Friday 25 July 2014 11:23:53

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Abusi edilizi: l'omessa indicazione nell'ordinanza di demolizione dell’effetto acquisitivo e della descrizione dell’area da acquisire non è causa di illegittimità dello stesso

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 7.7.2014

Nel giudizio in esame la Quinta Sezione del Consiglio di Stato rileva come la circostanza che l’ordine di demolizione non contenesse l’indicazione dell’effetto acquisitivo e non descrivesse l’area da acquisire non è causa di illegittimità dello stesso. Precisato che, quanto all’effetto acquisitivo, esso costituisce una conseguenza fissata direttamente dalla legge, senza la necessità dell’esercizio di alcun potere (valutativo) a parte dell’autorità eccetto quello del mero accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi, deve rilevarsi, quanto alla pretesa necessità dell’indicazione dell’area da acquisire, che è jus receptum che il provvedimento con cui si ingiunge al responsabile della costruzione abusiva di provvedere alla sua distruzione nel termine di 90 giorni (nel vigore della legge n. 47 del 19985, vigente ratione temporis), non deve necessariamente contenere l'esatta indicazione dell'area di sedime che verrà acquisita gratuitamente al patrimonio del Comune in caso di inerzia, atteso che il provvedimento di ingiunzione di demolizione (i cui requisiti essenziali sono l'accertata esecuzione di opere abusive ed il conseguente ordine di demolizione) è distinto dal successivo ed eventuale provvedimento di acquisizione, nel quale, invece, è necessario che sia puntualmente specificata la portata delle sanzioni irrogate (Cons. Stato, sez. IV, 26 settembre 2008, n. 4659; sez. VI, 8 aprile 2004, n. 1998; 26 gennaio 2000, n. 341). Gli stessi appellanti del resto riconoscono sotto tale ultimo profilo la infondatezza del loro stesso motivo, ammettendo che solo con l’art. 31 del D.P.R N. 380 del 2001 è stato introdotta la necessità della esatta identificazione dell’area da acquisire già nel provvedimento di demolizione. Quanto infine all’ultimo motivo di censura, con cui gli appellanti hanno lamentato la contraddittorietà della motivazione dei primi giudici per aver riconosciuto legittimo il provvedimento impugnato anche sotto il profilo della determinazione quantitativa dell’area di pertinenza oggetto di acquisizione (e ciò malgrado gli stessi giudici avessero dichiarato di non condividere le tesi difensive poste dall’amministrazione intimata a confutazione delle censure sollevate in primo grado), va osservato che il terzo comma dell’art. 7 della legge n. 47 del 1985 espressamente dispone che “Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”. Poiché nel caso di specie è pacifico che la superficie di cui è stata disposta l’acquisizione gratuita rispetto i limiti stabiliti dalla predetta normativa, nessuna censura può essere fondatamente mossa in tal senso al provvedimento impugnato, non potendosi accedere alle tesi degli appellanti circa la pretesa destinazione agricola dell’area, stante invece il vincolo di inedificabilità assoluta gravante su di essa per effetto delle nuove previsioni urbanistiche di cui alla ricordata variante generale al piano regolatore generale, adottata con deliberazione di consiglio comunale n. 62 del 2 ottobre 1996 e, modificata a seguito delle osservazioni accolte con la successiva deliberazione consiliare n. 14 del 10 marzo 1997.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale *del 2003, proposto dai signori*, rappresentati e difesi dagli avvocati Ugo Ferrari e Ercole Romano, con domicilio eletto presso l’avvocato Ugo Ferrari in Roma, via Pietro Antonio Micheli, n. 78; 

contro

COMUNE DI MANDELLO DEL LARIO, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Fabio Lorenzoni e Fortunato Pagano, con domicilio eletto presso l’avvocato Fabio Lorenzoni in Roma, via del Viminale, n. 43; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO, Sez. II, n. 3249 del 30 luglio 2002, resa tra le parti, concernente una ingiunzione di demolizione e l’acquisizione coattiva delle opere abusive;

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 maggio 2014 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le parti gli avvocati Ercole Romano e Fabio Lorenzoni;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

 

 

FATTO

1. All’esito di apposito sopralluogo espletato da tecnici dell’ufficio comunale e dal Comandante dei Vigili, in data 10 luglio 1997 veniva accertata la realizzazione in assenza di concessione, sul terreno sito nella frazione Somana del Comune di Mandello del Lario, mapp. 418, di proprietà del signor*e da questi dato in locazione al sig.* di due tettoie aventi le seguenti caratteristiche: manufatto dalle dimensioni di mt. 10 x 20 con altezza ai lati di mt. 2.50 ed in colmo di mt. 3.95, con struttura portante in pilastri di ferro quadro 12x12, ancorato su dadi di fondazione in cemento e copertura in lamiera grecata; manufatto delle dimensioni di mt. 5x10.20 con altezza ai lati di mt. 2.50 ed in colmo di mt. 3.50, con struttura portante in pilastri di ferro quadro e rettangolare e copertura con pannelli isolanti e predisposta per la chiusura perimetrale.

Per effetto di tale accertamento (ed in considerazione, per un verso, che la zona in cui insistevano tali opere era soggetta, ai sensi dell’art. 68 delle N.T.A. dell’adottata variante generale al piano regolatore generale, a vincolo protettivo ambientale di intangibilità assoluta con divieto di ogni alterazione dello stato ambientale, essendo ammessi interventi per la realizzazione di attrezzature sportive, ricettive per lo svago e di infrastrutturazione solo ed esclusivamente per intervento diretto dell’amministrazione provinciale, e, per altro verso, che l’area interessata dall’intervento ricadeva in base al P.R.G. approvato in zona omogenea G, zona per servizi ed attrezzature pubbliche di interesse generale; in base alla adottata variante generale in area destinata a parco pubblico – Valle del Meria e in zona soggetta a vincolo ambientale, apposto ai sensi dell’art. 1 ter della legge 8 agosto 1985, n. 431), con ordinanza n. 60 del 16 luglio 1997, il Sindaco del predetto Comune di Mandello del Lario ingiungeva ai signori Ottilio Grassi, in qualità di proprietario, *, in qualità di conduttore del fondo, la demolizione delle predette opere abusive ed il ripristino della situazione preesistente entro novanta giorni dalla notificazione del provvedimento.

Gli interessati chiedevano al Tribunale amministrativo regionale della Lombardia l’annullamento di tale ordinanza, lamentandone l’illegittimità per “eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti e conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della L. n. 47/85” e per “violazione dell’art. 7 della l. 241/90”.

Secondo i ricorrenti infatti le opere realizzate erano da considerarsi precarie e rimuovibili in qualsiasi momento, così che, per un verso, esse non necessitavano di concessione edilizia, e, per altro verso, esse non contrastavano con il vincolo di destinazione pubblica impresso all’area, potendo essere mantenute fino all’effettivo avvio della realizzazione dei previsti scopi pubblici; inoltre il provvedimento impugnato non era stato preceduto dalla necessaria comunicazione di avvio del procedimento.

Resisteva al ricorso l’intimata amministrazione, chiedendone il rigetto.

Il ricorso veniva iscritto al NRG. 5555 dell’anno 1997.

2. Rimasta inottemperata l’ingiunzione di demolizione e riduzione in pristino, il Sindaco del Comune di Mandello del Lario con ordinanza n. 102 del 2 febbraio 1998 disponeva l’acquisizione coattiva delle opere abusive e della connessa area di pertinenza per mq. 2.150.

I signori * nelle rispettive qualità in precedenza indicate, impugnavano con due separati ricorsi (rispettivamente NRG. 1079 e NRG. 1081 del 1998) anche la ulteriore ordinanza, chiedendone l’annullamento al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia per violazione dell’art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, sotto il profilo del difetto dei presupposti, carenza di motivazione e pretesa incompetenza.

Anche in tali giudizi si costituiva in giudizio l’intimata amministrazione comunale, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza degli avversi ricorsi ed insistendo per il loro rigetto.

3. L’adito tribunale, sez. II, con la sentenza n. 3249 del 30 luglio 2002, riuniti i ricorsi, respingeva il primo (NRG. 5555 del 1997) e dichiarava in parte inammissibili ed infondati quelli iscritti al NRG. 1079 e 1081 dell’anno 1998.

In particolare, quanto al primo ricorso il tribunale negava che le opere abusivamente realizzate potessero considerarsi precarie e temporanee, trattandosi per contro di impianti idonei ad alterare lo stato dei luoghi, anche in ragione delle dimensioni e della funzione cui erano stati destinati (riparo degli animali allevati dal signori Livio Scurria), con conseguente necessità della concessione, escludendo altresì che fosse necessaria la comunicazione di avvio del procedimento, tanto più che il provvedimento impugnato costituiva diretta conseguenza del rigetto dell’istanza di concessione edilizia presentata dagli interessati per le stesse opere, assolvendo così anche la funzione di avviso dell’avvio del procedimento repressivo degli abusi.

Quanto agli altri due ricorsi, ritenute inammissibili le censure concernenti la esatta qualificazione dell’intervento abusivo, la sufficienza dell’autorizzazione edilizia in luogo della concessione e l’asserita estraneità del conduttore rispetto alla realizzazione dell’abuso, il tribunale riteneva infondata sia la censura di incompetenza dell’autorità comunale (in luogo di quella regionale in ragione del vincolo esistente sull’area) a disporre l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area, sia quella concernente l’estensione dell’rea acquisita al patrimonio comunale (c.d. pertinenza urbanistica).

4. Gli interessati hanno proposto appello avverso tale sentenza, chiedendone la riforma alla stregua di quattro motivi di gravame, attraverso cui hanno lamentato:

a) l’erroneo rigetto della censura di violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, di cui al secondo motivo del ricorso NRG. 5555/97);

b) la non necessità nel caso di specie della concessione edilizia per la realizzazione delle opere in questione, stante il loro carattere temporaneo e precario, essendo sufficiente la mera autorizzazione anche in ragione dell’attività aziendale di tipo agricola svolta;

c) la mancata indicazione nel provvedimento di immissione in possesso (ricorso NRG. 1079/1998) della consistenza dell’area da acquisire;

d) la altrettanto erronea determinazione della c.d. pertinenza urbanistica, non potendo condividersi il criterio di calcolo rapportato alle zone inedificabili (pari a 10 volte la superficie utile abusivamente acquisita), tanto più che non solo gli stessi giudici avevano ritenuto di non condividere sul punto l’avviso della difesa del comune, per quanto sotto il profilo urbanistico, al momento della realizzazione delle opere, la zona non era neppure caratterizzata da vincoli di inedificabilità, né con riferimento allo strumento urbanistico vigente, né con riferimento a quello adottato ed in corso di approvazione.

Anche nel giudizio di appello il Comune di Mandello del Lario si è costituito in giudizio, concludendo per il rigetto del gravame e per la conferma della sentenza impugnata.

Nell’imminenza dell’udienza di trattazione, l’amministrazione appellata ha illustrando con apposita memoria le proprie tesi difensive.

5. All’udienza pubblica del 14 maggio 2014, dopo la rituale discussione, la causa è stata introitata per la decisione.

DIRITTO

6. L’appello è infondato.

6.1. Innanzitutto non sussiste il dedotto vizio di violazione dell’articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, per la mancata comunicazione di avvio del procedimento in relazione all’ordinanza di demolizione delle opere abusive realizzate.

Secondo un ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale, l’ordine di demolizione conseguente all’accertamento della natura abusiva delle opere realizzate, come tutti i provvedimenti sanzionatori edilizi, è un atto dovuto: l’ordinanza va emanata senza indugio e, in quanto tale, non deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di una misura sanzionatoria per l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche, secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato, che si ricollega ad un preciso presupposto di fatto, cioè l’abuso, di cui peraltro l’interessato non può non essere a conoscenza, rientrando direttamente nella sua sfera di controllo (tra le più recenti, Cons. stato, sez. IV, 28 aprile 2014, n. 2194; 26 agosto 2008, n. 4659).

6.2. Non può poi ragionevolmente dubitarsi della necessità della concessione edilizia per la realizzazione delle opere di cui si discute, trattandosi non già di meri impianti precari e provvisori, come dedotto dagli appellante, bensì di due tettorie (per il riparo degli animali allevati dal signor Livio Scurria) di notevoli dimensioni (una di circa 200 metri quadrati, con struttura portante in pilastri di ferro quadro 12x12, ancorati su dati di fondazione in cemento e copertura in lamiera; l’altra di oltre cinquanta metri quadrati, con struttura portante in pilastri di ferro quadro e rettangolare e copertura in pannelli isolanti e predisposta per la chiusura perimetrale; entrambe con altezza ai lati di metri 2,50 e d in colmo di metri 3,50), saldamente ancorate nel terreno e dunque neppure facilmente rimobivili.

Per dimensioni e funzioni esse integrano sicuramente una trasformazione urbanistico – edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, il che esclude la possibilità del ricorso alla mera autorizzazione edilizia, come sostenuto dagli appellanti.

Deve aggiungersi poi che, come risulta dalla documentazione in atti, l’area interessata agli interventi abusivi in questione - in base alla variante generale al piano regolatore generale adottata con deliberazione di consiglio comunale n. 62 del 2 ottobre 1996, modificata a seguito delle osservazioni accolte con la successiva deliberazione consiliare n. 14 del 10 marzo 1997 - era “soggetta a vincolo protettivo ambientale di intangibilità assoluta con divieto di ogni alterazione dello stato ambientale”, che precludeva quindi qualsiasi attività edilizia (fatti espressamente salvi, per i soli edifici esistenti alla data di adozione del P.R.G., il restauro statico e conservativo a condizione che fossero rimasti immutati i volumi, i prospetti, la sagoma e le strutture murarie esterne, nonché le destinazioni d’uso e le superfici delle singole unità abitative); peraltro, anche a voler prescindere dal fatto che non è stato neppure provato che le opere abusive accertate fossero state realizzate prima dell’adozione della predetta variante, in nessun caso le stesse avrebbero potuto essere oggetto di una concessione sanatoria, proprio per la ricordata successiva previsione urbanistica che precludeva qualsiasi opera.

Sotto altro profilo, le considerazioni svolte escludono la sussistenza del preteso vizio di violazione dell’art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, per la dedotta erronea applicazione della sanzione ivi prevista in relazione all’altrettanto pretesa erroneità della necessità della concessione edilizia,

6.3. Diversamente da quanto sostenuto dagli appellanti con il terzo motivo di gravame, la circostanza che l’ordine di demolizione non contenesse l’indicazione dell’effetto acquisitivo e non descrivesse l’area da acquisire non è causa di illegittimità dello stesso.

Precisato che, quanto all’effetto acquisitivo, esso costituisce una conseguenza fissata direttamente dalla legge, senza la necessità dell’esercizio di alcun potere (valutativo) a parte dell’autorità eccetto quello del mero accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi, deve rilevarsi, quanto alla pretesa necessità dell’indicazione dell’area da acquisire, che è jus receptum che il provvedimento con cui si ingiunge al responsabile della costruzione abusiva di provvedere alla sua distruzione nel termine di 90 giorni (nel vigore della legge n. 47 del 19985, vigente ratione temporis), non deve necessariamente contenere l'esatta indicazione dell'area di sedime che verrà acquisita gratuitamente al patrimonio del Comune in caso di inerzia, atteso che il provvedimento di ingiunzione di demolizione (i cui requisiti essenziali sono l'accertata esecuzione di opere abusive ed il conseguente ordine di demolizione) è distinto dal successivo ed eventuale provvedimento di acquisizione, nel quale, invece, è necessario che sia puntualmente specificata la portata delle sanzioni irrogate (Cons. Stato, sez. IV, 26 settembre 2008, n. 4659; sez. VI, 8 aprile 2004, n. 1998; 26 gennaio 2000, n. 341).

Gli stessi appellanti del resto riconoscono sotto tale ultimo profilo la infondatezza del loro stesso motivo, ammettendo che solo con l’art. 31 del D.P.R N. 380 del 2001 è stato introdotta la necessità della esatta identificazione dell’area da acquisire già nel provvedimento di demolizione.

6.4. Quanto infine all’ultimo motivo di censura, con cui gli appellanti hanno lamentato la contraddittorietà della motivazione dei primi giudici per aver riconosciuto legittimo il provvedimento impugnato anche sotto il profilo della determinazione quantitativa dell’area di pertinenza oggetto di acquisizione (e ciò malgrado gli stessi giudici avessero dichiarato di non condividere le tesi difensive poste dall’amministrazione intimata a confutazione delle censure sollevate in primo grado), va osservato che il terzo comma dell’art. 7 della legge n. 47 del 1985 espressamente dispone che “Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”.

Poiché nel caso di specie è pacifico che la superficie di cui è stata disposta l’acquisizione gratuita rispetto i limiti stabiliti dalla predetta normativa, nessuna censura può essere fondatamente mossa in tal senso al provvedimento impugnato, non potendosi accedere alle tesi degli appellanti circa la pretesa destinazione agricola dell’area, stante invece il vincolo di inedificabilità assoluta gravante su di essa per effetto delle nuove previsioni urbanistiche di cui alla ricordata variante generale al piano regolatore generale, adottata con deliberazione di consiglio comunale n. 62 del 2 ottobre 1996 e, modificata a seguito delle osservazioni accolte con la successiva deliberazione consiliare n. 14 del 10 marzo 1997.

7. In conclusione l’appello deve essere respinto.

Le spese del secondo grado del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello n.. 8691 del 2003 proposto dai signori Livio Scurria e Ottilio Grassi avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sez. II, n. 3249 del 30 luglio 2002, lo respinge.

Condanna gli appellanti, in solido tra di loro, al pagamento in favore del Comune di Mandello del Lario delle spese del presente grado di giudizio, che liquida complessivamente in €. 5.000,00 (cinquemila), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Luigi Maruotti, Presidente

Carlo Saltelli, Consigliere, Estensore

Fabio Franconiero, Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Raffaele Prosperi, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 07/07/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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