Monday 24 February 2014 17:27:54

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

SCIA: trascorso il termine breve l’amministrazione può esercitare i poteri di autotutela se vi è un pericolo di danno per il patrimonio artistico, culturale, per l’ambiente, la sicurezza pubblica o la difesa nazionale, previo motivato accertamento della impossibilità di tutelare tali interessi mediante la conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

In relazione ai poteri spettanti all’amministrazione, come si evince dalla disciplina di cui all’art. 19 della l.241 del 1990 in caso di presentazione della SCIA, se il termine breve vale per la inibizione della prosecuzione dell’attività segnalata in caso di verifica negativa e salva la possibilità di regolarizzazione in ogni tempo, trascorso il termine breve l’amministrazione può comunque teoricamente esercitare i suoi poteri di autotutela, se vi è un pericolo di danno per il patrimonio artistico, culturale, per l’ambiente, la sicurezza pubblica o la difesa nazionale, previo motivato accertamento della impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante la conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente. Pertanto, invocando la violazione dell’interesse paesaggistico, rientrando esso in ampia accezione nell’interesse di tipo ambientale, come nella specie, l’amministrazione legittimamente adotterebbe una iniziativa di autotutela in senso lato (a prescindere dalle ricostruzioni teoriche sull’istituto di dia e poi scia, su cui si veda Ad.Plenaria 29 luglio 2011, n.15), salvo poi verificarne la correttezza secondo i canoni dell’affidamento qualificato, trattandosi nella specie di annullamento intervenuto a distanza di vari mesi dalla presentazione della segnalazione e dalla ultimazione dei lavori. In generale, infatti, è illegittimo l'operato dell'Amministrazione comunale che, in presenza di una denuncia d'inizio attività per la realizzazione di un intervento edilizio, adotta provvedimenti inibitori o sanzionatori dopo che sia decorso il termine previsto per il consolidamento del titolo, senza rispettare i limiti e le condizioni in base ai quali è possibile esercitare i poteri di autotutela ai sensi degli artt. 21 quinquies e 21 nonies, l. 7 agosto 1990 n. 241. In particolare, in materia di edilizia, il potere di autotutela deve essere esercitato dall'Amministrazione competente entro un termine ragionevole e supportato dall'esternazione di un interesse pubblico, attuale e concreto, alla rimozione del titolo edilizio tanto più quando il privato, in ragione del tempo trascorso, ha riposto, con la realizzazione del progetto, un ragionevole affidamento sulla regolarità dell'autorizzazione edilizia. Il termine per l'esercizio del potere inibitorio doveroso, nel caso di d.i.a., è perentorio; comunque, anche dopo il decorso di tale spazio temporale, la p.a. conserva un potere residuale di autotutela. Tale potere, con cui l'amministrazione è chiamata a porre rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio, condivide i principi regolatori sanciti, in materia di autotutela, dalle norme vigenti, con particolare riguardo alla necessità dell'avvio di un apposito procedimento in contraddittorio, al rispetto del limite del termine ragionevole, e soprattutto, alla necessità di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione dell'affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio (Cons. St., Ad. Plen., 29 luglio 2011, n. 15). Prescindendo, per ora, dall’esaminare tale profilo di resistenza del provvedimento sotto tali profili, pur evidenziati dall’appello, perché intervenuto a distanza di nove mesi circa dalla presentazione della istanza (dal febbraio 2012 al novembre 2012), si può sostenere che certamente, quindi, la violazione dell’interesse paesaggistico giustificherebbe, in astratto, il potere di autotutela sulla SCIA, in quanto espressamente previsto dalla norma primaria. Occorre però verificare – come contesta l’appello - se realmente la natura delle opere segnalate e oggetto dell’intervento sia tale da richiedere l’autorizzazione paesaggistica e se quindi sia sussistita la evidenziata violazione, addotta dal Comune a giustificazione del suo provvedimento negativo. Per inciso, l’altro rilievo, relativo alla mancanza di apposita istanza delle opere di ripristino sollecitate dall’autorità giudiziaria ordinaria può ritenersi assorbito (e superato) dalla circostanza della presentazione della segnalazione, che, come noto, integra, quando completato, una fattispecie di titolo abilitativo edilizio, al pari del permesso di costruire, della denuncia di inizio di attività e altri. L'esame delle categorie di beni paesaggistici tutelati e gli scopi della tutela stessa dimostrano che tale salvaguardia è finalizzata alla migliore conservazione della loro percezione visiva come bellezze caratterizzanti il paesaggio nazionale. L'oggetto della tutela paesaggistica è costituito dalla conservazione delle bellezze naturali e più in particolare nell'evitare che queste vengano incise dalla mano umana: è chiaro perciò che qualsiasi lavoro edilizio che si svolga all'interno di costruzioni preesistenti nulla può avere a che fare con la tutela del paesaggio. L’art. 149 del codice del paesaggio prevede che non sia prevista autorizzazione tra l’altro (lettera a) per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici (a proposito delle tipologie di intervento deve farsi riferimento all’art. 3 del testo unico dell’edilizia). Nella specie, dalla relazione comunale emerge, al di là della affermazione finale che si tratterebbe di opere non meramente interne, che (come afferma il Comune): “gli interventi di riduzione in pristino aventi rilevanza esterna agli edifici erano riferiti alle sole canne fumarie e non anche alle botole estradossate, che non risulterebbero oggetto di demolizione”.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale*** del 2013, proposto da:

Cta S.r.l., rappresentato e difeso dall'avv. Marcello Fortunato, con domicilio eletto presso Guido Lenza in Roma, via XX Settembre, 98/E;

 

contro

Comune di Pontecagnano Faiano, rappresentato e difeso dagli avv. Gennaro Marino, Maria Napoliello, con domicilio eletto presso Giuseppe Torre in Roma, via Cassiodoro Nr.19; 

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. CAMPANIA - SEZ. STACCATA DI SALERNO: SEZIONE I n.01490/2013, resa tra le parti, concernente annullamento in sede di autotutela del provvedimento di assenso formatosi sulla scia per la realizzazione di un complesso artigianale

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Pontecagnano Faiano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2013 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Dario Gioia (su delega di Marcello Fortunato) e Ludovico Visone (su delega di Gennaro Marino e di Maria Napoliello);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione di Salerno l’attuale appellante CTA srl agiva per l’annullamento del provvedimento n.32406 del 7 novembre 2012 con cui il Responsabile del Settore 4° Governo del territorio SUE-SUAP del Comune di Pontecagnano Faiano aveva annullato in sede di autotutela il provvedimento di assenso formatosi sulla SCIA depositata dalla ricorrente in data 10 febbraio 2012, presentata per il completamento di un complesso artigianale.

Il giudice di primo grado rigettava gli addotti motivi, osservando che:

la SCIA prevedeva non solo lavori di completamento ma anche la realizzazione di una variante per la trasformazione di un vano bagno a deposito; l’amministrazione, nell’eseguire gli accertamenti di rito, aveva rilevato la mancanza di conformità delle opere a quelle assentite oltre l’assenza del provvedimento autorizzatorio paesaggistico ed era quindi pervenuta ad adottare il provvedimento impugnato; escludeva la tardività dell’impugnato provvedimento, in quanto in materia edilizia è consentita l’autotutela a tutela di interessi pubblici primari, come nella specie; il provvedimento di autotutela era stato adeguatamente motivato per mancanza della necessaria documentazione, per evidenti contrasti catastali, per mancanza del nulla osta sanitario; inoltre la SCIA non è ammessa in caso di presenza di vincolo paesaggistico e nella specie il complesso artigianale è sottoposto a vincolo paesaggistico, essendo distante a meno di 150 metri dal fiume Picentino; il decreto sindacale n.50 del 2004 del 30 settembre 2004 emesso a seguito del parere favorevole della Soprintendenza con nota 35389 del 26 novembre 2004 a sua volta annullato dal primo giudice risulta scaduto per decorrenza del termine quinquennale ex art. 146 comma 4 del codice del paesaggio e non è stata rinnovata l’autorizzazione paesaggistica.

Avverso tale sentenza, ritenuta errata e ingiusta, ha proposto appello la stessa società CTA srl, deducendo quanto segue.

In sintesi, l’appellante espone che: le opere sono meramente interne, di mero completamento e non incidono sull’aspetto esteriore del fabbricato; le opere non comportano aumento di volume né delle superfici utili e non modificano l’aspetto esteriore dell’edificio; non sussiste quindi alcun obbligo di acquisire la preventiva autorizzazione paesaggistica; il termine di trenta giorni di cui all’art. 19 comma 6 bis della legge n.241 del 1990 è ampiamente decorso, essendo il provvedimento intervenuto a distanza di oltre sette mesi.

L’appellante rileva e deduce la erroneità della sentenza appellata, che ha poggiato su motivi negativi (mancanza di documentazione, contrasto con dati catastali, nulla osta sanitario) rispetto ai quali, nel successivo contraddittorio procedimentale, la stessa amministrazione aveva poi ritenuto sufficienti i chiarimenti addotti dalla parte privata (punti 1,2 e 5 del primo provvedimento negativo).

Con riguardo alla esigenza dell’autorizzazione paesaggistica, deduce che non risulta necessaria, trattandosi di interventi che non alterano lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici.

Con diverse argomentazioni, contesta il capo di sentenza che ha ritenuto legittimo il provvedimento di autotutela ben oltre il termine perentorio, non sussistendo i presupposti di legge; deduce altresì l’assenza dei presupposti di cui all’art. 21 nonies della legge n.241 del 1990 per il potere di annullamento di ufficio.

Si è costituito il Comune di Pontecagnano, che deduce la correttezza del suo operato contestando l’affermazione che si tratti di mere opere interne, in quanto sono opere che riguardano la sistemazione ed il completamento esterno del fabbricato ed idonee ad incidere sui prospetti esterni dello stesso, essendo l’immobile solo allo stato grezzo al momento di un sequestro giudiziario penale che l’aveva interessato per la ipotesi di lottizzazione abusiva.

Con ordinanza emessa in sede cautelare la sezione ha ritenuto di sospendere la esecutività dell’appellata sentenza rinviando alla pubblica udienza per la decisione, ordinando al Comune di relazionare in merito alla effettiva natura delle opere effettuate, se meramente interne oppure anche esteriori con rilevanza paesaggistica.

Il Comune ha prodotto relazione in cui ha riferito che:

la SCIA riguardava ripresa di lavori di completamento al permesso di costruire n.17 del 2006; al momento del sequestro giudiziario l’immobile era allo stato grezzo e quindi mancava di intonaco esterno, tinteggiatura e altre opere di finitura esterne ai fabbricati; mancava di posa in opera di infissi esterni e ringhiere/corrimano sui parapetti dei balconi; mancava la sistemazione esterna dell’area di intervento nel suo complesso con sistemazione della intera viabilità di accesso al complesso produttivo;

nel verbale di sopralluogo del 30 maggio 2007 (Uffici comunali e Comando Carabinieri di Battipaglia) si era rilevata la presenza di alcune canne fumarie non previste in progetti approvati e la copertura con 15 botole estradossati di circa 1 mq ciascuna di superficie, come variazioni essenziali non autorizzate;

le istanze di riduzione in pristino trasmesse dalla istante in data 25 ottobre 2012 riguardavano solo le canne fumarie ma non anche le botole con bordi estradossati, che costituiscono difformità non autorizzate sotto il profilo paesaggistico;

in definitiva, secondo la relazione comunale datata 14 ottobre 2013, i denominati “interventi di completamento” non riguardano solo opere interne, ma anche certamente interventi esterni aventi rilevanza paesaggistica.

La parte appellante ha depositato relazione di parte, nella quale viene asseverato che: lo stato dei luoghi all’epoca del sequestro era quello attuale e da tale data non è stato possibile realizzare alcuna ulteriore opera; vi è piena conformità alla rilasciata autorizzazione paesaggistica.

L’appellante ha ribadito le sue tesi nella memoria per l’udienza pubblica del 17 dicembre 2013.

Alla udienza pubblica del 17 dicembre 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il Collegio osserva che, in primo luogo, va chiarito che, come osserva e deduce la parte appellante, la stessa amministrazione aveva successivamente accettato il superamento dei motivi negativi fondati sulla carenza documentale, sulla mancanza di riscontri catastali, sulla mancanza di nulla osta sanitario.

Sotto tale profilo, è evidente che, come deduce la parte appellante, la sentenza ha argomentato con riguardo a motivi negativi invero oramai superati dalla stessa amministrazione comunale, che pure si oppone, con altri motivi, all’intervento.

Gli unici motivi negativi da valutare sono quindi i due residui, evidenziati dall’amministrazione comunale nell’atto impugnato, consistenti nella mancanza della autorizzazione paesaggistica e nella mancanza di atto di inizio del procedimento relativamente a quelle opere di ripristino che erano state sollecitate dall’autorità giudiziaria.

In generale, sotto il primo profilo relativo alla esistenza della possibile lesione all’interesse paesaggistico, va considerata la disciplina generale sulla segnalazione di inizio attività e sulla possibilità di interventi successivi al termine perentorio per la inibizione dell’attività segnalata.

Il comma 3 e il comma 4 dell’art. 19 prevedono che l’amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attivita' e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove cio' sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attivita' ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni.

E' fatto comunque salvo il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies.

Il comma 4 prevede che decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3 ovvero di cui al comma 6-bis, all'amministrazione e' consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilita' di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attivita' dei privati alla normativa vigente.

In relazione ai poteri spettanti all’amministrazione, come si evince dalla disciplina di cui all’art. 19 della l.241 del 1990 in caso di presentazione della SCIA, se il termine breve vale per la inibizione della prosecuzione dell’attività segnalata in caso di verifica negativa e salva la possibilità di regolarizzazione in ogni tempo, trascorso il termine breve l’amministrazione può comunque teoricamente esercitare i suoi poteri di autotutela, se vi è un pericolo di danno per il patrimonio artistico, culturale, per l’ambiente, la sicurezza pubblica o la difesa nazionale, previo motivato accertamento della impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante la conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente.

Pertanto, invocando la violazione dell’interesse paesaggistico, rientrando esso in ampia accezione nell’interesse di tipo ambientale, come nella specie, l’amministrazione legittimamente adotterebbe una iniziativa di autotutela in senso lato (a prescindere dalle ricostruzioni teoriche sull’istituto di dia e poi scia, su cui si veda Ad.Plenaria 29 luglio 2011, n.15), salvo poi verificarne la correttezza secondo i canoni dell’affidamento qualificato, trattandosi nella specie di annullamento intervenuto a distanza di vari mesi dalla presentazione della segnalazione e dalla ultimazione dei lavori.

In generale, infatti, è illegittimo l'operato dell'Amministrazione comunale che, in presenza di una denuncia d'inizio attività per la realizzazione di un intervento edilizio, adotta provvedimenti inibitori o sanzionatori dopo che sia decorso il termine previsto per il consolidamento del titolo, senza rispettare i limiti e le condizioni in base ai quali è possibile esercitare i poteri di autotutela ai sensi degli artt. 21 quinquies e 21 nonies, l. 7 agosto 1990 n. 241.

In particolare, in materia di edilizia, il potere di autotutela deve essere esercitato dall'Amministrazione competente entro un termine ragionevole e supportato dall'esternazione di un interesse pubblico, attuale e concreto, alla rimozione del titolo edilizio tanto più quando il privato, in ragione del tempo trascorso, ha riposto, con la realizzazione del progetto, un ragionevole affidamento sulla regolarità dell'autorizzazione edilizia.

Il termine per l'esercizio del potere inibitorio doveroso, nel caso di d.i.a., è perentorio; comunque, anche dopo il decorso di tale spazio temporale, la p.a. conserva un potere residuale di autotutela. Tale potere, con cui l'amministrazione è chiamata a porre rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio, condivide i principi regolatori sanciti, in materia di autotutela, dalle norme vigenti, con particolare riguardo alla necessità dell'avvio di un apposito procedimento in contraddittorio, al rispetto del limite del termine ragionevole, e soprattutto, alla necessità di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione dell'affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio (Cons. St., Ad. Plen., 29 luglio 2011, n. 15).

Prescindendo, per ora, dall’esaminare tale profilo di resistenza del provvedimento sotto tali profili, pur evidenziati dall’appello, perché intervenuto a distanza di nove mesi circa dalla presentazione della istanza (dal febbraio 2012 al novembre 2012), si può sostenere che certamente, quindi, la violazione dell’interesse paesaggistico giustificherebbe, in astratto, il potere di autotutela sulla SCIA, in quanto espressamente previsto dalla norma primaria.

Occorre però verificare – come contesta l’appello - se realmente la natura delle opere segnalate e oggetto dell’intervento sia tale da richiedere l’autorizzazione paesaggistica e se quindi sia sussistita la evidenziata violazione, addotta dal Comune a giustificazione del suo provvedimento negativo.

Per inciso, l’altro rilievo, relativo alla mancanza di apposita istanza delle opere di ripristino sollecitate dall’autorità giudiziaria ordinaria può ritenersi assorbito (e superato) dalla circostanza della presentazione della segnalazione, che, come noto, integra, quando completato, una fattispecie di titolo abilitativo edilizio, al pari del permesso di costruire, della denuncia di inizio di attività e altri.

L'esame delle categorie di beni paesaggistici tutelati e gli scopi della tutela stessa dimostrano che tale salvaguardia è finalizzata alla migliore conservazione della loro percezione visiva come bellezze caratterizzanti il paesaggio nazionale.

L'oggetto della tutela paesaggistica è costituito dalla conservazione delle bellezze naturali e più in particolare nell'evitare che queste vengano incise dalla mano umana: è chiaro perciò che qualsiasi lavoro edilizio che si svolga all'interno di costruzioni preesistenti nulla può avere a che fare con la tutela del paesaggio.

L’art. 149 del codice del paesaggio prevede che non sia prevista autorizzazione tra l’altro (lettera a) per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici (a proposito delle tipologie di intervento deve farsi riferimento all’art. 3 del testo unico dell’edilizia).

Nella specie, dalla relazione comunale emerge, al di là della affermazione finale che si tratterebbe di opere non meramente interne, che (come afferma il Comune): “gli interventi di riduzione in pristino aventi rilevanza esterna agli edifici erano riferiti alle sole canne fumarie e non anche alle botole estradossate, che non risulterebbero oggetto di demolizione”.

Quindi, a quanto si comprende, la natura esteriore dell’intervento privo di autorizzazione paesaggistica attuale, secondo la relazione comunale, riguarderebbe non le canne fumarie, oggetto di volontà di demolizione al fine della riduzione in pristino e quindi eliminate, ma le preesistenti botole, esistenti già nell’anno 2007, al momento del sequestro giudiziario, che invece (e in quanto) non risulterebbero oggetto di interventi di demolizione, essendo l’intervento limitato alla variante per la trasformazione da vano bagno a deposito (come da sentenza di primo grado, riportata nella sostanza).

Con riguardo alla pretesa del Comune che l’intervento oggetto di segnalazione debba (nel senso che dovrebbe riguardare e invece non riguarda) riguardare anche precedenti interventi esterni (la demolizione delle botole esistenti fin dall’anno 2007) deve osservarsi che non può concludersi per la rilevanza esterna dell’intervento, se così argomentato.

Ad opinione del Collegio, non può parlarsi di un intervento esteriore, ai fini della necessità della previa autorizzazione paesaggistica, motivata con la vicinanza al fiume Picentino, zona soggetta a vincoli paesaggistici, argomentando per la ragione che l’intervento richiesto, limitato ad opere interne, tuttavia non comprende, come pretenderebbe l’amministrazione comunale, anche la demolizione di precedenti interventi esterni, costituiti dalle botole costruite in precedenti interventi, in disparte ogni altra considerazione.

In una parola, la esteriorità dell’intervento deve essere valutata con riguardo all’intervento oggetto della SCIA del febbraio 2012 e non con riguardo all’oggetto di intervento (su cui non si interviene) effettuato negli anni precedenti.

Se ai fini della realizzabilità di interventi edilizi in area sottoposta a vincolo paesaggistico, è necessaria, in linea generale, la contestuale acquisizione sia del titolo autorizzatorio edilizio, sia di quello paesaggistico (che assume tra l'altro carattere prioritario e preminente rispetto al titolo edilizio), tuttavia, ai sensi dell'art. 149, comma 1, lett. a), del d.lg. 22 gennaio 2004 n. 42, l'autorizzazione non è comunque richiesta "per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici".

Gli interventi consistenti esclusivamente in mere opere interne tra l’altro di scarso rilievo, sono lavori che sfuggono alla stessa percezione visiva rilevante per la tutela paesaggistica (così anche Cassazione penale sez. fer. 30 agosto 2012 n. 43885).

Da quanto sopra richiamato consegue che non doveva essere richiesta per le opere oggetto della controversia alcuna autorizzazione paesaggistica e quindi l’annullamento adottato rispetto alla segnalazione di inizio di attività deve ritenersi illegittimo e da annullare.

Per le considerazioni sopra svolte, assorbito ogni altro motivo od eccezione, l’appello va accolto e, conseguentemente, in riforma dell’appellata sentenza, va accolto il ricorso originario.

La condanna alle spese del doppio grado di giudizio segue il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in conseguenza dell’appellata sentenza, accoglie il ricorso originario ai sensi di cui in motivazione.

Condanna il Comune di Pontecagnano al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio liquidandole in complessivi euro quattromila.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Riccardo Virgilio, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere, Estensore

Fabio Taormina, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

Francesca Quadri, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il **/02/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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