Tuesday 13 May 2014 20:35:36

Giurisprudenza  Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza

Società in house: il Consiglio di Stato conferma l’obbligo di “operare con gli enti partecipanti o affidanti” e la preclusione a “svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara. Il caso della Biennale di Venezia

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 8.5.2014

La vicenda oggetto di contenzioso verte sulla legittimità della procedura di gara indetta dalla fondazione La Biennale di Venezia con bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea (GUCE) n. 895 del 19 maggio 2012 (affidamento del servizio integrato di pulizia e presidio alle toilettes, per le manifestazioni organizzate nel biennio 2012/2013). Con sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sez. I, n. 646/13 del 3 maggio 2013 veniva accolto il ricorso, proposto dalle società Iniziative Venete soc. coop. ed Eco. Cel. s.r.l., avverso l’affidamento dell’appalto per le manifestazioni organizzate dalla Fondazione La Biennale di Venezia nel biennio 2012 – 2013, aggiudicato al raggruppamento temporaneo fra la Veritas s.p.a. e la Open Service s.r.l.. Nella citata sentenza si attribuiva carattere prioritario ed assorbente alla censura di violazione dell’art. 83, comma 4, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 per avere la commissione esaminatrice formulato sub-criteri di valutazione dopo l’apertura delle buste contenenti le offerte tecniche, come risutante dai verbali nn. 3 e 4 del 17 luglio 2012. Avverso detta pronuncia proponevano appello (n. 5046/13, notificato il 17 giugno 2013) le stesse società Cooperativa Iniziative Venete ed Eco Cel s.r.l. Il Consiglio di Stato ha ritenuto fondata ed assorbente la censura di violazione dell’art. 13 (Norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali e locali e a tutela della concorrenza) del d.-l. 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248. Non è contestato, infatti, che la società Veritas sia una società pubblica in house, costituita ai sensi dell’art. 113 (sulle forme di gestione dei servizi pubblici locali) del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), integralmente partecipata da diversi comuni della regione Veneto, tra cui Venezia (dove ha sede la Fondazione La Biennale), nonché affidataria diretta di servizi, analoghi a quelli attualmente in esame a favore dei propri soci. L’oggetto sociale della stessa, a norma dell’art. 2 del relativo statuto, concerne attività relative a servizi pubblici locali, con obbligo di realizzare e gestire la parte prevalente della propria attività con gli enti locali associati. Per società di tal genere il citato art. 13, comma 1 (come modificato prima dall’art. 18, comma 4-septies, d.-l.. 29 novembre 2008, n. 185, aggiunto dalla relativa legge di conversione 28 gennaio 2009, n. 2; e poi dall’art. 48, comma 1, l. 23 luglio 2009, n. 99), del d.-l. n. 223 del 2006 impone l’obbligo di “operare con gli enti partecipanti o affidanti” e la preclusione a “svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara”. Attraverso le predette limitazioni la norma intende evitare – in conformità ai principi comunitari – la distorsione della concorrenza che si determinerebbe in caso di partecipazione alle gare, indette da altri soggetti pubblici o privati, di soggetti già affidatari diretti di servizi pubblici locali, che non entrerebbero nel mercato “ad armi pari”, rispetto ad altri comuni operatori del settore. Le appellate tuttavia (tra cui la Veritas s.p.a.), sottolineano che la preclusione normativa non si estende, esplicitamente, ai servizi pubblici locali (da intendere – ai sensi dell’art. 112 del d.lgs. n. 267 del 2000 - quali “servizi pubblici che abbiano per oggetto produzioni di beni ed attività, rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”). Secondo le medesime parti appellate, inoltre, gli enti locali, in quanto enti a fini generali, potrebbero autonomamente decidere quali attività di produzione di beni e di servizi possano assumersi come doverose, purché genericamente rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile della comunità locale di riferimento (cfr. Cons. Stato, VI, 22 novembre 2013, n. 5532; Cons. St., sez. V, 20 dicembre 2013, n. 6131). Di tale natura sarebbe il servizio oggetto di gara nel caso di specie, che risulterebbe, pertanto, escluso dal divieto di partecipazione alla gara di cui trattasi. Il Collegio non condivide tale prospettazione. Il ricordato art. 13 del d.-l. n. 223 del 2006, infatti, è previsione di complessa formulazione, il cui contenuto precettivo va rilevato anche sotto il profilo dell’adeguatezza costituzionale e comunitaria. La disposizione esordisce, al comma 1, enunciando la finalità “di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale”: ragione fondante della norma è dunque quella non di limitare la concorrenza, ma di regolarla preventivamente, per evitare che nel mercato si creino – squilibrando a priori le corrette condizioni competitive – surrettizie posizioni di giuridico privilegio delle società pubbliche rispetto a quelle private. L’art.13, comma 2, del più volte citato d.l. n. 223 del 2005 dispone, a sua volta, che: “Le società di cui al comma 1 sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in violazione delle regole di cui al comma 1.” La normativa in esame, dunque, introduce una preclusione generale a carico di tutte le società in house (che esercitino o meno un servizio pubblico locale) a partecipare a gare indette da terzi, per assicurare il corretto funzionamento del mercato nella nevralgica fase concorrenziale, a protezione dei principi di libera concorrenza, di par condicio e di libertà dell’iniziativa economica (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 giugno 2012, n. 3668 e 3 giugno 2013, n. 3022, che estende il divieto alle c.d. società di «terzo grado» o di «terza generazione», cioè partecipate dalle partecipate). Le società partecipate da enti locali a capitale pubblico o misto, per produrre servizi strumentali all’attività di quegli enti, debbono quindi operare solo con gli enti costituenti o partecipanti, senza svolgere prestazioni per altri soggetti pubblici o privati, né con gara né per affidamento diretto, con esclusione dei servizi pubblici locali per i quali sono state costituite. I predetti servizi potrebbero, di conseguenza, essere svolti anche a favore di soggetti diversi da quelli “costituenti, partecipanti o affidanti”, sempre però che si tratti di soggetti erogatori degli stessi, quali sono, appunto, i Comuni, ma non anche – come più avanti meglio chiarito – la Fondazione Biennale di Venezia (cfr. Cons. Stato, IV, 15 marzo 2008, n. 946; V, 7 luglio 2009, n. 4346, 5 marzo 2010, n. 1282, 10 settembre 2010, n. 6527, 1 aprile 2011, n. 2012). Debbono essere prioritariamente considerati, pertanto, gli scopi per cui le cosiddette società in house vengono costituite, ovvero per compiere a favore dell’ente socio, con affidamento diretto, attività strumentali a quelle di spettanza dell’ente stesso, che viene in tal modo ad avvalersi per tali attività di propri organismi, senza necessità di ricorrere al mercato concorrenziale (Corte di Giustizia, 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal e 11 gennaio 2005, C-26/03, Stadt Halle). Viene quindi compiuta da tali società, sostanzialmente, un’attività amministrativa in forma privatistica, da non confondere con l’attività di impresa svolta da enti pubblici, in regime di concorrenza: si pone solo nel primo caso infatti l’esigenza di non consentire che un soggetto – in posizione giuridica tale da godere delle prerogative proprie di una pubblica amministrazione – possa svolgere al tempo stesso attività imprenditoriale (cfr. Corte cost., 1 agosto 2008, n. 326 e Cons. Stato, Ad. plen., 4 agosto 2011, n. 17). Si deve aggiungere che, nel rispetto al principio di legalità, solo una norma primaria può identificare un’attività come servizio pubblico locale: Cons. giust. am. sic., 6 ottobre 2010, n. 1266; Cons. Stato, VI, 5 aprile 2012, n. 2021; 13 settembre 2012, n. 4870, secondo cui “per identificare giuridicamente un servizio pubblico, non è indispensabile, a livello soggettivo, la natura pubblica del gestore, mentre è necessaria la vigenza di una previsione legislativa che, alternativamente, ne preveda l’istituzione e la relativa disciplina, oppure che ne rimetta l’istituzione e l’organizzazione all’Amministrazione”. Sono del resto evidenti i pericoli di abuso e di disparità territoriale cui una diversa opinione potrebbe dar luogo, in spregio non solo al principio di legalità, ma anche ai principi di eguaglianza e di parità di trattamento, come prescritti e intesi anche livello comunitario. Nella situazione in esame vengono in evidenza due circostanze: la società Veritas era interamente partecipata da enti pubblici locali ed il servizio oggetto di gara era richiesto dalla Fondazione Biennale di Venezia, così denominata a norma dell’art. 1 del d.lgs. 8 gennaio 2004, n. 1 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 29 gennaio 1998, n. 19 concernente "La Biennale di Venezia", ai sensi dell'articolo 1 della legge 6 luglio 2002, n. 137). Detta norma, riformando il precedente ente autonomo, ha testualmente attribuito allo stesso (art. 2) “personalità giuridica di diritto privato”, ma con gestione finanziaria sottoposta – data l’importanza delle funzioni espositive assegnate (afferenti ad una tra le principali rassegne internazionali d’arte contemporanea) – al controllo della Corte dei Conti (art. 16), con prevalenza nel consiglio di amministrazione – nominato dal Ministro per i beni e le attività culturali – di esponenti del Comune di Venezia e della Provincia di Venezia, nonché della Regione Veneto (art. 9). Dal punto di vista soggettivo, la Fondazione può dunque qualificarsi come organismo di diritto pubblico, ovvero come amministrazione aggiudicatrice - ai sensi dell’art. 3, commi 25 e 26, del d.lgs. n. 163 del 2006 – tenuto conto della ricorrenza in essa dei requisiti al riguardo comunemente richiesti (a partire dalla sentenza Corte di Giustizia, 10 novembre 1998, C-360/96), e così sintetizzabili: I) finalità di interesse generale, a carattere non industriale o commerciale, II) personalità giuridica, III) attività finanziata in via maggioritaria dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, “oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri, dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico” (sul carattere cumulativo di detti requisiti, salvo il carattere alternativo di quelli di cui al punto III, Cass., SS.UU. 7 aprile 2010, n. 8225). La medesima Fondazione, in ogni caso, non è dalla legge che la regola (e che ne stabilisce gli specifici scopi: art. 3 d.lgs. n. 19 del 1998, come mod. dall’art. 3 d.lgs. n. 1 del 2004) legittimata allo svolgimento di attività di servizio pubblico locale. Essa peraltro può, in base al criterio della strumentalità, fornire al pubblico altri servizi, purché complementari agli eventi culturali che organizza e solo per la più agevole fruizione di questi ultimi (non, quindi, come servizi destinati alla utilizzazione pubblica territoriale). Nell’ottica sopra indicata deve inquadrarsi il servizio di pulizia e attività connesse, che è oggetto del presente giudizio. Per la scelta dei soggetti cui affidare dette attività complementari, la rammentata natura dell’ente quale organismo di diritto pubblico imponeva di ricorrere, nel caso di specie, a procedure ad evidenza pubblica, a norma del citato d.lgs. n. 163 del 2006 e da tale procedura, in base alla disposizione legislativa ed ai principi in precedenza richiamati, erano escluse la società in house di altre amministrazioni pubbliche. Non appaiono idonee a confutare tale conclusione le controdeduzioni di Veritas s.p.a.. Quest’ultima sottolinea sia il carattere di servizio pubblico locale delle prestazioni richieste per la gara di appalto in esame (in quanto destinate alla collettività degli utenti), sia la propria abilitazione a svolgere (oltre all’attività propriamente in house) anche attività di diritto comune a beneficio di terzi privati, in regime di concorrenza, con conseguente assenza – a detta della stessa – del carattere di società ad “oggetto sociale esclusivo” , come prescritto dall’art. 13, comma 2, per le società di cui al comma 1 della normativa in esame. Si deve ribadire tuttavia, sotto il primo profilo, che non si tratta nella specie di un servizio pubblico locale: detto servizio è infatti rivolto a una platea indifferenziata di fruitori, per il soddisfacimento di bisogni diretti della collettività rimessi alla cura del relativo ente esponenziale, mentre diverse – e propriamente culturali – sono le finalità perseguite dalla Fondazione Biennale di Venezia. Solo in funzione delle proprie finalità istituzionali – e con le modalità prescritte per gli organismi di diritto pubblico – detta Fondazione può organizzare servizi accessori e strumentali (come quello di pulizia e connessi) rispetto alle esposizioni programmate, come avvenuto nel caso di specie. Quanto all’“oggetto sociale esclusivo”, non risulta smentito che Veritas sia una società a capitale interamente pubblico, costituito da diversi comuni veneti, né che la stessa sia affidataria diretta di servizi pubblici, dal contenuto analogo a quello oggetto della gara in esame, a favore degli enti locali soci, con allegazione dell’effettività di tali servizi per comprovare la relativa, contestata capacità economico-finanziaria. La previsione statutaria, concernente la possibilità di fornire servizi anche a soggetti privati (non tenuti ad applicare le procedure ad evidenza pubblica), non appare circostanza sufficiente ed idonea ad escludere l’applicazione dell’art. 13, comma 1, del d.l. n. 223 del 2006, la cui ratio è stata in precedenza illustrata. Trattandosi di valutare un requisito di capacità piuttosto che di oggetto sociale, infatti, va rammentato che non è lo statuto a stabilire la latitudine della legittimazione alle gare pubbliche di una persona giuridica, ma la sua effettiva configurazione correlata alle previsioni di legge. La disposizione dell’art. 13, comma 2, secondo cui le società non ammesse alle gare sono quelle che hanno “oggetto sociale esclusivo”, non significa che le società multiutilities siano automaticamente escluse dal divieto in questione [e che dunque siano legittimate a partecipare a gare indette da terze amministrazioni]; la locuzione va infatti riferita non alle attività nominalmente enunciate nell’oggetto sociale, ma all’effettivo rapporto instaurato con gli enti locali di riferimento: tale rapporto, se esclusivo, viene oggettivamente a ridurre l’ambito delle attività e non consente proiezioni extra ambito; anche le società di tal tipo, se integralmente partecipate da enti locali, essendo qualificabili come società strumentali, debbono rivolgere la propria attività in via esclusiva a favore di tali enti, tenuto conto delle ragioni che hanno indotto ad escludere dalle procedure ad evidenza pubblica le società, che possano considerarsi una derivazione, o una longa manus, dell’ente o degli enti pubblici controllanti, dato il rapporto di strumentalità fra le attività delle imprese in questione e le esigenze di interesse generale che detti enti sono tenuti a soddisfare (Cons. St. sez. V, 3 giugno 2013, n. 3022 cit). E’ vero che, in alcuni casi, è stata giustificata la partecipazione a procedure di gara di imprese che fornivano anche servizi ad enti locali, partecipanti all’assetto societario: ma – occorre osservare - con prioritario riferimento a società a partecipazione mista, che avevano in qualche modo differenziato l’attività svolta per le amministrazioni partecipanti da quella strettamente imprenditoriale (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. n. 17 del 2011 cit.; V, 7 luglio 2009, n. 4346), restando precluso l’accesso all’affidamento diretto di società che non presentassero tutti i requisiti della situazione in house, sotto il profilo sia dell’assetto proprietario che dei controlli (Cons. Stato, Ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1). Non può quindi ritenersi configurabile, riguardo a una medesima società, la contemporanea sussistenza della legittimazione a ricevere l’affidamento diretto di servizi pubblici e della legittimazione ad agire in ambito concorrenziale, con i particolari vantaggi derivanti da detto affidamento e conseguente elusione dei principi di effettività della concorrenza tutelati dalla normativa in esame (normativa finalizzata, come già ricordato, ad evitare alterazioni o distorsioni del mercato, nonché ad assicurare la parità degli operatori sul territorio nazionale). Deve ritenersi, pertanto, che la preclusione imposta dall’art. 13, comma 1 della norma in esame sussistesse nel caso di specie, avendo il secondo comma della stessa carattere ulteriormente prescrittivo, indirizzato a porre in termini alternativi la possibilità delle società costituite dagli enti locali di ottenere affidamenti diretti, o di avere oggetto sociale non esclusivo. Ad avviso del Collegio, in altre parole, quando sia di fatto riscontrabile la presenza di affidamenti diretti – tali da porre le società interessate in condizioni di non parità con altri operatori del settore, nei termini in precedenza evidenziati – l’eventuale non esclusività dell’oggetto sociale, ove delineata nello statuto, recede e deve essere disattesa rispetto alla limitazione legale di legittimazione in precedenza indicata: diversamente opinando, le società in house potrebbero facilmente aggirare ogni restrizione imposta, con vanificazione delle regole dettate a tutela della concorrenza. Anche per quanto concerne il profilo oggettivo, poi, non solo mancava una norma primaria, che prevedesse il servizio pubblico locale in questione, ma la stessa rammentata limitazione delle finalità della Fondazione precludeva alla stessa di svolgere un’attività di servizio pubblico locale. Nel caso di specie, conclusivamente, il Collegio ritiene che non sussistessero le condizioni di partecipazione alla gara della società Veritas. L’accoglimento della censura di violazione dell’art. 13, comma 1, del d.l. n. 223 del 2006 riveste, con evidenza, carattere assorbente, poiché il rispetto della norma avrebbe imposto l’esclusione dalla gara del Raggruppamento Veritas s.p.a.-Open Service s.r.l., per ragioni attinenti alla legittimazione della mandante Veritas a presentare domanda di partecipazione. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale * del 2013, proposto da

Iniziative Venete soc. coop ed Eco Cel s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti, rappresentate e difese dagli avvocati Giuliano Marchi e Michela Reggio D'Aci, con domicilio eletto presso la seconda in Roma, via degli Scipioni, 288;

 

contro

Fondazione La Biennale di Venezia, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. Alfredo Biagini, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via Monte Zebio, 30; 

nei confronti di

 

Open Service s.r.l., in persona del legale rappresentante, quale capogruppo mandataria di RTI, rappresentata e difesa dall'avv. Paolo Pettinelli, con domicilio eletto presso l’avv. Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, 5;

Veritas s.p.a., in persona del legale rappresentante, mandante, rappresentata e difesa dall'avv. Franco Zambelli, con domicilio eletto presso l’avv. Mario Ettore Verino in Roma, via Barnaba Tortolini, 13;

 

per la riforma della sentenza del t.a.r. veneto – venezia, sezione i, n. 00646/2013, resa tra le parti, concernente affidamento dell’appalto per servizi di pulizia e presidio delle toilettes, comprensivo di noleggio di wc chimici, per le manifestazioni organizzate dalla fondazione la biennale di venezia nel biennio 2012 – 2013;

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Fondazione La Biennale di Venezia, di Open Service Srl Capogruppo Mandataria Rti e di Veritas s.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, comma 10, Cod. proc. amm.;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 marzo 2014 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati Reggio D'Aci, Corsini per delega dell’avv. Biagini, L.Mazzeo per delega dell’avv. Manzi e Verino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

 

FATTO

Con sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sez. I, n. 646/13 del 3 maggio 2013 veniva accolto il ricorso, proposto dalle società Iniziative Venete soc. coop. ed Eco. Cel. s.r.l., avverso l’affidamento dell’appalto per servizi di pulizia e presidio delle toilettes, comprensivo di noleggio di wc chimici, per le manifestazioni organizzate dalla Fondazione La Biennale di Venezia nel biennio 2012 – 2013, aggiudicato al raggruppamento temporaneo fra la Veritas s.p.a. e la Open Service s.r.l..

Nella citata sentenza si attribuiva carattere prioritario ed assorbente alla censura di violazione dell’art. 83, comma 4, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 per avere la commissione esaminatrice formulato sub-criteri di valutazione dopo l’apertura delle buste contenenti le offerte tecniche, come risutante dai verbali nn. 3 e 4 del 17 luglio 2012.

Avverso detta pronuncia proponevano appello (n. 5046/13, notificato il 17 giugno 2013) le stesse società Cooperativa Iniziative Venete ed Eco Cel s.r.l., sulla base dei seguenti motivi di gravame:

1) erroneità della sentenza per illogicità ed irragionevolezza nell’ordine di esame delle domande proposte dal ricorrente, avendo carattere prioritario il motivo di gravame che – comportando estromissione dalla gara dell’aggiudicatario raggruppamento temporaneo fra le società Veritas s.p.a. e Open Service s.r.l. – avrebbe determinato il subentro del raggruppamento ricorrente nell’aggiudicazione, tenuto conto dell’espressa formulazione in via subordinata del motivo di ricorso accolto dal Tribunale amministrativo, nonché della possibilità, prevista dalla lex specialis di gara, di pervenire all’aggiudicazione anche in presenza di una sola offerta valida;

2) insufficiente o non corretta valutazione dei motivi di ricorso; errore di fatto e di diritto; ingiustizia manifesta, non essendo stata rilevata la fondatezza dei due motivi di gravame proposti in via principale dalla ricorrente, motivi che avrebbero imposto l’estromissione di RTI Open Service-Veritas dalla procedura di gara, poiché la partecipazione di quest’ultima, trattandosi di società pubblica in house, sarebbe stata fonte di alterazione della concorrenza; e non potendosi inoltre consentire alla stessa – come invece avvenuto – di modificare o sostituire parte dell’offerta per ovviare alla carenza del requisito di capacità economico-finanziaria (fatturato medio annuo pari ad €. 300.000,00 nel settore interessato), con ulteriore violazione dell’art. 11 del d.lgs. n. 163 del 2006, difetto di motivazione ed eccesso di potere sotto vari profili, in rapporto all’affidamento del servizio in via di urgenza all’aggiudicataria, prima della stipula del contratto.

Si sono costituite in giudizio – con proposizione di appello incidentale – la Fondazione La Biennale di Venezia, nonché le società Veneziana Energia Risorse Idriche Territorio, Ambiente, Servizi – Veritas s.p.a. (mandante del raggruppamento temporaneo di imprese – RTI) e Open Service s.r.l. (capogruppo mandataria del medesimo RTI): la prima, contestando per travisamento dei fatti ed eccesso di potere sotto vari profili l’effettiva formulazione di nuovi criteri da parte della Commissione aggiudicatrice, dopo la valutazione delle offerte tecniche (mentre sarebbe avvenuta solo l’apertura delle buste in seduta pubblica, con mera successiva esplicitazione degli adempimenti introdotti nel capitolato d’oneri); le seconde, a loro volta, prospettando l’inapplicabilità nel caso di specie dell’art. 13 del d.-l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla l. 4 agosto 2006, n. 248, e la legittimità dell’aggiudicazione sotto ogni profilo. La società in house Veritas s.p.a., infatti, avrebbe svolto anche attività a favore dei privati, con estraneità del servizio da appaltare, quale servizio pubblico locale, al divieto di cui alla predetta norma.

La Commissione, inoltre, non avrebbe affatto integrato i criteri, già indicati in sede di lex specialis, ma soltanto specificato le verifiche preliminari da effettuare, in ordine ai criteri già previsti dal disciplinare di gara; la medesima società Veritas, poi, sarebbe stata in possesso del fatturato richiesto, ma avrebbe in un primo tempo preso in considerazione solo quello riferito a “noleggio e gestione di bagni mobili”, non comprensivo di tutti i servizi oggetto di gara.

Il ricorso originario, infine, sarebbe stato tardivo, per avvenuta notificazione dei motivi aggiunti di gravame ben oltre il termine di trenta giorni dalla piena conoscenza dell’avvenuta aggiudicazione.

In rapporto a tutte le questioni sollevate le singole parti hanno opposto controdeduzioni difensive (rappresentando anche l’ormai avvenuto svolgimento del servizio, suddiviso fra l’appellante ed il raggruppamento controinteressato) e su tale base la causa è passata in decisione.

DIRITTO

E’ sottoposta all’esame del Collegio, in primo luogo, la questione dell’ordine di trattazione dei motivi di appello, con riferimento agli atti della procedura di gara in esame, indetta dalla fondazione La Biennale di Venezia con bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea (GUCE) n. 895 del 19 maggio 2012 (affidamento del servizio integrato di pulizia e presidio alle toilettes, per le manifestazioni organizzate nel biennio 2012/2013).

A tale riguardo non può, in effetti, segnalarsi un indirizzo giurisprudenziale univoco e consolidato, risultando alcuni precdenti orientati a riconoscere nell’ordine di trattazione il libero apprezzamento del giudice, il quale potrebbe decidere le priorità da dare al vaglio delle censure prospettate dal ricorrente, in base alla consistenza oggettiva ed al rapporto fra le stesse sul piano logico-giuridico, non alterabile dalla semplice domanda dell’interessato. In tale prospettiva il partecipante a una procedura di gara non potrebbe imporre la prioritaria valutazione di alcuni motivi di gravame, implicanti il conseguimento dell’aggiudicazione e solo in via subordinata la valutazione di censure indirizzate all’annullamento dell’intera procedura: quanto sopra, poiché non potrebbe consentirsi un’aggiudicazione, conseguente a procedura integralmente invalida (Cons. Stato, sez. V, 6 aprile 2009, n. 2143; Cons. St., sez. IV, 11 settembre 2012, n. 4827).

In altri precedenti è stato invece sottolineato come – pur dovendosi riconoscere in astratto l’azionabilità di posizioni di interesse strumentale, dirette ad ottenere la rinnovazione della gara – l’esame nel merito dei motivi a ciò finalizzati possa avvenire solo dopo che il giudice abbia esaminato e respinto le censure, prospettate in via incidentale per contestare la legittimità dell’ammissione della ricorrente principale alla procedura, assumendo rilievo l’interesse strumentale solo dopo il positivo riscontro della legittimazione al ricorso, o addirittura negandosi rilievo a detto interesse strumentale (Cons. Stato, sez. VI, 6 marzo 1992, n. 159; Cons. St., Ad. plen. 7 aprile 2011, n. 4; Cons. St. sez. III, 19 gennaio 2012, n. 212).

Un ulteriore indirizzo pone l’accento, viceversa, sul principio dispositivo, cui è ispirato il processo amministrativo: principio che riconosce la facoltà del ricorrente di prescegliere le ragioni della domanda da esaminare in via prioritaria e quindi di indicare l’ordine di trattazione dei motivi di gravame, con possibilità di formularne alcuni di tali motivi solo in via subordinata (per l’ipotesi in cui quelli ritenuti prioritari non vengano accolti); al di là di tale circostanza, rientrerebbe nel potere del giudice decidere l’ordine di trattazione delle censure, in base alla consistenza ed al rapporto di priorità logica fra le stesse (Cons. Stato, IV, 21 gennaio 2013, n. 341; III, 24 maggio 2013, n. 2837; V, 11 gennaio 2012, n. 82; IV, 16 dicembre 2011, n. 6625).

Dopo la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 4 luglio 2013, nella causa C-100/12 (Fastweb), che ha negato il carattere assolutamente prioritario (e decisivo, ove accolto) del ricorso incidentale “escludente” nei confronti del ricorrente principale, è stato sottolineato come l’ordine di esame dei motivi di doglianza debba seguire un “criterio di carattere cronologico-seguenziale”, ovvero riferito “al momento in cui il vizio in essi dedotto si è verificato, all’interno della procedura di gara in contestazione” (Cons. Stato, V, 24 ottobre 2013, n. 5155).

In pratica, come chiarito nella successiva sentenza dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato 25 febbraio 2014, n. 9, deve ritenersi che il giudice debba decidere disponendo le questioni prospettate in ordine logico e, quindi, anteponendo le questioni di rito a quelle di merito, con priorità dei ricorsi incidentali solo ove a carattere escludente, in rapporto alla medesima fase procedimentale, ma anche con possibilità di esame prioritario del ricorso principale, per ragioni logiche e di economia processuale, ove quest’ultimo sia manifestamente infondato, inammissibile, irricevibile o improcedibile (cfr. in tal senso anche Cons. Stato, Ad. Plen., n. 4 del 2011 cit.); l’esame dei ricorsi incidentali resta pregiudiziale, solo qualora la relativa definizione sia ostativa o preclusiva in rapporto alle ragioni dedotte col ricorso principale (cfr. anche, in tal senso, Cons. Stato, IV, 18 marzo 2013, n. 1574 e 4 settembre 2013, n. 4449; Cons. giust. amm. Reg. Sic., sez. giurisd., 26 ottobre 2012, n. 1025; Cons. Stato, IV, 4 settembre 2013, n. 4449 e 18 marzo 2013, n. 1574).

Il Collegio condivide tale recente indirizzo, per quanto riguarda la priorità dei ricorsi incidentali solo se a carattere escludente, con prevalenza delle censure di rito rispetto a quelle di merito e applicazione sia del principio dispositivo (che consente agli interessati di graduare le proprie domande, prospettandone alcune in via subordinata), sia della possibilità per il giudice di seguire, per le ulteriori censure prospettate, l’ordine logico di trattazione.

Nella situazione in esame, pertanto, il Collegio rileva, in primo luogo, la tempestività dei motivi aggiunti di gravame proposti in primo grado. L’aggiudicazione risulta infatti effettuata il 27 luglio 2012 (senza, peraltro, la successiva rituale comunicazione, di cui all’art. 79 del Codice dei contratti pubblici, approvato con d.lgs. n. 163 del 2006) e ad essa è seguita poi, dal 1° agosto 2012, la sospensione feriale dei termini processuali, non ancora conclusa alla data di notifica dell’atto di cui si discute (30 agosto 2012).

Nessuna ragione, inoltre, imponeva a pena di decadenza di sollevare con il ricorso principale la questione della natura giuridica della società Veritas (società per azioni a capitale interamente pubblico, con sede legale a Venezia, partecipata dallo stesso Comune e da altri comuni veneti, nonché assegnataria diretta di diversi servizi pubblici locali: c.d. multiutility), quale società in house, trattandosi di questione di cui risultava possibile la conoscenza e la valutazione anche in un momento successivo e che, comunque, è stata eccepita nei termini.

Ancora in via preliminare, si deve riconoscere l’interesse a ricorrere dell’attuale appellante, che ha successivamente eseguito una parte dei servizi oggetto della gara in cui non era risultata vincitrice, ma che intende far valere la propria perdita di chances, a seguito dell’illegittima ammissione alla gara dell’unico altro concorrente, in assenza del quale essa avrebbe potuto risultare assegnataria dell’intero servizio, essendo ammessa dal bando la possibilità di aggiudicazione anche in presenza di un solo concorrente.

Non rilevano, in tale ottica, le argomentazioni riferite alle ragioni di urgente espletamento del servizio, o alle misure cautelari giurisdizionali che avrebbero determinato tale situazione, ovvero alla possibilità che la Fondazione Biennale di Venezia potesse anche non assegnare il servizio e procedere comunque a nuova assegnazione: la perdita di chances (ovvero la compromissione, a seguito di un atto illegittimo, della possibilità di ottenere il pieno soddisfacimento di un interesse pretensivo), infatti, costituisce già valido presupposto per chiedere il risarcimento del danno. Sono dunque inconferenti nella presente sede argomentazioni che attengono non alla sussistenza attuale dell’interesse (residuale) in questione, ma solo – eventualmente – alla successiva verifica della relativa consistenza, in termini probabilistici (cfr. fra le tante, per il principio, Cass., I, 25 ottobre 2007, n. 22370; Cons. Stato, V, 12 febbraio 2007, n. 593 e 6 febbraio 2007, n. 478; VI, 9 giugno 2008, n. 2751 e 27 aprile 2010, n. 2384).

Nel merito, quindi, fondatamente l’appellante invoca la prioritaria disamina della questione di legittimità dell’ammissione del raggruppamento controinteressato alla gara. Non solo, infatti, tale questione si pone in rapporto di priorità logica rispetto alle altre questioni – attenendo a una fase antecedente a quella di valutazione delle offerte – ma deve anche ammettersi, secondo il più recente indirizzo in precedenza ricordato, che il principio dispositivo, cui risponde il processo amministrativo, consenta alle parti di operare una gradazione fra le domande, imponendo il carattere prioritario ed assorbente di quella che assicuri nel modo più soddisfacente, in rapporto agli interessi dedotti in giudizio, l’effettività della tutela richiesta, quale principio rilevante anche a livello comunitario.

Nella prospettiva indicata, il Collegio ritiene fondata ed assorbente la censura di violazione dell’art. 13 (Norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali e locali e a tutela della concorrenza) del d.-l. 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.

Non è contestato, infatti, che la società Veritas sia una società pubblica in house, costituita ai sensi dell’art. 113 (sulle forme di gestione dei servizi pubblici locali) del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), integralmente partecipata da diversi comuni della regione Veneto, tra cui Venezia (dove ha sede la Fondazione La Biennale), nonché affidataria diretta di servizi, analoghi a quelli attualmente in esame a favore dei propri soci. L’oggetto sociale della stessa, a norma dell’art. 2 del relativo statuto, concerne attività relative a servizi pubblici locali, con obbligo di realizzare e gestire la parte prevalente della propria attività con gli enti locali associati.

Per società di tal genere il citato art. 13, comma 1 (come modificato prima dall’art. 18, comma 4-septies, d.-l.. 29 novembre 2008, n. 185, aggiunto dalla relativa legge di conversione 28 gennaio 2009, n. 2; e poi dall’art. 48, comma 1, l. 23 luglio 2009, n. 99), del d.-l. n. 223 del 2006 impone l’obbligo di “operare con gli enti partecipanti o affidanti” e la preclusione a “svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara”.

Attraverso le predette limitazioni la norma intende evitare – in conformità ai principi comunitari – la distorsione della concorrenza che si determinerebbe in caso di partecipazione alle gare, indette da altri soggetti pubblici o privati, di soggetti già affidatari diretti di servizi pubblici locali, che non entrerebbero nel mercato “ad armi pari”, rispetto ad altri comuni operatori del settore.

Le appellate tuttavia (tra cui la Veritas s.p.a.), sottolineano che la preclusione normativa non si estende, esplicitamente, ai servizi pubblici locali (da intendere – ai sensi dell’art. 112 del d.lgs. n. 267 del 2000 - quali “servizi pubblici che abbiano per oggetto produzioni di beni ed attività, rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”).

Secondo le medesime parti appellate, inoltre, gli enti locali, in quanto enti a fini generali, potrebbero autonomamente decidere quali attività di produzione di beni e di servizi possano assumersi come doverose, purché genericamente rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile della comunità locale di riferimento (cfr. Cons. Stato, VI, 22 novembre 2013, n. 5532; Cons. St., sez. V, 20 dicembre 2013, n. 6131). Di tale natura sarebbe il servizio oggetto di gara nel caso di specie, che risulterebbe, pertanto, escluso dal divieto di partecipazione alla gara di cui trattasi.

Il Collegio non condivide tale prospettazione.

Il ricordato art. 13 del d.-l. n. 223 del 2006, infatti, è previsione di complessa formulazione, il cui contenuto precettivo va rilevato anche sotto il profilo dell’adeguatezza costituzionale e comunitaria.

La disposizione esordisce, al comma 1, enunciando la finalità “di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale”: ragione fondante della norma è dunque quella non di limitare la concorrenza, ma di regolarla preventivamente, per evitare che nel mercato si creino – squilibrando a priori le corrette condizioni competitive – surrettizie posizioni di giuridico privilegio delle società pubbliche rispetto a quelle private.

L’art.13, comma 2, del più volte citato d.l. n. 223 del 2005 dispone, a sua volta, che: “Le società di cui al comma 1 sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in violazione delle regole di cui al comma 1.

La normativa in esame, dunque, introduce una preclusione generale a carico di tutte le società in house (che esercitino o meno un servizio pubblico locale) a partecipare a gare indette da terzi, per assicurare il corretto funzionamento del mercato nella nevralgica fase concorrenziale, a protezione dei principi di libera concorrenza, di par condicio e di libertà dell’iniziativa economica (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 giugno 2012, n. 3668 e 3 giugno 2013, n. 3022, che estende il divieto alle c.d. società di «terzo grado» o di «terza generazione», cioè partecipate dalle partecipate).

Le società partecipate da enti locali a capitale pubblico o misto, per produrre servizi strumentali all’attività di quegli enti, debbono quindi operare solo con gli enti costituenti o partecipanti, senza svolgere prestazioni per altri soggetti pubblici o privati, né con gara né per affidamento diretto, con esclusione dei servizi pubblici locali per i quali sono state costituite.

I predetti servizi potrebbero, di conseguenza, essere svolti anche a favore di soggetti diversi da quelli “costituenti, partecipanti o affidanti”, sempre però che si tratti di soggetti erogatori degli stessi, quali sono, appunto, i Comuni, ma non anche – come più avanti meglio chiarito – la Fondazione Biennale di Venezia (cfr. Cons. Stato, IV, 15 marzo 2008, n. 946; V, 7 luglio 2009, n. 4346, 5 marzo 2010, n. 1282, 10 settembre 2010, n. 6527, 1 aprile 2011, n. 2012).

Debbono essere prioritariamente considerati, pertanto, gli scopi per cui le cosiddette società in housevengono costituite, ovvero per compiere a favore dell’ente socio, con affidamento diretto, attività strumentali a quelle di spettanza dell’ente stesso, che viene in tal modo ad avvalersi per tali attività di propri organismi, senza necessità di ricorrere al mercato concorrenziale (Corte di Giustizia, 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal e 11 gennaio 2005, C-26/03, Stadt Halle).

Viene quindi compiuta da tali società, sostanzialmente, un’attività amministrativa in forma privatistica, da non confondere con l’attività di impresa svolta da enti pubblici, in regime di concorrenza: si pone solo nel primo caso infatti l’esigenza di non consentire che un soggetto – in posizione giuridica tale da godere delle prerogative proprie di una pubblica amministrazione – possa svolgere al tempo stesso attività imprenditoriale (cfr. Corte cost., 1 agosto 2008, n. 326 e Cons. Stato, Ad. plen., 4 agosto 2011, n. 17).

Si deve aggiungere che, nel rispetto al principio di legalità, solo una norma primaria può identificare un’attività come servizio pubblico locale: Cons. giust. am. sic., 6 ottobre 2010, n. 1266; Cons. Stato, VI, 5 aprile 2012, n. 2021; 13 settembre 2012, n. 4870, secondo cui “per identificare giuridicamente un servizio pubblico, non è indispensabile, a livello soggettivo, la natura pubblica del gestore, mentre è necessaria la vigenza di una previsione legislativa che, alternativamente, ne preveda l’istituzione e la relativa disciplina, oppure che ne rimetta l’istituzione e l’organizzazione all’Amministrazione”. Sono del resto evidenti i pericoli di abuso e di disparità territoriale cui una diversa opinione potrebbe dar luogo, in spregio non solo al principio di legalità, ma anche ai principi di eguaglianza e di parità di trattamento, come prescritti e intesi anche livello comunitario.

Nella situazione in esame vengono in evidenza due circostanze: la società Veritas era interamente partecipata da enti pubblici locali ed il servizio oggetto di gara era richiesto dalla Fondazione Biennale di Venezia, così denominata a norma dell’art. 1 del d.lgs. 8 gennaio 2004, n. 1 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 29 gennaio 1998, n. 19 concernente "La Biennale di Venezia", ai sensi dell'articolo 1 della legge 6 luglio 2002, n. 137). Detta norma, riformando il precedente ente autonomo, ha testualmente attribuito allo stesso (art. 2) “personalità giuridica di diritto privato”, ma con gestione finanziaria sottoposta – data l’importanza delle funzioni espositive assegnate (afferenti ad una tra le principali rassegne internazionali d’arte contemporanea) – al controllo della Corte dei Conti (art. 16), con prevalenza nel consiglio di amministrazione – nominato dal Ministro per i beni e le attività culturali – di esponenti del Comune di Venezia e della Provincia di Venezia, nonché della Regione Veneto (art. 9).

Dal punto di vista soggettivo, la Fondazione può dunque qualificarsi come organismo di diritto pubblico, ovvero come amministrazione aggiudicatrice - ai sensi dell’art. 3, commi 25 e 26, del d.lgs. n. 163 del 2006 – tenuto conto della ricorrenza in essa dei requisiti al riguardo comunemente richiesti (a partire dalla sentenza Corte di Giustizia, 10 novembre 1998, C-360/96), e così sintetizzabili: I) finalità di interesse generale, a carattere non industriale o commerciale, II) personalità giuridica, III) attività finanziata in via maggioritaria dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, “oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri, dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico” (sul carattere cumulativo di detti requisiti, salvo il carattere alternativo di quelli di cui al punto III, Cass., SS.UU. 7 aprile 2010, n. 8225).

La medesima Fondazione, in ogni caso, non è dalla legge che la regola (e che ne stabilisce gli specifici scopi: art. 3 d.lgs. n. 19 del 1998, come mod. dall’art. 3 d.lgs. n. 1 del 2004) legittimata allo svolgimento di attività di servizio pubblico locale. Essa peraltro può, in base al criterio della strumentalità, fornire al pubblico altri servizi, purché complementari agli eventi culturali che organizza e solo per la più agevole fruizione di questi ultimi (non, quindi, come servizi destinati alla utilizzazione pubblica territoriale). Nell’ottica sopra indicata deve inquadrarsi il servizio di pulizia e attività connesse, che è oggetto del presente giudizio.

Per la scelta dei soggetti cui affidare dette attività complementari, la rammentata natura dell’ente qualeorganismo di diritto pubblico imponeva di ricorrere, nel caso di specie, a procedure ad evidenza pubblica, a norma del citato d.lgs. n. 163 del 2006 e da tale procedura, in base alla disposizione legislativa ed ai principi in precedenza richiamati, erano escluse la società in house di altre amministrazioni pubbliche.

Non appaiono idonee a confutare tale conclusione le controdeduzioni di Veritas s.p.a.. Quest’ultima sottolinea sia il carattere di servizio pubblico locale delle prestazioni richieste per la gara di appalto in esame (in quanto destinate alla collettività degli utenti), sia la propria abilitazione a svolgere (oltre all’attività propriamente in house) anche attività di diritto comune a beneficio di terzi privati, in regime di concorrenza, con conseguente assenza – a detta della stessa – del carattere di società ad “oggetto sociale esclusivo” , come prescritto dall’art. 13, comma 2, per le società di cui al comma 1 della normativa in esame.

Si deve ribadire tuttavia, sotto il primo profilo, che non si tratta nella specie di un servizio pubblico locale: detto servizio è infatti rivolto a una platea indifferenziata di fruitori, per il soddisfacimento di bisogni diretti della collettività rimessi alla cura del relativo ente esponenziale, mentre diverse – e propriamente culturali – sono le finalità perseguite dalla Fondazione Biennale di Venezia. Solo in funzione delle proprie finalità istituzionali – e con le modalità prescritte per gli organismi di diritto pubblico – detta Fondazione può organizzare servizi accessori e strumentali (come quello di pulizia e connessi) rispetto alle esposizioni programmate, come avvenuto nel caso di specie.

Quanto all’“oggetto sociale esclusivo”, non risulta smentito che Veritas sia una società a capitale interamente pubblico, costituito da diversi comuni veneti, né che la stessa sia affidataria diretta di servizi pubblici, dal contenuto analogo a quello oggetto della gara in esame, a favore degli enti locali soci, con allegazione dell’effettività di tali servizi per comprovare la relativa, contestata capacità economico-finanziaria. La previsione statutaria, concernente la possibilità di fornire servizi anche a soggetti privati (non tenuti ad applicare le procedure ad evidenza pubblica), non appare circostanza sufficiente ed idonea ad escludere l’applicazione dell’art. 13, comma 1, del d.l. n. 223 del 2006, la cui ratio è stata in precedenza illustrata.

Trattandosi di valutare un requisito di capacità piuttosto che di oggetto sociale, infatti, va rammentato che non è lo statuto a stabilire la latitudine della legittimazione alle gare pubbliche di una persona giuridica, ma la sua effettiva configurazione correlata alle previsioni di legge.

La disposizione dell’art. 13, comma 2, secondo cui le società non ammesse alle gare sono quelle che hanno“oggetto sociale esclusivo”, non significa che le società multiutilities siano automaticamente escluse dal divieto in questione [e che dunque siano legittimate a partecipare a gare indette da terze amministrazioni]; la locuzione va infatti riferita non alle attività nominalmente enunciate nell’oggetto sociale, ma all’effettivo rapporto instaurato con gli enti locali di riferimento: tale rapporto, se esclusivo, viene oggettivamente a ridurre l’ambito delle attività e non consente proiezioni extra ambito; anche le società di tal tipo, se integralmente partecipate da enti locali, essendo qualificabili come società strumentali, debbono rivolgere la propria attività in via esclusiva a favore di tali enti, tenuto conto delle ragioni che hanno indotto ad escludere dalle procedure ad evidenza pubblica le società, che possano considerarsi una derivazione, o unalonga manus, dell’ente o degli enti pubblici controllanti, dato il rapporto di strumentalità fra le attività delle imprese in questione e le esigenze di interesse generale che detti enti sono tenuti a soddisfare (Cons. St. sez. V, 3 giugno 2013, n. 3022 cit).

E’ vero che, in alcuni casi, è stata giustificata la partecipazione a procedure di gara di imprese che fornivano anche servizi ad enti locali, partecipanti all’assetto societario: ma – occorre osservare - con prioritario riferimento a società a partecipazione mista, che avevano in qualche modo differenziato l’attività svolta per le amministrazioni partecipanti da quella strettamente imprenditoriale (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. n. 17 del 2011 cit.; V, 7 luglio 2009, n. 4346), restando precluso l’accesso all’affidamento diretto di società che non presentassero tutti i requisiti della situazione in house, sotto il profilo sia dell’assetto proprietario che dei controlli (Cons. Stato, Ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1).

Non può quindi ritenersi configurabile, riguardo a una medesima società, la contemporanea sussistenza della legittimazione a ricevere l’affidamento diretto di servizi pubblici e della legittimazione ad agire in ambito concorrenziale, con i particolari vantaggi derivanti da detto affidamento e conseguente elusione dei principi di effettività della concorrenza tutelati dalla normativa in esame (normativa finalizzata, come già ricordato, ad evitare alterazioni o distorsioni del mercato, nonché ad assicurare la parità degli operatori sul territorio nazionale).

Deve ritenersi, pertanto, che la preclusione imposta dall’art. 13, comma 1 della norma in esame sussistesse nel caso di specie, avendo il secondo comma della stessa carattere ulteriormente prescrittivo, indirizzato a porre in termini alternativi la possibilità delle società costituite dagli enti locali di ottenere affidamenti diretti, o di avere oggetto sociale non esclusivo.

Ad avviso del Collegio, in altre parole, quando sia di fatto riscontrabile la presenza di affidamenti diretti – tali da porre le società interessate in condizioni di non parità con altri operatori del settore, nei termini in precedenza evidenziati – l’eventuale non esclusività dell’oggetto sociale, ove delineata nello statuto, recede e deve essere disattesa rispetto alla limitazione legale di legittimazione in precedenza indicata: diversamente opinando, le società in house potrebbero facilmente aggirare ogni restrizione imposta, con vanificazione delle regole dettate a tutela della concorrenza.

Anche per quanto concerne il profilo oggettivo, poi, non solo mancava una norma primaria, che prevedesse il servizio pubblico locale in questionema la stessa rammentata limitazione delle finalità della Fondazione precludeva alla stessa di svolgere un’attività di servizio pubblico locale.

Nel caso di specie, conclusivamente, il Collegio ritiene che non sussistessero le condizioni di partecipazione alla gara della società Veritas.

L’accoglimento della censura di violazione dell’art. 13, comma 1, del d.l. n. 223 del 2006 riveste, con evidenza, carattere assorbente, poiché il rispetto della norma avrebbe imposto l’esclusione dalla gara del Raggruppamento Veritas s.p.a.-Open Service s.r.l., per ragioni attinenti alla legittimazione della mandante Veritas a presentare domanda di partecipazione.

Riveste carattere secondario in tale contesto – ma si procede comunque ad esaminare – la censura riferita a violazione del paragrafo 7 del disciplinare di gara, circa i requisiti di fatturato richiesti alle imprese concorrenti.

L’appellante afferma infatti (senza smentita delle controparti) che il Raggruppamento citato non avesse documentato, per quanto riguarda la società Veritas, il fatturato minimo richiesto, con successiva integrazione dell’offerta che – secondo la medesima appellante –, non avrebbe dovuto essere consentita e che sarebbe risultata comunque incongrua o non veritiera, non essendo stato sostituito o integrato anche l’allegato contenente l’analitica descrizione degli importi dichiarati per tipologia di servizio.

Non può, in effetti, escludersi che la carenza documentale in questione fosse tra quelle che consentono la successiva regolarizzazione – in assenza di una esplicita previsione di esclusione – in attuazione dell’art. 46 del Codice dei contratti pubblici e del principio di strumentalità delle forme (di cui sono attuale espressione gli articoli 21-octies e 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, come introdotto dall’art. 14 l. 11 febbraio 2005, n. 15., ma già in precedenza oggetto di giurisprudenza consolidata). In base a tale principio, l’invalidità di un atto per vizi di forma può essere riconosciuta solo quando gli adempimenti formali omessi non ammettano equipollenti per il raggiungimento dello scopo perseguito, purché il requisito sostanziale fosse ab origine sussistente (cfr. fra le tante Cons. Stato, V, 28 gennaio 2005, n. 187, 5 luglio 2005, n. 3716 e 23 marzo 2004, n. 1542). Resta il fatto tuttavia che, dopo la rettifica intervenuta, non sembra sia stato documentato dalla società interessata – al di là della mera affermazione – l’attinenza del dichiarato maggior fatturato all’oggetto dell’appalto. Ne consegue la fondatezza della censura, sulla base di quanto risulta dagli atti.

Restano da esaminare, quindi, gli appelli incidentali proposti dalla Fondazione La Biennale di Venezia, nonché da Veritas s.p.a. e Open Service s.r.l. (da considerare appelli incidentali impropri, in quanto riferiti a ragioni diverse e indipendenti da quelle prospettate dal ricorrente principale, ma comunque soggette ai termini di cui all’art. 96, comma 3, Cod. proc. amm.: cfr. fra le tante Cons. Stato, V, 20 febbraio 2014, n. 828; IV, 8 novembre 2013, n. 5342).

Negli appelli in questione si contesta la fondatezza della sentenza appellata, per quanto riguarda la tardiva formulazione dei criteri da parte della commissione aggiudicatrice (unico motivo accolto in primo grado di giudizio e considerato recessivo dall’attuale appellante, che tuttavia ripercorre le argomentazioni proposte in primo grado, se non come esplicito motivo di appello, in una successiva memoria difensiva).

Va sottolineato al riguardo come l’ormai avvenuto espletamento del servizio abbia lasciato sussistere non più l’interesse residuale alla rinnovazione della procedura (a prescindere dalla tutelabilità, o meno, di tale interesse, in base alla ricordata sentenza Cons. Stato, Ad plen., n. 4 del 2011 e dalla successiva sentenza della Corte di Giustizia 4 luglio 2013, n.C-100/12, Fastweb), quanto piuttosto l’interesse residuale al risarcimento per perdita di chances, già in precedenza rappresentato e rivendicato dall’appellante.

In tale prospettiva risarcitoria, d’altra parte, nessuna delle altre parti in causa mostra di avere un interesse attuale alla decisione sui richiamati appelli incidentali, in quanto la riconosciuta fondatezza di una ragione escludente, per la partecipazione alla gara di uno dei due raggruppamenti concorrenti, esclude la rilevanza della fase di predisposizione di sub criteri da parte della commissione aggiudicatrice, sia per il carattere assorbente dei motivi prioritariamente già esaminati, sia per la diversa situazione in cui detta commissione sarebbe venuta a trovarsi, con un solo partecipante rimasto in gara (data la presumibile inutilità di sub-criteri valutativi, utili per i punteggi da assegnare in via comparativa).

Quanto sopra, pur dovendosi sottolineare che tali sub criteri non risultano predisposti dopo l’esame delle offerte tecniche, ovvero con possibilità che, una volta aperte le buste che le contenevano, le offerte in questione restassero accessibili, con possibile lesione della par condicio dei concorrenti.

In conformità anche all’art. 13 del disciplinare di gara, infatti, risulta seguita nel caso di specie la modalità procedurale prescritta dall’art. 12 (Aggiudicazione di appalti con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa) del d.-l. 7 maggio 2012, n. 52 (Disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica), convertito dalla legge 6 luglio 2012, n. 94 (in via di adeguamento peraltro ad un principio interpretativo, affermato da Cons. Stato, Ad. plen., 28 luglio 2011, n. 13), con mero controllo di completezza dei documenti presenti nelle buste contenenti le offerte tecniche e successiva nuova apposizione dei sigilli sulle buste stesse: dell’effettuazione di tale ultimo adempimento, in particolare, fa fede il verbale relativo alla seduta, apertasi alle ore 10,15 del giorno 17 luglio 2012, mentre la seconda fase – con la predisposizione dei sub criteri contestati, inerenti alle modalità di apprezzamento dei criteri previsti dal bando – risulta avviata dopo il completamento della procedura sopra descritta, alle ore 14,00 dello stesso giorno, come attestato con separato verbale.

Pur non potendosi condividere, pertanto, le conclusioni della sentenza appellata anche sotto tale profilo, non può non riconoscersi che le ragioni al riguardo rappresentate in tutti gli appelli incidentali - per sostenere la legittimità della gara e dell’aggiudicazione in esito alla stessa effettuata - non possono più condurre alle conclusioni perseguite, dovendosi accogliere l’originario ricorso sotto diverso profilo.

Il Collegio ritiene quindi, conclusivamente, che l’appello principale debba essere accolto, con gli effetti precisati in dispositivo, mentre debbono essere dichiarati improcedibili gli appelli incidentali. Quanto alle spese giudiziali, il Collegio ne ritiene equa la compensazione, tenuto conto della complessità della questione sottoposta a giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in appello indicato in epigrafe e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie sotto diverso profilo il ricorso proposto in primo grado. Dichiara improcedibili gli appelli incidentali

Compensa le spese giudiziali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Giuseppe Severini, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore

Roberta Vigotti, Consigliere

Carlo Mosca, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 08/05/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Friday 01 March 2024 12:08:35

AREA FUNZIONI LOCALI - Quesito su modalità di fruizione del periodo di congedo matrimoniale

ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni

Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Friday 01 March 2024 12:07:30

COMPARTO ISTUZIONE E RICERCA - Quesito su diritto alle ferie e modalità di fruizione delle stesse

ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni

Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Monday 12 February 2024 09:52:49

COMPARTO ISTRUZIONE E RICERCA- Quesito su fruizione ferie e assenze per malattia

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Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Monday 12 February 2024 09:51:39

COMPARTO SANITA’ 2019-2021 - Quesito su prestazioni di lavoro straordinario in caso di adesione alla “banca delle ore”. Modalità di fruizione del riposo compensativo e/o pagamento delle ore accantonate.

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Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Monday 12 February 2024 09:50:24

AREA FUNZIONI LOCALI - Quesito su possibili cause di sospensione delle ferie

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