Sunday 28 September 2014 15:28:43

Giurisprudenza  Procedimento Amministrativo e Riforme Istituzionali

Infiltrazioni mafiose: per lo scioglimento del Consiglio Comunale è sufficiente la presenza di elementi indizianti, che consentano d'individuare un rapporto inquinante tra l'organizzazione mafiosa e gli amministratori dell'ente

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 26.9.2014

Nel giudizio in esame la Terza Sesione del Consiglio di Stato ha ribadito i principi consolidati in giurisprudenza circa l’esegesi dell'art. 143 T.U.E.L, approvato con d.lg. 18 agosto 2000 n. 267. Lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose non ha natura di provvedimento di tipo sanzionatorio, ma preventivo, con la conseguenza che per l'emanazione del relativo provvedimento è sufficiente la presenza di elementi indizianti, che consentano d'individuare la sussistenza di un rapporto inquinante tra l'organizzazione mafiosa e gli amministratori dell'ente considerato infiltrato ( C.d.S., III Sez., 28.5.2013, n. 2895). L'art. 143 consente l’adozione del provvedimento sulla scorta di indagini ad ampio raggio sulla sussistenza di rapporti tra gli amministratori e la criminalità organizzata, non limitate alle sole evenienze di carattere penale, e perciò sulla scorta di circostanze che presentino un grado di significatività e di concludenza serio, anche se di livello inferiore rispetto a quello che legittima l'azione penale o l'adozione di misure di sicurezza (cfr. Cons. St., III, 6 marzo 2012 n. 1266). Tali vicende, poi, considerate nel loro insieme, e non atomisticamente, devono risultare idonee a delineare, con una ragionevole ricostruzione, un quadro complessivo del condizionamento mafioso dell’amministrazione dell’ente locale (cfr. Cons. St., VI, 10 marzo 2011 n. 1547). La valutazione di scioglimento dei corpi elettivi degli ee.ll., conseguente a fenomeni d'infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso, si basa, difatti, da un lato, sull'accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata e, dall'altro, sulla constatazione delle precarie condizioni di funzionalità dell'ente (cfr. Cons. St., VI, 15 marzo 2010 n. 1490). Come già affermato da questa Sezione con la citata sentenza n. 2895/2013, “ il DPR e la relazione ministeriale di accompagnamento costituiscono atti di alta amministrazione, perché impingono sulla prevalenza dell'indirizzo politico di contrasto alle mafie rispetto al mero rispetto delle consultazioni elettorali. In altre parole, tra i due valori, entrambi costituzionalmente rilevanti, non si può conservare questo senza che sia pienamente realizzato quello, ossia senza che il dato elettorale non sia genuino o, almeno, quanto più è possibile depurato dal condizionamento mafioso. Da ciò discende come, a fronte della struttura normativa del procedimento dissolutorio -in virtù del quale si realizza lo scioglimento sulla scorta d'un giudizio complessivo sui fatti rivelatori del condizionamento, a questo Giudice spetta un sindacato di legittimità di tipo estrinseco, senza possibilità di valutazioni che, al di là della repressione del travisamento dei fatti, si muovano sul piano del merito (cfr. Cons. St., III, n. 1266/2012, cit.).”. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provevdimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale *del 2014, proposto da:

Annarita Patriarca, Enrico Sabatino, Giuseppe Abagnale, Francesco Paolo Longobardi, Edoardo Campolongo, Gerardo Maddaloni, rappresentati e difesi dagli avv.ti Felice Lentini e Lorenzo Lentini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giuseppe Placidi in Roma, via Cosseria, n. 2;

 

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro-tempore, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.12; 

nei confronti di

 

Provincia di Napoli - Ufficio Territoriale del Governo, in persona del Prefetto pro-tempore,

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro-tempore,

Comune di Gragnano, in persona del legale rappresentante pro-tempore,

Dott. Salvatore La Rosa, Dott.ssa Rosalia Mazza, Dott. Francesco Greco;

 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE I, n. 9682/2013, resa tra le parti, concernente scioglimento del consiglio comunale di Gragnano per la durata di mesi 18, con conseguente nomina di una commissione straordinaria per la gestione provvisoria dell'ente.

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 maggio 2014 il Cons. Paola Alba Aurora Puliatti e uditi per le parti gli avvocati Lentini Felice e Lentini Lorenzo e l’avvocato dello Stato Santoro;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

1. - Con D.P.R. 30 marzo 2012, emesso su proposta del Ministro dell’Interno, e previa deliberazione del Consiglio dei ministri, è stato disposto lo scioglimento del Consiglio comunale di Gragnano, per la durata di 18 mesi, con la conseguente nomina di una commissione straordinaria per la gestione provvisoria dell’Ente, ai sensi dell’art. 143 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267.

Il provvedimento si fonda sui “collegamenti diretti ed indiretti tra componenti del consesso e la criminalità organizzata locale” e “la permeabilità dell'ente ai condizionamenti esterni della criminalità organizzata” che “arreca grave pregiudizio per gli interessi della collettività e determina lo svilimento e la perdita di credibilità dell'istituzione locale”.

La relazione del ministro dell’interno, allegata al decreto presidenziale di scioglimento, rappresenta, anzitutto, come un'operazione di polizia giudiziaria disposta nel mese di ottobre 2010, avesse portato all'arresto di numerosi affiliati a clan camorristici, rivelando come la locale criminalità organizzata, “oltre ai tradizionali interessi connessi alla realizzazione di profitti o vantaggi illeciti, si fosse adoperata per indirizzare le libere scelte degli elettori anche attraverso atti di violenza o richiesta ai candidati di corrispettivo in denaro”, cui era seguito, nel mese di gennaio 2011, il rinvio a giudizio nei confronti del Presidente del consiglio comunale di Gragnabo.

Il prefetto di Napoli, per verificare la sussistenza di forme di condizionamento e d’infiltrazione delle locali consorterie nei confronti degli amministratori dell'ente, con decreto del 10 giugno 2011, successivamente prorogato, aveva disposto l'accesso presso il Comune, ex art. 1, IV comma, del d.l. 6 settembre 1982, n. 629, convertito dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726, e, sulle base delle conclusioni raggiunte dalla commissione, lo stesso prefetto formò la relazione 26 gennaio 2012.

Secondo la relazione prefettizia, la commissione d'indagine ha considerato l'intero andamento dell'amministrazione comunale, la cornice criminale e la situazione ambientale ove si colloca l'ente locale, con particolare riguardo ai rapporti tra gli amministratori e la locale consorteria.

Sono così evidenziati i rapporti di parentela tra il sindaco, Annarita Patriarca e personaggi di rilievo della locale cosca camorristica; lo stesso sindaco è coniugato con il sindaco di un vicino comune, recentemente oggetto di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, il quale aveva influenzato “le dinamiche politiche del comune di Gragnano partecipando alle riunioni di maggioranza che si svolgevano presso l'abitazione del sindaco”.

Inoltre, sempre per la relazione prefettizia, lo stesso organo ispettivo, anche avvalendosi dell'attività svolta dall'autorità giudiziaria, aveva evidenziato il contributo offerto “da esponenti della locale malavita nel corso della campagna elettorale in favore di soggetti collegati con la maggioranza e con il sindaco eletto all'esito della competizione elettorale della primavera 2009”.

In particolare, durante il turno di ballottaggio erano state arrestate – e poi condannate - due persone, che avevano votato con duplicati, rilasciati dall'ufficio elettorale del comune, delle tessere elettorali intestate ad altri; nell'ambito delle indagini è stata “accertata l'esistenza di un gran numero di duplicati delle tessere elettorali, rilasciati dagli uffici comunali, al fine di porre in essere il meccanismo fraudolento del voto nonché quanto alle modalità di rilascio di tali duplicati, un confuso controllo delle procedure ed una gestione dell'ufficio elettorale a dir poco inaffidabile”.

Il presidente del consiglio comunale, successivamente dimessosi dalla carica, era stato condannato per reati concernenti la turbativa del voto: quello stesso presidente che – secondo un provvedimento di conferma di custodia carceraria - era stato sostenuto, anche attraverso minacce ed aggressioni, da esponenti del locale clan, i quali miravano ad assumere il controllo di attività economiche e di servizi pubblici.

Ancora, secondo la relazione, diversi settori dell'ente locale erano caratterizzati da irregolarità “funzionali al mantenimento di determinati assetti e cointeressenze con soggetti in organico o contigui all'organizzazione camorristica egemone, la cui attività si è inserita anche nel circuito legale”. Tali irregolarità sono singolarmente descritte nella relazione e coinvolgono il funzionamento degli uffici comunali nel settore edilizio e del commercio, l’affidamento del servizio di trasporto scolastico, l’affidamento di lavori di somma urgenza ad operatori economici gravati da precedenti penali o comunque riconducibili ad ambienti controindicati.

2. - Avverso il provvedimento prefettizio e gli atti ad esso presupposti hanno proposto ricorso Annarita Patriarca, sindaco al momento dello scioglimento, nonché i consiglieri comunali in epigrafe, negando l’esistenza di una situazione di grave inquinamento e deterioramento dell'amministrazione comunale.

Gli elementi posti a fondamento del provvedimento impugnato non rivestirebbero i caratteri della gravità, precisione e concordanza (ex artt. 2727 e 2729 c.c.); non emergerebbero prove, le quali convincano della perdurante strumentalizzazione degli organi comunali agli interessi delle organizzazioni criminali.

I provvedimenti sarebbero illegittimi per travisamento ed illogicità manifesta, poiché non è stato attribuito rilievo alle circostanze contrastanti con l'asserita prognosi di condizionamento mafioso.

Le elezioni amministrative si sarebbero svolte regolarmente e gli organi politico-amministrativi sarebbero stati formati senza difficoltà; l’azione amministrativa si sarebbe contraddistinta dal costante raccordo con le Autorità e le forze dell’ordine locali; sarebbe stata compiuta un’effettiva azione di contrasto dell'abusivismo edilizio; si sarebbe inibita l'esecuzione di lavori da parte di imprese sospette; i principali settori amministrativi, d’interesse delle consorterie criminali sarebbero risultati immuni da partecipazioni malavitose.

2.1. - Dopo il completo deposito della documentazione rilevante, sono stati depositati motivi aggiunti.

La nuova documentazione ribadisce che Leonardo Di Martino sarebbe il capo dell’organizzazione criminale mafiosa la quale avrebbe, da un lato, condizionato le operazioni elettorali, dall'altro, interferito indebitamente sui processi gestionali dell'Ente locale, per favorire attività economiche di suoi familiari ed insinuarsi nel settore degli appalti pubblici.

Tuttavia, secondo i ricorrenti, ciò sarebbe errato alla luce della assoluzione del Di Martino, con sentenza 27 marzo 2012, n. 840, del Tribunale di Napoli, dal reato di associazione mafiosa per non aver commesso il fatto, non esistendo alcun clan locale di stampo camorristico a lui riferibile, presente sul territorio di Gragnano; né sarebbe dubbio che la decisione del giudice penale prevalga sulle indagini dell’Autorità di polizia.

Inoltre, affermano i ricorrenti che sia la relazione della commissione di accesso, come la proposta del Prefetto di Napoli non indicano elementi “concreti, univoci e rilevanti” di condizionamento degli amministratori o dei dirigenti del Comune da parte di organizzazioni criminali.

Esaminano le posizioni del sindaco Patriarca, del vicesindaco Abagnale, delegato per la polizia municipale, degli assessori (Fumo, Galizia, D’Antuono, Coluzzi, Amitrano, D'Apuzzo, Cassese, Vitiello), di alcuni consiglieri ed anche di alcuni dipendenti, escludendone comunque il coinvolgimento con associazioni mafiose.

Lo scioglimento antimafia sarebbe carente anche per quanto riguarda i presupposti oggettivi di pretesa deviazione della funzione dell'Ente Locale e si ribadisce che non sussiste alcun quadro indiziario, univoco e concordante, per la dissoluzione dell'Ente, ai sensi dell'art. 143 T.U.E.L.,

mentre non sarebbero stati considerati svariati elementi di segno contrario sintomatici dell'opera costante di contrapposizione ferma e decisa della Patriarca e della Amministrazione comunale agli interessi della malavita organizzata locale.

3. - Con la sentenza in epigrafe, il TAR Campania ha rigettato l’impugnazione affermando il principio consolidato in giurisprudenza secondo cui “il provvedimento di scioglimento consiliare per infiltrazioni criminali non esige la prova della commissione di reati da parte degli amministratori, ovvero che i collegamenti tra l'Amministrazione e le organizzazioni criminali siano pienamente provati, essendo sufficiente, invece, un’articolata serie d’indizi sul collegamento, ovvero sull’influenza tra l'Amministrazione e i sodalizi criminali, restando comunque determinanti, da un lato, l’accertata o notoria diffusione della criminalità organizzata sul territorio interessato e, dall’altro, le precarie condizioni di funzionalità dell’ente in conseguenza del condizionamento criminale”.

Il TAR ha ritenuto che “i singoli episodi… già considerati individualmente fanno emergere situazioni equivoche: nel loro insieme, poi, forniscono una prova convincente che il clan criminale controllava o comunque interferiva nella libera determinazione degli organi locali, e che i suoi aderenti o affiliati rivestivano cariche pubbliche nell'Ente Locale per soddisfare gli interessi di gruppi affaristici, legati alla criminalità organizzata”.

Dopo aver esaminato i singoli episodi ed i contatti personali sintomatici, oggetto della relazione prefettizia, il primo giudice ha concluso che “Il Governo ha adottato una legittima misura di scioglimento, sulla base di elementi adeguati, e che vanno ben oltre il generico sospetto di contagio criminale: è stata fornita, insomma, una prova più che idonea che una specifica organizzazione criminale stesse interferendo nella funzione amministrativa e nella delicata gestione dei servizi pubblici locali, condizionandone i processi decisionali.”.

4.- Propongono appello gli originari ricorrenti, deducendo i seguenti motivi.

Con i primi tre motivi denunciano, sotto diversi profili: Error in iudicando – violazione dell’art. 143 TUEL – error in iudicando e in procedendo( violazione art. 143 TUEL in relazione art. 2, comma 30 l. 94/2004 e artt. 2727- 2729 cc. – travisamento – difetto del presupposto - motivazione apparente – illogicità.

Il TAR, muovendo dalle condanne per il reato elettorale ordinario concernente due soli duplicati di certificati elettorali, avrebbe costruito un vero e proprio teorema, fondato su semplici illazioni circa il presunto condizionamento del clan Di Martino sull’elezione del sindaco Patriarca. Teorema smentito dagli accertamenti del maresciallo dei carabinieri Giordano e dalla circostanza ( decisiva per il TAR) del voto di Fabio Martino al posto del fratello Michele ( non scritto invece nelle liste elettorali del comune nel 2009).

L’uso alterato della c.d. “ scheda ballerina” sarebbe, invece, escluso da alcune circostanze di fatto di segno contrario.

Inquietante sarebbe l’uso da parte del TAR di intercettazioni ambientali che proverebbero il sostegno del clan alla coalizione della Patriarca.

Sarebbero, invece, state ignorate le dichiarazioni del pentito Belviso rese al Tribunale di Torre Annunziata all’udienza del 31.1.2013; le risultanze della decisione del GUP di Napoli n. 840/2012 che escludono che Leonardo Di Martino abbia dato istruzioni ai familiari per condizionare le elezioni del maggio 2009.

Il TAR avrebbe oscurato plurimi e rilevanti elementi oggettivi che documentano, invece, un’azione decisa di contrasto dell’Amministrazione Patriarca contro i Di Martino.

Il TAR avrebbe ritenuto erroneamente provato il condizionamento e la deviazione dalla funzione amministrativa per il solo fatto della dedotta (insussistente) patologia elettorale da parte del clan, fermandosi al “sospetto” e senza entrare nel merito dei singoli rilievi.

Gli appellanti ripropongono, quindi, alcuni motivi di ricorso e aggiunti, oggetto di omessa pronuncia da parte del TAR, concernenti l’insussistenza dell’elemento soggettivo e l’insussistenza dell’elemento soggettivo e del nesso causale.

Con il quarto motivo di appello, infine, gli interessati ripropongono il IV motivo aggiunto del ricorso di primo grado, col quale era stata dedotta la violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, posto che le modeste “anomalie" rilevate dal Prefetto non hanno determinato una disfunzione genetica dell’amministrazione locale e sono state anche rimosse tempestivamente, prima dell’adozione del provvedimento impugnato, consentendo tutt’al più di disporre il monitoraggio dell’ente.

Senonchè il TAR ha liquidato come sporadiche e inconsistenti le azioni sviluppate dal comune.

4.2 - Con memoria depositata in vista della pubblica udienza, gli appellanti affermano che la difesa erariale sarebbe fondata su mere congetture e su una lettura deviata degli accertamenti del giudice penale (recente decisione della Corte d’appello di Napoli n. 3605/2013; sentenza del Tribunale di Gragnano in danno del Coticelli); viceversa, il clan Di Martino avrebbe appoggiato il diretto antagonista del Sindaco Patriarca, Michele Mascolo; il Tribunale di Gragnano avrebbe confinato in due soli voti i brogli elettorali per l’uso di duplicati.

Gli appellanti hanno svolto alcune considerazioni tese ad escludere il condizionamento soggettivo della Patriarca, sia perché il padre è morto nel 2007, sia perché il marito sarebbe rimasto estraneo alla fase elettorale ed alla successiva azione amministrativa; il TAR Campania, Napoli, Sez. I, con sentenza n.5196/2013, avrebbe escluso collegamenti e contatti tra i Cesarano, sospetti a fini antimafia, i Cesarano, parenti della Patriarca, e tra questi ultimi e lo stesso Sindaco, annullando una informativa antimafia in danno dei Cesarano (imprenditori), scaturita dallo stesso decreto di scioglimento del Comune di Gragnano.

Anche la tesi che l’affidamento del servizio di trasporto scolastico alla ditta Angelino s.r.l. sarebbe stata una contropartita dell’appoggio elettorale, sarebbe smentita dal fatto che la Commissione Straordinaria ha mantenuto in vita l’affidamento fino alla naturale scadenza e dal fatto che un’informativa antimafia ai danni della ditta sarebbe stata sospesa dal TAR Campania, Napoli, I Sez. con ordinanza n. 492/2014.

Con riguardo alla presunta deviazione della funzione amministrativa, la memoria si diffonde nell’eccepire l’inconsistenza dei sospetti citando, al contrario, le azioni di contrasto all’abusivismo edilizio e la richiesta di informative antimafia operate dall’amministrazione comunale.

5. – Resiste in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ribadendo le argomentazioni svolte in primo grado, rilevando che gli appellanti tendono a sminuire l’effettiva consistenza e significatività delle circostanze poste a fondamento del decreto presidenziale di scioglimento, invocando le risultanze della recente sentenza penale di condanna della Corte d’Appello di Napoli, n. 3605 del \4/6/2013.

Ribadisce che solo dall’esame complessivo degli elementi sintomatici di condizionamento e ingerenze da parte della criminalità organizzata è possibile ricavare la ragionevolezza dell’addebito mosso all’organo assembleare.

6.- All’udienza del 29 maggio 2014, l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. - L’appello è infondato.

2. - Il Collegio deve, innanzitutto, ribadire, in linea con le premesse da cui muovono i giudici di primo grado, i principi consolidati in giurisprudenza circa l’esegesi dell'art. 143 T.U.E.L, approvato con d.lg. 18 agosto 2000 n. 267.

Lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose non ha natura di provvedimento di tipo sanzionatorio, ma preventivo, con la conseguenza che per l'emanazione del relativo provvedimento è sufficiente la presenza di elementi indizianti, che consentano d'individuare la sussistenza di un rapporto inquinante tra l'organizzazione mafiosa e gli amministratori dell'ente considerato infiltrato ( C.d.S., III Sez., 28.5.2013, n. 2895).

L'art. 143 consente l’adozione del provvedimento sulla scorta di indagini ad ampio raggio sulla sussistenza di rapporti tra gli amministratori e la criminalità organizzata, non limitate alle sole evenienze di carattere penale, e perciò sulla scorta di circostanze che presentino un grado di significatività e di concludenza serio, anche se di livello inferiore rispetto a quello che legittima l'azione penale o l'adozione di misure di sicurezza (cfr. Cons. St., III, 6 marzo 2012 n. 1266).

Tali vicende, poi, considerate nel loro insieme, e non atomisticamente, devono risultare idonee a delineare, con una ragionevole ricostruzione, un quadro complessivo del condizionamento mafioso dell’amministrazione dell’ente locale (cfr. Cons. St., VI, 10 marzo 2011 n. 1547).

La valutazione di scioglimento dei corpi elettivi degli ee.ll., conseguente a fenomeni d'infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso, si basa, difatti, da un lato, sull'accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata e, dall'altro, sulla constatazione delle precarie condizioni di funzionalità dell'ente (cfr. Cons. St., VI, 15 marzo 2010 n. 1490).

Come già affermato da questa Sezione con la citata sentenza n. 2895/2013, “ il DPR e la relazione ministeriale di accompagnamento costituiscono atti di alta amministrazione, perché impingono sulla prevalenza dell'indirizzo politico di contrasto alle mafie rispetto al mero rispetto delle consultazioni elettorali. In altre parole, tra i due valori, entrambi costituzionalmente rilevanti, non si può conservare questo senza che sia pienamente realizzato quello, ossia senza che il dato elettorale non sia genuino o, almeno, quanto più è possibile depurato dal condizionamento mafioso. Da ciò discende come, a fronte della struttura normativa del procedimento dissolutorio -in virtù del quale si realizza lo scioglimento sulla scorta d'un giudizio complessivo sui fatti rivelatori del condizionamento, a questo Giudice spetta un sindacato di legittimità di tipo estrinseco, senza possibilità di valutazioni che, al di là della repressione del travisamento dei fatti, si muovano sul piano del merito (cfr. Cons. St., III, n. 1266/2012, cit.).”.

3. Facendo applicazione di tali principi al caso concreto, il Collegio ritiene non condivisibile la complessiva critica che gli appellanti muovono alla sentenza appellata, secondo cui il TAR si sarebbe lasciato sedurre dal “sospetto” senza entrare nel merito dei singoli rilievi mossi contro i fatti con il ricorso e i motivi aggiunti.

Sembra, al contrario, che i singoli elementi emergenti dagli atti istruttori e dal provvedimento impugnato siano stati esaminati dal TAR singolarmente, attribuendo loro quel significato indiziante univoco che è sufficiente ai fini dell’adozione della misura.

Non sussiste il vuoto motivazionale-istruttorio e la carenza dei presupposti complessivamente denunciati dagli appellanti, in quanto il richiamo alle vicende elettorali, alle parentele e ai contatti degli amministratori con esponenti di clan mafiosi, nonchè ai singoli episodi di presunta deviazione dal corretto esercizio della funzione amministrativa, riferiti nella relazione istruttoria e valorizzati dal TAR nella motivazione della sentenza, non richiedevano un accertamento di carattere più penetrante, essendo sufficiente il “quadro indiziario” emergente dalle vicende esaminate.

Il sindacato del giudice amministrativo sulla ricostruzione dei fatti e sulle implicazioni desunte dagli stessi non può spingersi oltre il riscontro della correttezza logica e del non travisamento dei fatti, essendo rimesso il loro apprezzamento alla più ampia discrezionalità dell’autorità amministrativa.

Si ribadisce, pertanto, che non è necessario, in sede giurisdizionale, un puntiglioso e cavilloso accertamento d'ogni singolo episodio, più o meno in sé rivelatore della volontà degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata, né delle responsabilità personali, anche penali, di questi ultimi (cfr. Cons. St., III, 6 marzo 2012 n. 1266).

4 - Ebbene, gli appellanti tentano di atomizzare i vari elementi - che la P.A. ed il TAR hanno esaminato per evincere il condizionamento mafioso sullo svolgimento delle elezioni e sull'attività comunale - al fine di estrapolare le singole circostanze dal contesto d’insieme e confutarne il significato.

Ma siffatta operazione ricostruttiva non è accettabile.

Ritiene, pertanto, il Collegio, sulla base delle premesse svolte, di poter affermare che i fatti posti a base del provvedimento e le loro implicazioni sia sullo svolgimento delle elezioni comunali, sia sull’esercizio di alcune funzioni amministrative di interesse economico cruciale per la malavita organizzata, non vengono sconfessati nella loro oggettiva consistenza dalle contestazioni mosse coi motivi di appello e con i rilievi di cui alle memorie successivamente depositate e, neppure, nella adeguatezza della ricostruzione operata in sede istruttoria per sorreggere la valutazione discrezionale operata.

4.1. - Vi è di più.

La recente sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 3605/2013 del 14.6.2013, di cui meglio si dirà nel prosieguo, in riforma della sentenza del GUP n. 840/2012, invocata dagli appellanti a sostegno delle proprie tesi critiche, ha confermato la correttezza del ragionamento logico e dei fatti posti a fondamento della misura prefettizia, ritenuti idonei a sorreggere la legittimità degli atti impugnati dal TAR, il cui valore indiziante e la cui consistenza oggettiva gli appellanti tentano di demolire.

4.2. - Neppure gli sviluppi delle vicende giudiziarie riguardanti le interdittive antimafia nei confronti della ditta Angelino srl e della ditta Cesarano s.r.l. esercente trasporti funebri, nonché la revoca di autorizzazione nei confronti di quest’ultima (sentenza del TAR Campania, Napoli, Sez. I, n. 5196/2013, nonché ordinanza cautelare n. 492/2014, adottata in favore della ditta Angelino srl, invocate dagli appellanti), scalfiscono, nell’insieme, il quadro indiziario su cui poggia il provvedimento dissolutorio impugnato.

A tal proposito, il Collegio rileva che la sentenza del TAR Campania n. 5196/2013 non ha escluso i rapporti di parentela ( rectius, affinità) tra la Patriarca e Cesarano Enrico, limitandosi a constatare che “ … lo stesso rapporto di coniugio sospetto imputato al fratello del socio amministratore unico sembra perdere all’attualità portata significativa se, come riferito dalla stessa Stazione Carabinieri di Gragnano nel rapporto informativo del 24 agosto 2012, costui è in fase di separazione dalla sorella dell’ex sindaco di Gragnano.”.

Mentre l’annullamento dell’interdittiva a carico della stessa ditta di pompe funebri è pronunciato “per anomalie motivazionali e istruttorie”, che concernono essenzialmente uno dei tre soci (e non il fratello del socio coniugato con la sorella della Patriarca) il quale “fu sottoposto nel maggio 1994 a procedimento penale per il reato di illecita concorrenza con minaccia o violenza, nel corso del quale gli fu irrogata la misura cautelare degli arresti domiciliari”, senza che il prefetto abbia tenuto conto delle evoluzioni giudiziarie a suo favore (“antecedentemente all’emanazione dell’interdittiva, con la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata n. 771 del 27 giugno 2002 il predetto soggetto è stato prosciolto dall’accusa di illecita concorrenza con minaccia o violenza, e con ordinanza del Tribunale del Riesame di Napoli del 10 febbraio 2009 è stata annullata per carenza della gravità indiziaria la misura cautelare del divieto di dimora irrogatagli il mese precedente).

In altri termini, la sentenza del TAR Campania, Napoli, sez. I, n. 5196/2013, invocata dagli appellanti, riguardando gli aspetti suddetti, non fa venir meno il valore indiziante desunto dalla Commissione e dal prefetto di Napoli dai rapporti del Sindaco Patriarca con i Casarano e con la ditta ad essi facente capo.

Neppure dall’ordinanza cautelare n. 492/2014 dello stesso TAR Campania, che ha sospeso l’interdittiva antimafia nei confronti della ditta Angelino srl, è possibile desumere argomenti che inficiano la legittimità del provvedimento in esame.

L’ordinanza cautelare, a parte il suo carattere interinale, ha rilevato il fumus dei motivi aggiunti (di cui, però, si sconosce il contenuto) ed ha considerato l’esigenza di bilanciamento di opposti interessi e dello stato di esecuzione del contratto, apprezzando come “equa e proporzionata misura cautelare la sospensione dei provvedimenti impugnati, alla luce di esigenze di continuità del servizio pubblico e di salvaguardia degli attuali livelli occupazionali”.

Infine, la circostanza che la ditta Angelino s.r.l. abbia continuato a svolgere il servizio, anche a seguito dell’insediamento delle a Commissione straordinaria, in forza dell’ordinanza cautelare, denota soltanto la priorità accordata alla continuità del servizio.

5. - Passando all’esame dei punti salienti della controversia, coi primi due motivi di appello, si sostiene l’inconsistenza del presunto condizionamento mafioso del procedimento elettorale ad opera del clan Di Martino.

In sintesi, gli appellanti asseriscono che:

- la condanna del Tribunale di Gragnano per l’uso indebito di due duplicati di certificati elettorali, ad esclusione di un numero più elevato di duplicati, riguarda un reato elettorale ordinario senza l’aggravante dell’art. 7 l. 203/1991 ( null’altro);

- il clan Di Martino non ha appoggiato la Patriarca, ma il diretto antagonista, Michele Mascolo ( intercettazione ambientale -pag. 50 del decreto di fermo di Di Martino);

- Fabio Di Martino non era iscritto nelle liste del Comune di Gragnano, nel maggio 2009, e pertanto non poteva votare al posto del fratello Michele;

- il suffragio di Coticelli in due Sezioni è del tutto fisiologico perchè anche il padre negli anni 80 ha registrato lo stesso consenso;

- l’uso della c.d. “scheda ballerina” sarebbe un’illazione, riferibile a mere insinuazioni di un consigliere di opposizione, smentita da circostanze di fatto ( Ida Scarpato non ha sorelle; la Patriarca non ha partecipato ad una cena al ristorante Bouganville, etc);

- Il TAR avrebbe pretermesso le dichiarazioni del pentito Belviso rese all’udienza del 31.1.2013 al Tribunale di Torre Annunziata e la decisione del GUP di Napoli 840/2012;

- il TAR ha ignorato plurimi elementi di segno contrario che documentano il contrasto dell’amministrazione Patriarca agli affari dei Di Martino.

Ritiene il Collegio che decisiva, in senso contrario alla tesi degli appellanti, è la circostanza che sulla vicenda relativa alle consultazioni elettorali è da ultimo intervenuta la pronuncia penale della Corte di appello di Napoli, n. 3605/2013 del 14.6.2013, le cui risultanze non sono contraddette idoneamente dagli appellanti con la memoria del 15.5.2014.

La sentenza, in riforma della pronuncia del GUP n. 840/2012, ha riconosciuto, tra gli altri, Di Martino Leonardo e Michele colpevoli dei reati di cui al capo A) e B) della rubrica, condannandoli rispettivamente alla pena di anni 20 di reclusione e anni 5 e mesi 4 di reclusione.

Il capo A) così definisce l’imputazione: “ reato di cui all’art. 416 bis c. 1, 2, 3, 4, 5 c.p. per aver partecipato ad un’associazione di tipo mafioso denominata D’ALESSANDRO che, avvalendosi della forza di intimidazione proveniente dal vincolo associativo e della conseguente condizione di assoggettamento e di omertà che ne derivano, ha per scopo la commissione di delitti ( estorsioni, traffico di sostanze stupefacenti, detenzioni e porto d’armi, usure, omicidi), al fine di acquisire il controllo – anche attraverso la contrapposizione armata con organizzazioni criminali rivali – di attività lecite ed illecite, con particolare riferimento alle zone di Castellamare, Gragnano, Pimonte, Lettere e comuni limitrofi, in modo da conseguire, direttamente o indirettamente, la gestione e il controllo di attività economiche, di concessioni, di appalti e servizi pubblici, ed al fine comunque di realizzare profitti o vantaggi ingiusti e di impedire ed ostacolare il libero esercizio del voto, procurando voti a sé o ad altri - anche dietro corrispettivo di denaro ed altre utilità nonché atti di intimidazione fisica in occasione di consultazioni elettorali. In particolare,…omissis…

-DI MARTINO Leonardo partecipando - anche nella sua veste di capo e responsabile dell’omonima organizzazione criminale attiva nei territori di Pimonte, Agerola e dei Monti Lattari – all’associazione camorristica D’ALESSANDRO di cui condivideva fini e programmi;

- DI MARTINO Fabio, occupandosi di condizionare – in nome e per conto della cosca e mediante la relativa capacità di intimidazione ed alla conseguente condizione di omertà ed assoggettamento ingenerata nella popolazione locale – il libero esercizio del voto in occasioni di consultazioni elettorali nei comuni di operatività criminale della cosca; ricevendo al riguardo somme di denaro o comunque accettandone la promessa ed aggredendo fisicamente coloro che non intendevano piegarsi alle indicazioni di voto formulate dal clan; occupandosi altresì di trasmettere dal carcere ordini e direttive del padre Di Martino Leonardo”.

Nella sentenza si legge, inoltre, che: “ i colloqui registrati presso il carcere di Sulmona, rappresentano una ulteriore conferma dell’alleanza creatasi tra il clan D’Alessandro e il clan Di Martino, del radicamento sul territorio di questa temibile organizzazione e della sua potenza, rafforzata dalla nuova alleanza. Dal monitoraggio dei colloqui è, infatti, emerso che il clan Di Martino aveva in territorio di Gragnano influito sulle consultazioni elettorali attraverso Di Martino Fabio ( pag. 132-133).”

Tale accertamento, intervenuto in secondo grado, in sede penale, conferma la bontà dell’impianto ricostruttivo dei fatti operato dall’Amministrazione e, nel contempo, la correttezza del giudizio espresso dal TAR.

Qui basti aggiungere, ancora, un’ ulteriore circostanza di fatto, risultante dagli atti istruttori, ad ulteriormente corroborare le conclusioni cui è giunto il primo giudice: il sistema fraudolento di esercizio del voto avrebbe coinvolto gli uffici comunali a tal punto che è stato acclarato dalle forze dell’ordine il fenomeno del rilascio, nei giorni antecedenti le elezioni, di ben “828 duplicati a persone la cui firma si discosta palesemente dal nome dell’intestatario e ulteriori 89 a persone che non avevano apposto alcuna firma né di richiesta, né di ritiro. In più casi il ritiro della tessera elettorale da parte di persona non intestataria è stato seguito dall’esercizio di voto da parte di persona identificata tramite conoscenza diretta dello scrutatore”.

E’ giustificato, dunque, il forte sospetto che la turbativa elettorale abbia avuto dimensioni ben più consistenti del caso relativo ai brogli accertati e definiti con sentenze penali di condanna.

6. - Nessun “salto logico”, a questo punto, può attribuirsi al TAR per avere desunto dall’inquinamento elettorale la deviazione della funzione amministrativa dai suoi scopi tipici (terzo motivo di appello).

Una volta accertato, in sede penale, il condizionamento mafioso “ab origine” dell’amministrazione eletta, risulta plausibile che l’attività amministrativa, nei settori cruciali dell’edilizia, del commercio e degli appalti, come adombrato nella relazione prefettizia, sia stata condizionata dallo scopo del favoritismo nei confronti di parenti e soggetti malavitosi.

7. – In merito alla riproposizione di alcuni motivi di primo grado, su cui il TAR aveva omesso di pronunciare, sembra al Collegio superfluo l’esame delle censure alla luce di quanto sopra argomentato, con riguardo sia al raggiungimento di una prova consistente dell’avvenuto condizionamento mafioso dell’amministrazione già in fase preelettorale, sia avuto riguardo alle caratteristiche dell’apprezzamento discrezionale richiesto dall’art. 143 TUEL e dei limiti del giudizio di legittimità, su cui ci si è soffermati ai precedenti punti 2, 3, 4.

8. – Tuttavia, ritiene il Collegio particolarmente significativi del clima di illegalità in cui versava la gestione amministrativa del comune alcuni episodi che gli appellanti, ad avviso del Collegio, non hanno efficacemente contrastato.

8.1. - L’episodio del rilascio di voltura per il ristorante di cui è stato titolare Fabio di Martino, secondo gli appellanti, sarebbe stato enfatizzato ignorando che dal giugno 2011 il Di Martino ha dismesso l’attività per la revoca, con provvedimento del 17/3/2011, dell’autorizzazione concessa e la relazione coi beni immobili, raggiunti dall’ordinanza di demolizione del 21.3.2011.

Non è contestato efficacemente, però, quanto asserisce l’Avvocatura dello Stato nella memoria del 6 marzo 2014, circa la risultanza, messa in luce dall’accertamento ispettivo, che la variazione della denominazione sociale della licenza da “Nonno Nino s.a.s. di Scarfato Carolina e soci” a “Nonno Nino s.a.s. di Di Martino Fabio e soci”, avviata già nel 2006, sia avvenuta in data 24.3.2010 senza acquisire da parte degli uffici comunali le necessarie cautele antimafia e senza che nelle varie integrazioni documentali siano mai stati acquisiti i documenti attestanti la regolarità urbanistica dell’immobile, sia pure sotto forma di autodichiarazione di conformità urbanistica da parte del tecnico incaricato di redigere gli elaborati tecnici; tutte le irregolarità, poi, sono state rilevate solo nel 2011, a seguito di ripetuti controlli e denuncia dei Carabinieri NAS.

L’inerzia ripetuta e il ritardo dell’Amministrazione sono gravemente sospette.

La collaborazione del Sindaco con le forze dell’ordine, invocata dagli appellanti a dimostrazione, viceversa, del suo impegno contro la criminalità, in realtà, si è manifestata solo a seguito dell’arresto del Di Martino.

Correttamente, pertanto, il TAR ha affermato che eventuali sporadiche iniziative di segno opposto non fanno venir meno il vizio originario dell’amministrazione disciolta.

8.2 - Analogamente, un’inerzia sospetta è riconducibile alla vicenda della chiusura dell’attività commerciale, avviata con DIA, del “Bar e Caffetteria Monti Lattari s.a.s.” di Di Martino Michele, figlio di Leonardo e fratello di Fabio, condannato con la citata sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 3605/2013, chiusura disposta solo a seguito delle verifiche eseguite dai Carabinieri.

Non sminuisce il sospetto il fatto che la richiesta di informativa antimafia da parte del Sindaco, doverosamente attivata, non fosse stata sollecitamente esitata. L’inerzia di un ufficio locale non può trovare giustificazione nell’eventuale inerzia di altro ufficio statale, che ben avrebbe potuto essere adeguatamente sollecitato.

8.3- Anche le circostanze, riferite dall’Avvocatura dello Stato, riguardanti le numerose irregolarità edilizie –urbanistiche a vantaggio dell’attività della struttura “Il vigneto”, di fatto non avente le caratteristiche di “agriturismo”, non oggetto di controllo e repressione da parte degli uffici comunali, non è escluso che siano state fortemente condizionate dal rapporto di affinità del sindaco Patriarca con Enrico Cesarano, marito della sorella; mentre è riferito dai Carabinieri, nella nota 4/4-3 prot. “R” del 19.1.2012, che la proprietà effettiva dell’immobile utilizzato - riconducibile formalmente a nullatenenti - sia di Aniello Cesarano, cugino di “Ciccio O Biond”, alias Francesco Vollaro, cognato del boss defunto Michele D’Alessandro.

Anche su tale circostanza gli appellanti non controdeducono efficacemente, sostenendo semplicemente la carenza di “elementi fattuali obiettivi”, perché il Cesarano non è indiziato di appartenere ad alcun clan ed in passato aveva anche rivestito il ruolo di Comandante dei VV. UU. di Gragnano.

Ma, come si è detto, anche il mero sospetto, che si concreta “nell’ipotizzabile riconducibilità di fatto della titolarità proprietaria del complesso agrituristico”, è dato sufficiente ai fini preventivi.

8.4 – Quanto alla vicenda della ditta di Trasporti funebri Cesarano s.r.l., risulta dagli atti depositati dall’Avvocatura dello Stato ( prefettizia prot. N. I/41897/Area 1/ Ter O.S.P. del 28.1.2013) sia la relazione di affinità del Sindaco Patriarca Annarita con Enrico Cesarano, figlio di Patrizio Cesarano, e coniugato con la sorella del Sindaco; sia la parentela dello stesso con Gennaro Cesarano, Enrico Cesarano ed Alfonso Cesarano ( ex socio accomandante della stessa ditta),

Sulle vicende che hanno riguardato il primo, Gennaro Cesarano, segnalato per reati di illecita concorrenza con minaccia e violenza, estorsione ed indagato per reati di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione ed all’illecita concorrenza nel settore delle esequie funebri si è già detto. La ditta, di cui è amministratore unico il predetto Cesarano Enrico, cognato del Sindaco Patriarca Annarita, risulta destinataria dell’informativa antimafia, annullata dal TAR Campania con sentenza n. 5196/2013, di cui si è riferito.

8.5. – Quanto alla vicenda dell’appalto per il trasporto scolastico alla ditta Angelino s.r.l., il socio e amministratore della ditta e l’ex Sindaco Patriarca sono stati sottoposti a misura di custodia cautelare e rinviati a giudizio, in data 4.2.2013, per concussione, corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio, abuso di ufficio in concorso, falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico e turbata libertà degli incanti, nell’ambito del procedimento penale instaurato presso il Tribunale di Torre Annunziata (come risulta dalla relazione conclusiva resa dalla Commissione di accesso).

Risulterebbe dagli accertamenti ispettivi il sospetto che attraverso l’assegnazione del servizio alla ditta si volesse garantire l’occupazione a favore di soggetti controindicati; il che è avvalorato dal fatto che numerosi dipendenti della ditta Angelino s.r.l. sono gravati da pregiudizi penali o ritenuti contigui o affiliati al clan D’Alessandro.

Anche tale ditta è stata raggiunta da certificazione antimafia del 16 dicembre 2013, la cui esecutività è stata sospesa con la richiamata ordinanza cautelare del TAR Campania n. 492/2014.

8.6 .- Ancora, il marito della Annarita Patriarca, Martinelli Enrico, già sindaco del comune di San Cipriano d’Aversa, il cui consesso è stato sciolto per infiltrazioni mafiose, risulta essere stato sottoposto a custodia cautelare e procedimento penale per associazione di stampo mafioso (che come riferisce l’Avvocatura dello Stato, nella memoria del 6 marzo 2014, sembra essersi concluso con sentenza di condanna – cfr. anche doc. all. 4, sentenza del GIP di Napoli del 3 febbraio 2014).

9. – In conclusione, ritiene il Collegio che gli elementi raccolti a fondamento del provvedimento impugnato integrino quegli “elementi concreti, univoci e rilevanti” che rappresentano legittimo presupposto per l’adozione del provvedimento dissolutorio di cui all’art. 143 TUEL.

10. - L’appello va, pertanto, rigettato.

11. - Le spese di giudizio si compensano tra le parti, attesa la peculiarità della vicenda.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Pier Giorgio Lignani, Presidente

Angelica Dell'Utri, Consigliere

Dante D'Alessio, Consigliere

Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere

Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 26/09/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)



 

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