Monday 11 May 2015 00:19:18

Giurisprudenza  Procedimento Amministrativo e Riforme Istituzionali

Attività di vigilanza bancaria: sono sottratti dalla regola della partecipazione procedimentale sia il decreto di scioglimento del MEF sia la proposta formulata dalla Banca d’Italia

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 8.5.2015

L’appello giunto all'esame del Consiglio di Stato riguarda l'impugnazione della sentenza 16 gennaio 2014 n. 623, con la quale il TAR per il Lazio, sez. III, ha rigettato il ricorso proposto contro il decreto 11 marzo 2013 n.31, con il quale il Ministro dell’Economia e delle Finanze ha disposto lo scioglimento degli organi di amministrazione e di controllo della Banca del Veneziano nonchè la delibera n. 144/2013, con la quale il Direttore Generale della Banca d’Italia ha nominato gli organi straordinari. La Quarta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 8.5.2015 ha rilevato che, nell’ambito dell’esercizio di funzioni di vigilanza sull’attività bancaria, le disposizioni della legge 7 agosto 1990 n. 241, ed in particolare quelle sulla partecipazione procedimentale, risultano applicabili in quanto compatibili con la specificità della materia (art. 4, co. 3, d. lgs. 1 settembre 1993 n. 385). Al riguardo, deve essere richiamata la consolidata giurisprudenza amministrativa secondo la quale, con riferimento al procedimento di scioglimento degli organi di amministrazione e controllo, l’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241 è specificamente derogato dall’art. 70, comma 3, d.lgs. n. 385/1993, il quale, ispirandosi ad evidenti ragioni di riservatezza a tutela del pubblico risparmio, sottrae alla regola della partecipazione procedimentale sia il decreto di scioglimento del Ministero dell’Economia e delle Finanze sia la proposta formulata dalla Banca d’Italia; di conseguenza, né l’uno né l’altra possono essere comunicati agli interessati prima della consegna dell’azienda ai commissari straordinari (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 novembre 2010, n. 8016; sez. VI, 8 luglio 2011, n. 4124 e 4 giugno 2007 n. 2945 ). Tanto precisato, occorre osservare che, con il motivo di appello in esame, per un verso si lamenta la impossibilità di partecipazione al procedimento che ha portato al commissariamento della banca; per altro verso, si lamenta, in sostanza, un difetto di esame e valutazione dei contributi che il soggetto ispezionato ha fornito agli organi di vigilanza. Quanto al primo profilo, alla luce di quanto esposto appare evidente la sua infondatezza. Quanto al secondo profilo, questo si risolve più propriamente nella doglianza in ordine ad un (supposto) difetto di motivazione degli atti impugnati – nella misura in cui ragioni che li sorreggono risultano contraddette da rappresentazioni di parte – e come tale rifluisce, ai fini dell’esame, nei motivi sub a) e c) dell’esposizione in fatto. Semmai, giova precisare che la presenza di documentazione della quale si lamenta il mancato esame e/o considerazione da parte della Banca d’Italia, in qualche misura è dimostrazione in fatto della partecipazione degli appellanti alla attività ispettiva e agli sviluppi della medesima, ancorchè agli stessi non si sia data comunicazione di avvio (non già) della attività ispettiva, quanto, più specificamente, del procedimento di adozione del provvedimento di scioglimento degli organi societari, all’esito della predetta. Né risultano violate le norme richiamate della “Carta di Nizza” e del Trattato dell’Unione Europea, posto che avverso i provvedimenti amministrativi adottati – come dimostrano il ricorso giurisdizionale proposto ed il presente appello avverso la sentenza pronunciata in I grado – risulta garantito il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, tutelato anche dall’art. 24 Cost. Per le ragioni esposte, il secondo motivo di appello è infondato.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

 

logo

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3275 del 2014, proposto da: 
Amedeo Piva, Lionello Codognotto, Leopoldo Demo, Mario Tuzzato, Romolo Massaro, Mario Guadalupi, Romeo Griguolo, Gabriele Bordin, Roberto Galli, Fedrico Sibilia, Daniele Rubin, Francesco Zen, Alberto Ferlin, rappresentato e difeso dagli avv. Luigi Manzi, Enrico Gaz, Enrico Minnei, rappresentati e difesi dagli avv. Enrico Gaz, Luigi Manzi, Enrico Minnei, con domicilio eletto presso Luigi Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, 5; 

contro

Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura gen. dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12; 

nei confronti di

Banca D'Italia, rappresentato e difeso dagli avv. Marco Mancini, Nicola De Giorgi, con domicilio eletto presso Nicola De Giorgi in Roma, Via Nazionale n. 91; 
Banca di Credito Cooperativo del Veneziano (Bcc) Scarl; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE III n. 00623/2014, resa tra le parti, concernente scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e controllo della banca del veneziano - ris.danni

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Banca D'Italia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2014 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Gaz, Manzi, Minnei, De Giorgi e l'avv. dello Stato Noviello;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

1. Con l’appello in esame, il signor Amedeo Piva e gli altri ricorrenti indicati in epigrafe impugnano la sentenza 16 gennaio 2014 n. 623, con la quale il TAR per il Lazio, sez. III, ha rigettato il loro ricorso proposto in particolare avverso:

- il decreto 11 marzo 2013 n.31, con il quale il Ministro dell’Economia e delle Finanze ha disposto lo scioglimento degli organi di amministrazione e di controllo della Banca del Veneziano;

- la delibera n. 144/2013, con la quale il Direttore Generale della Banca d’Italia ha nominato gli organi straordinari. 

La sentenza impugnata afferma, in particolare:

- “a fronte di carenze gestionali integranti gravi irregolarità dell’amministrazione della banca, la Banca d’Italia . . . ha proposto lo scioglimento degli organi amministrativi e la sottoposizione dell’azienda ad amministrazione straordinaria, reputando l’adozione di tali misure necessaria a preservare la funzionalità aziendale a tutela dell’interesse pubblico alla sana e prudente gestione degli intermediari, alla stabilità del sistema creditizio e all’osservanza delle disposizioni in materia“. Pertanto, in quanto le misure risultano fondate su esigenze debitamente rappresentate (v. pagg. 20 – 22 sent.), è da escludere qualunque sviamento di potere, ed in particolare – come lamentato dai ricorrenti – che gli atti sarebbero destinati a soddisfare esigenze penalistiche e fallimentari rispettivamente della Procura e del Tribunale fallimentare di Napoli;

- è da escludere che “il procedimento di sottoposizione di una banca ad amministrazione straordinaria sia soggetto alle norme sulla comunicazione di avvio del procedimento amministrativo e sulla partecipazione al medesimo”;

- non vi è violazione del principio del ne bis in idem, posto che “del tutto legittimamente gli stessi fatti oggetto di accertamento da parte dell’Autorità di vigilanza possono condurre, al ricorrere dei presupposti di legge, sia all’irrogazione di sanzioni amministrative a carico degli esponenti che al commissariamento del soggetto vigilato, attesa l’autonomia dei procedimenti, delle disposizioni normative su cui essi si fondano nonché delle finalità pubbliche al perseguimento delle quali sono gli stessi preordinati”;

- il merito dell’attività ispettiva sugli istituti creditizi “è incensurabile dal giudice amministrativo se non per illogicità manifesta”, non rinvenibile nel caso di specie, dove i ricorrenti lamentano in sostanza che “l’amministrazione straordinaria sarebbe stata motivata in relazione a una sola operazione, un singolo accordo contrattuale. . . . ossia la posizione Gavioli” (v., per i singoli aspetti, pagg. 26 – 34 sent.);

- non può sussistere il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento (in relazione ad altre banche, pur esposte con il gruppo Gavioli), posto che esso “postula identità di situazioni giuridiche non rinvenibili nella specie”;

- alle cariche attribuite nell’ambito di procedure di gestione della crisi non trova applicazione quanto previsto dall’art. 36 d.l. n. 201/2011, posto che “la disciplina dei poteri e del funzionamento degli organi straordinari, prevista dall’art. 72 TUB, rende manifeste le differenze tra essi e i normali organi di gestione, sorveglianza e controllo delle società”.

Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello (pagg. 59-83 app.):

a) violazione artt. 4,5,6,26,35,53,70 TUB; eccesso di potere per sviamento; abdicazione dall’esercizio della funzione di vigilanza in forma indipendente; surrettizia assunzione di compiti di polizia giudiziaria da parte di Bankitalia e/o di valutazioni che pertengono ad altri poteri dello Stato; rinnovazione dell’istruttoria già posta in essere in precedenza al solo fine di “coprire” le proprie omissioni nei confronti dell’attività di indagine della Procura; assunzione del provvedimento ex art. 70, lett. a) per perseguire l’indebita finalità di rimuovere un Presidente inviso, in assenza dei presupposti di legge; motivazione illogica e carente in relazione a punti decisivi della controversia; violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 cpc); ciò in quanto: a1) “le carenze riscontrate hanno interessato tutti i comparti dell’ispezionata e non solo quelli aventi punti di contatto con la vicenda penale e concorsuale” del gruppo Gavioli; a2) “ignorando che la BCC era stata vittima semmai del gruppo Gavioli, la Banca d’Italia, anche probabilmente per giustificare il proprio operato nei confronti di quei giudici, ha ritenuto giusto chiudere una banca assolutamente sana e florida (con una liquidità finanche impressionante rispetto al settore) soltanto perché aveva avuto la sventura di affidare un gruppo che, per diverse ragioni, sarebbe poi fallito”; a3) è da escludere ogni ingerenza del Presidente, il quale, più semplicemente, “non si è voluto dimettere a fronte di pressioni . . . provenienti dalla Procura che prospettava coinvolgimenti del medesimo nella vicenda penale del tutto insussistenti”;

b) violazione dei principi fondamentali del procedimento amministrativo (in part. artt. 2,3,4,7,8,9,10, l. n. 241/1990; violazione art. 24 l. n. 262/2005; violazione del principio del contraddittorio imposto dalla normativa di settore (e dal prevalente diritto dell’Unione Europea, così come interpretato dalla Corte di Giustizia); violazione del principio del ne bis in idem; violazione art. 47 Carta di Nizza (art. 6 TUE) e dei principi in tema di tutela giurisdizionale effettiva (art. 47 Carta e art. 1 Cpa); violazione del principio del primato del diritto e della diretta efficacia del diritto dell’Unione Europea ; violazione art. 6 TUB; motivazione illogica e carente in relazione a punti decisivi della controversia; violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 cpc); ciò in quanto “Bankitalia non ha concesso alcuna possibilità di difesa nel procedimento amministrativo, non ha ascoltato nulla, ha ignorato ogni apporto procedimentale e non ha motivato”. Viceversa, “i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione”, ed a tal fine “essi devono beneficiare di un termine sufficiente”. L’obbligo di consentire la partecipazione procedimentale degli interessati “incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogni qualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto comunitario, quandanche la normativa comunitaria applicabile non preveda espressamente tale formalità”;

c) violazione artt. 53-70 TUB; eccesso di potere per difetto e travisamento grossolano dei presupposti; illogicità manifesta, contraddittorietà patente con precedenti comportamenti e ingiustizia manifesta; violazione del principio di certezza e di legalità; indeterminatezza delle contestazioni; violazione del diritto di difesa; violazione del fondamentale principio di proporzionalità; insufficienza e illogicità della motivazione in relazione a punti decisivi della controversia; violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.); ciò in quanto “l’istruttoria, rispetto all’ipotetica crisi della banca, in altre parole si è sostanzialmente limitata ad una sola operazione” (Gavioli), laddove l’amministrazione straordinaria di una banca “disposta esclusivamente per il presunto carattere svantaggioso o anomalo di un singolo accordo contrattuale” comporta “eccesso di potere per aver sindacato nel merito l’attività di gestione”, peraltro sana (v., in particolare, pagg. 67-78);

d) eccesso di potere per disparità di trattamento ed ingiustizia manifesta; violazione del principio di proporzionalità; violazione artt. 3, 45, 47, 97 Cost; violazione dei principi generali in tema di vigilanza; insufficienza e illogicità della motivazione in relazione a punti decisivi della controversia; violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.); ciò in quanto la BCC del Veneziano è stata la sola ad essere stata commissariata per la vicenda Gavioli, nonostante altre banche avessero esposizioni “ed anche importanti”, con il medesimo gruppo;

e) violazione dei principi di indipendenza e di imparzialità dell’istituzione; violazione artt. 3, 97, 113 Cost.; assenza totale della motivazione; violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.); poiché “dei dieci più recenti commissariamenti disposti su proposta della Banca d’Italia otto riguardino BCC . . .e tanto anche in presenza, come nel caso di specie, di indici sintomatici di uno stato di salute del tutto soddisfacente”. E ciò diversamente da quanto accaduto in altri casi (v. pagg. 80-81 app.);

f) violazione art. 36 decreto cd. salva-Italia; violazione del divieto di interlocking; violazione della disciplina antitrust, comunitaria e nazionale; insufficienza e illogicità della motivazione in relazione a punti decisivi della controversia; violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.); ciò in quanto l’art. 36 – che vieta di assumere o esercitare cariche analoghe in imprese o gruppi di imprese concorrenti - deve intendersi applicabile anche nei casi di commissariamento straordinario.

Gli appellanti hanno anche riproposto domanda di risarcimento del danno e inoltre, in via preliminare, hanno richiesto di rinviare alla Corte di giustizia UE una pluralità di questioni, puntualmente indicate alle pagg. 85 – 86 appello, sub nn. da 1 a 3; questioni che risultano tuttavia ampliate nella memoria 21 novembre 2014 (pp. 8-10, nn. da 1 a 6).

 

 

2. Successivamente, gli appellanti hanno proposto motivi aggiunti, rivolti sia avverso la (già impugnata) sentenza n. 623/2014 del TAR per il Lazio, sia quale impugnazione (v. pag. 2):

- dell’atto non conosciuto di proroga del commissario straordinario, se adottato;

- della determinazione del Commissario di provvedere a modifiche statutarie “non sorrette dalla sana e prudente gestione di cui all’art. 56 TUB”;

- nonché dell’atto del 24 settembre 2014, di adozione dei criteri ulteriori per la “Composizione quali-quantitativa ottimale del Consiglio di amministrazione della Banca di credito cooperativo del Veneziano”.

Con l’atto di motivi aggiunti, gli appellanti dichiarano che con lo stesso “si intende portare all’attenzione . . . una recente sentenza della Corte d’Appello di Venezia (del 19 maggio 2014 n. 1213) particolarmente rilevante” e di recente conoscenza, con la quale “la società Enerambiente del Gruppo Gavioli cui la BCC aveva prestato del danaro, provocando tutti i “guai” della BCC del Veneziano a causa di un ingiustificato ed illegittimo fallimento dichiarato dal Tribunale di Napoli, è ritornata in bonis ed il fallimento è stato revocato”.

Vengono, quindi, proposti i seguenti motivi aggiunti:

a1) violazione di legge (art. 79, co. 1, lett. a) TUB); violazione del diritto al contraddittorio così come stabilito nella prevalente disciplina comunitaria e nella normativa interna; ciò in quanto - poiché la BCC è “una banca patentemente in bonis, con una liquidità impressionante” e “nessun fatto o contestazione . . . è stato effettuato in relazione ad altri affidamenti e/o operazioni bancarie” – ne consegue che quello impugnato è “un provvedimento non dettato da alcuna esigenza prudenziale ma indotto da altri soggetti dell’ordinamento, in violazione del principio di indipendenza che dovrebbe caratterizzare l’operato di Bankitalia”. E ciò non sarebbe avvenuto “se solo Bankitalia avesse correttamente consentito il contraddittorio”;

b1) eccesso di potere per travisamento dei presupposti, contraddittorietà dei comportamenti, ingiustizia manifesta; poiché “l’assenza totale di contraddittorio ha originato una totale incomprensione dei presupposti fattuali, ha consentito a Bankitalia di dimenticarsi del proprio comportamento precedente . . . al punto di contraddirsi patentemente, negando la qualificazione di “incaglio” e appostando la medesima posizione come “sofferente”;

c1) conseguente illegittimità del provvedimento di nomina del commissario ex parte publica; eccesso di potere per contraddittorietà manifesta; sviamento e ingiustizia manifesta; violazione art. 70 TUB; poiché “la revoca del fallimento, oltre a corroborare quale conseguenza diretta l’illegittimità del provvedimento di amministrazione straordinaria, comporta altresì, naturaliter, l’illegittimità della nomina e proroga dei commissari straordinari. In particolare “l’evoluzione di questo commissariamento ha dimostrato viepiù come lo stesso fosse: a) originariamente illegittimo per insussistenza patente delle pretese gravi violazioni nell’amministrazione; b) affetto da sviamento, in funzione dell’allontanamento del vecchio consiglio di amministrazione e in particolare dell’”egemone” presidente Piva; c) voluto per controllare le nomine del consiglio di amministrazione, attraverso le modifiche dello statuto e del regolamento del tutto ingiustificate e gli ulteriori criteri qui gravati limitativi delle candidature che nulla hanno a che fare con la sana e prudente gestione”.

Infine, gli appellanti hanno precisato la domanda di risarcimento del danno (v. pagg. 23 – 24 motivi agg.).

Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Banca d’Italia. Quest’ultima, in particolare, ha concluso richiedendo il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza; nonché la declaratoria di inammissibilità dei motivi aggiunti “poiché tesi ad introdurre sostanzialmente nuovi motivi di impugnazione” (v. pagg. 13 ss. memoria del 14 novembre 2014), e comunque il rigetto dei medesimi per infondatezza.

Dopo il deposito di memorie e repliche, all’udienza di trattazione la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

3. Il Collegio ritiene di dovere preliminarmente vagliare l’ammissibilità dei motivi aggiunti del 24 settembre 2014, sia per effetto della eccezione formulata da Banca d’Italia, sia al fine di definire con migliore chiarezza il thema decidendum del presente giudizio in grado di appello.

Questa Sezione ha già avuto modo di affrontare i limiti di ammissibilità dei motivi aggiunti in appello (Cons. Stato, sez. IV, 29 agosto 2013 n. 4315), con considerazioni che il Collegio intende riconfermare nella presente sede.

L’art. 104 del Codice del processo amministrativo (che costituisce specificazione di quanto, in generale, previsto dall’art. 345 c.p.c.), prevede, in particolare (comma 3) “Possono essere proposti motivi aggiunti qualora la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati.”.

Tali disposizioni (ed in particolare, per quel che interessa nella presente sede, l’art. 104 cit.) intendono preservare alla cognizione del giudice di appello il thema decidendum offerto al giudizio di I grado e oggetto della sentenza impugnata, che non può ricevere ampliamenti – in tal modo sfuggendo alla regola del doppio grado di giudizio – ma semmai riduzioni, per effetto dei motivi di impugnazione concretamente proposti dalle parti, che ben possono circoscriverlo in II grado, rispetto al precedente grado di giudizio.

Il divieto di proposizione di motivi nuovi in appello, nel confermare l’esigenza che tutto il “dedotto ed il deducibile”, offrendosi alla cognizione del giudice di I grado, non sfugga al doppio grado di giudizio, costituisce anche attuazione dei principi enunciati dall’art. 24 Cost. in tema di diritto alla tutela giurisdizionale e di diritto di difesa, cui inerisce il principio di parità processuale delle parti.

Ed infatti, salvo taluni casi nei quali, per esigenze processuali ed in ossequio al principio di effettività della tutela giurisdizionale, è possibile derogare al principio del doppio grado di giudizio (non costituzionalizzato ma positivamente previsto, in via generale, dalla legge processuale), non può riconoscersi ad alcuna delle parti la possibilità di sottrarre alle altre – attraverso un uso temporalmente differito dei mezzi di tutela – il diritto ad avere i gradi di giudizio previsti dal codice di rito (e quindi, nel caso della giurisdizione di legittimità, la doppia verifica del giudice).

In tal senso, si è affermato che nel giudizio amministrativo il divieto di motivi nuovi in appello costituisce la logica conseguenza dell'onere di specificità dei motivi di impugnazione in primo grado del provvedimento amministrativo e più in generale dell'onere di specificazione della domanda da parte di chi agisce in giudizio (Cons. Stato, sez. IV, 27 ottobre 2011 n. 5758). 

Nel processo amministrativo, dove è consentita la proposizione di motivi aggiunti, la giurisprudenza ha già avuto modo di precisare, in linea generale, che nel giudizio amministrativo il divieto dei motivi nuovi concerne esclusivamente i motivi sollevati da chi introduce il giudizio di prime cure, mentre il divieto delle nuove eccezioni, sancito dal secondo comma del medesimo articolo, non si applica alle mere difese, che sono sempre esaminabili per la prima volta in grado di appello; e ciò in quanto il divieto di proporre motivi nuovi in appello è riferibile solo al ricorrente originario e non anche ai resistenti, che possono addurre qualunque motivo (salve le preclusioni previste dalla legge) per dimostrare al giudice di secondo grado l'infondatezza della domanda del ricorrente (Cons. stato, sez. VI, 24 febbraio 2011 n. 1154) 

Più in particolare, questo Consiglio di Stato ha affermato come i motivi aggiunti sono consentiti in appello solo per dedurre ulteriori censure in relazione ad atti e provvedimenti già impugnati, allorchè i vizi ulteriori emergano da documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di I grado, il che determina l’inammissibilità dell’impugnazione in appello di nuovi atti, fermo restando la possibilità per la parte, ove ne ricorrano le condizioni, di proporre avverso questi ultimi autonomo ricorso giurisdizionale (Cons. Stato, sez. V, 30 giugno 2011 n. 2913; sez. V, 21 settembre 2011 n. 5329). Sul punto, questa Sezione (sent. 16 giugno 2011 n. 3662), ha già avuto modo di affermare, con considerazioni dalle quali non vi è motivo di discostarsi nella presente sede:

“l’art. 104, comma 3, cod. proc. amm., laddove consente la proposizione di motivi aggiunti in appello “qualora la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati”, ha codificato il pregresso orientamento giurisprudenziale che ammette i motivi aggiunti in grado d’appello al solo fine di dedurre ulteriori vizi degli atti già censurati in primo grado, e non anche nella diversa ipotesi in cui con essi si intenda impugnare nuovi atti sopravvenuti alla sentenza di primo grado (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 7 aprile 2008, n. 1442; Cons. Stato, sez. V, 28 settembre 2007, n. 5024; Cons. Stato, sez. VI, 25 luglio 2006, n. 4648).

Ciò si ricava da una piana lettura della disposizione innanzi citata, la quale non parla affatto di impugnazione degli atti sopravvenuti, ma solo dell’emergere (a seguito della sopravvenuta conoscenza di documenti già esistenti, ma non prodotti in primo grado) di ulteriori “vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati”, con tale locuzione dovendo intendersi quelli oggetto dell’originaria impugnazione; l’opposta opzione ermeneutica consentirebbe l’impugnazione dei nuovi atti sopravvenuti per la prima volta e direttamente in sede di appello, con violazione del principio del doppio grado di giurisdizione”.

Alle considerazioni già esposte, occorre aggiungere che, dalla disamina del comma 3 dell’art. 104 Cpa, si deduce che l’oggetto del giudizio di appello resta circoscritto agli atti e provvedimenti impugnati in I grado.

Ciò comporta, non solo che ulteriori “atti”, ancorchè non aventi natura provvedimentale (non a caso la norma cita distintamente “atti” e “provvedimenti”), non possono essere oggetto di impugnazione, ma anche che i vizi ad essi eventualmente attribuiti non possono riverberarsi quali vizi – in via di illegittimità derivata – degli atti già impugnati.

Diversamente opinando, si giungerebbe o ad ammettere che un provvedimento amministrativo possa risentire in via derivata dell’illegittimità di un atto del procedimento, pur senza impugnazione di questo; ovvero che, in sostanza, si aggirerebbe il chiaro limite posto dall’art. 104, co. 3, alla proposizione di motivi aggiunti in appello, in quanto, pur non ammettendone formalmente l’impugnazione, i nuovi atti (ed i loro vizi) dispiegherebbero effetti sui provvedimenti impugnati, allo stesso modo che se fossero stati anch’essi oggetto di impugnazione. 

Il Collegio ritiene, inoltre, che la condizione della mancata produzione del documento nel giudizio di I grado, costituisce soltanto un limite preclusivo oggettivo alla considerabilità dello stesso ai fini della proposizione di motivi aggiunti in appello, ma che tale condizione non “seleziona” a contrariis tutti gli altri documenti come “sopravvenuti”, e quindi utilizzabili ai fini di eventuali motivi aggiunti.

Infatti, ai documenti “prodotti” devono aggiungersi i documenti che – pur non prodotti dall’amministrazione o da altre parti – possono comunque formare oggetto di acquisizione istruttoria ai sensi degli artt. 63 e 65 Cpa.: questi documenti, quindi, ancorchè non acquisiti al procedimento, non possono in futuro essere posti a fondamento di un eventuale ricorso per motivi aggiunti.

In definitiva, ai fini dell’esclusione di motivi aggiunti in appello ai documenti “conosciuti” (perché prodotti dalle parti), occorre aggiungere i documenti “conoscibili”, ancorchè non effettivamente conosciuti.

Diversamente considerando:

- per un verso si svuota il senso stesso dell’istruttoria presidenziale e collegiale di cui all’art. 65, ed in particolare quanto previsto dal comma 3, secondo il quale “ove l’amministrazione non provveda al deposito del provvedimento impugnato e degli altri atti ai sensi dell’art. 46, il presidente o un magistrato da lui delegato ovvero il collegio ordina, anche su istanza di parte, l’esibizione degli atti e dei documenti nel termine e nei modi opportuni”;

- per altro verso, si finisce per svuotare di senso sia la stessa natura del termine decadenziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale, sia il senso stesso del decisum proprio della sentenza di I grado, ben potendo ipotizzarsi una sorta di istruttoria successiva ed extra iudicium, in pendenza di termine per l’appello ed anche dopo la scadenza di questo, venendo in tal modo a prodursi una sorta di “giudizio a formazione progressiva”, che prescinde dal rispetto dei gradi di giudizio previsti per legge.

In definitiva, occorre ritenere che i motivi aggiunti in appello, di cui all’art. 104, co. 3, Cpa devono senz’altro riguardare “atti o provvedimenti amministrativi impugnati”, e non possono essere desunti né da atti endoprocedimentali e/o di procedimenti collegati che avrebbero dovuto essere impugnati (e che eventualmente possono ancora formare oggetto di autonoma impugnazione in I grado), né da documenti non solo conosciuti, in quanto prodotti dalle parti in giudizio, ma anche conoscibili, per il tramite dell’esercizio degli ordinari mezzi di prova che il codice riconosce alle parti, ed in specie, al ricorrente. 

Nel caso di specie, con il ricorso per motivi aggiunti 24 settembre 2014, gli appellanti:

- per un verso, impugnano atti ulteriori rispetto a quelli oggetto del ricorso instaurativo del giudizio di I grado (e precisamente: atto non conosciuto di proroga del commissario straordinario, se adottato; determinazione del Commissario di provvedere a modifiche statutarie; atto del 24 settembre 2014, di adozione dei criteri ulteriori per la “Composizione quali-quantitativa ottimale del Consiglio di amministrazione della Banca di credito cooperativo del Veneziano”;

- per altro verso, in considerazione della indicata sentenza della Corte d’Appello di Venezia 16 gennaio 2014 n. 623, formulano tre ulteriori motivi (riportati sub lettere a1, b1, c1 dell’esposizione in fatto).

Alla luce di quanto esposto, il Collegio osserva che tali motivi, in quanto rivolti a censurare gli atti ulteriormente impugnati (ed innanzi indicati), devono essere considerati inammissibili, alla luce di quanto innanzi rappresentato sui limiti alla proponibilità di motivi aggiunti in appello, ex art. 1094, co. 3, Cpa..

Alla medesima declaratoria di inammissibilità deve, inoltre, pervenirsi, in relazione alla formulazione dei predetti motivi in quanto rivolti a censurare – anche per mezzo di argomentazioni tratte dalla sentenza della Corte d’Appello di Venezia – la sentenza del TAR Lazio n. 623/2014, oggetto dell’appello originariamente proposto.

E ciò, alla luce delle considerazioni innanzi esposte, sia in quanto la sentenza considerata non può essere intesa come “documento non prodotto dalle altre parti nel giudizio di I grado”, sia in quanto da essa non possono a tutta evidenza derivare “vizi degli atti e dei provvedimenti amministrativi impugnati”, non costituendo essa rappresentazione di un fatto da considerare e/o valutare ai fini dell’esercizio del potere provvedi mentale da parte della Pubblica Amministrazione.

Ovviamente, nei limiti in cui con i motivi aggiunti proposti, gli appellanti esplicitano ulteriori considerazioni illustrative di motivi di appello già ritualmente proposti (ciò vale, in particolare, per i motivi sub lett. a1) e b1), ben può il Collegio tenerne conto, come normalmente avviene per considerazioni esplicative effettuate dalle parti con memorie ritualmente depositate.

Per le ragioni esposte, e nei limiti sopra indicati, il ricorso per motivi aggiunti del 24 settembre 2014 deve essere dichiarato inammissibile. 

 

 

4. L’appello non è fondato e deve essere, pertanto, respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Con i motivi di appello proposti, i ricorrenti, in sostanza:

- per un verso, lamentano la violazione dei principi di partecipazione procedimentale, non essendo stato consentito di interloquire nel procedimento (in tal senso, il motivo sub b) dell’esposizione in fatto);

- per altro verso, lamentano che il commissariamento della banca sarebbe stato disposto in difetto di presupposti e di motivazione (in quanto riconducibile alla sola vicenda Gavioli), laddove l’istituto bancario era da considerare sano. A tanto si riferiscono, sotto distinti profili, i motivi sub lett. a) e c) dell’esposizione in fatto;

- per altro verso ancora, lamentano disparità di trattamento tra istituti bancari (v. i motivi sub lett. d) ed e);

- infine, lamentano violazione di regole di incompatibilità, con riferimento ai soggetti individuati e nominati a seguito del commissariamento straordinario.

Al fine dell’esame del presente ricorso, il Collegio ritiene utile ricordare che gli atti di vigilanza posti in essere dalla Banca d’Italia, i quali possono culminare nella adozione da parte del Ministro dell’Economia, anche (come nel caso di specie) del decreto di scioglimento degli organi di amministrazione e di controllo dell’istituto di credito, e, dunque, nella gestione straordinaria del medesimo, costituiscono esplicazione di potere amministrativo caratterizzato da discrezionalità tecnica, volto alla tutela sia dei risparmiatori e, dunque, delle garanzie che devono assistere l’attività di raccolta del risparmio e di erogazione del credito, sia – specularmente – dell’affidabilità complessiva del sistema bancario e, in particolare, di ogni singolo istituto.

Ciò, innanzi tutto, in concreta esplicazione di attività volta alla tutela dei valori di promozione e tutela del risparmio, nonché di esercizio dell’attività creditizia, contemplati e garantiti dall’art. 47 della Costituzione.

Stante la natura del potere amministrativo esercitato, ne consegue che gli atti adottati sono sindacabili innanzi al giudice amministrativo in sede di legittimità, oltre che per vizi di incompetenza e di violazione di legge, puntualmente indicati, solo per illogicità manifesta, quale figura sintomatica di eccesso di potere, non potendo il giudice amministrativo – nei limiti propri del suo sindacato di legittimità (tale dovendosi definire quello del giudice amministrativo nei casi quale quello di specie, a maggior ragione dopo la sentenza della Corte Costituzionale 15 aprile 2014 n. 94) – sostituire proprie valutazioni (esplicazione di giurisdizione estesa al merito) a quelle dell’organo di controllo.

 

 

5. Tanto precisato, il Collegio rileva che, nell’ambito dell’esercizio di funzioni di vigilanza sull’attività bancaria, le disposizioni della legge 7 agosto 1990 n. 241, ed in particolare quelle sulla partecipazione procedimentale, risultano applicabili in quanto compatibili con la specificità della materia (art. 4, co. 3, d. lgs. 1 settembre 1993 n. 385).

Al riguardo, deve essere richiamata la consolidata giurisprudenza amministrativa secondo la quale, con riferimento al procedimento di scioglimento degli organi di amministrazione e controllo, l’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241 è specificamente derogato dall’art. 70, comma 3, d.lgs. n. 385/1993, il quale, ispirandosi ad evidenti ragioni di riservatezza a tutela del pubblico risparmio, sottrae alla regola della partecipazione procedimentale sia il decreto di scioglimento del Ministero dell’Economia e delle Finanze sia la proposta formulata dalla Banca d’Italia; di conseguenza, né l’uno né l’altra possono essere comunicati agli interessati prima della consegna dell’azienda ai commissari straordinari (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 novembre 2010, n. 8016; sez. VI, 8 luglio 2011, n. 4124 e 4 giugno 2007 n. 2945 ).

Tanto precisato, occorre osservare che, con il motivo di appello in esame, per un verso si lamenta la impossibilità di partecipazione al procedimento che ha portato al commissariamento della banca; per altro verso, si lamenta, in sostanza, un difetto di esame e valutazione dei contributi che il soggetto ispezionato ha fornito agli organi di vigilanza.

Quanto al primo profilo, alla luce di quanto esposto appare evidente la sua infondatezza.

Quanto al secondo profilo, questo si risolve più propriamente nella doglianza in ordine ad un (supposto) difetto di motivazione degli atti impugnati – nella misura in cui ragioni che li sorreggono risultano contraddette da rappresentazioni di parte – e come tale rifluisce, ai fini dell’esame, nei motivi sub a) e c) dell’esposizione in fatto.

Semmai, giova precisare che la presenza di documentazione della quale si lamenta il mancato esame e/o considerazione da parte della Banca d’Italia, in qualche misura è dimostrazione in fatto della partecipazione degli appellanti alla attività ispettiva e agli sviluppi della medesima, ancorchè agli stessi non si sia data comunicazione di avvio (non già) della attività ispettiva, quanto, più specificamente, del procedimento di adozione del provvedimento di scioglimento degli organi societari, all’esito della predetta.

Né risultano violate le norme richiamate della “Carta di Nizza” e del Trattato dell’Unione Europea, posto che avverso i provvedimenti amministrativi adottati – come dimostrano il ricorso giurisdizionale proposto ed il presente appello avverso la sentenza pronunciata in I grado – risulta garantito il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, tutelato anche dall’art. 24 Cost. 

Per le ragioni esposte, il secondo motivo di appello è infondato.

 

 

6. Anche il primo ed il terzo motivo di appello (sub lett. a) e c) dell’esposizione in fatto) sono infondati e devono essere, pertanto, respinti.

L’art. 70, co. 1, d. lgs. n. 385/1993 prevede:

“Il Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta della Banca d'Italia, può disporre con decreto lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e di controllo delle banche quando: 

a) risultino gravi irregolarità nell'amministrazione, ovvero gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che regolano l'attività della banca;

b) siano previste gravi perdite del patrimonio;

c) lo scioglimento sia richiesto con istanza motivata dagli organi amministrativi ovvero dall'assemblea straordinaria.”.

Occorre, innanzi tutto, ricordare come la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare:

- sia che è legittima la motivazione del decreto ministeriale di commissariamento formulata ob relationem con richiamo alla proposta della Banca d’Italia, allorché il Ministro ritenga di condividerla (Cons. Stato, sez. VI, 20 dicembre 2012, n. 6583); 

- sia che, ai fini dello scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e di controllo delle banche, è sufficiente l'esistenza di "gravi irregolarità nell'amministrazione", della quale la norma richiede l'esistenza oggettiva (che può conseguire ad es. da un'accertata situazione di mancanza di sana e prudente gestione nell'erogazione del credito, di carenze nei processi di concessione e controllo del credito, e così via), dovendosi prescindere, dalla circostanza che tale situazione non sia imputabile ai detti organi (Cons. Stato, sez. VI, 4 giugno 2007 n. 2945). 

In particolare, non occorre che siano individuate specificamente le norme violate, rilevando soltanto che siano individuate in modo chiaro e preciso condotte o circostanze di fatto contrastanti con una sana gestione dell’istituto di credito (e, difatti, la circostanza che la norma faccia riferimento anche all’ipotesi di violazione di disposizioni “amministrative o statutarie” rende chiaro che può trattarsi anche di disposizioni meramente interne, relative alle regole di gestione del credito e di conduzione dell’istituto);

Inoltre, ferma restando la differente natura e finalità dei due procedimenti (quello sanzionatorio a carico degli esponenti aziendali ai sensi dell’art. 144 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 e quello di amministrazione straordinaria di cui all’art. 70 del medesimo decreto legislativo), possono certamente verificarsi delle situazioni in cui le stesse irregolarità e carenze gestionali integrano, per un verso, la fattispecie di illecito amministrativo con riferimento agli esponenti aziendali di esse responsabili, e, per altro verso, i presupposti per l’adozione di una misura straordinaria di carattere gestionale nei confronti della banca, ai sensi dell’art. 70 del TUB (Cons. Stato, sez. VI, 20 dicembre 2012 n. 6583). 

Alla luce di quanto sin qui richiamato, la sentenza impugnata appare esente dalle censure specificamente rivoltele, essendosi proceduto (in part. pagg. 25 – 34 sent.) ad un esame puntuale delle ragioni che hanno indotto la Banca d’Italia a proporre al Ministro dell’Economia e delle finanze lo scioglimento degli organi della Banca del Veneziano, esame non inficiato in sede di appello.

Giova, innanzi tutto, ricordare che l’attività di vigilanza sull’istituto di credito si è esplicata per il tramite di ispezioni fin dall’aprile del 2010, che evidenziavano, tra l’altro, una significativa espansione dei volumi di impiego in assenza di adeguata pianificazione e potenziamento dei presidi di governo e gestione del rischio.

Infine, con l’ispezione del 2012, si è pervenuti ad una rappresentazione di perduranti problematiche aziendali, accompagnate, secondo l’organo di vigilanza, da una incapacità degli organi di gestione di adottare necessari interventi correttivi.

I rilievi della Banca d’Italia concernevano, in estrema sintesi:

- mancata azione volta a rimuovere le carenze già rilevate;

- difetto di valide iniziative volte a contrastare il progressivo scadimento qualitativo del portafoglio prestiti;

- redditività compressa dalla onerosità della struttura e dal crescente costo del rischio di credito;

- carenza del Collegio sindacale negli obblighi di sorveglianza attiva sulla gestione, anche con specifico riferimento alle modalità di gestione delle posizioni di rischio riconducibili al gruppo Stefano Gavioli;

- difettoso assolvimento degli obblighi imposti dalla normativa in tema di trasparenza e antiriciclaggio.

Orbene, a fronte della pluralità di elementi evidenziati dalla Banca d’Italia, ed in considerazione delle concrete modalità (anche temporali) di svolgimento dell’attività ispettiva, appare non condivisibile sia il sostenere che l’organo di vigilanza sia stato “condizionato” dalla Procura della Repubblica di Napoli (v., in part., pagg. 63-64 app.), sia che il provvedimento di commissariamento sia stato motivato solo dall’affidamento del gruppo Gavioli.

Peraltro, in disparte ogni considerazione in ordine al fatto che anche un solo affidamento non corretto e/o imprudente ben può sorreggere lo scioglimento degli organi societari, laddove lo stesso – per entità ovvero per indici soggettivi del soggetto affidato, ovvero per le concrete modalità dell’affidamento – costituisca valida e sufficiente testimonianza di cattiva o imprudente gestione, si è già ricordato come la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato abbia ritenuto ininfluente, ai fini della legittimità del commissariamento di un istituto bancario, l’effettiva imputabilità delle irregolarità riscontrate agli organi gestionali del medesimo (Cons. St., sent. n. 2945/2007 cit.). 

Il che rende ininfluente esaminare – ai fini della legittimità del commissariamento - sia il “ruolo egemone” del Presidente del CdA, sia la (peraltro non dimostrata) finalità di rimuovere organi societari che non avrebbero voluto presentare le dimissioni. 

 

 

7. Le ragioni poste a fondamento del primo e terzo motivo di appello sorreggono anche il rigetto dei motivi di impugnazione, riportati sub lett. d) ed e) dell’esposizione in fatto.

Si è già detto – nel condividere le considerazioni svolte dalla sentenza impugnata – come, dalla relazione della Banca d’Italia e dal provvedimento del Ministro dell’Economia che si fonda sulla medesima, emergano ragioni che, nei limiti della valutazione propria del giudice amministrativo in sede di legittimità, consentono di respingere le censure di illegittimità, in relazione all’art. 70, co. 1, lett. a) TUB, dell’atto di scioglimento degli organi della Banca di credito cooperativo del Veneziano.

Ritiene, inoltre, il Collegio che, a fronte di un commissariamento di istituto bancario, disposto a seguito di quanto emerso da una (ripetuta) attività ispettiva, non possa emergere la lamentata disparità di trattamento tra istituti bancari, non potendosi a tutta evidenza comparare situazioni ciascuna delle quali dotata di proprie peculiarità, tali da poter sollecitare un ragionevole, differente esercizio dei poteri di vigilanza.

Né può, a tal fine, rilevare che “dei dieci più recenti commissariamenti disposti su proposta della Banca d’Italia otto riguardino BCC”, non potendo da tale circostanza desumersi particolari elementi di illegittimità del commissariamento oggetto di sindacato nella presente sede. 

Quanto al sesto motivo di appello (sub f) dell’esposizione in fatto) – con il quale si lamenta, in sostanza, la violazione dell’art. 36 d.l. 6 dicembre 2011 n. 201, conv. in l. 22 dicembre 2011 n. 214, che vieta di assumere o esercitare cariche analoghe in imprese o gruppi di imprese concorrenti – il Collegio rileva che la sentenza, impugnata ha dichiarato il motivo inammissibile per difetto di interesse, e, comunque, esposto argomenti volti a sorreggerne l’infondatezza.

Orbene, il Collegio ritiene il motivo proposto nel giudizio di I grado inammissibile (anche in adesione a ribadita eccezione della Banca d’Italia: v. pag. 53, memoria 8 maggio 2014) e, dunque, infondato il motivo di appello proposto avverso tale capo della sentenza.

Ed infatti, i ricorrenti, mentre sono senza dubbio titolari di legittimazione ed interesse ad agire avverso il provvedimento di scioglimento degli organi societari, non risultano avere altrettanto interesse ad agire, non già nei confronti del provvedimento di nomina degli organi straordinari di gestione, sicuramente impugnabile quale atto derivato, bensì nei confronti di eventuali vizi inficianti il medesimo, relativi a difetto di requisiti dei soggetti concretamente individuati.

Poiché ciò che lede la posizione soggettiva dei ricorrenti sono gli atti che ne determinano la cessazione dai rispettivi e precedenti incarichi, l’eventuale illegittimità dell’atto di nomina dei commissari derivante dalla particolare qualità dei medesimi non incide (una volta accertata) sulla legittimità dell’atto di scioglimento degli organi e, dunque, non rileva ai fini della tutela della loro posizione sostanziale.

LA conferma della sentenza impugnata, e, dunque, la accertata legittimità dei provvedimenti impugnati alla luce dei motivi di ricorso proposti in I grado, comporta il rigetto della domanda di risarcimento del danno.

 

 

8. Quanto sin qui esposto, ai fini del rigetto dell’appello, rende già chiare le ragioni per le quali il Collegio non ritiene – come richiesto dagli appellanti – di rinviare alla Corte di giustizia UE una pluralità di questioni, puntualmente indicate alle pagg. 85 – 86 appello, sub nn. da 1 a 3; questioni che risultano tuttavia ampliate nella memoria 21 novembre 2014 (pp. 8-10, nn. da 1 a 6).

A quanto già desumibile da quanto sin qui esposto, occorre aggiungere:

- quanto al difetto di partecipazione (o di contraddittorio: pag. 85, sub a) e b) appello e pag. 8, sub nn. 1) e 2) memoria 21 novembre 2014), si richiama quanto esposto al precedente punto 5, aggiungendosi come non possa assumere rilievo in ogni caso una verifica di conformità non già di norme o di atti, bensì di “prassi amministrative”;

- quanto alla compatibilità (o meno) con il principio di tutela effettiva del “fatto che il giudice competente per l’atto di vigilanza sia diverso dal giudice delle sanzioni” (pag. 86, sub lett. c) app. e pag. 9 n. 3) memoria), si rileva come tale assetto sia comunque effetto di una sentenza della Corte Costituzionale, peraltro puntualmente citata;

- quanto alle ulteriori questioni sub nn. 4) e 5), pag. 9 memoria, le stesse sono estranee al tema del presente giudizio;

- infine, quanto alla questione sub n. 6) pag. 10 memoria, relativa alla possibilità “di nomina di gestori a qualunque titolo di imprese in concorrenza in violazione del divieto di interlocking”, la (confermata)n inammissibilità del motivo di ricorso proposto con il ricorso instaurativo del giudizio rende non rilevante la questione ai fini del presente giudizio.

Per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere rigettato, stante l’infondatezza dei motivi proposti, e deve, invece, essere dichiarato inammissibile il ricorso per motivi aggiunti del 24 settembre 2014.

In ragione della natura e complessità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Piva Amedeo ed altri, come in epigrafe (n.3275/2014 r.g.):

a) rigetta l’appello; 

b) dichiara inammissibile il ricorso per motivi aggiunti in grado di appello, nei sensi di cui in motivazione;

c) compensa tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Goffredo Zaccardi, Presidente

Sandro Aureli, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore

Giuseppe Castiglia, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 08/05/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

Ultime Notizie

Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Friday 12 April 2024 10:23:54

COMPARTO FUNZIONI CENTRALI - Quesito su conteggio dei giorni retribuiti di congedo parentale spettanti a entrambi i genitori

ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni

Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Friday 12 April 2024 10:21:12

AREA FUNZIONI LOCALI - Quesito su modalità di fruizione del congedo matrimoniale

ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni

Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio - Monday 25 March 2024 09:47:19

Esposizione ai campi elettromagnetici: divieto di collocare antenne su ospedali, case di cure ecc..

In linea di diritto, come ancora di recente ribadito dalla sezione, la legge n. 36 del 22 febbraio 2001 («Legge quadro sulla protezione dalle...

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 6.2.2024, n. 1200

Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio - Monday 25 March 2024 09:23:59

Reti di comunicazione elettronica: illegittimo il regolamento comunale che subordinare il rilascio dell’autorizzazione al preventivo deposito di una cauzione

Il Consiglio di Stato con la sentenza in trattazione ha affermato che “Le doglianze dell’appellante sono già state valutate posi...

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 16.2.2024, n. 1574

Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio - Monday 25 March 2024 09:10:58

Impianti di telefonia mobile: per l’installazione la situazione di fatto può far superare il vincolo paesaggistico

“l’esistenza di un vincolo paesaggistico non è sufficiente di per sé a determinare l’incompatibilità di qual...

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 21.3.2024, n. 2747

Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Friday 01 March 2024 12:08:35

AREA FUNZIONI LOCALI - Quesito su modalità di fruizione del periodo di congedo matrimoniale

ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni

Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Friday 01 March 2024 12:07:30

COMPARTO ISTUZIONE E RICERCA - Quesito su diritto alle ferie e modalità di fruizione delle stesse

ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni

Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Monday 12 February 2024 09:52:49

COMPARTO ISTRUZIONE E RICERCA- Quesito su fruizione ferie e assenze per malattia

ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni

Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Monday 12 February 2024 09:51:39

COMPARTO SANITA’ 2019-2021 - Quesito su prestazioni di lavoro straordinario in caso di adesione alla “banca delle ore”. Modalità di fruizione del riposo compensativo e/o pagamento delle ore accantonate.

ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni

Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Monday 12 February 2024 09:50:24

AREA FUNZIONI LOCALI - Quesito su possibili cause di sospensione delle ferie

ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni

Copyright © 2016 Gazzetta Amministrativa | All Rights Reserved | Privacy - Note Legali
Via Giovanni Nicotera, 29 - 00195 - Roma - Contatti
Partita Iva: 14140491003 - Codice Fiscale: 97910230586
Top