Tuesday 10 December 2013 19:19:42

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Procedimenti espropriativi illegittimi: ai fini della quantificazione del danno derivante alle aree per effetto della occupazione sine titulo seguita dall’irreversibile trasformazione dei suoli, il criterio fondamentale è quello di tener presente il valore venale del bene desumibile dalla sua destinazione urbanistica

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame rileva come lo scenario sotteso ai procedimenti espropriativi illegittimamente posti in essere va ridisegnato sulla scorta degli arresti giurisprudenziali sopraggiunti in materia (fra le tante Cons. Stato Sez. V 2/11/2011 n. 5844; Cons. Stato Sez. IV 2 dicembre 2011 n.6375), laddove è stato consacrato il principio per cui è ormai indifferente e/o irrilevante parlare di occupazione acquisitiva o di occupazione usurpativa, venendo in rilievo un atto e/o comportamento illecito ascrivibile alla pubblica amministrazione e consistente nell’occupazione sine titulo di un suolo privato seguita (come nel caso de quo) dalla sua irreversibile trasformazione per effetto della realizzazione su di esso di un’opera pubblica. A seguito di ciò viene in rilievo una situazione in cui si inverano i presupposti della responsabilità della P.A., secondo lo schema aquiliano ex art.2043, produttiva, come tale, di danno risarcibile: di qui il corretto riconoscimento da parte del primo giudice dell’ammissibilità e fondatezza della domanda risarcitoria formalmente avanzata dagli attuali appellati già in prime cure con tutti e tre i ricorsi presentati. Né, ad invalidare l’ammissibilità della domanda risarcitoria, può valere la circostanza, pure opposta nei proposti gravami, in base alla quale gli appellati, nel corso del giudizio hanno rinunciato alla domanda di restituzione delle aree formulata in via principaliter, mutando così il petitum iniziale. Invero, la rinuncia alla restituzione dei beni non inficia la concorrente domanda risarcitoria, versandosi nella specie unicamente in un caso di emendatio libelli e non di inammissibile mutatio, ove si consideri che la doppia azione risarcitoria e restitutoria costituisce espressione della tutela approntata dall’ordinamento in favore dell’amministrato, in base alla quale la tutela in forma specifica e quella per equivalente appaiono come mezzi concorrenti per conseguire la riparazione del pregiudizio subito (cfr Cons. Stato Sez. IV 1° giugno 2011 n. 3331)...Ciò detto, ai fini della quantificazione del danno derivante alle aree qui in rilievo per effetto della occupazione sine titulo seguita dall’irreversibile trasformazione dei suoli, il criterio fondamentale cui rapportare le determinazione del ristoro patrimoniale è quello di tener presente il valore venale del bene, come ovviamente desumibile dalla sua destinazione urbanistica (Cons. Stato Sez. IV 2 dicembre 2011 n. 6375). Con gli appelli in questione la Società Interporto Marche e il Comune di Jesi criticano i criteri assunti dal Tar per la determinazione del danno risarcibile, rilevando, in particolare la erroneità del decisum per quanto attiene all’attribuita qualificazione di aree edificabili ai fondi di che trattasi, all’argomentazione della libera contrattazione e all’utilizzo del criterio equitativo del valore unitario dell’area pari a 33 euro/mq. Con riferimento al primo aspetto, le relative censure colgono nel segno. Non si può determinare il risarcimento dovuto secondo il criterio del valore edificabile (come erroneamente fatto dal Tar), posto che tale destinazione l’area de qua non aveva al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, né potendosi considerare una capacità di edificazione in ragione della prevista realizzazione dell’opera pubblica per cui è causa. Il valore venale delle aree in questione non può essere collegato ad una destinazione, quella edificabile, che i suoli in questione non hanno mai avuto dal punto di vista urbanistico; e nella specie occorre tener conto del criterio strettamente legale: la natura edificabile, invero, di un’area non può essere supposta, ma derivare unicamente dalla classificazione inserita negli strumenti urbanistici al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio (Cass. Sez. civile, I sezione 4 giugno 2010 n. 13615; idem 3 giugno 2010 n. 13461 e 15 luglio 2009 n.16531). La regola iuris testé illustrata si pone in perfetta consonanza con i principi che informano l’attività espropriativa della P.A., a fronte della quale il diritto al giusto indennizzo da parte del titolare dei diritti dominicali esistenti sul suolo ablato deve essere rapportato necessariamente al valore degli immobili come desunto dal loro stato e dalla condizione esistenti al tempo dell’espropriazione; e questa non può non tener conto della tipizzazione urbanistica al momento della presa in possesso del terreno (nella specie la destinazione agricola). D’altra parte è fuori discussione che nel caso de quo, con l’approvazione della variante al PRG recante la previsione della realizzazione del centro intermodale, si è introdotto un chiaro vincolo preordinato all’esproprio, che è andato ad incidere, in funzione della puntuale localizzazione dell’opera pubblica prevista (cfr Cons. Stato sez. IV 28 dicembre 2012 n. 6700) sulla proprietà privata, svuotando quest’ultima di ogni possibilità edificatoria sia in punto di diritto che di fatto (in tal senso Cons. Stato Sez. IV 29 novembre 2012 n. 6094). Né, ai fini della determinazione del valore venale dei beni de quibus, può farsi ricorso, come anche qui erroneamente sancito dal primo giudice, al valore che le aree avrebbero avuto “in una libera contrattazione”: il criterio utilizzato dal Tar è del tutto astratto, dal momento che nella specie si versa in una procedura espropriativa connotata da un situazione pacificamente antitetica a quella contrassegnata da una libera contrattazione. In altri termini, il bene, quanto alla determinazione del suo valore, una volta sottoposta alla procedura ablatoria, non può essere valutato alla stregua dei criteri della libera contrattazione e della concorrenza commerciale, proprio perché non si configura un rapporto paritetico tra espropriato e amministrazione espropriante e comunque non si possono collegare all’immobile ablato scopi edificatori, produttivi e commerciali diversi da quelli ad esso ascrivibili in ragione della natura e classificazione del bene come ad esso conferite in base alle scelte urbanistiche vigenti al momento dell’apposizione del vincolo espropriativo. Per chiudere sul punto, sarebbe del tutto illogica la configurazione di un possibilità edificatoria delle aree qui in discussione facendola derivare indirettamente dalla prevista realizzazione dell’opera pubblica, laddove la edificabilità introdotta con la previsione non può non valere che per le aree destinate ad essere utilizzate in via strumentale e funzionale alla esecuzione dell’infrastruttura de qua, senza che tale “capacità di minore o maggiore capacità edificatoria” possa estendersi a terreni che mai hanno posseduto la destinazione a soddisfare lo jus aedificandi e che d’altronde rimangono “estranei” agli scopi pubblicistici perseguiti a mezzo della procedura espropriativa.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale **** del 2009, proposto da:

Interporto Marche s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv. Paolo Stella Richter, Antonio Mastri, con domicilio eletto presso il primo, in Roma, viale Mazzini,11;

 

contro

Aventi Maria Chiara, Honorati Cecilia, Honorati Lorenzo, quali eredi di Honorati Francesco, rapp.ti e difesi, le prime due dagli avv.ti Erulo Eroli e Luciano Filippo Bracci, con domicilio presso il secondo in Roma,via del Teatro Valle , 6 e il terzo dall’avv. Settimio Honorati con elezione di domicilio presso l’avv. Elio Vitale, in Roma, viale Mazzini, 6 

nei confronti di

Comune di Jesi;



sul ricorso numero di registro generale ***** del 2009, proposto da: 

contro

 

Aventi Maria Chiara, Honorati Cecilia, Calciati Sandra ved. Honorati, Honorati Maria Cristina, rapp.ti e difesi dagli avv.ti Erulo Eroli e Luciano Filippo Bracci con domicilio presso lo studio del secondo in Roma, largo del Teatro Valle, 6

Lorenzo Honorati, rappresentato e difeso dall’avv. Settimio Honorati, con domicilio presso lo studio dell’avv. Elio Vitale, In Roma, viale Mazzini, 6

 

nei confronti di

Interporto Marche s.p.a.; 



 

sul ricorso numero di registro generale *****9 del 2012, proposto da:

Interporto Marche s.p.a., rappresentata e difesa dall'avv. Paolo Stella Richter, con domicilio eletto presso Paolo Stella Richter in Roma, viale Mazzini,11;

 

contro

 

Lorenzo Honorati, rappresentato e difeso dall’avv. Settimio Honorati, con domicilio eletto presso l’avv. Elio Vitale in Roma, viale Mazzini, 6;

Maria Chiara Aventi vedova Francesco Honorati, Cecilia Honorati, Sandra Calciati ved. Enrico Honorati, Maria Cristina Honorati, Giuseppe Pandolfi De Rinaldis, Giovanni Pandolfi De Rinaldis, Riccardo Pandolfi De Rinaldis, Elena Pandolfi De Rinaldis, questi ultimi quali eredi di Emilia Pandolfi De Rinaldis, rappresentati e difesi dall'avv. Erulo Eroli, con domicilio eletto presso l’avv. Luciano Filippo Bracci in Roma, largo del Teatro Valle, 6;

Comune di Jesi, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Mastri, con domicilio eletto presso Paolo Stella Richter in Roma, viale Mazzini, 11;

Dirigente del Servizio Urbanistica del Comune di Jesi,

 

 



 

sul ricorso numero di registro generale ***** del 2012, proposto da:

Comune di Jesi, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Mastri, con domicilio eletto presso l’avv. Paolo Stella Richter in Roma, viale Mazzini, 11;

 

contro

 

Maria Chiara Aventi, Cecilia Honorati, Maria Cristina Honorati, Sandra Calciati, ved. Enrico Honorati, Giuseppe Pandolfi De Rinaldis, Emilia Pandolfi De Rinaldis, Giovanni Pandolfi De Rinaldis, Riccardo Pandolfi De Rinaldis, Elena Pandolfi De Rinaldis, rappresentati e difesi dall'avv. Erulo Eroli, con domicilio eletto presso l’avv. Luciano Filippo Bracci in Roma, largo del Teatro Valle, 6;

Lorenzo Honorati, rappresentato e difeso dagli avv. Settimio Honorati, con domicilio eletto presso l’avv. Elio Vitale in Roma, viale Mazzini, 6;

 

nei confronti di

 

Interporto Marche s.p.a., rappresentata e difesa dall'avv. Paolo Stella Richter, con domicilio eletto presso il medesimo, in Roma, viale Mazzini, 11;

 

 



 

sul ricorso numero di registro generale ***** del 2012, proposto da:

Lorenzo Honorati, rappresentato e difeso dall'avv. Settimio Honorati, con domicilio eletto presso l’avv. Elio Vitale in Roma, viale Mazzini, 6;

 

contro

 

Comune di Jesi, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Mastri, con domicilio eletto presso l’avv. Paolo Stella Richter in Roma, viale Mazzini, 11;

Comune di Jesi -Dirigente del Servizio Urbanistica;

 

nei confronti di

 

Interporto Marche Spa, rappresentata e difesa dall'avv. Paolo Stella Richter, con domicilio eletto presso il medesimo, in Roma, viale Mazzini, 11;

Sandra Calciati, Maria Chiara Aventi, Maria Cristina Honorati, Cecilia Honorati, Elena Pandolfi De Rinaldis, Emilia Pandolfi De Rinaldis, Giovanni Pandolfi De Rinaldis, Giuseppe Pandolfi De Rinaldis, Riccardo Pandolfi De Rinaldis;

 

 



 

sul ricorso numero di registro generale ****0 del 2012, proposto da:

Maria Chiara Aventi, ved. Francesco Honorati, Cecilia Honorati, Maria Cristina Honorati, Sandra Calciati, ved. Enrico Honorati, Giuseppe Pandolfi De Rinaldis, Emilia Pandolfi De Rinaldis, Riccardo Pandolfi De Rinaldis, Elena Pandolfi De Rinaldis, rappresentati e difesi dagli avv.ti Erulo Eroli e Luciano Filippo Bracci, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, largo del Teatro Valle, 6;

 

contro

Comune di Jesi, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Mastri, con domicilio eletto presso l’avv. Paolo Stella Richter in Roma, viale Mazzini, 11; 

nei confronti di

 

Soc. Interporto Marche s.p.a., rappresentata e difesa dall'avv. Paolo Stella Richter, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, viale Mazzini, 11;

 

 

per la riforma

quanto ai ricorsi n. **** ( proposto da Interporto Marche ) e **** (proposto da Comune di Jesi), della sentenza del T.a.r. Marche n. 00132/2009, resa tra le parti, concernente espropriazione aree per realizzazione centro intermodale - risarcimento danni;

quanto ai ricorsi nn. 6089/2012 (proposto da Interporto Marche), 6585/2012 (proposto dal Comune di Jesi ), 7261/2012 (proposto da Lorenzo Honorati) e 7310/2012 (proposto da Aventi Maraia Chiara ed altri), della sentenza del T.a.r. Marche n. 00440/2012, resa tra le parti, concernente acquisizione di aree di proprietà - risarcimento dann.i.

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio, relativamente agli appelli interessati, di Maria Chiara Aventi, Cecilia Honorati, Sandra Calciati vedova Honorati, Lorenzo Honorati, Giuseppe Pandolfi De Rinaldis, Emilia Pandolfi De Rinaldis, Riccardo Pandolfi De Rinaldis, Elena De Rinaldis, nonché di Interporto Marche s.p.a. e del Comune di Jesi;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 febbraio 2013 il Cons. Andrea Migliozzi e uditi per le parti i legali come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

Nell’ambito di un progetto di realizzazione di un Centro merci intermodale nel Comune di Jesi, venivano posti in essere gli atti delle procedura relativa alla espropriazione, occupazione ed acquisizione delle aree necessarie alla realizzazione delle opere stesse.

I proprietari delle aree interessate e destinatari degli atti ablatori, specificatamente indicati in epigrafe, con tre autonomi ricorsi proposti innanzi al Tar delle Marche, chiedevano l’annullamento dei provvedimenti comunali che disponevano l’esproprio dei loro suoli in favore della s.p.a. Interporto Marche (già CE.MI.M.), soggetto deputato a gestire le opere de quibus, denunciandone la illegittimità sotto vari profili, con contestuale richiesta di risarcimento dei danni subiti.

L’adito Tribunale Amministrativo, con sentenza n. 132/2009, riuniti i proposti gravami, così statuiva:

a) dichiarava i ricorsi nn.578 e 579 del 2006 improcedibili per sopravvenuto difetto di interesse;

b) accoglieva il ricorso n.209/2006, con annullamento della deliberazione del Consiglio comunale di Jesi del 29 dicembre 2005;

c) respingeva la domanda del Comune di Jesi, proposta ai sensi dell’art. 43, 3° comma del T.U. n.327/01;

d) dichiarava ammissibile la richiesta di risarcimento formulata in tutti e tre i ricorsi e, ai fini della quantificazione del relativo ristoro, interlocutoriamente pronunziando in parte qua, disponeva incombenti istruttori volti ad accertare le caratteristiche delle aree in questione e i criteri di determinazione del relativo valore, con la nomina di un collegio peritale, in qualità di CTU.

La Società Interporto Marche, con appello n.5705/09, ha impugnato tale sentenza, deducendo la erroneità del decisum, atteso il corretto operato della P.A., che, con la delibera consiliare n.250/2005, ha legittimamente disposto l’acquisizione delle aree, ai sensi dell’art. 43 del Testo Unico sulle espropriazioni, dovendosi, invero, ritenere pienamente applicabile alla fattispecie l’istituto dell’acquisizione sanante di cui al citato art. 43 DPR n.327/01.

Anche il Comune di Jesi ha impugnato con l’appello rubricato al n.5994/2009 la suindicata sentenza n.132/2009, deducendo censure in termini sostanzialmente identici a quelle già formulate dalla Società Interporto Marche con il gravame suindicato; e al riguardo si può pacificamente rinviare, quanto ai motivi di gravame, alle doglianze riportate in proposito dal precedente appello.

Si sono costituiti, in entrambi i citati appelli, i controinteressati proprietari delle aree oggetto della procedura ablatoria per cui è causa, che hanno eccepito la inammissibilità, improcedibilità e comunque la infondatezza nel merito dei proposti gravami, insistendo nella richiesta di condanna degli appellanti all’integrale risarcimento dei danni.

Intanto il Tar Marche, decidendo in via definitiva sui ricorsi nn.209/2006, 578/2006 e 579/2006, relativamente ai profili risarcitori per i quali aveva disposto incombenti istruttori, con sentenza n.440/2012, accoglieva, nei termini e limiti indicati nella parte narrativa del decisum, l’istanza risarcitoria di cui ai ricorsi stessi, con condanna delle Amministrazioni convenute al risarcimento del danno, da quantificarsi nei termini e modi indicati in motivazione.

Nella sentenza si riconosceva, in sostanza, la natura edificabile delle aree delle quali i ricorrenti avevano subito la perdita coattiva della proprietà, oltre alla illegittima occupazione; e tali caratteristiche, unitamente all’applicazione del criterio del valore del bene in sede di libera contrattazione, dovevano essere i parametri in base ai quali andava quantificato il danno risarcibile da liquidarsi in favore degli aventi diritto.

La Interporto Marche s.p.a. ha impugnato, con l’appello rubricato al n. 6089/2012 la predetta sentenza, rilevando la erroneità delle osservazioni e statuizioni in essa recate, in particolare, la inesattezza e infondatezza dei criteri che il primo giudice ha ritenuto debbano utilizzarsi per la liquidazione dell’importo dovuto a titolo risarcitorio ai privati in ragione dell’ablazione dei suoli di loro proprietà.

In particolare, secondo l’appellante Società, la determinazione del quantum risarcibile è da collegarsi alla natura agricola dei suoli e non già alla vocazione edificabile degli stessi affermata dal Tar, senza che possa applicarsi il criterio del valore della libera contrattazione e risultando, altresì, errato, da parte del giudice, il criterio della liquidazione in via equitativa, senza tener conto delle apposite risultanze recate dagli esperiti accertamenti tecnici (CTU).

Anche il Comune di Jesi, con l’appello n.6885/2012, è insorto avverso la citata sentenza n.440/2012, producendo nei confronti del suindicato decisum critiche sostanzialmente identiche a quelle già evidenziate dalla Società Interporto s.p.a con il gravame appena passato in rassegna.

L’Amministrazione comunale lamenta parimenti la erroneità delle statuizioni rese dal primo giudice in ordine ai criteri da utilizzarsi per la determinazione del danno risarcibile subito dai privati proprietari delle aree oggetto della procedura espropriativa.

Inoltre l’appellante Comune di Jesi ha denunciato vizi di tipo procedurale inerenti all’espletata consulenza tecnica, rilevando la nullità della stessa per mancata comunicazione dell’inizio delle operazioni peritali alle parti interessate.

Relativamente ai predetti due appelli si sono costituiti i sigg.ri Honorati, Aventi, e Pandolfi De Rinaldis, meglio specificati in epigrafe, nonché il sig. Lorenzo Honorati, che hanno contestato la fondatezza dei proposti gravami, insistendo nella richiesta integrale di risarcimento danni.

Quindi, il dott. Lorenzo Honorati, con appello n. 7261/2012 ha impugnato la sentenza n.440/2012, che ha accolto l’istanza risarcitoria nei limiti, deducendo, con articolate censure, la erroneità di alcuni capi della decisione del primo giudice.

L’interessato ha criticato la statuizione del Tar in ordine alla generica vocazione edificabile e/o produttiva e comunque commerciale dei terreni, eccepito, altresì, la nullità e comunque la erroneità delle risultanze peritali in ordine al valore dei suoli e, in ogni caso, alla valutazione equitativa effettuata dal primo giudice, che avrebbe pure omesso di prendere in considerazione e liquidare alcune voci di danno.

L’appellante chiede, perciò, in riforma, in parte qua, della sentenza impugnata, che questo Consiglio di Stato proceda a riliquidare il risarcimento del danno con altri criteri e riconoscendo ulteriori voci di ristoro puntualmente indicate in ricorso.

Per resistere al predetto appello si sono costituiti in giudizio sia il Comune di Jesi che Interporto Marche s.p.a , che hanno contestato la fondatezza dei motivi di gravame, chiedendone la reiezione.

Infine, in senso cronologico, anche la sig.ra Aventi Maria Chiara ha proposto autonomo appello (il n.7310/2012) avverso la sentenza n.440/2012, censurando alcuni capi della decisione, tra cui, in primis, la qualificazione delle aree ai fini della determinazione del quantum risarcitorio, nonché la mancata previsione dei alcune voci di danno relativamente alla liquidazione del ristoro stesso.

Anche qui le controparti, ossia il Comune di Jesi e la Società Interporto Marche, si sono costituite in giudizio, eccependo la infondatezza del gravame di cui hanno chiesto la reiezione.

Le parti in causa ad ulteriore svolgimento delle loro tesi hanno prodotto apposite memorie difensive.

All’udienza pubblica del 26 febbraio 2013 i ricorsi in appello indicati in epigrafe sono stati introitati per la definitiva decisione.

DIRITTO

Va preliminarmente disposta la riunione dei sei appelli rubricati in epigrafe, per le evidenti ragioni di intima connessione, sia soggettiva, che oggettiva, intercorrenti fra gli stessi.

Ai fini di una più agevole comprensione della vicenda, nonché di una omogenea definizione della controversia complessivamente portata all’esame di questa Sezione, gli appelli in rassegna vanno distinti in tre gruppi, in ragione del petitum avanzato con gli stessi e della successione logica e cronologica dei fatti su cui si articolano, così individuabili:

a) un primo gruppo, costituito dagli appelli nn. 5705/09 e 5994/09, proposti da Interporto Marche e Comune di Jesi avverso al sentenza n.132/09;

b) un secondo gruppo, rappresentato dagli appelli 6885/2012 e 6989/2012 proposti avverso la sentenza n. 440/12 da Interporto Marche e Comune di Jesi;

c) un terzo gruppo, costituito dagli appelli nn.7261 e 7310/2012 proposti rispettivamente da Honorati Lorenzo e Aventi Maria Chiara nei confronti della suindicata sentenza n.440/2012.

I gravami di cui al punto a), oltrechè oggettivamente connessi, si basano su profili di doglianza sostanzialmente identici e vanno perciò unitariamente esaminati.

Appare utile, ai fini di un esaustivo inquadramento della controversa e complessa vicenda, procedere ad una più specifica precisazione dei fatti di causa.

Gli atti amministrativi che vengono in rilievo attengono alla localizzazione e realizzazione del Centro Intermodale delle Marche, opera che vede quale soggetto esecutore la Società Interporto Marche e quale soggetto procedente il Comune di Iesi e per la quale è stata attivata una procedura ablatoria diretta all’acquisizione delle aree di proprietà degli attuali appellati.

Gli interessati, che già avevano impugnato, con esito favorevole (Sentenza Consiglio di Stato Sez. IV n.2930/2004) le deliberazioni comunali recanti l’approvazione del progetto generale e del progetto esecutivo del 1° lotto funzionale del Centro Intermodale, nonché la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, con tre ricorsi di prime cure hanno gravato, rispettivamente, la delibera consiliare n.250/2005, di acquisizione delle aree di proprietà dei ricorrenti disposta ex art. 43 del Testo unico sulle espropriazioni, l’ordinanza dirigenziale n.17/06 di esproprio definitivo in favore di Interporto Marche delle aree per il completamento del 1° lotto funzionale e l’ordinanza dirigenziale n.16/06 di esproprio definitivo dei suoli per la realizzazione della nuova chiesa all’interno dell’area del Centro Intermodale .

Va pure fatto rilevare che i ricorsi contenevano, oltre alla domanda di restituzione dei suoli, la richiesta di risarcimento dei danno patiti e patiendi dalla data di illegittima occupazione.

Il Tar, con l’impugnata sentenza, ha statuito la illegittimità degli atti di esproprio, in quanto provvedimenti comunque rientranti nell’alveo del procedimento riguardante la progettazione generale dell’opera de qua, come tali travolti dall’effetto caducante della sentenza di questa Sezione n.2930/2004.

Quanto all’acquisizione sanante, disposta con la delibera consiliare n.250/2005, il primo giudice ha rilevato come la stessa non può considerarsi validamente assunta, stante la non applicabilità del disposto di cui all’art .43 del testo unico sulle espropriazioni ai progetti, come quello all’esame, approvati prima dell’entrata in vigore del DPR n.327/01.

Infine, ha affermato la sussistenza del diritto dei soggetti destinatari degli atti espropriativi al risarcimento del danno, rimettendo ad apposita CTU gli incombenti istruttori volti a qualificare i suoli oggetto di ablazione, nonché la determinazione del valore di tali aree ai fini della quantificazione del danno risarcibile.

Gli appellanti deducono la erroneità delle statuizioni rese dal Tar, facendo, in sostanza, valere la tesi secondo cui la P.A. ha legittimamente esercitato il potere acquisitivo previsto dall’art. 43, 2° comma del DPR n.327/01, con ciò sanando l’illegittimità della procedura espropriativa, di guisa che la dichiarazione di pubblica utilità che regge le ordinanze nn.16 e 17/06 avrebbe una fonte autonoma rispetto agli atti oggetto della sentenza del Consiglio di Stato n.2930/04, con salvezza dell’intera procedura.

Ciò debitamente precisato, gli appelli nn.5705/09 e 5994/09 vanno respinti.

Invero, come peraltro ammesso dagli stessi appellanti (pag. 4 della memoria difensiva dell’8 febbraio 2013), le statuizioni qui gravate vanno “lette” alla luce del mutato regime giuridico intervenuto a seguito della pronuncia di incostituzionalità della norma di cui all’art. 43 del DPR n.327/01 ad opera della Corte costituzionale con la sentenza n.293 del 4 ottobre 2010, che non consente la reviviscenza dell’acquisizione sanante operata dal Comune di Jesi ai sensi e per gli effetti del citato art. 43.

Del pari, lo scenario sotteso ai procedimenti espropriativi illegittimamente posti in essere va ridisegnato sulla scorta degli arresti giurisprudenziali sopraggiunti in materia (fra le tante Cons. Stato Sez. V 2/11/2011 n. 5844; Cons. Stato Sez. IV 2 dicembre 2011 n.6375), laddove è stato consacrato il principio per cui è ormai indifferente e/o irrilevante parlare di occupazione acquisitiva o di occupazione usurpativa, venendo in rilievo un atto e/o comportamento illecito ascrivibile alla pubblica amministrazione e consistente nell’occupazione sine titulo di un suolo privato seguita (come nel caso de quo) dalla sua irreversibile trasformazione per effetto della realizzazione su di esso di un’opera pubblica.

A seguito di ciò viene in rilievo una situazione in cui si inverano i presupposti della responsabilità della P.A., secondo lo schema aquiliano ex art.2043, produttiva, come tale, di danno risarcibile: di qui il corretto riconoscimento da parte del primo giudice dell’ammissibilità e fondatezza della domanda risarcitoria formalmente avanzata dagli attuali appellati già in prime cure con tutti e tre i ricorsi presentati.

Né, ad invalidare l’ammissibilità della domanda risarcitoria, può valere la circostanza, pure opposta nei proposti gravami, in base alla quale gli appellati, nel corso del giudizio hanno rinunciato alla domanda di restituzione delle aree formulata in via principaliter, mutando così il petitum iniziale.

Invero, la rinuncia alla restituzione dei beni non inficia la concorrente domanda risarcitoria, versandosi nella specie unicamente in un caso di emendatio libelli e non di inammissibile mutatio, ove si consideri che la doppia azione risarcitoria e restitutoria costituisce espressione della tutela approntata dall’ordinamento in favore dell’amministrato, in base alla quale la tutela in forma specifica e quella per equivalente appaiono come mezzi concorrenti per conseguire la riparazione del pregiudizio subito (cfr Cons. Stato Sez. IV 1° giugno 2011 n. 3331).

Conclusivamente, gli appelli suindicati, sono infondati e vanno, perciò respinti.

Una volta affermata in radice l’ammissibilità della domanda risarcitoria, diventa cruciale indagare in ordine al quantum del risarcimento da riconoscere agli aventi diritto e cioèa i soggetti ablati; ed è questa la quaestio iuris agitata con gli appelli nn.6089/2012 e 6885 proposti rispettivamente da Interporto Marche e Comune di Jesi avverso le statuizioni recate dalla sentenza del Tar Marche n.440/2012.

Anche questi due appelli vanno congiuntamente trattati, in quanto, pure in tal caso, oltre ad essere oggettivamene connessi, essi recano profili di doglianza sostanzialmente identici, a parte la deduzione ad opera del Comune di Jesi di alcuni vizi di tipo procedurale nei confronti dell’espletata CTU.

I gravami all’esame vanno accolti sia pure nei sensi e limiti che in appresso si va precisare, rimanendo fermi i restanti punti della sentenza.

Dunque il Tar, con l’impugnata sentenza, dopo aver preso atto delle risultanze della disposta CTU (che è stata rinnovata dopo una precedente consulenza tecnica d’ufficio) procede alla quantificazione esatta del risarcimento dovuto, da commisurarsi al valore di mercato delle aree.

Più specificatamente, ai fini della determinazione del quantum risarcibile, il primo giudice ha stabilito riassuntivamente quanto segue:

a) che occorre considerare la natura edificabile delle aree, conseguente alle previsioni urbanistiche introdotte per la realizzazione dell’Interporto;

b) che va aggiunto il maggior valore dato dalla libera contrattazione e comunque, trattandosi di una generica vocazione edificabile, occorre fare applicazione dei poteri di quantificazione equitativa di cui agli artt.2056 e 1226 codice civile, con l’individuazione del valore unitario di euro 33,00/mq, ad eccezione dell’area a servizio del canale (esclusa dal regime edificabile);

c) che le somme dovute per i criteri di quantificazione suindicati, quanto alla decorrenza, vanno rapportate dalla data di illecita occupazione, con l’aggiunta degli interessi legali e la rivalutazione.

Inoltre il Tar ha riconosciuto ai proprietari delle aree sottratte ulteriori danni collegati alla sussistenza di altre specifiche ragioni di pregiudizio, individuate nella maggior difficoltà nelle quanto alle lavorazioni agricole, negli oneri di costruzione di un nuovo pozzo e relativa condotta, nelle limitazioni di accesso alla villa degli Honorati, con la quantificazione dei relativi corrispettivi cui vanno ad aggiungersi gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, affermando altresì la responsabilità solidale, relativamente all’obbligo risarcitorio, tra il Comune di Jesi, ente procedente e la Società Interporto Marche, soggetto attuatore e beneficiario della procedura espropriativa.

Prima di passare ad esaminare i mezzi d’impugnazione, va preliminarmente osservato come l’art. 35 comma 2 del dlgs 31 marzo 1998 n.80, poi sostanzialmente trasfuso nell’art. 34 comma 4 c.p.a. consente al giudice amministrativo di procedere alla individuazione dei criteri per la liquidazione del danno, essendo preclusa una condanna generica limitata all’an debeatur (Cons. Stato sez. IV 4 aprile 2011 n. 2102; idem 21 giugno 2010 n.3876).

Ciò detto, ai fini della quantificazione del danno derivante alle aree qui in rilievo per effetto della occupazione sine titulo seguita dall’irreversibile trasformazione dei suoli, il criterio fondamentale cui rapportare le determinazione del ristoro patrimoniale è quello di tener presente il valore venale del bene, come ovviamente desumibile dalla sua destinazione urbanistica (Cons. Stato Sez. IV 2 dicembre 2011 n. 6375).

Con gli appelli in questione la Società Interporto Marche e il Comune di Jesi criticano i criteri assunti dal Tar per la determinazione del danno risarcibile, rilevando, in particolare la erroneità del decisum per quanto attiene all’attribuita qualificazione di aree edificabili ai fondi di che trattasi, all’argomentazione della libera contrattazione e all’utilizzo del criterio equitativo del valore unitario dell’area pari a 33 euro/mq.

Con riferimento al primo aspetto, le relative censure colgono nel segno.

Non si può determinare il risarcimento dovuto secondo il criterio del valore edificabile (come erroneamente fatto dal Tar), posto che tale destinazione l’area de qua non aveva al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, né potendosi considerare una capacità di edificazione in ragione della prevista realizzazione dell’opera pubblica per cui è causa.

Il valore venale delle aree in questione non può essere collegato ad una destinazione, quella edificabile, che i suoli in questione non hanno mai avuto dal punto di vista urbanistico; e nella specie occorre tener conto del criterio strettamente legale: la natura edificabile, invero, di un’area non può essere supposta, ma derivare unicamente dalla classificazione inserita negli strumenti urbanistici al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio (Cass. Sez. civile, I sezione 4 giugno 2010 n. 13615; idem 3 giugno 2010 n. 13461 e 15 luglio 2009 n.16531).

La regola iuris testé illustrata si pone in perfetta consonanza con i principi che informano l’attività espropriativa della P.A., a fronte della quale il diritto al giusto indennizzo da parte del titolare dei diritti dominicali esistenti sul suolo ablato deve essere rapportato necessariamente al valore degli immobili come desunto dal loro stato e dalla condizione esistenti al tempo dell’espropriazione; e questa non può non tener conto della tipizzazione urbanistica al momento della presa in possesso del terreno (nella specie la destinazione agricola).

D’altra parte è fuori discussione che nel caso de quo, con l’approvazione della variante al PRG recante la previsione della realizzazione del centro intermodale, si è introdotto un chiaro vincolo preordinato all’esproprio, che è andato ad incidere, in funzione della puntuale localizzazione dell’opera pubblica prevista (cfr Cons. Stato sez. IV 28 dicembre 2012 n. 6700) sulla proprietà privata, svuotando quest’ultima di ogni possibilità edificatoria sia in punto di diritto che di fatto (in tal senso Cons. Stato Sez. IV 29 novembre 2012 n. 6094).

Né, ai fini della determinazione del valore venale dei beni de quibus, può farsi ricorso, come anche qui erroneamente sancito dal primo giudice, al valore che le aree avrebbero avuto “in una libera contrattazione”: il criterio utilizzato dal Tar è del tutto astratto, dal momento che nella specie si versa in una procedura espropriativa connotata da un situazione pacificamente antitetica a quella contrassegnata da una libera contrattazione.

In altri termini, il bene, quanto alla determinazione del suo valore, una volta sottoposta alla procedura ablatoria, non può essere valutato alla stregua dei criteri della libera contrattazione e della concorrenza commerciale, proprio perché non si configura un rapporto paritetico tra espropriato e amministrazione espropriante e comunque non si possono collegare all’immobile ablato scopi edificatori, produttivi e commerciali diversi da quelli ad esso ascrivibili in ragione della natura e classificazione del bene come ad esso conferite in base alle scelte urbanistiche vigenti al momento dell’apposizione del vincolo espropriativo.

Per chiudere sul punto, sarebbe del tutto illogica la configurazione di un possibilità edificatoria delle aree qui in discussione facendola derivare indirettamente dalla prevista realizzazione dell’opera pubblica, laddove la edificabilità introdotta con la previsione non può non valere che per le aree destinate ad essere utilizzate in via strumentale e funzionale alla esecuzione dell’infrastruttura de qua, senza che tale “capacità di minore o maggiore capacità edificatoria” possa estendersi a terreni che mai hanno posseduto la destinazione a soddisfare lo jus aedificandi e che d’altronde rimangono “estranei” agli scopi pubblicistici perseguiti a mezzo della procedura espropriativa.

Anche le ulteriori argomentazioni formulate dal Tar, in relazione alla indicazione dei criteri da utilizzarsi per il calcolo del danno da risarcire agli appellati, si rivelano erronee perché illogiche e contraddittorie.

Nella impugnata sentenza si parla di generica vocazione agricola dei terreni, che è un concetto del tutto labile, atteso che i terreni o hanno capacità edificatoria secondo i parametri stabiliti dal D.M. n.1444 del 1968 o non hanno alcuna capacità edificatoria

Che se poi il Tribunale territoriale abbia inteso, con la predetta locuzione, indicare la sussistenza di una sostanziale destinazione agricola, la quantificazione economica, come determinata in via equitativa, si rivela del tutto incongrua e in contrasto inequivocabile con altre precedenti e vincolanti statuizioni pure assunte dallo stesso giudice.

In primo luogo, il Tar attribuisce il valore unitario medio ai terreni di 33 euro al mq, che è un parametro che si avvicina di molto al valore venale edificabile e non a quello agricolo cui pure addivengono le risultanze della CTU.

Ma in ogni caso, il primo giudice perviene ad una determinazione economica del valore da risarcire sulla scorta dell’attribuzione di una valutazione equitativa, senza, però, spiegare come sia giunto a tale conclusione e senza dare conto del perché si è discostato dalle indicazioni recate dalla CTU a conclusione delle operazioni peritali, pure dallo stesso Tar disposte con la precedente sentenza n.132/90, obliterando che in quella sede si era ancorata espressamente la quantificazione del risarcimento alle risultanze degli accertamenti tecnici all’uopo disposti ed espletati.

Ne deriva che le risultanze della CTU, pure imposta specificatamente e con prefissione dei compiti per la definizione del valore venale dei beni per cui è causa, sono state immotivatamente e comunque incongruamente disattese dal giudice, le cui osservazioni e prese conclusioni devono perciò ritenersi errate e come tali vanno censurate.

Ne deriva che il risarcimento dovuto agli appellati in ragione della illegittima occupazione acquisitiva seguita dall’irreversibile trasformazione dei fondi va calcolato secondo il criterio del valore venale agricolo dei suoli, con i valori resi in ordine alla classificazione agricola esistente dalla espletata (seconda ) CTU, che anche in ordine a tale destinazione ha elaborato i relativi dati.

Alle somme derivanti dalla quantificazione calcolata in applicazione dei criteri testé esposti vanno aggiunti gli importi aggiuntivi costituiti dagli interessi legali e, se dovuta, dalla rivalutazione monetaria.

Resta fermo, peraltro, che, sempre ai fini della commisurazione del danno, si dovrà distinguere e tener presente, da una parte, il danno da perdita di proprietà, corrispondente al valore venale del suolo al momento della cessione allo stesso Comune di Jesi e il danno da mancato uso, da calcolarsi in misura del 5% del valore, come sopra perimetrato, giusta il meccanismo “forfettario” introdotto dall’art. 42 bis nel DPR n.327/01 all’indomani della intervenuta declaratoria di incostituzionalità del citato art. 43.

La Società Interporto Marche e l’Amministrazione comunale criticano anche la decisione del Tar Marche, nella parte in cui ha riconosciuto alle proprietà Honorati e Pandolfi ulteriori danni da risarcire, costituiti, per entrambi i predetti appellati, dalle maggiori difficoltà nelle lavorazioni agricole, nella costruzione di nuovo pozzo e relative condotte e, inoltre, per il solo Honorati, dalla realizzazione di altra condotta di irrigazione interrata e dalle limitazioni all’accesso alla villa.

Le doglianze per il vero non colgono nel segno.

Invero, il primo giudice è pervenuto alla determinazione di far rientrare nel computo dei danni da risarcire i deprezzamenti subiti dalle residue aree di proprietà sulla scorta delle indicazioni e dei dati all’uopo forniti dalla seconda CTU; e questo riconoscimento, come tecnicamente rilevato, non può negarsi, ove si consideri che il Tar nella sentenza “interlocutoria” n.132/09 aveva espressamente rimesso alla espletanda CTU di stimare la eventuale diminuzione di valore delle aree di proprietà residua in conseguenza dell’esecuzione dell’opera in parola. E tale capo del decisum non risulta sia stato oggetto di contestazione giudiziale. D’altro canto le parti appellanti neppure forniscono elementi di prova tali da sconfessare le risultanze evidenziate dalla consulenza tecnica d’ufficio.

Rimane da esaminare la eccezione di nullità delle operazioni peritali sollevata dall’appellante Comune di Jesi, posto che non sarebbero stati posti in essere tutti gli adempimenti formali volti ad assicurare il contraddittorio tra le parti, nonché il coordinamento tra i soggetti intervenuti all’accertamento tecnico.

I dedotti vizi non sussistono, dovendosi al riguardo convenire con le osservazioni del primo giudice sul fatto che alcuna sostanziale violazione delle regole del contraddittorio si è nella specie verificata.

Invero, le parti hanno avuto modo di esaminare compiutamente la perizia depositata, di formulare le loro osservazioni, risultando sostanzialmente rispettati sia il contraddittorio tecnico, che il diritto di difesa.

Conclusivamente gli appelli n.6089/2012 (Interporto Marche ) e 6885/2012 (Comune di Jesi) vanno accolti sia pure nei soli sensi e per i relativi effetti sopra esposti.

Per comodità di trattazione si passa ad esaminare l’appello contrassegnato dal n. 7310/2012 proposto avverso la sentenza n.440/2012 da Aventi Maria Chiara ed altri parimenti coinvolti nella procedura espropriativa de qua.

La proposta impugnativa si snoda su varie direttrici di doglianze, così riassumibili:

1) la sentenza è censurabile per le considerazioni e conclusioni assunte in ordine alla natura edificabile delle aree e di conseguenza del loro valore;

2) essa è altresì impugnabile per la mancata considerazione, nella determinazione del danno da risarcire, della maggior misura del 10% a titolo di danno morale, comunque derivante dalla perdita delle aree per occupazione acquisitiva;

3) il decisum è erroneo in ordine al risarcimento dei danni per i vari deprezzamenti che hanno subito le rimanenti proprietà Honorati- Pandolfi a seguito delle operate occupazioni, deprezzamenti che solo in parte sono stati riconosciuti dal Tar con l’impugnata sentenza n.440/2012.

In relazione alla questione sub 1), parte appellante sostiene in pratica che ai terreni in questione, in quanto preordinati alla realizzazione dell’interporto, va riconosciuta la destinazione produttiva similmente ad altre aree industriali limitrofe; e valgono conseguentemente quanto i vicini terreni industriali posti nella zona urbanizzata “ZIPA”, di guisa che ad essi spetta una valutazione sicuramente maggiore ai fini della determinazione del danno da risarcire.

Per la infondatezza dell’assunto difensivo propugnato dalla parte appellante valgano le osservazioni e conclusioni formulate in sede di definizione dei due precedenti appelli: il valore venale delle aree oggetto di occupazione seguita da irreversibile trasformazione dello stato dei luoghi deve essere rapportato alla destinazione urbanistica esistente al momento dell’apposizione del vincolo espropriativo, che, nel caso dei terreni qui in rilievo, era quella agricola, non potendo attribuirsi una diversa qualità alle aree che esse non hanno mai avuto e che non possono assumere in ragione solo del fatto che l’Amministrazione ha inteso prevedere un’opera pubblica avente una tipologia urbanistica di carattere produttivo (vedi sentenza di questa Sezione n.6375/2011 già citata).

Parte appellante invoca poi (questione sub 2) il maggior danno morale da quantificarsi nel 10% del valore delle aree; ma una siffatta voce di danno non è configurabile nella fattispecie, se è vero che nella decisione n.132/09 il Tar, in sede di quantificazione del danno, si è attenuto a criteri che riguardano unicamente il ristoro del pregiudizio patrimoniale, fissando i parametri di valutazione cui la CTU, ai fini del calcolo del risarcimento, si è dovuta attenere; e tra questi non v’è certo quello non patrimoniale.

Ed è appena il caso di rilevare che il capo della sentenza relativo alla determinazione del quantum, come prefissata dal primo giudice, non è stato oggetto di specifica impugnazione, potendosi sul punto parlare di intervenuto passaggio in giudicato della relativa statuizione.

Quanto poi ai lamentati danni subiti in ragione dei deprezzamenti ricevuti dalle aree non direttamente occupate, si rinvia alle osservazioni fatte con riferimento a tali aspetti di danno in sede di disamina degli appelli nn. 6089/2012 e 6885/2012, lì dove possono trovare conferma le statuizioni rese del primo giudice con il riconoscimento, però, delle voci di danno (e solo di quelle ) sulle quali si è espresso la CTU su specifica richiesta istruttoria dello stesso giudice.

In forza delle suestese considerazioni l’appello, sia pure con le precisazioni testé apportate, va respinto, in quanto infondato.

Viene, quindi in rilievo, il sesto ed ultimo appello, quello proposto da Honorati Lorenzo, contrassegnato dal n.7261/2012.

Occorre preliminarmente osservare che l’appellante, per la gran parte della proposta impugnativa, si preoccupa di evidenziare la erroneità delle risultanze recate dalla perizia redatta in sede di CTU, rilevando la inidoneità dei dati, la incongruenza della stima e comunque la non idoneità della stessa consulenza tecnica d’ufficio ai fini di un corretto calcolo del danno da risarcire, non senza rilevare errori in procedendo fatti registrare in sede di espletamento del suindicato accertamento tecnico.

I rilievi mossi dall’Honorati non sussistono, vuoi perché attengono a valutazioni rese da un organo nell’esercizio di una discrezionalità tecnica, nel merito non sindacabili se non per ragioni di illogicità e/o abnormità, nella specie non rinvenibili, vuoi perché, anche a voler concedere margini di discrezionalità di tipo ordinario, le scelte e i dati resi dalla CTU non appaiono incongrui o frutto di errori.

Neppure sono ravvisabili, come già in precedenza messo in evidenza, errori di procedura, essendo state sostanzialmente soddisfatte le garanzie di partecipazione e contraddittorio.

In via prioritariamente logica va rilevato che le critiche (pur minuziosamente) mosse dall’interessato prendono l’abbrivio da un presupposto errato, quello di ritenere che il valore venale delle aree va calcolato tenendo conto della destinazione edificabile o artigianale o produttiva e comunque commerciale dei fondi, condizioni queste che, però (come in precedenza al riguardo fatto osservare), non sussistono in capo ai fondi in parola, i quali rivestono unicamente, lo si ripete ulteriormente, la qualità urbanistica loro impressa al momento della previsione recante l’apposizione del vincolo espropriativo e, cioè, quella di terreni agricoli; ed è con riferimento a tale categoria urbanistica e al conseguente criterio di valore che è doveva avvenire la stima utile per il calcolo del danno da risarcire.

Ciò premesso, parte appellante richiede che si proceda ad una diversa liquidazione del danno, comprendendo nel calcolo il ristoro del danno morale, il pregiudizio patrimoniale derivante dalla perdita della proprietà e dal mancato utilizzo degli immobili per via della illegittima occupazione acquisitiva, nonché i danni derivanti dal deprezzamento delle aree residue di proprietà non direttamente occupate.

Su ognuna delle suillustrate domande si può fare pacificamente rinvio alle osservazioni e prese conclusioni del Collegio, allorché si sono definiti gli appelli proposti da Interporto Marche e Comune di Jesi avverso la sentenza n.440/2012, dovendosi qui concludere nei sensi già esposti, con conseguente reiezione del presente appello, sia pure anche qui con le precisazioni e i distinguo a valere anche per la posizione dell’appellante Honorati Lorenzo.

La complessità delle questioni esaminate e gli esiti reciprocamente soccombenti per i soggetti coinvolti nella controversia all’esame consigliano di compensare integralmente tra le parti le spese e competenze del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sui ricorsi in appello in epigrafe indicati, li riunisce e così dispone:

a) rigetta gli appelli nn.5705/09 e 5994/09;

b) accoglie gli appelli nn.6089/2012 e 6885/2012 nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione;

c) rigetta gli appelli nn.7310/2012 e 7261/2012, con le precisazioni e i distinguo di cui in narrativa

Compensa tra le parti spese e competenze del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Paolo Numerico, Presidente

Andrea Migliozzi, Consigliere, Estensore

Fulvio Rocco, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere

Oberdan Forlenza, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il **/12/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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