Sunday 22 February 2015 21:35:01

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Edilizia: differenza tra varianti in senso proprio, varianti essenziali e minime

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Tar Campania Napoli Sez. VIII del 19.2.2015

La vigente normativa edilizia riconosce la possibilità di assentire varianti al progetto approvato.La giurisprudenza distingue, in proposito, tra varianti in senso proprio, varianti essenziali e varianti minime (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 aprile 2007 n. 1572; Cass. pen., sez. III, 24 marzo 2010 n. 24236; 25 settembre 2012 n. 49290).a) Per quanto riguarda le c.d. varianti in senso proprio, deve rilevarsi che non tutte le modifiche alla progettazione originaria possono definirsi varianti e che queste si configurano solo allorquando il progetto già approvato non risulti sostanzialmente e radicalmente mutato dal nuovo elaborato.La nozione di variante deve, cioè, ricollegarsi a modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto originario, e gli elementi da prendere in considerazione, al fine di discriminare un nuovo permesso di costruire dalla variante ad altro preesistente, sono la superficie coperta, il perimetro, la volumetria, le distanze dalle proprietà viciniori, nonché le caratteristiche funzionali e strutturali, interne ed esterne, del fabbricato.Il nuovo provvedimento – da rilasciarsi col medesimo procedimento previsto per il rilascio del permesso di costruire – rimane in posizione di sostanziale collegamento con quello originario, e in questo rapporto di complementarità e di accessorietà deve ravvisarsi la caratteristica distintiva del permesso di costruire in variante, che giustifica, tra l'altro, le peculiarità del regime giuridico cui esso soggiace sul piano sostanziale e procedimentale (in particolare, restano salvi tutti i diritti quesiti, e ciò specialmente a fronte di una contrastante normativa sopravvenuta, che, se non fosse ravvisata l'anzidetta situazione di continuità, potrebbe rendere irrealizzabile l'opera).b) Costituisce, poi, c.d. variante essenziale ogni modifica incompatibile col disegno globale ispiratore dell’originario progetto edificatorio, sia sotto l'aspetto qualitativo sia sotto l'aspetto quantitativo.Ai fini della configurazione dell'ambito di tale istituto, soccorre la definizione di variazione essenziale enunciata dall’art. 32 del d.p.r. n. 380/2001, la quale ricomprende il mutamento della destinazione d'uso implicante alterazione degli standards, l’aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio, le modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi, il mutamento delle caratteristiche dell'intervento edilizio assentito e la violazione delle norme vigenti in materia antisismica, mentre non ricomprende le modifiche incidenti sulle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative.Le domande di esecuzione di varianti essenziali sono, dunque, come tali, da considerarsi sostanzialmente volte al rilascio di un nuovo ed autonomo permesso di costruire e, conseguentemente, assoggettate alle disposizioni vigenti nel momento in cui sono presentate, non trattandosi, con esse, solo di modificare il progetto iniziale, ma di realizzare un'opera diversa, nelle sue caratteristiche essenziali, rispetto a quella originariamente assentita.c) Caratteri peculiari presentano, infine, le c.d. varianti minori.In proposito, l’art. 22, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 prevede che sono subordinate a d.i.a. (ora s.c.i.a.) le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del d.lgs. n. 42/2004, non violano le prescrizioni eventualmente contenute nel permesso di costruire.In tali ipotesi, la d.i.a. costituisce "parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell'intervento principale" e può essere presentata prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori: la formulazione dell'art. 22 consente, pertanto, la possibilità di dare corso alle opere in difformità dal permesso di costruire e poi regolarizzarle entro la fine dei lavori, purché si tratti – come si è visto – di ‘varianti leggere’....In altri termini, una volta accertato che gli interventi edilizi erano difformi dal paradigma normativo (art. 22 del d.p.r. n. 380/2001), l’amministrazione comunale, anche dopo la scadenza del termine fissato dall’art. 23, comma 6, del d.p.r. n. 380/2001, è rimasta nella condizione di esercitare i poteri di vigilanza e sanzionatori previsti dall’ordinamento (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 giugno 2005 n. 3498; 12 settembre 2007 n. 4828; 18 dicembre 2008 n. 6378; 12 febbraio 2010 n. 781) e, più in generale, i poteri di controllo sulle attività edilizie per il quale l’art. 27 del d.p.r. n. 380/2001 cit. non prevede alcun termine decadenziale (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 4 ottobre 2007 n. 8951).Ciò posto, essendosi riscontrate variazioni essenziali ex art. 32 del d.p.r. n. 380/2001, i poteri anzidetti si sono correttamente incanalati nell’alveo naturale e vincolato del ripristino dello stato dei luoghi.L'irrogazione di una sanzione diversa da quella ripristinatoria non è, infatti, contemplata dall’art. 31 del d.p.r. n. 380/2001, cui – come accennato – risulta senz’altro riconducibile la fattispecie in esame (opere eseguite con variazioni essenziali rispetto al rilasciato permesso di costruire) (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VI, 7 settembre 2009, n. 4899); laddove, invece, la sanzione pecuniaria è prevista unicamente per le diverse ipotesi di opere di ristrutturazione eseguite in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire ovvero di opere di nuova costruzione eseguite in parziale difformità dal permesso di costruire ovvero di opere minori eseguite in assenza o in difformità dalla prescritta d.i.a. (ora s.c.i.a.).“Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, – recita il comma 2 del richiamato art. 31 – accertata l'esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell'articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell'abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l'area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3”: nello schema giuridico delineato dal legislatore, non vi è, cioè, spazio per apprezzamenti discrezionali sulla sanzione da irrogare, atteso che l'esercizio del potere repressivo dell'abuso edilizio costituisce atto dovuto, per il quale è ‘in re ipsa’ l'interesse pubblico alla sua rimozione (TAR Campania, Napoli, sez. II, 27 gennaio 2009, n. 443; sez. VIII, 11 ottobre 2011, n. 4645).2. I superiori approdi – quanto, precipuamente, al mancato consolidamento degli effetti delle d.i.a. presentate per interventi esulanti dal relativo regime abilitativo e, quindi, quanto alla diretta irrogabilità della sanzione reale, senza l’intermediazione delle garanzie dell’autotutela, operanti in esito al prodursi degli effetti anzidetti (cfr. art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990) – inducono a ripudiare anche i motivi di impugnazione intesi a denunciare, da un lato, l’omessa comunicazione di avvio del procedimento e, d’altro lato, l’omessa ponderazione tra l’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi e il confliggente affidamento dei privati nella conservazione delle opere eseguite.2.1. Sotto il primo profilo, deve osservarsi che, l’ordinanza di demolizione, per la sua natura di atto urgente dovuto e rigorosamente vincolato, non implicante valutazioni discrezionali, ma risolventesi in meri accertamenti tecnici, fondato, cioè, su un presupposto di fatto rientrante nella sfera di controllo dell’interessato, non richiede apporti partecipativi di quest’ultimo, il quale, in relazione alla disciplina tipizzata dei procedimenti repressivi, contemplante la preventiva contestazione dell'abuso, ai fini del ripristino di sua iniziativa dell'originario assetto dei luoghi, viene, in ogni caso, posto in condizione di interloquire con l'amministrazione prima di ogni definitiva statuizione di rimozione d'ufficio delle opere abusive; tanto più che, in relazione ad una simile tipologia provvedimentale, può trovare applicazione l’art. 21 octies della l. n. 241/1990, che statuisce la non annullabilità dell’atto adottato in violazione delle norme su procedimento, qualora, per la sua natura vincolata, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente enucleato (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 3 marzo 2007, n. 1021; sez. IV, 1° ottobre 2007, n. 5050; 10 agosto 2011, n. 4764; TAR Lazio, Roma, sez. II, 3 luglio 2007, n. 5968; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 17 gennaio 2007, n. 357; sez. VI, 8 febbraio 2007, n. 961; sez. IV, 22 marzo 2007, n. 2725; sez. VII, 9 maggio 2007, n. 4859; 8 giugno 2007, n. 6038; Salerno, sez. II, 13 agosto 2007, n. 900; Napoli, sez. IV, 6 novembre 2007, n. 10676; 6 novembre 2007, n. 10679; sez. VII, 12 dicembre 2007, n. 16226; sez. IV, 17 dicembre 2007, n. 16316; sez. VII, 28 dicembre 2007, n. 16550; sez. IV, 24 gennaio 2008, n. 367; 21 marzo 2008, n. 1460; sez. VII, 21 marzo 2008, n. 1474; 4 aprile 2008, n. 1883; sez. III, 16 aprile 2008, n. 2207; sez. IV, 18 aprile 2008, n. 2344; sez. VI 18 giugno 2008, n. 5973; TAR Umbria, Perugia, 26 gennaio 2007, n. 44; TAR Trentino Alto Adige, Bolzano, 8 febbraio 2007, n. 52; TAR Molise, Campobasso, 20 marzo 2007, n. 178; TAR Sardegna, Cagliari, sez. I, 20 aprile 2007, n. 709; sez. VII, 9 maggio 2007, n. 4859; TAR Basilicata, Potenza, sez. I, 16 febbraio 2008, n. 33; TAR Veneto, Venezia, sez. II, 26 febbraio 2008, n. 454; 13 marzo 2008, n. 605; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 20 settembre 2008, n. 2651).2.2. Sotto il secondo profilo, occorre rimarcare che la gravata misura repressivo-ripristinatoria rimane affrancata dalla ponderazione discrezionale dell’interesse privato al mantenimento in loco della res, in quanto costituisce – come più volte evidenziato – atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove il preminente interesse pubblico risiede in re ipsa nell’eliminazione dell’abuso e, stante il carattere permanente di quest’ultimo, non viene meno per il mero decorso del tempo, insuscettibile di ingenerare affidamenti (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 31 agosto 2010, n. 3955; sez. V, 11 gennaio 2011, n. 79; sez. IV, 4 maggio 2012, n. 2592; TAR Campania, sez. VI, 6 settembre 2010, n. 17306; sez. VII, 3 novembre 2010, n. 22291; sez. VIII, 5 gennaio 2001, n. 4; 6 aprile 2011, n. 1945; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 10 settembre 2010, n. 1962; 9 novembre 2010, n. 2631; TAR Piemonte, Torino, sez. I, 19 novembre 2010, n. 4164; TAR Lazio, Roma, sez. II, 6 dicembre 2010, n. 35404; TAR Liguria, Genova, sez. I, 21 marzo 2011, n. 432).3. I ricorrenti lamentano, infine, che l’impugnata ordinanza di demolizione n. 10 del 18 febbraio 2014 non sarebbe stata notificata ad altri proprietari delle unità immobiliari da essa riguardate.Una simile doglianza è inammissibile, oltre che infondata nel merito.a) Inammissibile per carenza di interesse ad agire, in quanto l’omessa notificazione del provvedimento monitorio sarebbe censurabile esclusivamente dai soggetti nel cui interesse la comunicazione stessa è posta (nella specie, gli altri proprietari dei sottotetti contestati), e non da quelli che l’hanno regolarmente ricevuta (nella specie, i nominativi in epigrafe), stante la funzione dell’istituto, consistente nella esigenza di portare a conoscenza dell’atto il suo destinatario onde ottenerne la personale collaborazione procedimentale (cfr. TAR Lazio, Latina, 3 gennaio 2008, n. 1).b) Infondata, altresì, in quanto la mancata notificazione ai terzi proprietari non inficia, di per sé, la fase di formazione, e, quindi, la legittimità del provvedimento impugnato, bensì incide, semmai, sulla relativa fase integrativa dell’efficacia, e, quindi, sulla sua conoscibilità da parte degli interessati (TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 25 marzo 2009, n. 1607): ed invero, ai fini della legittimità dell’iter procedimentale posto in essere dall’amministrazione per il ripristino dei valori giuridici offesi dalla realizzazione di un opera abusiva, il proprietario pretermesso, da un lato, può, comunque, autonomamente gravarsi nei confronti del provvedimento sanzionatorio, facendo valere le proprie ragioni entro il termine decorrente dalla piena conoscenza dell'ingiunzione, e, d’altro lato, mantiene appieno tutelata la propria posizione, dacché l'acquisizione gratuita dell’immobile in sua titolarità per abusi edilizi non potrebbe verificarsi, ove non gli fosse stata notificata la previa ingiunzione di demolizione (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, 19 ottobre 2006, n. 8673; sez. VI, 4 ottobre 2007, n. 8921; 12 febbraio 2008, n. 742; sez. II, 18 novembre 2008, n. 19800; sez. VIII, 24 giugno 2009, n. 3503; TAR Piemonte, Torino, sez. I, 17 gennaio 2007, n. 34; TAR Lazio, Roma, sez. II, 3 luglio 2007, n. 5968; TAR Abruzzo, Pescara, 5 luglio 2007, n. 672; TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 25 giugno 2009, n. 1171).

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Ottava)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale *del 2014, proposto da: 
Pasquale Migliaccio, Giovanni Speranza, Ciro Taurisano, Stanislao Capone, rappresentati e difesi dagli avv. Salvatore Della Corte, Luca Ruggiero, Fabio Ruggiero, con domicilio eletto presso Salvatore Della Corte in Napoli, Via Vittorio Veneto, n. 288/A; 

contro

Comune di Orta di Atella in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Ciaraffa, con domicilio eletto presso Giovanni Ciaraffa in Napoli, Segreteria T.A.R.; 

per l'annullamento

ORDINANZA DI DEMOLIZIONE N. 10 DEL 18/02/2014.

 

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Orta di Atella in persona del Sindaco p.t.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2014 il dott. Olindo Di Popolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

1. Col ricorso in epigrafe, Migliaccio Pasquale, Speranza Giovanni, Taurisano Ciro e Capone Stanislao impugnavano, chiedendone l’annullamento, l’ordinanza di demolizione n. 10 del 18 febbraio 2014, emessa dal responsabile del Settore Politiche del territorio del Comune di Orta di Atella.

2. Gli abusi contestati, erano, segnatamente, consistiti nella realizzazione, in assenza dei necessari titoli abilitativi edilizi, di interventi “i quali hanno comportato il cambio di destinazione d’uso di n. 6 unità immobiliari da sottotetti non abitabili ad abitazioni, tutte ubicate al quarto piano dei corpi di fabbrica C e D del complesso edilizio” denominato “Parco RUVIT”, sito in Orta di Atella, alla via Carducci, ed assentito con concessione edilizia n. 64 del 23 febbraio 2000.

3. A sostegno del gravame esperito avverso la disposta misura repressivo-ripristinatoria, i ricorrenti rassegnavano censure così rubricate: - violazione e falsa applicazione degli artt. 3 della l. n. 241/1990, 3, 22, comma 1, e 31 del d.p.r. n. 380/2001, 2 della l. r. Campania n. 19/2001; eccesso di potere per inesistenza dei presupposti; erronea ponderazione della fattispecie concreta; difetto di motivazione e di istruttoria; - violazione degli artt. 7 e 10 della l. n. 241/1990; violazione del giusto procedimento; eccesso di potere per difetto di motivazione ed omessa istruttoria; - violazione dell’art. 3, commi 1 e 4, della l. n. 241/1990; violazione del principio dell’affidamento; eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria; errata ponderazione della fattispecie concreta; omessa comparazione dell’interesse pubblico con quello privato; irragionevolezza; ingiustizia manifesta; - violazione dell’art. 29 del d.p.r. n. 380/2001; violazione del giusto procedimento; eccesso di potere per inesistenza dei presupposti.

4. Costituitasi l’amministrazione comunale intimata, eccepiva l’infondatezza dell’impugnazione proposta ex adverso, della quale richiedeva, quindi, il rigetto.

5. Alla camera di consiglio del 4 giugno 2014, la proposta domanda cautelare era accolta con ord. n. 924/2014.

6. Successivamente, all’udienza pubblica del 3 dicembre 2014, la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Col primo ordine di doglianze, i nominativi in epigrafe lamentano che: - l’amministrazione resistente, nell’adottare il provvedimento impugnato, non avrebbe considerato la presentazione delle d.i.a. del 12 novembre 2002, prot. n. 10158 e prot. n. 10160, in virtù delle quali sarebbe stato legittimato il contestato mutamento di destinazione d’uso dei sottotetti del complesso immobiliare “Parco RUVIT”; - in ogni caso, un simile intervento, dacché assentibile mediante d.i.a., sarebbe stato, al più, sanzionabile in via meramente pecuniaria.

I suindicati profili di censura si infrangono contro le seguenti argomentazioni già propugnate in casi analoghi dalla Sezione (cfr. sent. n. 3275 del 12 giugno 2014 e n. 6080 del 26 novembre 2014), dalle quali il Collegio non ritiene di doversi discostare.

1.1. Innanzitutto, giova rammentare che la vigente normativa edilizia riconosce la possibilità di assentire varianti al progetto approvato.

La giurisprudenza distingue, in proposito, tra varianti in senso proprio, varianti essenziali e varianti minime (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 aprile 2007 n. 1572; Cass. pen., sez. III, 24 marzo 2010 n. 24236; 25 settembre 2012 n. 49290).

a) Per quanto riguarda le c.d. varianti in senso proprio, deve rilevarsi che non tutte le modifiche alla progettazione originaria possono definirsi varianti e che queste si configurano solo allorquando il progetto già approvato non risulti sostanzialmente e radicalmente mutato dal nuovo elaborato.

La nozione di variante deve, cioè, ricollegarsi a modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto originario, e gli elementi da prendere in considerazione, al fine di discriminare un nuovo permesso di costruire dalla variante ad altro preesistente, sono la superficie coperta, il perimetro, la volumetria, le distanze dalle proprietà viciniori, nonché le caratteristiche funzionali e strutturali, interne ed esterne, del fabbricato.

Il nuovo provvedimento – da rilasciarsi col medesimo procedimento previsto per il rilascio del permesso di costruire – rimane in posizione di sostanziale collegamento con quello originario, e in questo rapporto di complementarità e di accessorietà deve ravvisarsi la caratteristica distintiva del permesso di costruire in variante, che giustifica, tra l'altro, le peculiarità del regime giuridico cui esso soggiace sul piano sostanziale e procedimentale (in particolare, restano salvi tutti i diritti quesiti, e ciò specialmente a fronte di una contrastante normativa sopravvenuta, che, se non fosse ravvisata l'anzidetta situazione di continuità, potrebbe rendere irrealizzabile l'opera).

b) Costituisce, poi, c.d. variante essenziale ogni modifica incompatibile col disegno globale ispiratore dell’originario progetto edificatorio, sia sotto l'aspetto qualitativo sia sotto l'aspetto quantitativo.

Ai fini della configurazione dell'ambito di tale istituto, soccorre la definizione di variazione essenziale enunciata dall’art. 32 del d.p.r. n. 380/2001, la quale ricomprende il mutamento della destinazione d'uso implicante alterazione degli standards, l’aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio, le modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi, il mutamento delle caratteristiche dell'intervento edilizio assentito e la violazione delle norme vigenti in materia antisismica, mentre non ricomprende le modifiche incidenti sulle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative.

Le domande di esecuzione di varianti essenziali sono, dunque, come tali, da considerarsi sostanzialmente volte al rilascio di un nuovo ed autonomo permesso di costruire e, conseguentemente, assoggettate alle disposizioni vigenti nel momento in cui sono presentate, non trattandosi, con esse, solo di modificare il progetto iniziale, ma di realizzare un'opera diversa, nelle sue caratteristiche essenziali, rispetto a quella originariamente assentita.

c) Caratteri peculiari presentano, infine, le c.d. varianti minori.

In proposito, l’art. 22, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 prevede che sono subordinate a d.i.a. (ora s.c.i.a.) le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del d.lgs. n. 42/2004, non violano le prescrizioni eventualmente contenute nel permesso di costruire.

In tali ipotesi, la d.i.a. costituisce "parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell'intervento principale" e può essere presentata prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori: la formulazione dell'art. 22 consente, pertanto, la possibilità di dare corso alle opere in difformità dal permesso di costruire e poi regolarizzarle entro la fine dei lavori, purché si tratti – come si è visto – di ‘varianti leggere’.

1.2. Ora, nella fattispecie in esame, le difformità riscontrate dal Comune di Orta di Atella rientrano appieno nel fuoco applicativo dell’art. 32 del d.p.r. n. 380/2001 (“variazioni essenziali”), tenuto conto della trasformazione di 6 unità immobiliari da sottotetti non abitabili in sottotetti abitabili e della significativa modifica con essa apportata al progetto originario, in quanto incidente sulle destinazioni d’uso con aggravio del carico urbanistico e, quindi, alterazione degli standards, oltre che incidente, in via consequenziale, sui parametri urbanistico-edilizi.

1.3. Peraltro, neppure l’invocato art. 2, comma 1, della l. r. Campania n. 19/2001 consente che gli interventi edilizi controversi potessero essere legittimati mediante d.i.a.

In questo senso, giova rammentare che, a tenore della norma richiamata, possono essere realizzate in base a mera d.i.a., tra l’altro, “le varianti ai permessi di costruire che non incidano sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterino la sagoma dell'edificio e non violino le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire”.

Ebbene, il mutamento di destinazione d’uso riservato ai sottotetti contestati, implicante un significativo aggravio del carico urbanistico e, quindi, una inevitabile alterazione degli standards, così come la connessa incidenza sui parametri urbanistico-edilizi, sono incompatibili con un simile regime abilitativo, anche nei termini enucleati dal legislatore regionale.

1.4. Da quanto sopra discende, dunque, che, a dispetto degli assunti di parte ricorrente:

- la natura essenziale della variante posta in essere rende ab origine irrilevante la presentazione delle menzionate d.i.a. del 12 novembre 2002, prot. n. 10158 e prot. n. 10160;

- la sua riconducibilità all’ambito applicativo dell’art. 32 del d.p.r. n. 380/2001 e, quindi, al regime repressivo-ripristinatorio di cui al precedente art. 31 elide in radice la prospettata operatività della sanzione pecuniaria.

In altri termini, una volta accertato che gli interventi edilizi erano difformi dal paradigma normativo (art. 22 del d.p.r. n. 380/2001), l’amministrazione comunale, anche dopo la scadenza del termine fissato dall’art. 23, comma 6, del d.p.r. n. 380/2001, è rimasta nella condizione di esercitare i poteri di vigilanza e sanzionatori previsti dall’ordinamento (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 giugno 2005 n. 3498; 12 settembre 2007 n. 4828; 18 dicembre 2008 n. 6378; 12 febbraio 2010 n. 781) e, più in generale, i poteri di controllo sulle attività edilizie per il quale l’art. 27 del d.p.r. n. 380/2001 cit. non prevede alcun termine decadenziale (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 4 ottobre 2007 n. 8951).

Ciò posto, essendosi riscontrate variazioni essenziali ex art. 32 del d.p.r. n. 380/2001, i poteri anzidetti si sono correttamente incanalati nell’alveo naturale e vincolato del ripristino dello stato dei luoghi.

L'irrogazione di una sanzione diversa da quella ripristinatoria non è, infatti, contemplata dall’art. 31 del d.p.r. n. 380/2001, cui – come accennato – risulta senz’altro riconducibile la fattispecie in esame (opere eseguite con variazioni essenziali rispetto al rilasciato permesso di costruire) (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VI, 7 settembre 2009, n. 4899); laddove, invece, la sanzione pecuniaria è prevista unicamente per le diverse ipotesi di opere di ristrutturazione eseguite in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire ovvero di opere di nuova costruzione eseguite in parziale difformità dal permesso di costruire ovvero di opere minori eseguite in assenza o in difformità dalla prescritta d.i.a. (ora s.c.i.a.).

“Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, – recita il comma 2 del richiamato art. 31 – accertata l'esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell'articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell'abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l'area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3”: nello schema giuridico delineato dal legislatore, non vi è, cioè, spazio per apprezzamenti discrezionali sulla sanzione da irrogare, atteso che l'esercizio del potere repressivo dell'abuso edilizio costituisce atto dovuto, per il quale è ‘in re ipsa’ l'interesse pubblico alla sua rimozione (TAR Campania, Napoli, sez. II, 27 gennaio 2009, n. 443; sez. VIII, 11 ottobre 2011, n. 4645).

2. I superiori approdi – quanto, precipuamente, al mancato consolidamento degli effetti delle d.i.a. presentate per interventi esulanti dal relativo regime abilitativo e, quindi, quanto alla diretta irrogabilità della sanzione reale, senza l’intermediazione delle garanzie dell’autotutela, operanti in esito al prodursi degli effetti anzidetti (cfr. art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990) – inducono a ripudiare anche i motivi di impugnazione intesi a denunciare, da un lato, l’omessa comunicazione di avvio del procedimento e, d’altro lato, l’omessa ponderazione tra l’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi e il confliggente affidamento dei privati nella conservazione delle opere eseguite.

2.1. Sotto il primo profilo, deve osservarsi che, l’ordinanza di demolizione, per la sua natura di atto urgente dovuto e rigorosamente vincolato, non implicante valutazioni discrezionali, ma risolventesi in meri accertamenti tecnici, fondato, cioè, su un presupposto di fatto rientrante nella sfera di controllo dell’interessato, non richiede apporti partecipativi di quest’ultimo, il quale, in relazione alla disciplina tipizzata dei procedimenti repressivi, contemplante la preventiva contestazione dell'abuso, ai fini del ripristino di sua iniziativa dell'originario assetto dei luoghi, viene, in ogni caso, posto in condizione di interloquire con l'amministrazione prima di ogni definitiva statuizione di rimozione d'ufficio delle opere abusive; tanto più che, in relazione ad una simile tipologia provvedimentale, può trovare applicazione l’art. 21 octies della l. n. 241/1990, che statuisce la non annullabilità dell’atto adottato in violazione delle norme su procedimento, qualora, per la sua natura vincolata, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente enucleato (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 3 marzo 2007, n. 1021; sez. IV, 1° ottobre 2007, n. 5050; 10 agosto 2011, n. 4764; TAR Lazio, Roma, sez. II, 3 luglio 2007, n. 5968; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 17 gennaio 2007, n. 357; sez. VI, 8 febbraio 2007, n. 961; sez. IV, 22 marzo 2007, n. 2725; sez. VII, 9 maggio 2007, n. 4859; 8 giugno 2007, n. 6038; Salerno, sez. II, 13 agosto 2007, n. 900; Napoli, sez. IV, 6 novembre 2007, n. 10676; 6 novembre 2007, n. 10679; sez. VII, 12 dicembre 2007, n. 16226; sez. IV, 17 dicembre 2007, n. 16316; sez. VII, 28 dicembre 2007, n. 16550; sez. IV, 24 gennaio 2008, n. 367; 21 marzo 2008, n. 1460; sez. VII, 21 marzo 2008, n. 1474; 4 aprile 2008, n. 1883; sez. III, 16 aprile 2008, n. 2207; sez. IV, 18 aprile 2008, n. 2344; sez. VI 18 giugno 2008, n. 5973; TAR Umbria, Perugia, 26 gennaio 2007, n. 44; TAR Trentino Alto Adige, Bolzano, 8 febbraio 2007, n. 52; TAR Molise, Campobasso, 20 marzo 2007, n. 178; TAR Sardegna, Cagliari, sez. I, 20 aprile 2007, n. 709; sez. VII, 9 maggio 2007, n. 4859; TAR Basilicata, Potenza, sez. I, 16 febbraio 2008, n. 33; TAR Veneto, Venezia, sez. II, 26 febbraio 2008, n. 454; 13 marzo 2008, n. 605; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 20 settembre 2008, n. 2651).

2.2. Sotto il secondo profilo, occorre rimarcare che la gravata misura repressivo-ripristinatoria rimane affrancata dalla ponderazione discrezionale dell’interesse privato al mantenimento in loco della res, in quanto costituisce – come più volte evidenziato – atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove il preminente interesse pubblico risiede in re ipsa nell’eliminazione dell’abuso e, stante il carattere permanente di quest’ultimo, non viene meno per il mero decorso del tempo, insuscettibile di ingenerare affidamenti (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 31 agosto 2010, n. 3955; sez. V, 11 gennaio 2011, n. 79; sez. IV, 4 maggio 2012, n. 2592; TAR Campania, sez. VI, 6 settembre 2010, n. 17306; sez. VII, 3 novembre 2010, n. 22291; sez. VIII, 5 gennaio 2001, n. 4; 6 aprile 2011, n. 1945; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 10 settembre 2010, n. 1962; 9 novembre 2010, n. 2631; TAR Piemonte, Torino, sez. I, 19 novembre 2010, n. 4164; TAR Lazio, Roma, sez. II, 6 dicembre 2010, n. 35404; TAR Liguria, Genova, sez. I, 21 marzo 2011, n. 432).

3. I ricorrenti lamentano, infine, che l’impugnata ordinanza di demolizione n. 10 del 18 febbraio 2014 non sarebbe stata notificata ad altri proprietari delle unità immobiliari da essa riguardate.

Una simile doglianza è inammissibile, oltre che infondata nel merito.

a) Inammissibile per carenza di interesse ad agire, in quanto l’omessa notificazione del provvedimento monitorio sarebbe censurabile esclusivamente dai soggetti nel cui interesse la comunicazione stessa è posta (nella specie, gli altri proprietari dei sottotetti contestati), e non da quelli che l’hanno regolarmente ricevuta (nella specie, i nominativi in epigrafe), stante la funzione dell’istituto, consistente nella esigenza di portare a conoscenza dell’atto il suo destinatario onde ottenerne la personale collaborazione procedimentale (cfr. TAR Lazio, Latina, 3 gennaio 2008, n. 1).

b) Infondata, altresì, in quanto la mancata notificazione ai terzi proprietari non inficia, di per sé, la fase di formazione, e, quindi, la legittimità del provvedimento impugnato, bensì incide, semmai, sulla relativa fase integrativa dell’efficacia, e, quindi, sulla sua conoscibilità da parte degli interessati (TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 25 marzo 2009, n. 1607): ed invero, ai fini della legittimità dell’iter procedimentale posto in essere dall’amministrazione per il ripristino dei valori giuridici offesi dalla realizzazione di un opera abusiva, il proprietario pretermesso, da un lato, può, comunque, autonomamente gravarsi nei confronti del provvedimento sanzionatorio, facendo valere le proprie ragioni entro il termine decorrente dalla piena conoscenza dell'ingiunzione, e, d’altro lato, mantiene appieno tutelata la propria posizione, dacché l'acquisizione gratuita dell’immobile in sua titolarità per abusi edilizi non potrebbe verificarsi, ove non gli fosse stata notificata la previa ingiunzione di demolizione (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, 19 ottobre 2006, n. 8673; sez. VI, 4 ottobre 2007, n. 8921; 12 febbraio 2008, n. 742; sez. II, 18 novembre 2008, n. 19800; sez. VIII, 24 giugno 2009, n. 3503; TAR Piemonte, Torino, sez. I, 17 gennaio 2007, n. 34; TAR Lazio, Roma, sez. II, 3 luglio 2007, n. 5968; TAR Abruzzo, Pescara, 5 luglio 2007, n. 672; TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 25 giugno 2009, n. 1171).

4. In conclusione, il ricorso in epigrafe deve essere respinto, stante la ravvisata infondatezza delle censure con esso proposte.

5. Quanto alle spese di lite, esse devono seguire la soccombenza e, quindi, essere liquidate, a carico della parte ricorrente, nella misura di complessivi € 2.000,00 in favore dell’amministrazione resistente.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe.

Condanna Migliaccio Pasquale, Speranza Giovanni, Taurisano Ciro e Capone Stanislao al pagamento, in solido tra loro, delle spese di lite, che liquida in complessivi € 2.000,00 in favore del Comune di Orta di Atella.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Ferdinando Minichini, Presidente

Renata Emma Ianigro, Consigliere

Olindo Di Popolo, Primo Referendario, Estensore

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 19/02/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

02398/2014 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Ottava)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2398 del 2014, proposto da: 
Pasquale Migliaccio, Giovanni Speranza, Ciro Taurisano, Stanislao Capone, rappresentati e difesi dagli avv. Salvatore Della Corte, Luca Ruggiero, Fabio Ruggiero, con domicilio eletto presso Salvatore Della Corte in Napoli, Via Vittorio Veneto, n. 288/A; 

contro

Comune di Orta di Atella in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Ciaraffa, con domicilio eletto presso Giovanni Ciaraffa in Napoli, Segreteria T.A.R.; 

per l'annullamento

ORDINANZA DI DEMOLIZIONE N. 10 DEL 18/02/2014.

 

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Orta di Atella in persona del Sindaco p.t.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2014 il dott. Olindo Di Popolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

1. Col ricorso in epigrafe, Migliaccio Pasquale, Speranza Giovanni, Taurisano Ciro e Capone Stanislao impugnavano, chiedendone l’annullamento, l’ordinanza di demolizione n. 10 del 18 febbraio 2014, emessa dal responsabile del Settore Politiche del territorio del Comune di Orta di Atella.

2. Gli abusi contestati, erano, segnatamente, consistiti nella realizzazione, in assenza dei necessari titoli abilitativi edilizi, di interventi “i quali hanno comportato il cambio di destinazione d’uso di n. 6 unità immobiliari da sottotetti non abitabili ad abitazioni, tutte ubicate al quarto piano dei corpi di fabbrica C e D del complesso edilizio” denominato “Parco RUVIT”, sito in Orta di Atella, alla via Carducci, ed assentito con concessione edilizia n. 64 del 23 febbraio 2000.

3. A sostegno del gravame esperito avverso la disposta misura repressivo-ripristinatoria, i ricorrenti rassegnavano censure così rubricate: - violazione e falsa applicazione degli artt. 3 della l. n. 241/1990, 3, 22, comma 1, e 31 del d.p.r. n. 380/2001, 2 della l. r. Campania n. 19/2001; eccesso di potere per inesistenza dei presupposti; erronea ponderazione della fattispecie concreta; difetto di motivazione e di istruttoria; - violazione degli artt. 7 e 10 della l. n. 241/1990; violazione del giusto procedimento; eccesso di potere per difetto di motivazione ed omessa istruttoria; - violazione dell’art. 3, commi 1 e 4, della l. n. 241/1990; violazione del principio dell’affidamento; eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria; errata ponderazione della fattispecie concreta; omessa comparazione dell’interesse pubblico con quello privato; irragionevolezza; ingiustizia manifesta; - violazione dell’art. 29 del d.p.r. n. 380/2001; violazione del giusto procedimento; eccesso di potere per inesistenza dei presupposti.

4. Costituitasi l’amministrazione comunale intimata, eccepiva l’infondatezza dell’impugnazione proposta ex adverso, della quale richiedeva, quindi, il rigetto.

5. Alla camera di consiglio del 4 giugno 2014, la proposta domanda cautelare era accolta con ord. n. 924/2014.

6. Successivamente, all’udienza pubblica del 3 dicembre 2014, la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Col primo ordine di doglianze, i nominativi in epigrafe lamentano che: - l’amministrazione resistente, nell’adottare il provvedimento impugnato, non avrebbe considerato la presentazione delle d.i.a. del 12 novembre 2002, prot. n. 10158 e prot. n. 10160, in virtù delle quali sarebbe stato legittimato il contestato mutamento di destinazione d’uso dei sottotetti del complesso immobiliare “Parco RUVIT”; - in ogni caso, un simile intervento, dacché assentibile mediante d.i.a., sarebbe stato, al più, sanzionabile in via meramente pecuniaria.

I suindicati profili di censura si infrangono contro le seguenti argomentazioni già propugnate in casi analoghi dalla Sezione (cfr. sent. n. 3275 del 12 giugno 2014 e n. 6080 del 26 novembre 2014), dalle quali il Collegio non ritiene di doversi discostare.

1.1. Innanzitutto, giova rammentare che la vigente normativa edilizia riconosce la possibilità di assentire varianti al progetto approvato.

La giurisprudenza distingue, in proposito, tra varianti in senso proprio, varianti essenziali e varianti minime (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 aprile 2007 n. 1572; Cass. pen., sez. III, 24 marzo 2010 n. 24236; 25 settembre 2012 n. 49290).

a) Per quanto riguarda le c.d. varianti in senso proprio, deve rilevarsi che non tutte le modifiche alla progettazione originaria possono definirsi varianti e che queste si configurano solo allorquando il progetto già approvato non risulti sostanzialmente e radicalmente mutato dal nuovo elaborato.

La nozione di variante deve, cioè, ricollegarsi a modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto originario, e gli elementi da prendere in considerazione, al fine di discriminare un nuovo permesso di costruire dalla variante ad altro preesistente, sono la superficie coperta, il perimetro, la volumetria, le distanze dalle proprietà viciniori, nonché le caratteristiche funzionali e strutturali, interne ed esterne, del fabbricato.

Il nuovo provvedimento – da rilasciarsi col medesimo procedimento previsto per il rilascio del permesso di costruire – rimane in posizione di sostanziale collegamento con quello originario, e in questo rapporto di complementarità e di accessorietà deve ravvisarsi la caratteristica distintiva del permesso di costruire in variante, che giustifica, tra l'altro, le peculiarità del regime giuridico cui esso soggiace sul piano sostanziale e procedimentale (in particolare, restano salvi tutti i diritti quesiti, e ciò specialmente a fronte di una contrastante normativa sopravvenuta, che, se non fosse ravvisata l'anzidetta situazione di continuità, potrebbe rendere irrealizzabile l'opera).

b) Costituisce, poi, c.d. variante essenziale ogni modifica incompatibile col disegno globale ispiratore dell’originario progetto edificatorio, sia sotto l'aspetto qualitativo sia sotto l'aspetto quantitativo.

Ai fini della configurazione dell'ambito di tale istituto, soccorre la definizione di variazione essenziale enunciata dall’art. 32 del d.p.r. n. 380/2001, la quale ricomprende il mutamento della destinazione d'uso implicante alterazione degli standards, l’aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio, le modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi, il mutamento delle caratteristiche dell'intervento edilizio assentito e la violazione delle norme vigenti in materia antisismica, mentre non ricomprende le modifiche incidenti sulle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative.

Le domande di esecuzione di varianti essenziali sono, dunque, come tali, da considerarsi sostanzialmente volte al rilascio di un nuovo ed autonomo permesso di costruire e, conseguentemente, assoggettate alle disposizioni vigenti nel momento in cui sono presentate, non trattandosi, con esse, solo di modificare il progetto iniziale, ma di realizzare un'opera diversa, nelle sue caratteristiche essenziali, rispetto a quella originariamente assentita.

c) Caratteri peculiari presentano, infine, le c.d. varianti minori.

In proposito, l’art. 22, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 prevede che sono subordinate a d.i.a. (ora s.c.i.a.) le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del d.lgs. n. 42/2004, non violano le prescrizioni eventualmente contenute nel permesso di costruire.

In tali ipotesi, la d.i.a. costituisce "parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell'intervento principale" e può essere presentata prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori: la formulazione dell'art. 22 consente, pertanto, la possibilità di dare corso alle opere in difformità dal permesso di costruire e poi regolarizzarle entro la fine dei lavori, purché si tratti – come si è visto – di ‘varianti leggere’.

1.2. Ora, nella fattispecie in esame, le difformità riscontrate dal Comune di Orta di Atella rientrano appieno nel fuoco applicativo dell’art. 32 del d.p.r. n. 380/2001 (“variazioni essenziali”), tenuto conto della trasformazione di 6 unità immobiliari da sottotetti non abitabili in sottotetti abitabili e della significativa modifica con essa apportata al progetto originario, in quanto incidente sulle destinazioni d’uso con aggravio del carico urbanistico e, quindi, alterazione degli standards, oltre che incidente, in via consequenziale, sui parametri urbanistico-edilizi.

1.3. Peraltro, neppure l’invocato art. 2, comma 1, della l. r. Campania n. 19/2001 consente che gli interventi edilizi controversi potessero essere legittimati mediante d.i.a.

In questo senso, giova rammentare che, a tenore della norma richiamata, possono essere realizzate in base a mera d.i.a., tra l’altro, “le varianti ai permessi di costruire che non incidano sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterino la sagoma dell'edificio e non violino le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire”.

Ebbene, il mutamento di destinazione d’uso riservato ai sottotetti contestati, implicante un significativo aggravio del carico urbanistico e, quindi, una inevitabile alterazione degli standards, così come la connessa incidenza sui parametri urbanistico-edilizi, sono incompatibili con un simile regime abilitativo, anche nei termini enucleati dal legislatore regionale.

1.4. Da quanto sopra discende, dunque, che, a dispetto degli assunti di parte ricorrente:

- la natura essenziale della variante posta in essere rende ab origine irrilevante la presentazione delle menzionate d.i.a. del 12 novembre 2002, prot. n. 10158 e prot. n. 10160;

- la sua riconducibilità all’ambito applicativo dell’art. 32 del d.p.r. n. 380/2001 e, quindi, al regime repressivo-ripristinatorio di cui al precedente art. 31 elide in radice la prospettata operatività della sanzione pecuniaria.

In altri termini, una volta accertato che gli interventi edilizi erano difformi dal paradigma normativo (art. 22 del d.p.r. n. 380/2001), l’amministrazione comunale, anche dopo la scadenza del termine fissato dall’art. 23, comma 6, del d.p.r. n. 380/2001, è rimasta nella condizione di esercitare i poteri di vigilanza e sanzionatori previsti dall’ordinamento (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 giugno 2005 n. 3498; 12 settembre 2007 n. 4828; 18 dicembre 2008 n. 6378; 12 febbraio 2010 n. 781) e, più in generale, i poteri di controllo sulle attività edilizie per il quale l’art. 27 del d.p.r. n. 380/2001 cit. non prevede alcun termine decadenziale (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 4 ottobre 2007 n. 8951).

Ciò posto, essendosi riscontrate variazioni essenziali ex art. 32 del d.p.r. n. 380/2001, i poteri anzidetti si sono correttamente incanalati nell’alveo naturale e vincolato del ripristino dello stato dei luoghi.

L'irrogazione di una sanzione diversa da quella ripristinatoria non è, infatti, contemplata dall’art. 31 del d.p.r. n. 380/2001, cui – come accennato – risulta senz’altro riconducibile la fattispecie in esame (opere eseguite con variazioni essenziali rispetto al rilasciato permesso di costruire) (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VI, 7 settembre 2009, n. 4899); laddove, invece, la sanzione pecuniaria è prevista unicamente per le diverse ipotesi di opere di ristrutturazione eseguite in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire ovvero di opere di nuova costruzione eseguite in parziale difformità dal permesso di costruire ovvero di opere minori eseguite in assenza o in difformità dalla prescritta d.i.a. (ora s.c.i.a.).

“Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, – recita il comma 2 del richiamato art. 31 – accertata l'esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell'articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell'abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l'area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3”: nello schema giuridico delineato dal legislatore, non vi è, cioè, spazio per apprezzamenti discrezionali sulla sanzione da irrogare, atteso che l'esercizio del potere repressivo dell'abuso edilizio costituisce atto dovuto, per il quale è ‘in re ipsa’ l'interesse pubblico alla sua rimozione (TAR Campania, Napoli, sez. II, 27 gennaio 2009, n. 443; sez. VIII, 11 ottobre 2011, n. 4645).

2. I superiori approdi – quanto, precipuamente, al mancato consolidamento degli effetti delle d.i.a. presentate per interventi esulanti dal relativo regime abilitativo e, quindi, quanto alla diretta irrogabilità della sanzione reale, senza l’intermediazione delle garanzie dell’autotutela, operanti in esito al prodursi degli effetti anzidetti (cfr. art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990) – inducono a ripudiare anche i motivi di impugnazione intesi a denunciare, da un lato, l’omessa comunicazione di avvio del procedimento e, d’altro lato, l’omessa ponderazione tra l’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi e il confliggente affidamento dei privati nella conservazione delle opere eseguite.

2.1. Sotto il primo profilo, deve osservarsi che, l’ordinanza di demolizione, per la sua natura di atto urgente dovuto e rigorosamente vincolato, non implicante valutazioni discrezionali, ma risolventesi in meri accertamenti tecnici, fondato, cioè, su un presupposto di fatto rientrante nella sfera di controllo dell’interessato, non richiede apporti partecipativi di quest’ultimo, il quale, in relazione alla disciplina tipizzata dei procedimenti repressivi, contemplante la preventiva contestazione dell'abuso, ai fini del ripristino di sua iniziativa dell'originario assetto dei luoghi, viene, in ogni caso, posto in condizione di interloquire con l'amministrazione prima di ogni definitiva statuizione di rimozione d'ufficio delle opere abusive; tanto più che, in relazione ad una simile tipologia provvedimentale, può trovare applicazione l’art. 21 octies della l. n. 241/1990, che statuisce la non annullabilità dell’atto adottato in violazione delle norme su procedimento, qualora, per la sua natura vincolata, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente enucleato (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 3 marzo 2007, n. 1021; sez. IV, 1° ottobre 2007, n. 5050; 10 agosto 2011, n. 4764; TAR Lazio, Roma, sez. II, 3 luglio 2007, n. 5968; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 17 gennaio 2007, n. 357; sez. VI, 8 febbraio 2007, n. 961; sez. IV, 22 marzo 2007, n. 2725; sez. VII, 9 maggio 2007, n. 4859; 8 giugno 2007, n. 6038; Salerno, sez. II, 13 agosto 2007, n. 900; Napoli, sez. IV, 6 novembre 2007, n. 10676; 6 novembre 2007, n. 10679; sez. VII, 12 dicembre 2007, n. 16226; sez. IV, 17 dicembre 2007, n. 16316; sez. VII, 28 dicembre 2007, n. 16550; sez. IV, 24 gennaio 2008, n. 367; 21 marzo 2008, n. 1460; sez. VII, 21 marzo 2008, n. 1474; 4 aprile 2008, n. 1883; sez. III, 16 aprile 2008, n. 2207; sez. IV, 18 aprile 2008, n. 2344; sez. VI 18 giugno 2008, n. 5973; TAR Umbria, Perugia, 26 gennaio 2007, n. 44; TAR Trentino Alto Adige, Bolzano, 8 febbraio 2007, n. 52; TAR Molise, Campobasso, 20 marzo 2007, n. 178; TAR Sardegna, Cagliari, sez. I, 20 aprile 2007, n. 709; sez. VII, 9 maggio 2007, n. 4859; TAR Basilicata, Potenza, sez. I, 16 febbraio 2008, n. 33; TAR Veneto, Venezia, sez. II, 26 febbraio 2008, n. 454; 13 marzo 2008, n. 605; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 20 settembre 2008, n. 2651).

2.2. Sotto il secondo profilo, occorre rimarcare che la gravata misura repressivo-ripristinatoria rimane affrancata dalla ponderazione discrezionale dell’interesse privato al mantenimento in loco della res, in quanto costituisce – come più volte evidenziato – atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove il preminente interesse pubblico risiede in re ipsa nell’eliminazione dell’abuso e, stante il carattere permanente di quest’ultimo, non viene meno per il mero decorso del tempo, insuscettibile di ingenerare affidamenti (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 31 agosto 2010, n. 3955; sez. V, 11 gennaio 2011, n. 79; sez. IV, 4 maggio 2012, n. 2592; TAR Campania, sez. VI, 6 settembre 2010, n. 17306; sez. VII, 3 novembre 2010, n. 22291; sez. VIII, 5 gennaio 2001, n. 4; 6 aprile 2011, n. 1945; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 10 settembre 2010, n. 1962; 9 novembre 2010, n. 2631; TAR Piemonte, Torino, sez. I, 19 novembre 2010, n. 4164; TAR Lazio, Roma, sez. II, 6 dicembre 2010, n. 35404; TAR Liguria, Genova, sez. I, 21 marzo 2011, n. 432).

3. I ricorrenti lamentano, infine, che l’impugnata ordinanza di demolizione n. 10 del 18 febbraio 2014 non sarebbe stata notificata ad altri proprietari delle unità immobiliari da essa riguardate.

Una simile doglianza è inammissibile, oltre che infondata nel merito.

a) Inammissibile per carenza di interesse ad agire, in quanto l’omessa notificazione del provvedimento monitorio sarebbe censurabile esclusivamente dai soggetti nel cui interesse la comunicazione stessa è posta (nella specie, gli altri proprietari dei sottotetti contestati), e non da quelli che l’hanno regolarmente ricevuta (nella specie, i nominativi in epigrafe), stante la funzione dell’istituto, consistente nella esigenza di portare a conoscenza dell’atto il suo destinatario onde ottenerne la personale collaborazione procedimentale (cfr. TAR Lazio, Latina, 3 gennaio 2008, n. 1).

b) Infondata, altresì, in quanto la mancata notificazione ai terzi proprietari non inficia, di per sé, la fase di formazione, e, quindi, la legittimità del provvedimento impugnato, bensì incide, semmai, sulla relativa fase integrativa dell’efficacia, e, quindi, sulla sua conoscibilità da parte degli interessati (TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 25 marzo 2009, n. 1607): ed invero, ai fini della legittimità dell’iter procedimentale posto in essere dall’amministrazione per il ripristino dei valori giuridici offesi dalla realizzazione di un opera abusiva, il proprietario pretermesso, da un lato, può, comunque, autonomamente gravarsi nei confronti del provvedimento sanzionatorio, facendo valere le proprie ragioni entro il termine decorrente dalla piena conoscenza dell'ingiunzione, e, d’altro lato, mantiene appieno tutelata la propria posizione, dacché l'acquisizione gratuita dell’immobile in sua titolarità per abusi edilizi non potrebbe verificarsi, ove non gli fosse stata notificata la previa ingiunzione di demolizione (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, 19 ottobre 2006, n. 8673; sez. VI, 4 ottobre 2007, n. 8921; 12 febbraio 2008, n. 742; sez. II, 18 novembre 2008, n. 19800; sez. VIII, 24 giugno 2009, n. 3503; TAR Piemonte, Torino, sez. I, 17 gennaio 2007, n. 34; TAR Lazio, Roma, sez. II, 3 luglio 2007, n. 5968; TAR Abruzzo, Pescara, 5 luglio 2007, n. 672; TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 25 giugno 2009, n. 1171).

4. In conclusione, il ricorso in epigrafe deve essere respinto, stante la ravvisata infondatezza delle censure con esso proposte.

5. Quanto alle spese di lite, esse devono seguire la soccombenza e, quindi, essere liquidate, a carico della parte ricorrente, nella misura di complessivi € 2.000,00 in favore dell’amministrazione resistente.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe.

Condanna Migliaccio Pasquale, Speranza Giovanni, Taurisano Ciro e Capone Stanislao al pagamento, in solido tra loro, delle spese di lite, che liquida in complessivi € 2.000,00 in favore del Comune di Orta di Atella.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Ferdinando Minichini, Presidente

Renata Emma Ianigro, Consigliere

Olindo Di Popolo, Primo Referendario, Estensore

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 19/02/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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