Friday 24 February 2017 13:19:15

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Ristrutturazioni abusive: i presupposti per la sanzione pecuniaria in luogo della rimessione in pristino

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 24.2.2017

La Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza depositata in data 24.2.2017 ha richiamato quanto già affermato dal medesimo Consesso (sentenza 1084/2014) relativamente alla fattispecie, di ristrutturazione abusiva, alla quale è applicabile la norma statale l’art. 33 del T.U. 308/2001, che in generale prevede la sanzione della rimessione in pristino (comma 1) e solo qualora essa non sia possibile “sulla base di motivato accertamento dell'ufficio tecnico comunale”, dispone che si applichi una sanzione pecuniaria, commisurata peraltro all’aumento di valore dell’immobile e non compresa entro un minimo e un massimo edittale (comma 2). Per quanto qui più da vicino interessa, la stessa norma prevede poi, al comma 3, che “Qualora le opere siano state eseguite su immobili, anche se non vincolati, compresi nelle zone omogenee A, di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, il dirigente o il responsabile dell'ufficio richiede all'amministrazione competente alla tutela dei beni culturali ed ambientali apposito parere vincolante circa la restituzione in pristino o la irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al precedente comma. Qualora il parere non venga reso entro novanta giorni dalla richiesta il dirigente o il responsabile provvede autonomamente”. La sentenza 1084/2014 ha chiarito che la possibilità di irrogare la sanzione pecuniaria rimane anche quando, come accaduto nella specie, la Soprintendenza, regolarmente richiesta del parere, non si sia pronunciata." Per saperne di piu vai al testo integrale della sentenza.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)


Pubblicato il 24/02/2017

N. 00890/2017REG.PROV.COLL.

N. 05771/2015 REG.RIC.

N. 01442/2016 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5771 del 2015, proposto dal signor *

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Sergio Siracusa, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove n. 21; 
il Municipio Roma 1 Centro, non costituito in giudizio; 

nei confronti di

La s.r.l.  *, in persona del legale rappresentante p.t., non costituito in giudizio; 



sul ricorso numero di registro generale 1442 del 2016, proposto dalla s.r.l. Dolce Vita, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Federico Tedeschini, Paola Conticiani e Riccardo Olivo, con domicilio eletto presso lo studio Federico Tedeschini in Roma, largo Messico, 7; 

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Sergio Siracusa, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove n. 21; 
il Municipio Roma 1 Centro, in persona del legale rappresentante p.t., non costituito in giudizio; 

per la riforma

quanto al ricorso n. 5771 del 2015:

della sentenza del TAR Lazio – Roma, sezione I quater 20 dicembre 2014, n. 13044, resa fra le parti, con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro la determinazione 28 luglio 2014, n. 3210, e prot. n. 107653, con il quale il Dirigente dell’Ufficio discipline edilizie presso il Municipio I Roma, Centro di Roma Capitale, ha ingiunto la rimessione in pristino di opere abusive ed ha applicato la relativa sanzione pecuniaria;

quanto al ricorso n. 1442 del 2016:

della sentenza del TAR Lazio – Roma, sezione I quater 17 dicembre 2015, n. 14217, resa fra le parti, con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro la determinazione 28 luglio 2014, n. 3210. e prot. n. 10765 di cui sopra;

 

 

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2017 il Cons. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti l’avvocato Bartolomeo Giordano, su delega dell’avvocato Adriana Boscagli, l’avvocato Paola Conticiani, per sé e in dichiarata delega dell’avvocato Federico Tedeschini, nonché l’avvocato Sergio Siracusa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

La ricorrente appellante nel ricorso n. 1442/2016 R.G. è proprietaria di un immobile situato nel centro di Roma -in piazza della *, numeri 23- 25/E e vicolo dei * numeri 11 - 11/A- e distinto al catasto al foglio * particella *, sul quale a suo tempo ha fatto eseguire opere ritenute abusive, e per tal motivo ha ricevuto un primo provvedimento, 23 novembre 2010, n. 2377 del Municipio Roma 1, con il quale le è stata ingiunta la rimessione in pristino; ha impugnato tale provvedimento avanti il TAR Lazio Roma, e ha visto in parte accogliere il ricorso con la sentenza sez. I quater 15 marzo 2012, n. 2526, la quale ha annullato il provvedimento stesso quanto alla contestazione di alcuni abusi, ritenendo però esistenti gli altri.

Ella ha allora proposto appello, e lo ha visto accogliere soltanto in parte con la sentenza C.d.S. sez. VI, 10 marzo 2014, n. 1084, che ha confermato la sentenza di primo grado quanto alla sussistenza degli abusi, ha annullato il provvedimento impugnato per mancanza di motivazione quanto alla scelta fra la sanzione della rimessione in pristino e la sola sanzione pecuniaria, facendo salvo ogni ulteriore provvedimento dell’amministrazione nel rispetto di tale criterio (fatti pacifici in causa; cfr. comunque il ricorso in appello nel procedimento n°1442/2016 e la motivazione delle due sentenze citate).

Con il dichiarato intento di eseguire la sentenza n. 1084/2014, il Municipio Roma I ha quindi emesso la determinazione 3210/2014 meglio indicata in epigrafe (doc. 7 ricorrente in fascicolo di I grado nel procedimento 1442/2016), in cui rileva che l’immobile si trova in zona omogenea A e che l’abuso è stato contestato il giorno 23 marzo 2009; ritiene quindi l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 16, comma 5, della l.r. Lazio 11 agosto 2008, n. 15, e quindi dispone in via congiunta sia la rimessione in pristino, sia l’irrogazione di una sanzione pecuniaria.

Contro tale ordinanza, sono stati proposti due ricorsi, decisi con due sentenze, impugnate in due distinti procedimenti di appello.

Il primo ricorso, proposto dall’originario direttore dei lavori, è stato respinto con la sentenza semplificata TAR Lazio Roma 13044/2014, che richiama sinteticamente un proprio precedente -TAR Lazio Roma sez. I quater 22 luglio 2014 n.7955- e ritiene l’applicabilità congiunta delle due misure.

Il direttore dei lavori ricorrente ha impugnato la sentenza 13044/2014 con l’appello n. 5771/2015, in cui ne chiede la riforma, con annullamento del provvedimento impugnato in primo grado; deduce in proposito:

- con un primo motivo, la violazione ovvero falsa applicazione degli art. 117 Costituzione, 33 comma 2 e 4 del T.U. 6 giugno 2001, n. 380, e 16 della citata l.r. Lazio 15/2008, nel senso che la normativa nazionale di principio, per cui la rimessione in pristino e la sanzione pecuniaria sarebbero misure alternative, osterebbe ad una disciplina regionale come quella descritta, che le applica invece in via congiunta. In proposito, egli chiede quindi al Collegio (ricorso, pp. 22 e ss.) di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16 citato, ove interpretato in tal senso. Aggiunge comunque che il cumulo delle due misure sarebbe altresì lesivo del giudicato formatosi sulla sentenza C.d.S. 1084/2014;

- con un secondo motivo, la violazione dell’art. 112 c.p.c. per non avere il TAR valutato gli ulteriori motivi di ricorso proposti in primo grado, che ripropone quindi in questa sede. 

Nell’ambito di tale secondo motivo, l’interessato deduce quindi:

- che la determinazione originariamente impugnata difetterebbe di motivazione sia per non avere spiegato in base a quali parametri ha liquidato la sanzione pecuniaria, sia per avere omesso gli accertamenti tecnici asseritamente necessari per valutare l’effettiva possibilità di rimettere in pristino;

- che la determinazione in parola avrebbe comunque errato nel ritenere abusive le opere di che trattasi, consistenti nell’ampliamento di tre bocche di lupo e nella realizzazione di una nuova finestra, di una scala interna, di una canna fumaria e di una tenda.

Nel procedimento 5771/2015, l’amministrazione ha resistito con memoria 6 dicembre 2016 ed ha chiesto che l’appello sia respinto; l’appellante *, con memoria del 9 dicembre e con replica del 23 dicembre 2016, ha ribadito le proprie asserite ragioni.

Il secondo ricorso, proposto dalla società proprietaria dell’immobile, è stato respinto con la sentenza semplificata TAR Lazio Roma 14217/2015, che pure ha ritenuto l’applicabilità congiunta delle due misure ed ha aggiunto che la sanzione pecuniaria è stata correttamente liquidata con riferimento ad una delibera di carattere generale, richiamata nella motivazione dell’atto impugnato.

La società proprietaria dell’immobile ha impugnato la sentenza 14217/2015 con l’appello n.1442/2016 e parimenti ne chiede la riforma, con annullamento del provvedimento impugnato in primo grado; deduce in proposito:

- con un primo motivo, la violazione ovvero falsa applicazione degli art. 117 Costituzione, 33 comma 2 e 4 del T.U. n.380/2001 e 16 della citata l.r. Lazio 15/2008, in termini sostanzialmente identici a quanto affermato nel primo motivo del ricorso 5771/2015;

- con il secondo motivo, anche qui la violazione dell’art. 112 c.p.c. per non avere il TAR valutato gli ulteriori motivi di ricorso proposti in primo grado, e in particolare quelli concernenti il difetto di motivazione sulla misura della sanzione pecuniaria, sulla descrizione delle opere da demolire e sulla possibilità tecnica della demolizione.

Nel procedimento 1442/2016, l’amministrazione ha resistito con memorie del 1° marzo 2015 e del 6 dicembre 2016, ed ha chiesto che l’appello sia respinto; l’appellante, con memoria del 12 dicembre 2016 ha ribadito le proprie asserite ragioni.

Con istanza del 1° aprile 2016 nel procedimento 5771/2015, la difesa del direttore dei lavori ha chiesto la riunione dei ricorsi per connessione impropria.

La Sezione, accolta con ordinanza 11 marzo 2016, n. 883, la domanda cautelare presentata nel procedimento 1442/2016, alla udienza del giorno 12 gennaio 2017 ha infine trattenuto i ricorsi in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente, i ricorsi vanno riuniti ai sensi dell’art. 70 c.p.a. perché proposti contro sentenze che hanno pronunciato sull’impugnazione del medesimo provvedimento amministrativo e prospettano le stesse questioni di fatto e di diritto: in tal senso, per tutte, C.d.S. sez. IV 7 gennaio 2013 n.22.

2. Nel merito, va poi esaminato il primo motivo di entrambi i ricorsi, che è formulato in modo identico ed è centrato, come detto in premesse, sull’impossibilità di disporre la sola rimessione in pristino dell’abuso, congiunta alla sanzione pecuniaria applicata nella specie. 

Ciò in generale, in base alla normativa statale, o per lo meno per effetto del giudicato intervenuto nel caso particolare.

Il motivo è fondato sotto questo secondo profilo, nei termini di seguito spiegati.

3. Per chiarezza, si riportano le norme di legge rilevanti. Così come ritenuto già nella sentenza 1084/2014 di questa Sezione, alla fattispecie, che riguarda in sintesi una ristrutturazione abusiva, è applicabile la norma statale l’art. 33 del T.U. 308/2001, che in generale prevede la sanzione della rimessione in pristino (comma 1) e solo qualora essa non sia possibile “sulla base di motivato accertamento dell'ufficio tecnico comunale”, dispone che si applichi una sanzione pecuniaria, commisurata peraltro all’aumento di valore dell’immobile e non compresa entro un minimo e un massimo edittale (comma 2). Per quanto qui più da vicino interessa, la stessa norma prevede poi, al comma 3, che “Qualora le opere siano state eseguite su immobili, anche se non vincolati, compresi nelle zone omogenee A, di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, il dirigente o il responsabile dell'ufficio richiede all'amministrazione competente alla tutela dei beni culturali ed ambientali apposito parere vincolante circa la restituzione in pristino o la irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al precedente comma. Qualora il parere non venga reso entro novanta giorni dalla richiesta il dirigente o il responsabile provvede autonomamente”. La sentenza 1084/2014 ha chiarito che la possibilità di irrogare la sanzione pecuniaria rimane anche quando, come accaduto nella specie, la Soprintendenza, regolarmente richiesta del parere, non si sia pronunciata.

4. Viene poi in questione l’art. 16 della l.r. 15/2008, che per lo stesso caso di ristrutturazione abusiva prevede al comma 5: “Qualora le opere siano state eseguite su immobili anche non vincolati compresi nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici del 2 aprile 1968… il dirigente o il responsabile della struttura comunale competente decide l'applicazione delle sanzioni previste al comma 4” previa acquisizione del parere della Soprintendenza di cui si è detto e “fermo restando quanto ivi stabilito nell'ipotesi di mancato rilascio dello stesso.” 

5. Le sanzioni di cui al richiamato comma 4 sono appunto “la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi” a cura e spese del responsabile e “una sanzione pecuniaria da 2 mila 500 euro a 25 mila euro”. La sanzione applicabile è quindi un sanzione ripristinatoria, congiunta ad una pecuniaria che però ha soltanto funzione afflittiva, perché non rappresenta in alcun modo, come invece previsto dall’art. 33, l’equivalente in danaro del vantaggio conseguito con l’abuso.

6. Nell’interpretazione fatta propria dalle sentenze di primo grado impugnate, la sanzione ripristinatoria e la sanzione pecuniaria afflittiva si applicano congiuntamente, e non c’è la possibilità che la demolizione sia evitata monetizzando, per così dire, l’abuso. Nello stesso senso è il precedente dello stesso Giudice richiamato nella motivazione della sentenza 13044/2014, la già ricordata sentenza 7955/2014. 

7. Tale orientamento, in termini generali, va condiviso, anzitutto perché conforme alla lettera delle norme sopra riportata: alla possibilità di monetizzazione l’art. 16 della l.r. 15/2008 non fa cenno alcuno. Esso è altresì conforme alla logica della normativa sulle zone A, che com’è noto sono i centri storici, e vengono in generale tutelate con maggiore intensità rispetto alle altre. Esemplificando, lo stesso D.M. 1444/1968 prevede per tali zone limiti di densità edilizia e di altezza più restrittivi che per le altre e si preoccupa di salvaguardarne l’assetto presente: non consente di modificare le distanze fra gli edifici esistenti, consente invece di non localizzarvi gli standard urbanistici minimi “per ragioni di rispetto ambientale e di salvaguardia delle caratteristiche, della conformazione e delle funzioni della zona stessa”. Non sarebbe allora illogica un’interpretazione per cui l’abuso va sempre eliminato.

8. Per le stesse ragioni, si ritiene manifestamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 16 l.r. 15/2008 proposta così come in premesse. 

E’ evidente infatti che non è incostituzionale una normativa di maggior tutela del “patrimonio storico” nazionale, tutelato dall’art. 9 Cost. In proposito, va richiamata, per identità di logica, la sentenza della Corte costituzionale 29 gennaio 2016, n. 11, per cui in linea di principio le scelte di politica regionale, anche legislativa, in materia di tutela del paesaggio prevalgono sulle altre. 

Nello stesso senso porta anche l’ordine di idee fatto proprio da Corte costituzionale 19 novembre 2015, n. 233, per cui è incostituzionale una legge regionale che escluda la sanzione ripristinatoria a favore di quella pecuniaria, in quanto ciò integra un “condono generalizzato”. 

Se ne desume a contrario che è legittima l’operazione opposta, di potenziare la sanzione del ripristino.

9. Tali conclusioni di ordine generale non valgono però nel caso particolare, in cui vale il giudicato formatosi sulla fattispecie con la sentenza 1084/2014, pronunciata -si noti- prima che si formasse l’orientamento giurisprudenziale sopra ricostruito. Tale giudicato afferma che l’amministrazione ha la scelta fra la sanzione demolitoria e quella pecuniaria, e che deve scegliere motivando fra l’una e l’altra: “Nel caso specifico d’immobili anche non vincolati situati nelle zone omogenee A, oggetto di ristrutturazioni non consentite, il legislatore ha perciò ritenuto che in ordine alla sanzione dev’essere prioritariamente ponderata la scelta tra quella della restituzione in pristino e quella pecuniaria… nella specie si deve ritenere, secondo la ratio propria della norma, che nel provvedimento sanzionatorio debba risultare comunque valutata l’ipotesi del ricorso alla sanzione pecuniaria”.

10. In tal modo, la sentenza – con una statuizione intangibile in questa sede - ha indicato le modalità attraverso le quali riesercitare in concreto il potere amministrativo e quindi ha dettato, per così dire, una regola non più contestabile, alla quale l’amministrazione dovrà attenersi.

11. Quanto sopra comporta che i secondi motivi di entrambi i ricorsi vanno dichiarati assorbiti nella parte in cui ripropongono la questione della necessità di motivare circa la misura della sanzione pecuniaria che si applicherà. Si tratta di questione, appunto, assorbita in quella più ampia della motivazione su tutta la risposta sanzionatoria da adottare.

12. Va invece dichiarato inammissibile il secondo motivo del ricorso 5771/2016, nella parte in cui ripropone la questione relativa alla sussistenza o no degli abusi contestati, che è coperta dallo stesso giudicato della sentenza 1084/2014; la motivazione relativa impone all’amministrazione la scelta di cui s’è detto “ferma l’avvenuta esecuzione di opere prive di titolo abilitativo, con la doverosa sottoposizione a sanzione” (§5).

13. In conclusione, in accoglimento degli appelli in esame, i ricorsi di primo grado vanno accolti e la determina 28 luglio 2014 va annullata.

In sede di emanazione degli atti ulteriori, l’amministrazione dovrà allora tenere per ferma l’esecuzione degli abusi ed esprimere una scelta motivata così come disposto dalla sentenza 1084/2014, ovvero scegliere motivatamente se applicare la misura della rimessione in pristino ovvero la sanzione pecuniaria commisurata all’incremento di valore dell’immobile.

14. La particolarità del caso deciso è giusto motivo per compensare per intero fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti come in epigrafe proposti (ricorsi n. 5771/2016 e n. 1442/2016 R.G.) li accoglie in parte e per conseguenza, ai sensi e per gli effetti di cui in motivazione, in riforma delle sentenze impugnate, annulla la determina 28 luglio 2014, n. 3210, e prot. n. 107653 del Dirigente dell’Ufficio discipline edilizie presso il Municipio 1 Roma Centro di Roma Capitale.

Compensa per intero fra le parti le spese dei due gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2017, con l'intervento dei magistrati:

 

 

Luigi Maruotti, Presidente

Bernhard Lageder, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere

Francesco Mele, Consigliere

Francesco Gambato Spisani, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
Francesco Gambato Spisani   Luigi Maruotti
     
     
     
     
     

IL SEGRETARIO

 

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