Saturday 27 July 2013 07:42:47

Giurisprudenza  Procedimento Amministrativo e Riforme Istituzionali

Escluso dal Consiglio di Stato l'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento di localizzazione di un impianto industriale

a cura del Prof. Avv. Enrico Michetti

Il principio di democraticità del procedimento amministrativo, cui sono preordinati l'art. 7 e ss., l. 7 agosto 1990 n. 241, va assicurato nella sostanza e non già nella mera forma, con la conseguenza che, ogni qualvolta il privato sia comunque informato dell'esistenza di un procedimento diretto ad incidere sulla propria sfera giuridica, le norme in materia di partecipazione al procedimento amministrativo non devono essere applicate meccanicamente e formalisticamente. Pertanto non ogni procedimento in cui sia mancata una fase formalmente partecipativa deve ex se essere annullato, qualora la comunicazione possa ritenersi superflua in base ai principi di economicità e di speditezza, dai quali è retta l’attività amministrativa, ovvero quando nemmeno in sede giurisdizionale la parte indica con precisione gli elementi di fatto che, qualora fossero stati introdotti nel procedimento, avrebbero astrattamente potuto portare anche ad un risultato differente (cfr. Consiglio di Stato sez. V 09 aprile 2013 n. 1950; Consiglio di Stato sez. IV 08 gennaio 2013 n. 32; Consiglio di Stato sez. III 21 marzo 2013 n. 1630, ecc.). L'eventuale omissione di tale obbligo da parte dell'Amministrazione assume una rilevanza meramente formale, quando non vi è prova che la partecipazione dell'espropriato avrebbe potuto comportare un esito differente (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 19 novembre 2012 n. 5822; Consiglio di Stato sez. IV 17 settembre 2012 n. 4925). Conclude il Collegio che va escluso, ai sensi dell'art. 13 comma 1, l. n. 241 del 1990, l'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento di localizzazione di un impianto industriale, posto che ai PIP sono inapplicabili le norme in materia di partecipazione al procedimento in quanto si tratta di attività diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 26 febbraio 2013 n. 1187).

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 472 del 2010, proposto da:

Maurizio Cardone, Anna Cardone, Laura Maria Di Lauro, Claudia Cardone, rappresentati e difesi dall'avv. Giuseppe Palma, con domicilio eletto presso Ferruccio De Lorenzo in Roma, via L. Luciani 1;

 

contro

 

Comune di Cicerale, rappresentato e difeso dall'avv. Lorenzo Lentini, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;

Sistemi e Tecnologie S.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Rodolfo Mazzei, con domicilio eletto presso Rodolfo Mazzei in Roma, v. XX Settembre 1;

 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - SEZ. STACCATA DI SALERNO: SEZIONE II n. 06982/2009, resa tra le parti, concernente espropriazione per pubblica utilità.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Cicerale e di Sistemi e Tecnologie S.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 aprile 2013 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati Giuseppe Palma, Lorenzo Lentini e Rodolfo Mazzei;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

Con il presente gravame gli appellanti impugnano la sentenza con cui il TAR:

-- ha respinto il loro ricorso diretto all’annullamento in primis del provvedimento d'espropriazione per pubblica utilità di un loro suolo, mai notificato ai ricorrenti e dell’occupazione d’urgenza per la realizzazione di un impianto di cogenerazione alimentato a biogas;

-- ha invece dichiarato irricevibili i motivi aggiunti con cui si erano impugnate rispettivamente le delibere: del Consiglio comunale di Cicerale del n. 151/1989 di adozione del progetto d'ampliamento del PIP; e del C.C. del 1990 di approvazione definitiva dell'ampliamento del PIP; del C.C. n. 21/2007 di modifica del PIP; del C.C. n. 8/2004 di riapprovazione del PIP, a seguito della scadenza dei termini di efficacia; e della delibera di Giunta comunale n. 36/2008, d'approvazione del progetto definitivo dell’impianto di cogenerazione a biogas e “di ogni altro provvedimento, funzionalmente legato al complessivo procedimento d'attuazione del PIP, in quanto incidenti sulla legittimità di questo e lesivi, pertanto, degli interessi dei ricorrenti”.

L'appello è affidato alla denuncia di numerosi motivi di gravame relativi all'error in iudicando relativamente alla pronuncia dell’irricevibilità dei motivi aggiunti ed all’errata impostazione in termini tecnico-giuridici della questione da parte del TAR; alla contraddittorietà della motivazione e dall'errata interpretazione delle norme, con particolare riferimento all'articolo 21 octies comma due della legge n. 241/1990.

Si è costituito in giudizio il Comune di Cicerale, che, con la memoria per la discussione, ha confutato analiticamente le tesi di parte ricorrente, concludendo per il rigetto dell'appello.

A sua volta la controinteressata Sistemi e Tecnologia Srl (SET), nel costituirsi in giudizio, ha eccepito in linea preliminare l'inammissibilità e comunque, nel merito, la sua infondatezza.

Con memoria per la discussione i ricorrenti sottolineano le argomentazioni a fondamento delle proprie tesi, insistendo per l'accoglimento.

Chiamata all'udienza pubblica di discussione, la causa è stata introitata dal collegio per la decisione.

DIRITTO

In ragione dell’infondatezza nel merito dell’appello può prescindersi dall’esame delle diverse eccezioni preliminari sollevate dalle controinteressate.

___ 1.§. Con il primo motivo gli appellanti contestano la declaratoria dell'irricevibilità dei motivi aggiunti, che sarebbe stata pronunciata in peddissequa adesione alle difese della controinteressata Società Sistemi e Tecnologie. Nel sottolineare la genericità dei motivi del ricorso introduttivo, il Tar non ha tenuto conto che i ricorrenti avevano dovuto ovviare alla loro “non-conoscenza” degli atti impugnati.

Per questo non corrisponderebbe al vero che il ricorso di primo grado si sarebbe limitato solo alla formula di rito dell’impugnazione degli “atti presupposti e conseguenti”, ma in quella sede si sarebbero individuati atti ben precisi “… di approvazione, ampliamento, dichiarazione di pubblica utilità, occupazione”; sarebbe solo avvenuto che i ricorrenti non avrebbero potuto fornire i relativi numeri e date, perché, mentre l'opera in esecuzione di detti provvedimenti avanzava, il Comune ritardava a far pervenire loro i relativi atti.

In particolare -- come specificato nel motivo sotto il titolo a pagina 7 del ricorso di primo grado ed altresì sotto quello con cui si era denunciata l'errata motivazione della dichiarazione di pubblica utilità -- i ricorrenti avrebbero cercato di individuare i possibili vizi invalidanti di atti, dei quali comunque non avevano ricevuto alcuna comunicazione.

Con i motivi aggiunti, gli appellanti si sarebbero limitati, con una maggiore convinzione, all'esposizione dei vizi già esposti nel ricorso principale: essi avrebbero cioè semplicemente dato la prova delle illegittimità già denunciate.

La natura oggettiva dei cosiddetti “motivi aggiunti” avrebbe dovuto indurre il Tar Salerno a qualificarli non come tali, ma come mera “memoria difensiva”; questo atto difensivo, lungi dall’includere provvedimenti non indicati nel ricorso principale, squarciava il velo di ignoranza procurata loro dal Comune. Il Tar non avrebbe tenuto conto che l'amministrazione non aveva tempestivamente depositato, nel termine fissato nella sua ordinanza istruttoria, i documenti che più volte gli appellanti avevano richiesto di avere,; il Tar avrebbe dovuto disporre il rinvio della discussione.

L’assunto va respinto.

In linea generale, al fine dell’individuazione della decorrenza del termine iniziale per la proposizione di motivi aggiunti, il deposito in giudizio di documenti -- mai prima comunicati o comunque conosciuti -- costituisce il momento iniziale idoneo a determinare l’avvio del termine decadenziale per la relativa impugnazione, di cui all’art.43, primo comma secondo periodo, del c.p.a..

Nel caso i provvedimenti erano stati versati in giudizio dal Comune fin dal 12 novembre 2008, mentre i motivi aggiunti in questione sono stati notificati il 12 febbraio 2009, per cui l’atto di motivi aggiunti è stato notificato ben oltre il termine dei 60 gg. dal relativo deposito.

Essendo irrimediabilmente tardivo, esattamente il TAR li ha giudicati irricevibili, specialmente e sicuramente con riferimento alla delibere del Consiglio comunale n. 21 del 30.7.2007 di modifica del PIP.

Al riguardo è processualmente irrilevante che il Comune avesse comunque adempiuto tardivamente sulla richiesta istruttoria, in quanto in base ai criteri dell’ordinaria diligenza, il ricorrente è comunque tenuto a verificare l’eventuale deposito di atti processuali.

In conseguenza, di fronte all’inequivocabile tardività dell’impugnazione di oltre 30 gg., non può trovare comprensione nel Collegio l’indignazione degli appellanti, che imputano al Comune di Cicerale un atteggiamento procedimentalmente e processualmente ostruzionistico.

Nel merito della censura, poi, si osserva che, se con gli atti di motivi aggiunti si riprendevano, specificandole, alcune censure introdotte in assenza dell’asserita puntuale conoscenza degli atti, nondimeno si deve escludere che, sotto il profilo sostanziale, i motivi aggiunti medesimi fossero meramente esemplificativi di doglianze già contenute nel ricorso principale.

Mentre, infatti, le censure dell’atto introduttivo erano state introdotte “in incertam rem” (o come si dice “al buio”), quelle dei tardivi motivi aggiunti avevano ben maggiore consistenza e specificità.

Inoltre la richiesta del ricorso introduttivo era di annullamento del solo provvedimento di espropriazione. Al riguardo la circostanza, qui invocata dagli appellanti, per cui nell’epigrafe del ricorso di primo grado erano indicati la natura dei provvedimenti presupposti presumibilmente adottati dal Comune, di per sé, non appare sufficiente a supportare l’affermazione della erroneità della decisione sulla irricevibilità.

Per costante giurisprudenza la formula contenuta nell'epigrafe, con cui si estende l’impugnazione, anche gli atti presupposti, connessi e conseguenti, ecc. ecc. assume il carattere di una clausola di mero stile, come tale è del tutto inconferente (cfr. ad es. Consiglio Stato, Sez. IV 26 marzo 2013 n.1695; Consiglio Stato, Sez. V, 20 gennaio 2003 n. 165;ecc.).

Non può dunque trovare adesione la stessa pretesa, introdotta in questa sede, ad una autonoma qualificazione d’ufficio da parte del primo Giudice dell’atto aggiuntivo di gravame come generica “memoria difensiva” o come “elementi di prova” dell’illegittimità dell’ablazione della proprietà oggetto dell’impugnativa.

In presenza di un atto specificamente denominato dalla parte stessa come “motivi aggiunti”, tardivamente notificato alle controparti, il giudice non può procedere alla relativa arbitraria autonoma loro qualificazione come meri “scritti difensivi”.

Tale determinazione si risolverebbe, nella realtà delle cose, in un artificioso aggiramento del principio della tassatività del termine e nella violazione delle regole del giusto processo amministrativo, in quanto consentirebbe di introdurre nel processo profili di censura sostanzialmente nuovi, siccome non contenuti nell’atto introduttivo.

Sotto un altro punto di vista, si deve annotare non solo che non risulta essere mai stata impugnata la delibera del 2006, con cui erano stati reiterati dei vincoli espropriativi, ma soprattutto che l’impugnazione della delibera del 2004 di ampliamento del PIP originario, fatta con i motivi aggiunti, appare in ogni caso comunque tardiva.

Come esattamente rilevato dal primo giudice, gli odierni appellanti avevano certamente conosciuto il contenuto sostanziale dell’ampliamento del PIP del 2004, per lo meno, dal 26 maggio 2006.

In quella data, infatti, essi avevano alienato un fondo attiguo di loro proprietà ad altra ditta, dando espressamente atto, nel rogito, che si trattava di un lotto “ricadente parte in zona “D” destinata ad insediamenti produttivi ampliamento PIP ed in parte (p.lla 210) … a strada”. Pertanto è evidente che, in base al principio diligentibus jura succurrunt, essi avrebbero dovuto comunque attivarsi tempestivamente fin dal 26 maggio 2004 avverso la delibera n.8/2004; ed in ogni caso essi avevano gravato tardivamente, rispetto al suo deposito in giudizio, la delibera n.21/2007, di approvazione del PIP.

___ 2.§ Con il secondo motivo si lamenta l'errore “di fatto” del giudice di primo grado, che, nel caso di approvazione di un piano di investimenti produttivo (PIP), non avrebbe tenuto conto che la dichiarazione di pubblica autorità si riconnette alla sua stessa approvazione, come sarebbe stato più volte ribadito in primo grado. Pertanto la partecipazione degli interessati avrebbe assunto un valore giuridico non soltanto per individuare il termine iniziale per il decorso del termine decadenziale, ma soprattutto per collaborare alla ponderazione dei numerosi interessi coinvolti in un atto di programmazione.

Il Tar, invece, avrebbe ignorato il problema, per richiamarsi “…ad un’infida sentenza del 1986, la numero 752 della IV Sezione del Consiglio di Stato”, nella quale si affermava peraltro prima della riforma del 1990 che la dichiarazione di pubblica utilità può essere legittimamente notificata al solo proprietario risultante dagli atti immobiliari.

La sola notifica a Cardone Nicola sarebbe stata causata forse da una confusione con il de cuius dante causa degli appellanti, ma, comunque, non sarebbe stata sufficiente, perché negli atti immobiliari sarebbero iscritti tutti i comproprietari, mentre Cardone Nicola è soltanto uno dei comproprietari.

Inoltre la sentenza avrebbe erroneamente affermato che eventuali trasferimenti proprietà dopo l'adozione della dichiarazione avrebbero fatta salva la legittimità della dichiarazione eseguita al precedente proprietario, in quanto nella specie non si sarebbe trattato dell'illegittimità di un procedimento espropriativo, ma dell’illegittimità derivata da quella conseguente dall'approvazione del PIP, dalla sua riprovazione a termine scaduto, e dalla sua modifica.

Il motivo è infondato.

Premesso che, anche in considerazione del punto che precede, risultano del tutto inconferenti le ulteriori considerazioni circa la natura del PIP, si deve comunque annotare che, ai sensi dell'art. 3 d.P.R. n. 327 del 2001 e s.m.i., gli atti della procedura espropriativa, ivi incluse le comunicazioni e i decreti di esproprio, sono legittimamente disposti nei confronti dei soggetti che risultano proprietari secondo i registri catastali. Salvo che l’Amministrazione non abbia notizia dell'eventuale diversità del proprietario tavolare con quello effettivo, una volta che l'amministrazione abbia disposto le comunicazioni in favore dei proprietari risultanti dai registri catastali non sono dunque prospettabili le dedotte violazioni delle norme afferenti alla comunicazione degli atti espropriativi e, quindi, la violazione del principio di partecipazione al procedimento amministrativo.

In tal senso per la giurisprudenza è sufficiente che la notifica degli atti espropriativi sia stata fatta ai proprietari risultanti dai registri catastali, non essendo l'Amministrazione tenuta ad effettuare specifiche indagini sull'attualità del titolo emergente da tali registri (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 16 settembre 2011 n. 5233; Consiglio Stato sez. IV 14 aprile 2010 n. 2121; Consiglio Stato sez. IV 26 febbraio 2008 n. 677).

In ogni caso, nella fattispecie in esame appare risolvente il fatto che gli appellanti non abbiano allegano alcun certificato storico della situazione catastale in essere al momento della notifica al sig. Cardone Nicola, mentre, per contro, la SET srl. controinteressata ha depositato in giudizio i certificati catastali (cfr. allegati sub n.6 del deposito del 5.3.2013) delle particelle dalle quali risulta che gli odierni appellanti Maurizio Cardone, Anna Cardone, Laura Maria Di Lauro, Claudia Cardone non risultano tra i proprietari catastali delle aree oggetto del presente decreto di esproprio.

___ 3.§. Con un terzo motivo posto a pagina 25 (ma erroneamente rubricato con il n. 2) l'appellante sostiene l'erroneità dell'affermazione del Tar per cui, ancorché non destinatari dell'avviso di avvio del procedimento, comunque i ricorrenti non avrebbero allegato alcun elemento conoscitivo. Ancora una volta il Tar avrebbe seguito una solitaria unica sentenza della sesta sezione Consiglio di Stato n. 3786/2008, ignorando una consolidata giurisprudenza, quasi totalizzante, del Tar del Lazio, della Cassazione Civile e della V Sezione del Consiglio di Stato. Inoltre la mancata notifica a tutti i proprietari del decreto di occupazione d'urgenza comunque non sarebbe stata giustificata con l'urgenza; ed inoltre ai sensi dell'articolo 22-bis del c.d. codice dell'espropriazione non avrebbe indicato la misura dell'indennità.

L’assunto non può essere condiviso.

In linea generale si osserva che il principio di democraticità del procedimento amministrativo, cui sono preordinati l'art. 7 e ss., l. 7 agosto 1990 n. 241, va assicurato nella sostanza e non già nella mera forma, con la conseguenza che, ogni qualvolta il privato sia comunque informato dell'esistenza di un procedimento diretto ad incidere sulla propria sfera giuridica, le norme in materia di partecipazione al procedimento amministrativo non devono essere applicate meccanicamente e formalisticamente.

Pertanto non ogni procedimento in cui sia mancata una fase formalmente partecipativa deve ex se essere annullato, qualora la comunicazione possa ritenersi superflua in base ai principi di economicità e di speditezza, dai quali è retta l’attività amministrativa, ovvero quando nemmeno in sede giurisdizionale la parte indica con precisione gli elementi di fatto che, qualora fossero stati introdotti nel procedimento, avrebbero astrattamente potuto portare anche ad un risultato differente (cfr. Consiglio di Stato sez. V 09 aprile 2013 n. 1950; Consiglio di Stato sez. IV 08 gennaio 2013 n. 32; Consiglio di Stato sez. III 21 marzo 2013 n. 1630, ecc.).

L'eventuale omissione di tale obbligo da parte dell'Amministrazione assume una rilevanza meramente formale, quando non vi è prova che la partecipazione dell'espropriato avrebbe potuto comportare un esito differente (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 19 novembre 2012 n. 5822; Consiglio di Stato sez. IV 17 settembre 2012 n. 4925). Ora, gli appellanti nemmeno in questa sede hanno in realtà introdotto profili idonei a dimostrare che l’asserita omissione procedimentale aveva causato un vulnus all’istruttoria.

Va escluso, ai sensi dell'art. 13 comma 1, l. n. 241 del 1990, l'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento di localizzazione di un impianto industriale, posto che ai PIP sono inapplicabili le norme in materia di partecipazione al procedimento in quanto si tratta di attività diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 26 febbraio 2013 n. 1187).

___ 4.§. Con un quarto motivo sostanziale a pagina 28 (ma erroneamente rubricato con il n. 3) si lamenta che illegittimamente vi sarebbe stato un mutamento del collegio tra la fase cautelare e la fase di discussione del merito. Se è vero che sensi dell'articolo 184 c.p.c. non è ammessa la sostituzione del giudice istruttore, sarebbe anche vero che il collegio originario nel suo plenum avrebbe dovuto conoscere integralmente la causa.

L’assunto non ha pregio.

In assenza di una specifica disposizione nell’ambito dell’art. 9 dell’all. 2 del c.p.a., che ponga espresse preclusioni in tal senso, la differente composizione del collegio in sede cautelare ed in sede di merito non integra alcuna causa di nullità o comunque alcuna illegittimità della decisione.

Nel giudizio amministrativo, il mutamento della composizione del collegio giudicante rispetto alla fase cautelare è una circostanza di per sé neutra, che non costituisce causa di compromissione della decisione del merito. Non vi sono elementi di diritto per ritenere che la cristallizzazione dei collegi, nell'ambito dello stesso ufficio, costituisca, di per sé sola, una garanzia assoluta dell’imparzialità o anche solo di migliore di funzionalità dell’organo giudicante, perché, al contrario, l’intervento nelle successive fasi processuali di magistrati diversi può anche garantire un rinnovato, e maggiore, approfondimento dei motivi di gravame oggetto del contendere.

La scelta del legislatore del Codice appare del resto perfettamente coerente non solo ad un archetipo di processo tipicamente connotato dall’istanza e dall’impulso di parte ed anche dalla natura tipicamente “di diritto” delle questioni trattate; ma anche a non secondarie esigenze di natura organizzatoria connesse con la naturale rotazione, anche solo feriale, dei magistrati tra le diverse Sezioni e tra i Tribunali.

___ 5.§. Infine, in conseguenza del rigetto dei motivi che precedono, devono essere dichiarate inammissibili tutte e cinque le rubriche dedotte in primo grado, integralmente ripetute dagli appellanti, richiamandosi costoro al principio devolutivo dell'appello.

In primo luogo, l’accertata irricevibilità dei motivi aggiunti preclude al Collegio l’esame degli stessi; e in secondo luogo si deve osservare che il giudizio di appello notoriamente non è un iudicium novum, per cui la cognizione del giudice resta circoscritta ai motivi ed alle questioni specificamente dedotti dall’appellante avverso la decisione gravata.

Il principio di specificità dei motivi esige perciò che, in sede di appello, il ricorrente soccombente in primo grado non possa limitarsi alla mera riproposizione delle stesse tesi iniziali, ma debba contrapporre alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata quelle idonee ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che le sorreggono (cfr. , tra le varie, Consiglio Stato sez. IV 11 novembre 2011 n. 5969; Consiglio Stato sez. IV 09 ottobre 2010 n. 7384; Consiglio Stato sez. V 06 ottobre 2009 n. 6094; Consiglio Stato sez. IV 7.6.2004 n.3614; ecc.).

___ 6.§ In definitiva l’appello è infondato, per cui la sentenza impugnata è integralmente meritevole di conferma.

Le spese, in relazione alla novità di alcune questioni poste, possono tuttavia essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando:

__.1. Respinge l'appello, come in epigrafe proposto;

___2. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Paolo Numerico, Presidente

Diego Sabatino, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere

Fulvio Rocco, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

 

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