Saturday 25 February 2017 10:32:38

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Abusi edilizi: l'ordinanza di demolizione penale non si prescrive

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza della Corte di Cassazione Sez. III pubblicata il 23.2.2017

Si segnala la sentenza della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione depositata in data 23 febbraio 2017 che si è soffermata ad analizzare la natura dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna al fine di valutare il motivo di ricorso con il quale la ricorrente (condannata con sentenza divenuta irrevocabile) ha invocato l'intervenuta prescrizione, a norma dell'art. 173 del codice penale della pena accessoria dell'ordine di demolizione, in ragione della sua natura penale. La Corte sul punto ha richiamato i precedenti giurisprudenziali in materia laddove hanno affermato che l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, avendo natura di sanzione amministrativa di carattere ripristinatorio, non è soggetto alla prescrizione stabilita dall'art. 173 cod. pen. per le sanzioni penali, né alla prescrizione stabilita dall'art. 28 della legge 24 novembre 1981, n. 689, che riguarda unicamente le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva. La Corte peraltro, richiama altresì la sentenza resa dalla Terza Sezione n. 9949 del 20/01/2016 che appunto conclude ribadendo che la demolizione del manufatto abusivo, anche se disposta dal giudice penale ai sensi dell'art. 31, comma 9 del d.P.R. 380 del 2001, qualora non sia stata altrimenti eseguita, ha natura di sanzione amministrativa, che assolve ad un'autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall'essere stato o meno quest'ultimo l'autore dell'abuso. Per tali sue caratteristiche la demolizione non può ritenersi una «pena» nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU e non è soggetta alla prescrizione stabilita dall'art. 173 cod. pen.. In ogni caso, l'art. 31 Testo Unico dell'edilizia disciplina l'ingiunzione alla demolizione delle opere abusive, adottata dall'autorità amministrativa nel caso non venga disposta la demolizione d'ufficio; in caso di inottemperanza, è prevista l'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, e, comunque, l'acquisizione dell'opera abusiva al patrimonio del Comune, finalizzata alla demolizione 'in danno', a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con specifica deliberazione consiliare non venga dichiarata l'esistenza di prevalenti interessi pubblici, e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici ed ambientali. Il comma 9 del medesimo art. 31 prevede che la demolizione venga ordinata dal giudice con la sentenza di condanna, "se ancora non sia stata altrimenti eseguita". Una lettura sistematica della disposizione, dunque, conduce la Corte a ribadire la natura amministrativa, e la dimensione accessoria, ancillare, rispetto al procedimento penale, della demolizione, pur quando ordinata dal giudice penale. Conclude poi la Corte precisando come sia pacifico che l'ordine 'giudiziale' di demolizione è: - suscettibile di revoca da parte del giudice penale allorquando divenga incompatibile con provvedimenti amministrativi di diverso tenore, in tal senso non mutuando il carattere tipico delle sanzioni penali, consistente nella irretrattabilità, ed è impermeabile a tutte le eventuali vicende estintive del reato e/o della pena (ad esso non sono applicabili l'amnistia e l'indulto); - resta eseguibile, qualora sia stato impartito con la sentenza di applicazione della pena su richiesta, anche nel caso di estinzione del reato conseguente al decorso del termine di cui all'art. 445, comma 2, codice procedura penale. Per approfondire vai al testo integrale della sentenza.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

CORTE DI CASSAZIONE

Penale Sent. Sez. 3  

Num. 8879  Anno 2017

Presidente: FIALE Relatore: CERRONI Data Udienza: 13/01/2017

pubblicata il 23 febbraio 2017

 

***

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 15 marzo 2016 il Tribunale di Napoli ha rigettato l'istanza di revoca o sospensione dell'ordine di demolizione emesso dal Pubblico Ministero nei confronti di *, condannata con sentenza del Tribunale di Napoli del 21 febbraio 2000, ormai irrevocabile dal 21 aprile 2000. 2. La * ha proposto ricorso per cassazione formulando due motivi di impugnazione.

2.1. La ricorrente ha in primo luogo lamentato l'erronea applicazione della legge penale, invocando l'intervenuta prescrizione, a norma dell'art. 173 cod. pen., della pena accessoria dell'ordine di demolizione, in ragione della sua natura penale. A tal proposito, infatti, ed ai fini della qualificazione della misura, dovevano essere considerate in via alternativa la sua qualificazione sul piano interno, la natura della sanzione nonché la sua severità, ed a detto ultimo riguardo non era possibile escluderne la natura penale nel sistema convenzionale europeo, che parimenti aveva evidenziato l'irrilevanza delle funzioni ulteriori della sanzione rispetto a quella repressiva, con ogni conseguenza altresì in ordine al regime prescrizionale.

2.2. Col secondo motivo la ricorrente ha osservato che, in forza della disapplicazione operata dal Tribunale circa i provvedimenti adottati in sede amministrativa, il Giudice avrebbe quantomeno dovuto motivare in merito alle ragioni che lo avevano indotto a ravvisare la prevalenza di un interesse pubblico rispetto ad un altro in favore della conservazione del bene, ed in particolare del privato che aveva riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell'atto.

3. Il Procuratore generale ha concluso per l'inammissibilità del ricorso, osservando che l'ordine di demolizione aveva natura di sanzione amministrativa a carattere ripristinatorio e pertanto non era assoggettabile alle regole sulla prescrizione, mentre il provvedimento impugnato aveva correttamente valutato che il provvedimento di condono era stato rilasciato in assenza quantomeno del requisito temporale, quale l'ultimazione delle opere entro il 31 dicembre 1993.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è inammissibile.

4.1. In relazione al primo motivo di censura, e tenuto conto della particolare struttura del provvedimento, è in primo luogo del tutto opportuno e sufficiente ricordare che è già stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 117 Cost., dell'art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 per mancata previsione di un termine di prescrizione dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna, in quanto le caratteristiche di detta sanzione amministrativa — che assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso; configura un obbligo di fare per ragioni di tutela del territorio; non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non è l'autore dell'abuso — non consentono di ritenerla "pena" nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU, e, pertanto, è da escludere sia la irragionevolezza della disciplina che la riguarda rispetto a quella delle sanzioni penali soggette a prescrizione, sia una violazione del parametro interposto di cui all'art. 117 Cost. (Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016, Porcu, Rv. 267977). Sì che va ribadito che l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, avendo natura di sanzione amministrativa di carattere ripristinatorio, non è soggetto alla prescrizione stabilita dall'art. 173 cod. pen. per le sanzioni penali, né alla prescrizione stabilita dall'art. 28 della legge 24 novembre 1981, n. 689, che riguarda unicamente le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva (ad es. Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015, Formisano, Rv. 264736; cfr. altresì Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Delorier, Rv. 265540, che aveva ricordato come le richiamate caratteristiche dell'ordine di demolizione escludevano la sua riconducibilità anche alla nozione convenzionale di "pena" elaborata dalla giurisprudenza della Corte EDU).

4.2. La Corte infine, richiama ed integralmente condivide Sez. 3, n. 9949 del 20/01/2016, Di Scala — allo stato non massimata — che appunto conclude ribadendo che la demolizione del manufatto abusivo, anche se disposta dal giudice penale ai sensi dell'art. 31, comma 9 del d.P.R. 380 del 2001, qualora non sia stata altrimenti eseguita, ha natura di sanzione amministrativa, che assolve ad un'autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall'essere stato o meno quest'ultimo l'autore dell'abuso. Per tali sue caratteristiche la demolizione non può ritenersi una «pena» nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU e non è soggetta alla prescrizione stabilita dall'art. 173 cod. pen.. In ogni caso, ivi è comunque ribadito che l'art. 31 Testo Unico dell'edilizia disciplina l'ingiunzione alla demolizione delle opere abusive, adottata dall'autorità amministrativa nel caso non venga disposta la demolizione d'ufficio; in caso di inottemperanza, è prevista l'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, e, comunque, l'acquisizione dell'opera abusiva al patrimonio del Comune, finalizzata alla demolizione 'in danno', a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con specifica deliberazione consiliare non venga dichiarata l'esistenza di prevalenti interessi pubblici, e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici ed ambientali. Il comma 9 del medesimo art. 31 prevede che la demolizione venga ordinata dal giudice con la sentenza di condanna, "se ancora non sia stata altrimenti eseguita".

Una lettura sistematica della disposizione, dunque, impone di ribadire la natura amministrativa, e la dimensione accessoria, ancillare, rispetto al procedimento penale, della demolizione, pur quando ordinata dal giudice penale; tant'è che, pur integrando un potere autonomo e non alternativo a quello dell'autorità amministrativa, nel senso che la demolizione deve essere ordinata dal giudice penale anche qualora sia stata già disposta dall'autorità amministrativa, l'ordine 'giudiziale' di demolizione coincide, nell'oggetto (l'opera abusiva) e nel contenuto (l'eliminazione dell'abuso), con l'ordine (o l'ingiunzione) 'amministrativo', ed è eseguibile soltanto "se ancora non sia stata altrimenti eseguita". Pertanto, se la 'demolizione d'ufficio' e l'ingiunzione alla demolizione sono disposte dall'autorità amministrativa, senza che venga revocata in dubbio la natura amministrativa, e non penale, delle misure, e senza che ricorra la pertinenzialità ad un fatto-reato, in quanto, come si è visto, la demolizione può essere disposta immediatamente, senza neppure l'individuazione dei responsabili, non può affermarsi che la 'demolizione giudiziale' — identica nell'oggetto e nel contenuto — muti natura giuridica solo in ragione dell'organo che la dispone. Anche perché è pacifico che l'ordine 'giudiziale' di demolizione è suscettibile di revoca da parte del giudice penale allorquando divenga incompatibile con provvedimenti amministrativi di diverso tenore (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci, Rv. 260972), in tal senso non mutuando il carattere tipico delle sanzioni penali, consistente nella irretrattabilità, ed è impermeabile a tutte le eventuali vicende estintive del reato e/o della pena (ad esso non sono applicabili l'amnistia e l'indulto, cfr. Sez. 3, n. 7228 del 02/12/2010, dep. 2011, D'Avino, Rv. 249309); resta eseguibile, qualora sia stato impartito con la sentenza di applicazione della pena su richiesta, anche nel caso di estinzione del reato conseguente al decorso del termine di cui all'art. 445, comma 2, cod. proc. pen. (cfr. Sez. 3, n. 18533 del 23/03/2011, Abbate, Rv. 250291); non è estinto dalla morte del reo sopravvenuta all'irrevocabilità della sentenza (cfr. Sez. 3, n. 3861 del 18/01/2011, Baldinucci e altri, Rv. 249317). Si tratta, dunque, della medesima sanzione amministrativa, adottabile parallelamente al procedimento amministrativo, la cui emissione è demandata (anche) al giudice penale all'esito dell'affermazione di responsabilità penale, al fine di garantire un'esigenza di celerità ed effettività del procedimento di esecuzione della demolizione.

4.3. In relazione al secondo motivo di censura, non viene contestato il principio secondo cui il giudice dell'esecuzione, a cui sia richiesto di revocare l'ordine di demolizione di manufatto abusivo in ragione di sopravvenuto provvedimento di condono, ha il potere di sindacare detto atto concessorio, disapplicandolo soltanto ove lo stesso sia stato emesso in assenza delle condizioni formali e sostanziali di legge previste per la sua esistenza e non anche nell'ipotesi di mancato rispetto delle norme che, regolando l'esercizio del potere amministrativo, determinano solo invalidità (Sez. 3, n. 25485 del 17/03/2009, Consolo, Rv. 243905; conf., in motivazione, Sez. 3, n. 1104 del 25/11/2004, dep. 2005, Calabrese ed altro, Rv. 230815). Del pari, ancora più recentemente, è stato così affermato che il giudice dell'esecuzione, al quale sia richiesto di revocare l'ordine di demolizione contenuto nella sentenza di condanna, ha il potere di sindacare la delibera di acquisizione gratuita dell'opera abusiva al patrimonio comunale, che dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici rispetto al ripristino dell'assetto urbanistico violato (Sez. 3, n. 11419 del 29/01/2013, Bene e altro, Rv. 254421).

4.4. Fermo il richiamato principio di diritto, non sono state neppure specificamente contestate le ragioni di diritto e di fatto ampiamente allegate dal Giudice napoletano per disattendere il provvedimento di condono edilizio del Comune di Afragola, e per negare altresì che il manufatto potesse rientrare anche nelle ipotesi di cui alla successiva legge 24 novembre 2003, n. 326. L'ordinanza impugnata ha dato altresì ampio risalto - ed anche a questo proposito la ricorrente non ha inteso prendere posizione - alle valutazioni rese dagli uffici tecnici dell'Amministrazione comunale afragolese, che hanno confermato l'emanazione del provvedimento di condono in assoluta assenza delle condizioni di legge per la sua adozione. Al riguardo, il responsabile dell'Ufficio abusivismo edilizio del Comune, sentito in sede esecutiva, ha altresì ammesso di avere rilevato solamente in epoca recente le anomalie, e di "avere pensato di dover attendere l'esito della procedura esecutiva penale, prima di intraprendere qualsiasi iniziativa". In ragione di ciò, perde di per sé consistenza la censura della ricorrente, che avrebbe preteso l'esplicitazione delle valutazioni che avrebbero indotto il Giudice dell'esecuzione a sovvertire il provvedimento favorevole formato in sede amministrativa. Laddove, invece, gli stessi esponenti tecnici comunali hanno ammesso di non comprendere le ragioni in forza delle quali il condono fosse stato emesso.

4.5. Infine, quanto all'invocata buona fede della ricorrente, che avrebbe confidato senza sua colpa nella legittimità del provvedimento in sanatoria dando altresì corso ad ingenti spese di miglioramento dell'immobile, il Tribunale di Napoli, parimenti investito della questione, ha fornito (ultimo capoverso a pag. 6) motivata risposta circa l'irrilevanza di detto profilo. Anche in proposito, peraltro, il ricorso non ha addotto alcun contrario pensiero.

5. I motivi di censura appaiono pertanto manifestamente infondati, e pe~te ne va dichiarata l'inammissibilità. Tenuto infine conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 2.000,00.

 P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma il 13/01/2017

 

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