013 il Cons. Andrea Migliozzi e uditi per la parte comunale, unica presente, l’avvocato Alessio Petretti (su delega di Andrea Galvani);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

Il sig. Renato Caprari espone che in epoca anteriore al 1967 il padre era proprietario di una casa colonica ed annessi agricoli in contrada S. Lucia e di aver proceduto alla ricostruzione fuori sito della casa colonica.

Nel corso della ricostruzione della predetta casa colonica, gli annessi agricoli venivano demoliti per far posto ad un nuovo fabbricato, accanto al quale veniva realizzato, nel 1984, un manufatto (capanno) destinato al ricovero di attrezzi agricoli, inizialmente composto da tubature di ferro ed altro materiale, fatto poi oggetto, in ragione del suo precario stato di manutenzione, sempre secondo quanto riferito dal ricorrente, di interventi di rinforzo e di ampliamento via via susseguitisi dal 1996 e in epoca antecedente al 31 marzo 2003, per essere quindi effettuati. nel novembre 2004, dei lavori di restauro e risanamento onde fronteggiare infiltrazioni d’acqua.

Il 10 dicembre 2004 veniva presentata per tale manufatto istanza di sanatoria, ai sensi della legge n.326 del 2002 e della legge regionale n. 23 del 2004, domanda che veniva rigettata con provvedimento che ne disponeva la reiezione sul rilievo che l’opera era stata realizzata dopo il 31 marzo 2003, termine ultimativo per conseguire la sanatoria.

Faceva quindi seguito l’ordinanza comunale n. 42 del 22/12/2004, “di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi relativamente alla realizzazione di un manufatto abusivo presso l’immobile del sig,. Renato Caprari”.

L’interessato impugnava sia il diniego di sanatoria, sia il provvedimento ripristinatorio innanzi al Tar delle Marche, che con sentenza n. 443/2006 respingeva il ricorso, ritenendolo infondato.

Avverso tale decisum, ritenuto errato ed ingiusto, è insorto il Caprari, deducendo, a sostegno del proposto appello (rubricato al 9576/2006 ) i vizi di legittimità ed eccesso di potere sotto quattro profili e precisamente :

1) violazione e falsa applicazione della legge 24/11/2003 n. 326 e della legge Regione Marche 29 ottobre 2004 n. 23; eccesso di potere per illogicità manifesta ; travisamento dei fatti; erroneità dei presupposti; difetto di motivazione; disparità di trattamento;

2) violazione e falsa applicazione del DPR 6 giugno 2001 n. 380; violazione e falsa applicazione artt. 9 e 10 R.E.T. Regione Marche ; eccesso di potere per illogicità manifesta;travisamento dei fatti; erroneità dei presupposti ; difetto di motivazione; disparità di trattamento;

3) violazione e falsa applicazione della legge n. 326/2003 e della legge regionale n.23/2004; eccesso di potere per illogicità manifesta, travisamento dei fatti; erroneità dei presupposti; difetto di motivazione; disparità di trattamento, sotto altri aspetti;

4) violazione e falsa applicazione legge n. 326/2003 e della legge regionale n. 23/04 ; eccesso di potere per illogicità manifesta; travisamento dei fatti; erroneità dei presupposti; difetto di motivazione ; disparità di trattamento per ulteriori ragioni.

Si è costituito il Comune di Agugliano che ha contestato la fondatezza dell’appello di cui ha chiesto la reiezione.

Successivamente, in data 27 marzo 2007, il sig. Renato Caprari presentava al Comune di Agugliano, sempre in relazione al manufatto oggetto dei provvedimenti precedentemente impugnati, richiesta di sanatoria di un locale di pertinenza, istanza che veniva respinta con provvedimento del 5 giugno 2007, sul rilievo, in primis, che l’immobile non poteva essere considerato una pertinenza “per le sue caratteristiche e la sua struttura” e tanto con riferimento sia all’art. 3 del DPR n. 320 del 2001, sia all’art.1 del Regolamento comunale per gli interventi edilizi minori. Inoltre l’Amministrazione opponeva la non consentita assentibilità dell’eseguito intervento edilizio per le ragioni ostative costituite dal vincolo di crinale di terzo livello previsto dalle NTA del PRG e dal vincolo cimiteriale recante l’inedificabilità assoluta.

L’interessato impugnava tale negativa determinazione, nonché il pregresso parere sfavorevole della commissione edilizia del 25/5/2007 innanzi al Tar delle Marche, che con sentenza n. 43/2010 rigettava il ricorso

Avverso tale sentenza, ritenuta ingiusta ed errata, è nuovamente insorto il Caprari con specifico appello (rubricato al n. 4069/2010), deducendo vari profili di doglianza, con cui ha rilevato, oltreché la erroneità delle statuizioni assunte dal primo giudice, la non opponibilità delle ragioni poste a fondamento del diniego de quo.

Questi, in particolare, i motivi:

1) illegittimità del provvedimento di diniego di sanatoria per violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/90;

2) eccesso di potere per travisamento dei fatti e violazione di legge;

3) violazione di legge .

Anche per questo appello si è costituito l’intimato Comune di Agugliano, chiedendone la reiezione.

Le parti hanno quindi prodotto per entrambe le impugnative suindicate apposite memorie difensive ad ulteriore illustrazione delle loro tesi .

All’udienza del 14 maggio 2013 i due appelli sono stati introitati per la decisione.

DIRITTO

I due appelli in epigrafe indicati vanno riuniti per evidenti ragioni di connessione, sia soggettiva che oggettiva, intercorrenti fra gli stessi.

Con riferimento al primo dei proposti gravami, si controverte, in sostanza, della sanabilità o meno di un manufatto abusivo per il quale il sig. Caparari ha presentato, in data 10 dicembre 2004, istanza di condono edilizio ai sensi della legge 24 novembre 2003 n. 326 e della conseguente legge Regione Marche 29 ottobre 2004 n. 23, domanda che è stata respinta dal Comune di Agugliano sul rilievo della non esistenza del manufatto stesso alla data del 31 marzo 2003, limite temporale di avvenuta realizzazione del fabbricato posto dalla legge per fruire della sanatoria.

La tesi di fondo propugnata dall’appellante con i mezzi di impugnazione, da trattarsi congiuntamente per la loro logica connessione, è che il manufatto oggetto di condono era preesistente al 31 marzo 2003, con la peculiarità che anteriormente a tale data è stato realizzato (sine titulo) un volume di tipo precario e, successivamente al predetto termine, sono stati eseguiti su di esso lavori di risanamento e consolidamento; il che non farebbe venir meno il presupposto temporale previsto dalla legge di sanatoria, posto che, comunque, alla predetta data del 31 marzo, il manufatto de quo esisteva.

L’assunto difensivo è privo di giuridico fondamento.

L’elemento di fatto e di diritto avente valenza dirimente nella questione qui dibattuta viene fornito dalle risultanze di un sopralluogo effettuato dai tecnici comunali in data 1 dicembre 2004, che (come da relativo verbale) hanno avuto modo di constatare “la realizzazione in corso d’opera di una costruzione, priva di copertura, consistente in un piano fuori terra realizzato in muratura di laterizio con cordolo perimetrale in c. a. realizzata in adiacenza al fabbricato esistente”.

Quanto attestato in sede di accertamenti da parte degli organi comunali preposti precipuamente alla vigilanza edilizia sul territorio vale indiscutibilmente a provare, in ragione della provenienza del verbale di constatazione da soggetti qualificati (con conseguente valenza fidefacente, sino a presentazione di querela di falso) la presenza, alla data del 1 dicembre 2004, di una costruzione in fieri avente caratteristiche tipologiche ben precise.

Se ciò è vero, non può darsi seguito alla tesi, pure abilmente prospettata dalla difesa dell’appellante, che ab initio e cioè prima della data del 31 marzo 2003 comunque esisteva un volume (il c.d. capanno), per la semplice ragione che la struttura per la quale si è chiesto il condono è esattamente quella presente alla data del 1 dicembre 2004 e cioè un manufatto in muratura e cemento armato, che, per entità e caratteristiche, è qualcosa di ontologicamente diverso da quello che lo stesso appellante riferisce sarebbe stato presente alla data del 31 marzo 2003 e cioè una struttura di tipo precario, denominata capanno.

In altri termini, in base alla descrizione resa in sede di sopralluogo eseguito dai tecnici comunali, si rileva la contestuale esecuzione di opere che, ben lungi dal costituire risanamento, ristrutturazione e/o completamento di una qualche preesistenza, si atteggiano in realtà come realizzazione di un manufatto ex novo.

D’altra parte, che non vi sia coincidenza tra quanto preesistente e quanto in corso di realizzazione alla data del 1° dicembre 2004 è evidenziato dal fatto che non viene dato principio di prova in ordine alla esistenza di un uguale volume, sì che non si può parlare di opus avente unica consistenza, idonea ad avvalorare la coincidenza tra quanto in loco preesistente e quanto nello stesso sito realizzato dopo il 31 marzo 2003.

Parte appellante ha cura poi di evidenziare che in concreto la struttura de qua non si porrebbe in contrasto con altre normative di tutela del territorio, in particolare con il regime di salvaguardia ambientale e neppure con il vincolo cimiteriale, argomenti a contrariis pure opposti dal Comune in sede di reiezione della domanda di sanatoria.

Ebbene i suddetti aspetti, ritenuti non preclusivi, in linea di principio, alla assentibilità del manufatto, sono irrilevanti, atteso che nella specie rileva unicamente la questione del titolo invocato per ottenere la sanatoria dell’abuso in questione, cioè l’esistenza del manufatto abusivo alla data del 31 marzo 2003; e siccome tale presupposto non risulta essersi inverato, ciò è condizione sufficiente di per sé a giustificare legittimamente, da parte dell’Amministrazione comunale, l’opposto diniego e la conseguente adozione del provvedimento di ripristino dello stato dei luoghi.

Per quanto sopra esposto, l’appello n. 9576/2006 è infondato e va, pertanto, respinto.

Anche il secondo appello si appalesa infondato, meritando l’impugnata sentenza integrale conferma.

Il Caprari, come già accennato in fatto, presenta nel marzo del 2007, sempre in relazione al manufatto in contestazione, una nuova domanda, intesa ad ottenere il rilascio di sanatoria di pertinenza ex art. art. 3 del DPR n.380/2001 (testo unico sull’edilizia), ma, anche per tale titolo, come correttamente fatto presente dal Comune prima e dal Tar poi, la sanatoria non è possibile, giacchè l’immobile in questione non può qualificarsi come pertinenza.

La prima critica fatta valere dall’interessato è rappresentata dalla denunciata violazione dell’art.10 bis della legge n.241/90, per mancato invio della preventiva comunicazione delle ragioni ostative all’accoglimento della domanda de qua.

La doglianza non è condivisibile.

In base ad un preciso orientamento giurisprudenziale, pienamente condivisibile, la violazione dell’art.10 bis della legge generale sul procedimento non produce ex se la invalidità del provvedimento finale, dovendo la disposizione di preavviso di rigetto essere interpretata alla luce dell’art. 21 octies della legge n.241/90 , per cui occorre valutare il contenuto sostanziale della determinazione conclusiva, allorché questa risulti non incisa dal vizio formale (in tal senso, ex multis, Cons. Stato Sez. V 10 ottobre 2007 n. 5321).

E poiché il provvedimento in contestazione ha natura vincolata, dovendo l’istanza di sanatoria essere definita unicamente alla stregua delle rigorose diposizioni normative dettate in materia, è evidente che il contenuto del provvedimento adottato dal Comune non avrebbe potuto essere diverso da quello (di diniego) assunto.

Con il secondo motivo d’impugnazione viene affrontata la questione giuridica fondamentale qui in rilievo, cioè la natura pertinenziale o meno, ai sensi dell’art. 3 del DPR n.320/2001, del manufatto di che trattasi.

Ebbene, al riguardo giova richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale, che riconosce il carattere pertinenziale alle opere, quando, per la loro natura e consistenza, risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al sevizio di un manufatto principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di un volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono (Cass. Pen. Sez. III 27 novembre 1997 n. 2660; Cons. Stato Sez. V 7 dicembre 2002 n. 6126; idem 30 novembre 2000 n.6538; Cons. Stato sez. IV 17 maggio 2010 n.3127).

Alla luce dei parametri fissati dalla giurisprudenza, non appare condivisibile l’impostazione di parte appellante, che qualifica l’opera in questione come pertinenza, se è vero che:

a) il manufatto in contestazione misura 70 mq e 199mc, palesando, quindi una significativa consistenza;

b) la struttura è composta da fondazioni di calcestruzzo e pareti di laterizi, con relativo manto di copertura in coppi, caratteristiche strutturali in parte già constatate con gli accertamenti tecnici del 1° dicembre 2004 (di cui sopra si è parlato).

Se questi sono i caratteri dell’opus, è ragionevole ritenere che l’immobile, ancorché adiacente a preesistente edificio, non sia funzionalmente servente rispetto all’immobile “principale” ed anzi sia suscettibile di autonoma utilizzazione, a fini abitativi o diversi, sì che il fabbricato non può farsi minimamente rientrare nella categoria tipologica delle pertinenze , come descritta dall’art.3 del DPR n.320/2001 e neppure in quella prevista dalla normativa recata dal Regolamento comunale per la realizzazione degli interventi edilizi minori, che contempla ipotesi di fabbricati di dimensioni inferiori a quelle qui in rilievo.

Esattamente allora il Comune ha opposto tali impeditive circostanze all’accoglimento della richiesta di sanatoria e altrettanto correttamente il giudice di primo grado ha valutato come legittimo sotto tali profili il diniego dell’Amministrazione.

Anche qui il carattere assorbente della questione testé illustrata, in ragione del titolo per i quale l’appellante ha (erroneamente) invocato la sanabilità del manufatto, fa sì che non sia necessario occuparsi degli altri motivi ritenuti dall’Ente preclusivi della domanda, ben potendo la determinazione negativa reggersi sulle ragioni inerenti il presupposto in base al quale è stata chiesta e negata la sanatoria (la questione della pertinenzialità, qui, per l’appunto assente).

In forza di quanto esposto, anche il secondo appello, in quanto infondato, va respinto,

Le spese e competenze del presente grado del giudizio seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando, riunisce gli appelli in epigrafe indicati e li rigetta.

Condanna la parte appellante al pagamento in favore del resistente Comune di Agugliano delle spese e competenze del presente grado del giudizio che si liquidano complessivamente in euro 10.000,00 (diecimila/00) oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Paolo Numerico, Presidente

Diego Sabatino, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere

Francesca Quadri, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere, Estensore

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il **/09/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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