Sunday 20 July 2014 14:27:54

Giurisprudenza  Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa

Licenziamento senza preavviso del personale delle aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo: l’art. 38, comma 7, del c.c.n.l. del 5 aprile 1996 che prevede che il "procedimento disciplinare … è sospeso fino alla sentenza definitiva” va inteso nel senso che è lo stesso inizio del procedimento disciplinare ad essere sospeso e l’Amministrazione ha poi 180 giorni “da quando … ha avuto notizia della sentenza definitiva” per iniziare il procedimento, oltre che per riattivare quello già iniziato e sospeso

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 7.7.2014

L’art. 38, commi 5 e 6, del c.c.n.l. del 5 aprile 1996 del comparto del personale delle aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo - che prevede che la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso si applica per "commissione in servizio di gravi fatti illeciti di rilevanza penale per i quali sia fatto obbligo di denuncia" e che l'Amministrazione inizia il procedimento disciplinare ed inoltra la denuncia penale, ma il procedimento disciplinare rimane sospeso fino alla sentenza definitiva - deve essere interpretato nel senso che, laddove l'Amministrazione sia venuta a conoscenza di gravi fatti illeciti penalmente rilevanti e sia tenuta per legge a denunciarli, e' anche facoltizzata ad attivare subito il procedimento disciplinare, che rimane sospeso fino alla sentenza definitiva. Ma ciò non si verifica allorché la denuncia dei “gravi fatti illeciti” sia stata fatta da un terzo ( nella fattispecie, sotto forma di un esposto alla competente Procura della Repubblica presso il Tribunale ) ed abbia comportato l’avvio del procedimento penale. Legittimamente, quindi, l’Amministrazione, in tale ipotesi, attende, come nel caso di specie ha fatto, l’ésito del giudizio penale prima di avviare il procedimento disciplinare ( Cassazione civile, sez. lav., 10/03/2010, numero 5806 ); ésito, peraltro, correttamente da essa poi individuato nella sentenza della Corte d’Appello di Cagliari che ha dichiarato il non luogo a procedere in ordine al reato ascritto ( art. 314 c.p. ). Pertanto, l’art. 38, comma 7, del citato c.c.n.l., cui è riconducibile la fattispecie all’esame, laddove prevede che, al di fuori dei casi previsti dal comma 6 ( che sono quelli in cui “l’amministrazione inizia il procedimento disciplinare ed inoltra la denuncia penale” ), “il procedimento disciplinare … è sospeso fino alla sentenza definitiva”, va inteso nel senso che in tal caso è lo stesso inizio del procedimento disciplinare ad essere sospeso; sì che poi l’Amministrazione ha 180 giorni “da quando … ha avuto notizia della sentenza definitiva” ( comma 8 dello stesso art. 38 ) per iniziare il procedimento, oltre che, eventualmente, per riattivare quello già iniziato e sospeso. Del resto, anche la L. 27 marzo 2001, n. 97, mirata specificamente a dettare norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare e sugli effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, all'art. 5, comma 4 ( cui peraltro il T.A.R. ha fatto espresso riferimento nel ritenere il contestato avvio del procedimento amministrativo conforme alle disposizioni vigenti, con statuizione rimasta esente da critiche e dunque inoppugnata e quindi, in quanto passata in giudicato, idonea di per sé a rendere non più contestabile tale conformità, con ricadute sulla stessa ammissibilità della censura all’esame ), dispone che, nel caso sia pronunciata sentenza penale irrevocabile di condanna nei confronti dei dipendenti pubblici privatizzati, ancorche' a pena condizionalmente sospesa, l'estinzione del rapporto di lavoro o di impiego puo' essere pronunciata a seguito di procedimento disciplinare; e il procedimento disciplinare deve avere inizio, o, in caso di intervenuta sospensione, deve proseguire, entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione della sentenza all'amministrazione o all'ente competente per il procedimento disciplinare. In tal modo le due norme ( la previsione contenuta nel comma 4 dell'art. 5 della legge n. 97 del 2001 è espressamente riferita ai soli casi di sentenza irrevocabile di condanna intervenuta per reati contro la Pubblica Amministrazione da cui possa conseguire l'estinzione del rapporto di lavoro, mentre per tutte le altre ipotesi, ed in assenza di specifiche previsioni diverse, trova applicazione l'art. 38 cit. ) ben si raccordano, nel senso che in entrambe le ipotesi, laddove la pendenza di un procedimento penale abbia determinato il mancato inizio o la sospensione del procedimento disciplinare per gli stessi fatti oggetto del primo, entro un determinato termine decorrente dalla ricezione da parte dell’Amministrazione della comunicazione dell’intervenuta sentenza definitiva deve intervenire l’inizio ( od il riavvio ) del secondo. Nella specie – come correttamente ritenuto dal Giudice di primo grado – il suddetto termine di 180 gg. dalla ricezione della comunicazione della sentenza, intervenuta il 21 febbraio 2005, è stato ampiamente rispettato, essendo stata poi fatta la contestazione dell’addebito il successivo 5 marzo, notificata all’interessato il 15 dello stesso mese; donde l’irrilevanza delle deduzioni dell’interessato circa la natura recettizia dell’atto di contestazione, dal momento che anche la relativa notifica risulta ampiamente in termini rispetto al detto arco temporale. Né rilevano le osservazioni dell’appellante circa la non addebitabilità al suo comportamento del fatto che, nel caso di specie, l’Amministrazione abbia ricevuto la comunicazione della sentenza definitiva più di sei mesi dopo il suo passaggio in giudicato........Ed invero la veduta disposizione del contratto collettivo è inequivoca nel riferire il decorso del termine stabilito alla “notizia”, che l’Amministrazione abbia avito della sentenza definitiva. La fissazione del predetto termine risponde poi con tutta evidenza, da un lato, all’esigenza di non procrastinare eccessivamente il potere disciplinare dell’Amministrazione, così tutelandosi il diritto del lavoratore all’affidamento sulla stabilità e continuità del rapporto; dall’altro, alla necessità di non far decorrere il termine stesso prima del passaggio in giudicato della sentenza penale e prima che l’Amministrazione datrice di lavoro abbia avuto conoscenza della sentenza stessa, così evitandosi che il termine decorra in un periodo nel quale la predetta Amministrazione sia oggettivamente impossibilitata ad esercitare ogni valutazione in ordine alla instaurazione, ovvero alla riattivazione, della procedura disciplinare ( Cassazione civile, sez. lav., 22/10/2009, numero 22418 ). Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale * del 2010, proposto da:*,

rappresentato e difeso dagli avv.ti Marcello Vignolo, Massimo Massa, Benvenuto Pilurzu e Salvatore Pilurzu ed ex lege domiciliato presso la Segreteria della Terza Sezione del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro, 13,

 

contro

 

il MINISTERO dell’INTERNO,

in persona del Ministro p.t.,

costituitosi in giudizio, ex lege rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato presso gli ufficii della stessa, in Roma, via dei Portoghesi, 12,

 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. SARDEGNA - SEZIONE I n. 01950/2009, resa tra le parti, concernente sospensione cautelare dal servizio.

Visto il ricorso, con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive domande e difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Data per letta, alla pubblica udienza del 12 giugno 2014, la relazione del Consigliere Salvatore Cacace;

Uditi, alla stessa udienza, l’avv. Andrea Reggio d’Aci, in sostituzione dell’avv. Marcello Vignolo, per l’appellante e l’avv. Wally Ferrante dello Stato per l’Amministrazione appellata;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

 

 

FATTO

1. – Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna l’odierno appellante, già dipendente del Ministero dell’Interno in qualità di Vigile del fuoco, domandava la declaratoria di illegittimità del licenziamento senza preavviso irrogatogli dal Direttore Centrale per le Risorse umane del Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile del Ministero dell’Interno con decreto in data 20 maggio 2005, nonché il conseguente risarcimento dei danni.

Deduceva, con quattro distinti motivi di ricorso, la tardività della relativa contestazione disciplinare, la genericità della contestazione medesima, la sproporzione tra il fatto e la sanzione e l’insussistenza dei fatti oggetto dell’accusa formulata in sede penale come posti a base del provvedimento disciplinare.

Il Tribunale Amministrativo Regionale respingeva il ricorso, rilevando l’infondatezza di tutti i motivi di gravame.

2. – Tale decisione è impugnata con l’appello all’esame, che ripropone i motivi dell’originario ricorso, in uno con articolate critiche alla decisione stessa.

2.1 – Il Ministero dell’Interno si è costituito per resistere, depositando altresì memoria illustrativa, il cui contenuto è stato contestato dall’appellante con memoria di replica.

2.2 - La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 12 giugno 2014.

DIRITTO

1. – Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione dei principii di tempestività ed immediatezza della contestazione disciplinare.

Il motivo è infondato.

L’art. 38, commi 5 e 6, del c.c.n.l. del 5 aprile 1996 del comparto del personale delle aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo - che prevede che la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso si applica per "commissione in servizio di gravi fatti illeciti di rilevanza penale per i quali sia fatto obbligo di denuncia" e che l'Amministrazione inizia il procedimento disciplinare ed inoltra la denuncia penale, ma il procedimento disciplinare rimane sospeso fino alla sentenza definitiva - deve essere interpretato nel senso che, laddove l'Amministrazione sia venuta a conoscenza di gravi fatti illeciti penalmente rilevanti e sia tenuta per legge a denunciarli, e' anche facoltizzata ad attivare subito il procedimento disciplinare, che rimane sospeso fino alla sentenza definitiva.

Ma ciò non si verifica allorché la denuncia dei “gravi fatti illeciti” sia stata fatta da un terzo ( nella fattispecie, sotto forma di un esposto alla competente Procura della Repubblica presso il Tribunale ) ed abbia comportato l’avvio del procedimento penale.

Legittimamente, quindi, l’Amministrazione, in tale ipotesi, attende, come nel caso di specie ha fatto, l’ésito del giudizio penale prima di avviare il procedimento disciplinare ( Cassazione civile, sez. lav., 10/03/2010, numero 5806 ); ésito, peraltro, correttamente da essa poi individuato nella sentenza della Corte d’Appello di Cagliari che ha dichiarato il non luogo a procedere in ordine al reato ascritto ( art. 314 c.p. ).

Pertanto, l’art. 38, comma 7, del citato c.c.n.l., cui è riconducibile la fattispecie all’esame, laddove prevede che, al di fuori dei casi previsti dal comma 6 ( che sono quelli in cui “l’amministrazione inizia il procedimento disciplinare ed inoltra la denuncia penale” ), “il procedimento disciplinare … è sospeso fino alla sentenza definitiva”, va inteso nel senso che in tal caso è lo stesso inizio del procedimento disciplinare ad essere sospeso; sì che poi l’Amministrazione ha 180 giorni “da quando … ha avuto notizia della sentenza definitiva” ( comma 8 dello stesso art. 38 ) per iniziare il procedimento, oltre che, eventualmente, per riattivare quello già iniziato e sospeso.

Del resto, anche la L. 27 marzo 2001, n. 97, mirata specificamente a dettare norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare e sugli effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, all'art. 5, comma 4 ( cui peraltro il T.A.R. ha fatto espresso riferimento nel ritenere il contestato avvio del procedimento amministrativo conforme alle disposizioni vigenti, con statuizione rimasta esente da critiche e dunque inoppugnata e quindi, in quanto passata in giudicato, idonea di per sé a rendere non più contestabile tale conformità, con ricadute sulla stessa ammissibilità della censura all’esame ), dispone che, nel caso sia pronunciata sentenza penale irrevocabile di condanna nei confronti dei dipendenti pubblici privatizzati, ancorche' a pena condizionalmente sospesa, l'estinzione del rapporto di lavoro o di impiego puo' essere pronunciata a seguito di procedimento disciplinare; e il procedimento disciplinare deve avere inizio, o, in caso di intervenuta sospensione, deve proseguire, entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione della sentenza all'amministrazione o all'ente competente per il procedimento disciplinare.

In tal modo le due norme ( la previsione contenuta nel comma 4 dell'art. 5 della legge n. 97 del 2001 è espressamente riferita ai soli casi di sentenza irrevocabile di condanna intervenuta per reati contro la Pubblica Amministrazione da cui possa conseguire l'estinzione del rapporto di lavoro, mentre per tutte le altre ipotesi, ed in assenza di specifiche previsioni diverse, trova applicazione l'art. 38 cit. ) ben si raccordano, nel senso che in entrambe le ipotesi, laddove la pendenza di un procedimento penale abbia determinato il mancato inizio o la sospensione del procedimento disciplinare per gli stessi fatti oggetto del primo, entro un determinato termine decorrente dalla ricezione da parte dell’Amministrazione della comunicazione dell’intervenuta sentenza definitiva deve intervenire l’inizio ( od il riavvio ) del secondo.

Nella specie – come correttamente ritenuto dal Giudice di primo grado – il suddetto termine di 180 gg. dalla ricezione della comunicazione della sentenza, intervenuta il 21 febbraio 2005, è stato ampiamente rispettato, essendo stata poi fatta la contestazione dell’addebito il successivo 5 marzo, notificata all’interessato il 15 dello stesso mese; donde l’irrilevanza delle deduzioni dell’interessato circa la natura recettizia dell’atto di contestazione, dal momento che anche la relativa notifica risulta ampiamente in termini rispetto al detto arco temporale.

Né rilevano le osservazioni dell’appellante circa la non addebitabilità al suo comportamento del fatto che, nel caso di specie, l’Amministrazione abbia ricevuto la comunicazione della sentenza definitiva più di sei mesi dopo il suo passaggio in giudicato.

 

 

Ed invero la veduta disposizione del contratto collettivo è inequivoca nel riferire il decorso del termine stabilito alla “notizia”, che l’Amministrazione abbia avito della sentenza definitiva.

La fissazione del predetto termine risponde poi con tutta evidenza, da un lato, all’esigenza di non procrastinare eccessivamente il potere disciplinare dell’Amministrazione, così tutelandosi il diritto del lavoratore all’affidamento sulla stabilità e continuità del rapporto; dall’altro, alla necessità di non far decorrere il termine stesso prima del passaggio in giudicato della sentenza penale e prima che l’Amministrazione datrice di lavoro abbia avuto conoscenza della sentenza stessa, così evitandosi che il termine decorra in un periodo nel quale la predetta Amministrazione sia oggettivamente impossibilitata ad esercitare ogni valutazione in ordine alla instaurazione, ovvero alla riattivazione, della procedura disciplinare ( Cassazione civile, sez. lav., 22/10/2009, numero 22418 ).

1.1 - Non può dirsi, d’altra parte, che il Ministero dell’Interno sia rimasto inerte nel caso di specie, essendosi attivato per conoscere l’ésito dell’appello proposto dal dipendente avverso la sentenza di condanna di primo grado e senza che il dipendente medesimo abbia a sua volta proceduto ad informare tempestivamente ( solo oltre otto mesi dopo dalla sentenza della Corte d’Appello ha provveduto ad informare l’Amministrazione di essere “stato definitivamente scagionato dalle accuse”, senza comunque fornire copia della sentenza definitiva ) il datore di lavoro della situazione di irrevocabilità, in virtù di un proprio interesse, da identificare nella necessità di fare decorrere il termine e di non procrastinare sine die il potere disciplinare ( che l'ente non avrebbe potuto esercitare in mancanza di conoscenza della condanna irrevocabile ) e secondo un dovere di collaborazione inteso alla soddisfazione di esigenze di buona amministrazione, che devono governare, in ogni circostanza, lo svolgimento del rapporto di impiego in base al principio stabilito dall'art. 97 Cost..

2. – Con il secondo motivo di appello viene riproposta l’eccezione di genericità della contestazione disciplinare, disattesa dal Giudice di primo grado.

La censura è priva di fondamento.

Posto, invero, che legittimamente l’Amministrazione può promuovere il procedimento disciplinare contestando al pubblico dipendente la condotta fatta oggetto dell’imputazione nel processo penale conclusosi, come nel caso all’esame, con sentenza irrevocabile di n.d.p. in ordine al reato ascritto perché estinto per prescrizione e che altrettanto legittimamente puo' applicare la sanzione disciplinare ove disattenda le controdeduzioni eventualmente svolte dal dipendente a sua difesa sulla base di autonomi elementi di valutazione tratti da tutti gli atti formati ed acquisiti nell’àmbito del procedimento penale, la contestata genericità della contestazione degli addebiti è nel caso di specie del tutto insussistente, dal momento che i fatti per i quali si procede sono agevolmente ricavabili, nel contesto del citato atto di formulazione degli addebiti:

- dal riferimento ai “fatti sopra descritti” e cioè, inequivocabilmente, ai fatti per i quali “la S.V. in data 29/11/2002, è stata condannata a mesi 8 di reclusione con concessione dei benefici di legge, con sentenza n. 3192/92 emessa dal Tribunale di Cagliari, per il reato di cui all’art. 314 c.p.” ( così, testualmente, il primo capoverso dell’atto di contestazione” );

- nonché dal successivo richiamo della formula preliminarmente apposta dalla Corte d’Appello alla dichiarazione di n.d.p., secondo cui “dagli atti non emerge in modo assolutamente manifesto ed obiettivo l’insussistenza del fatto e la non colpevolezza dell’imputato”.

V’è dunque palese coincidenza degli addebiti contestati in sede disciplinare con il capo di imputazione di “peculato” ascritto al ricorrente in sede di rinvio a giudizio così come fatto oggetto di accertamento nel processo penale di primo grado e ritenuto non manifestamente insussistente quanto al fatto anche in sede di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.

Tanto ha consentito al citato atto di contestazione di assolvere con sufficienza e completezza la funzione di dar modo all’interessato di conoscere i fatti e la specifica trasgressione di cui è stato chiamato a rispondere in sede disciplinare e di difendersi all’interno del relativo procedimento, come dimostra la memoria difensiva prodotta in detta sede in data 12 aprile 2005, che dimostra come l’interessato abbia avuto la chiara percezione dei contorni della condotta indagata, nella misura in cui insiste sul fatto che “il reato di cui all’articolo 314 c.p., dichiarato prescritto, non è mai stato da me commesso”, sì da dimostrarsi ben consapevole che il fatto addebitato in sede disciplinare è quello che ha portato alla condanna in primo grado per peculato d’uso e cioè “essersi il 10 agosto del 1996 impadronito, restituendolo immediatamente di un mezzo del Corpo dei Vigili del Fuoco, del quale aveva il possesso, in ragione della carica ricoperta di capo squadra presso il Comando provinciale dei Vigili” ( così la sentenza della Corte d’Appello, pure richiamata, come s’è visto, dall’atto di contestazione degli addebiti ).

3. – Con il terzo ordine di censure lamenta parte ricorrente il difetto di motivazione della sentenza di primo grado in relazione all’insussistenza nel mérito del fatto addebitato ed alla sproporzione tra lo stesso e la sanzione.

La censura va respinta con le precisazioni che seguono.

Alla luce del procedimento disciplinare risulta che l’Amministrazione abbia contestato addebiti e sia giunta alla determinazione della responsabilità disciplinare del ricorrente in ordine ai fatti emersi in sede dibattimentale nel processo penale, che avevano appunto indotto il Tribunale a condannarlo per peculato.

Trattasi, dunque, di quei fatti, in ordine ai quali la sentenza penale di primo grado aveva affermato testualmente: “Ne consegue, con la necessaria certezza processuale, che fu il … a decidere di utilizzare il mezzo del Corpo per andare ad eseguire il taglio parziale del pino – di cui si era assunto l’incarico con l’Onnis – indicando l’avvenuta richiesta di intervento da parte dell’Onnis ( erroneamente indicato col nome di Gesuino a riprova della non veridicità del fatto ); Onnis che ha categoricamente escluso di esser stato presente quel giorno nel palazzo, affermando di aver saputo dell’intervento solo qualche giorno dopo, al momento del suo rientro. Si deve, pertanto, ritenere raggiunta la prova che il … nell’occasione riportata, in qualità di capo partenza, avendo per ragione di servizio la disponibilità del mezzo del Corpo, se ne appropriò al solo scopo di fare uso momentaneo del bene, restituendolo subito dopo all’amministrazione”.

Correttamente, anzitutto, l'Amministrazione procedente ha rilevato che la pregnanza delle risultanze processuali acquisite al procedimento disciplinare sia da ritenersi confermata alla luce dell'art. 129 del codice di procedura penale, il quale prevede, al comma 2, che "Quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta".

La norma codicistica – implicitamente richiamata nella sentenza di non luogo a procedere nei confronti del ricorrente per prescrizione del reato laddove ivi si afferma che non ricorrono le condizioni per l'assoluzione dell’imputato non emergendo dagli atti in modo evidente l'insussistenza del fatto o che l’imputato non lo hanno commesso - è chiara nel precludere la pronuncia di estinzione del reato laddove ricorrano i presupposti per il proscioglimento nel merito.

Di tale circostanza viene dato, nel gravato provvedimento, puntualmente atto, peraltro al solo fine di rafforzare la pregnanza della ricostruzione dei fatti effettuata nel processo penale di primo grado, valutata e ponderata dall’Amministrazione nella sua oggettiva valenza con considerazioni meritevoli di condivisione, anche tenuto conto, come puntualmente sottolinea il provvedimento oggetto del giudizio, della estrema genericità delle difese formulate dall’interessato nella sede procedimentale.

Vi è stata, quindi, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, una puntuale e corretta valutazione della portata da annettersi alla sentenza di non doversi procedere che ha definito il giudizio penale, dovendo desumersi dalla stessa, specularmente, la non emersione di una verità processuale, che avrebbe consentito - ed imposto - l'adozione di una sentenza di proscioglimento nel merito; nonché un razionale convincimento di responsabilità disciplinare, basato sugli elementi di fatto emergenti dagli atti processuali, in alcun modo specificamente smentiti dall’interessato.

Ciò posto, osserva il Collegio che, se è vero, come deduce l’appellante, che sono “del tutto inconferenti le argomentazioni della sentenza impugnata in cui si fa riferimento agli altri capi di imputazione ( 1 e 3 ) e ai relativi elementi di prova emersi durante l’istruttoria” ( e ciò perché è incontrovertibile che il procedimento disciplinare ha avuto ad oggetto il solo fatto ascritto nel processo penale di primo grado come peculato: v. VII “rilevato” delle premesse del provvedimento di licenziamento ), a fronte di tale quadro istruttorio, concernente detto specifico fatto addebitato, la sanzione irrogata non si pone in contrasto con il principio di proporzionalità e di gradualità della sanzione ed in particolare con le previsioni di cui all’art. 38, commi 1 e 9, del c.c.n.l., rispetto alle quali si è dedotto il contrasto del provvedimento oggetto del giudizio sin dal ricorso originario (non essendo, com’è noto, in grado di appello ampliabile il thema decidendum di primo grado così come circoscritto dai motivi ivi introdotti).

Non v’è dubbio, invero, ad avviso del Collegio, che la responsabilità disciplinare del ricorrente per i fatti ascritti si traduce nell'emersione di profili di incompatibilità in ordine alla permanenza dello stesso in servizio per effetto dell'applicazione degli stessi criterii invocati dal ricorrente ed in particolare di quello di cui alla lett. a) del comma 1 dell’art. 38 cit. ( secondo cui “il tipo e l’entità di ciascuna delle sanzioni sono determinati anche in relazione … alla intenzionalità del comportamento, alla rilevanza della violazione di norme o disposizioni” ), dovendo condividersi, pur depurata dei riferimenti inconferenti, la conclusione del T.A.R. circa “una personalità scevra da obblighi e dal rispetto della posizione che un soggetto addetto all’esercizio di una pubblica funzione di pronto intervento avrebbe invece dovuto mantenere, con lesione della credibilità e della serietà dell’Amministrazione d’appartenenza”.

Del resto, trattasi di fatti indubbiamente dolosi, la cui valutazione di “gravità” effettuata dall’Amministrazione in connessione con il ritenuto venir meno dell’affidabilità del dipendente e con la lesione indubbiamente derivante all’immagine del Corpo dei Vigili del Fuoco dalla accertata scarsa integrità morale e cattiva reputazione di cui i fatti stessi sono espressione, appare pienamente congrua e rispondente al dettato dell’art. 38, comma 5, del c.c.n.l., laddove prevede l’applicabilità della sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso, tra l’atro, in caso ( lett. d) di “commissione, in genere, di fatti o atti dolosi, non ricompresi nella lettera a) … di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro”.

Né è scrutinabile in questa sede, per finire sul punto, la censura ( ribadita in sede di memoria di replica ) di inapplicabilità alla fattispecie del licenziamento senza preavviso in forza del comma 6 dell’art. 12 del c.c.n.l. 2002-2005, trattandosi di censura nuova, per la prima volta dedotta in grado di appello e dunque inammissibile.

Venendo al secondo profilo del terzo motivo di appello, concernente la pretesa insussistenza nel mérito del fatto addebitato, premesso che il ricorrente tenta indebitamente di trasporre nella sede giurisdizionale quell’attività di accertamento ( e di contestazione dei fatti addebitati ) ch’è propria della sede procedimentale ( nella quale egli si è limitato a generiche affermazioni di non colpevolezza e di non aver commesso il fatto ) ed a smentire gli elementi acquisiti in sede penale in contrasto con il fatto che nello stato del processo in cui è stata pronunciata la declaratoria di n.d.p. risultavano sufficienti elementi per l’esercizio dell’azione penale e per la sussistenza ed addebitabilità del fatto all’imputato, nei limiti in cui l’accesso diretto al fatto è consentito al giudice amministrativo quando nella sede procedimentale l’interessato nulla abbia controdedotto in ordine al quadro probatorio delineato dall’attività istruttoria, le diffuse ed ampie considerazioni svolte dal T.A.R. a contestazione degli elementi asseritamente non considerati nel processo penale di primo grado e nel procedimento disciplinare (v. in particolare pagg. 26 – 30 sent.), sostanzialmente rimaste prive di specifica critica in sede di appello ivi essendosi l’appellante limitato alla pedissequa riproduzione delle doglianze di primo grado ( donde la inammissibilità della censura ) e ad introdurre nuovi argomenti ( quelli evidenziati nell’atto di appello a suo tempo proposto in sede penale avverso la sentenza di condanna di primo grado ) che in disparte tale loro novità non riescono a far “svanire” o diversamente qualificare i fatti contestati e le accertate responsabilità, sono più che sufficienti ad escludere qualsiasi incongruenza ( ché tale è lo spazio riservato al sindacato del giudice ) delle valutazioni poste in essere dall’Amministrazione in ordine alla materialità dei fatti contestati.

4. – In conclusione l’appello va respinto.

Le spese del presente grado, liquidate nella misura indicata in dispositivo, séguono, come di régola, la soccombenza.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo respinge e, per l’effetto, conferma, nei sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata.

Condanna l’appellante alla rifusione di spese ed onorarii del grado in favore dell’Amministrazione appellata, liquidandoli in complessivi Euro 5.000,00=.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, addì 12 giugno 2014, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:

 

 

Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente

Salvatore Cacace, Consigliere, Estensore

Angelica Dell'Utri, Consigliere

Dante D'Alessio, Consigliere

Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 07/07/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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COMPARTO ISTUZIONE E RICERCA - Quesito su diritto alle ferie e modalità di fruizione delle stesse

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Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Monday 12 February 2024 09:52:49

COMPARTO ISTRUZIONE E RICERCA- Quesito su fruizione ferie e assenze per malattia

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Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Monday 12 February 2024 09:51:39

COMPARTO SANITA’ 2019-2021 - Quesito su prestazioni di lavoro straordinario in caso di adesione alla “banca delle ore”. Modalità di fruizione del riposo compensativo e/o pagamento delle ore accantonate.

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Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa - Monday 12 February 2024 09:50:24

AREA FUNZIONI LOCALI - Quesito su possibili cause di sospensione delle ferie

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