Tuesday 11 November 2014 19:05:02

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Esproprio: l’accordo amichevole sull'ammontare dell'indennità di esproprio perde efficacia se il procedimento di espropriazione per pubblica utilità non si concluda con il negozio di cessione o con il decreto di esproprio

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 7.11.2014

La Quarta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha condiviso e fatta propria l’affermazione giurisprudenziale secondo cui (ex aliis Cons. Stato Sez. IV, 23-09-2004, n. 6239) “l’ accordo amichevole sull'ammontare dell'indennità di esproprio previsto dall'articolo 26 della legge 2359 del 1865 non comporta una cessione volontaria del bene, sicché è sempre necessario il completamento della procedura espropriativa al fine del passaggio della proprietà del bene dall'espropriato all'espropriante: pertanto, l'accordo amichevole viene a caducarsi e a perdere di efficacia ove il procedimento di espropriazione per pubblica utilità non si concluda con il negozio di cessione o con il decreto di esproprio; in tale ipotesi il privato subisce un danno ingiusto a causa della sopraggiunta perdita della proprietà del bene per effetto della occupazione divenuta illegittima e della sua radicale e irreversibile trasformazione per la costruzione dell'opera pubblica. Tuttavia, quando il contenuto dell'accordo amichevole si arricchisce e si accompagna al pagamento e alla relativa quietanza, nonché alla dichiarazione di non avere null'altro a pretendere per quel titolo, il mancato compimento della procedura di esproprio nei termini, unita alla mancata impugnazione del decreto tardivo da parte del privato interessato, rende l'assetto di interessi concordato dalle parti stabile, legittimo, valido e non disapplicabile dal giudice a fini risarcitori.”.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale * del 2013, proposto da:

Comune di Lipomo, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Elia Di Matteo, Giulio Di Matteo, con domicilio eletto presso Segreteria Sezionale Cds in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

 

contro

Frutta Mercato Snc di Erasmi Mario e Riva Sandra, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Ercole Romano, con domicilio eletto presso Giovanni Corbyons in Roma, via Maria Cristina, 2; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. della LOMBARDIA – Sede di MILANO- SEZIONE IV n. 03134/2012, resa tra le parti, concernente illecita occupazione ed utilizzazione di area di proprietà per la realizzazione di opera pubblica – risarcimento dei danni;

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Frutta Mercato Snc di Erasmi Mario e Riva Sandra;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 luglio 2014 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Elia Di Matteo e Romano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia – sede di Milano - ha parzialmente accolto il ricorso di primo grado, proposto dalla parte odierna appellata Frutta Mercato S.n.c., volto ad ottenere l’accertamento dell’illecita occupazione ed utilizzazione da parte dell’amministrazione intimata di un’ area di proprietà della appellata in assenza di un valido titolo giuridico (decreto di espropriazione o cessione bonaria del fondo) per la realizzazione di opera pubblica (allargamento della strada) con conseguente irreversibile trasformazione del sito e la conseguente condanna del comune di Lipomo al risarcimento a favore della società di tutti i danni patrimoniali, sia sotto il profilo del valore venale del bene sia sotto quello del lucro cessante per il danno causato all’attività commerciale della ricorrente, maggiorata degli interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data in cui l’area era stata occupata sino al saldo effettivo.

L’appellata aveva rammentato che l’area illecitamente occupata era pertinenziale rispetto all’attività di commercio di frutta e verdura dalla stessa esercitata (destinata a parcheggio dei clienti).

La perdita di efficacia del decreto di occupazione d’urgenza in seguito alla mancata adozione del decreto di espropriazione – era già stata affermata dal Tar nella sentenza n. 365/2010.

Quest’ultima, infatti, aveva dichiarato l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del ricorso proposto dalla medesima società avverso il decreto di occupazione d’urgenza dell’area.

Essa ha richiesto il risarcimento del danno provocato dal comune di Lipomo per l’illecita occupazione appropriativa del mappale n. 492 alla stessa appartenente, illecitamente trasformato per l’allargamento della sede stradale senza che al proprietario fosse stato corrisposto alcunché in corrispondenza del sacrificio dallo stesso sopportato sostenendo che in contrario senso non rilevava la dichiarazione del 3 maggio 2001 con la quale l’amministratore della società aveva dichiarato di accettare l’indennità di esproprio proposta dal comune.

Tale dichiarazione, infatti, aveva perso validità in seguito alla mancata conclusione del procedimento espropriativo (nelle forme alternative dell’emissione del decreto di espropriazione o della cessione del bene con accordo bonario o dell’emissione del decreto di trasferimento del bene ai sensi dell’art. 43 del T.U. n. 327/2001).

Con sentenza non definitiva n. 936/2012 del 14 febbraio 2012 il Tar, rilevata l’assenza di qualsiasi provvedimento di natura espropriativa allo stato efficace, aveva disposto una verificazione in contraddittorio tra le parti, allo scopo di accertare l’entità effettiva dei danni lamentati dal momento dell’occupazione dell’area (ed in data 16 ottobre 2012 il verificatore aveva depositato la relazione finale).

Con la gravata decisione il primo giudice ha innanzitutto dato atto della perdita di efficacia della dichiarazione del 3 maggio 2001, con la quale l’amministratore della società aveva dichiarato di accettare l’indennità di esproprio proposta dal comune: ciò in quanto in seguito alla stessa il procedimento espropriativo non si era concluso in alcun modo (nelle forme alternative dell’emissione del decreto di espropriazione o della cessione del bene con accordo bonario o dell’emissione del decreto di trasferimento del bene ai sensi dell’art. 43 del T.U. n. 327/2001).

Ha quindi configurato la fattispecie qual illecito permanente, ed ha affermato che sussistevano tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità civile invocata atteso il grave inadempimento dell'amministrazione, resasi responsabile della sottratta disponibilità dell’area e del mancato ristoro al proprietario della stessa.

In relazione alla quantificazione del danno ha ritenuto condivisibile la relazione del verificatore.

Questa era pervenuta alla stima del valore di mercato del suolo illegittimamente occupato indicando un valore composto dal valore venale dell’area (pari ad euro 47.634,00), dal danno per il mancato godimento del cespite, determinato nella misura degli interessi sul predetto valore venale in ciascun anno di occupazione illegittima del bene considerato, incrementati degli interessi legali e rivalutazione monetaria (pari ad euro 18.258,69), oltre al danno non patrimoniale pari al 10% del valore venale del bene ai sensi dell’art. 42 bis del d.P.R. 327/2001. Per un totale di euro 70.656,00.

In alternativa, il verificatore aveva proceduto alla stima del pregiudizio subito in analogia al disposto dell’art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001, pervenendo, in questo secondo caso, ad una quantificazione complessiva pari ad euro 85.740,00.

Dato atto che il totale complessivo era risultato quindi pari ad una somma variabile da un minimo di euro 70.656,00 ad un massimo di euro 85.740,00, il Tar ha ritenuto di convenire con l’ultima indicazione operata dal verificatore (ciò sulla base dell’espresso disposto del comma 8 dell’art. 42 bis che disponeva l’applicabilità della norma anche ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore).

Quanto invece l’assunto danno da lucro cessante (sebbene il verificatore, sulla base della situazione di fatto e delle risultanze degli atti allegati, avesse affermato che la perdita di guadagno asserita e non provata nel suo esatto ammontare non appariva attribuibile all’occupazione) il Tar ha ritenuto in via equitativa congruo liquidare una somma pari ad euro 15.000, compresi gli interessi derivanti dalla data del decreto di occupazione.

L’amministrazione comunale odierna parte appellante, già resistente rimasta soccombente nel giudizio di prime cure ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendo la riforma dell’appellata decisione.

Ha in proposito evidenziato che: il mappale 492/a di circa 685 mq mai era stato adibito a parcheggio; la ditta non disponeva di un negozio (trattavasi di commercio ambulante); l’occupazione non era né illecita né illegittima.

Quanto a tale ultimo e preliminare motivo, il decreto di espropriazione/occupazione d’urgenza n. 7006/1998 era stato preceduto da due formali dichiarazioni (una pre-occupazione, ed una successiva) con cui gli appellati avevano dichiarato di cedere volontariamente la detta area e di accettare le indennità offertegli.

L’area era un reliquato, inutilizzabile a fini di parcheggio (anche per problematiche di tutela della sicurezza stradale).

Il mezzo era comunque tardivo (la sentenza era stata resa a quattordici anni di distanza dalla occupazione del suolo) ed il vaglio sulla cessione negoziale perteneva al Giudice ordinario: la sentenza era del tutto in contrasto con quella resa dal Tar n. 365/2010.

La dichiarazione di cessione era equiparata alla emissione di un decreto di esproprio, per cui il Tar aveva errato nel non cogliere detto dato.

Peraltro l’appellata non aveva neppure impugnato la sentenza resa dal Tar n. 365/2010.

Sotto altro profilo, il valore liquidato era del tutto spropositato.

L’appellata ha depositato un appello incidentale volto a criticare la determinazione del valore delle aree resa dal Tar (complessivi euro 100.740,00; Euro 85.740 più 15.000) ed ha prospettato due alternative determinazioni del quantum debeatur.

In base a detti conteggi la somma “base” dovuta dal Comune avrebbe dovuto essere determinata in Euro 191.369,41, ovvero in Euro 238.392,00. ha altresì sostenuto la inadeguatezza della determinazione del danno da lucro cessante contenuta in soli 15.000 Euro, chiedendone l’incremento.

L’appellata inoltre, in vista dell’ adunanza camerale fissata per la delibazione della domanda di sospensione dell’esecutività della gravata decisione ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato.

Ha chiesto che i documenti da 28 a 2 e da 34 a 36 della produzione comunale venissero espunti dal materiale esaminabile in quanto tardivamente depositati, soltanto in appello.

Nel merito, ha fatto presente che la omessa conclusione del procedimento di esproprio era ascrivibile all’Amministrazione e che la dichiarazione di cessione del 1996 non era affatto intesa a sanare l’illegittima occupazione, ma esprimeva la generica disponibilità ad una complessiva opera di razionalizzazione dell’incrocio stradale.

All’adunanza camerale dell’ 8 ottobre 2013 la Sezione con l’ordinanza n. 03984/2013 ha accolto la domanda di sospensione dell’esecutività della gravata decisione sulla scorta della considerazione per cui “l’appello dell’Amministrazione non appare privo del prescritto fumus, in relazione al contenuto della precedente sentenza 365/2010; rilevato che anche sotto il profilo del periculum in mora l’appello appare provvisto del prescritto requisito legittimante”

Tutte le parti processuali, in vista della odierna udienza pubblica, hanno depositato scritti difensivi tesi a puntualizzare le rispettive censure ed eccezioni.

Alla odierna pubblica udienza del’8 luglio 2014 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

 

 

1.L’appello è fondato e va accolto, nei termini di cui alla motivazione che segue.

1.1. Può prescindersi dall’esame delle eccezioni dell’appellata in punto di esaminabilità da parte del Collegio del materiale documentale depositato dal Comune, in quanto quest’ultimo non appare pertinente ai fini della decisione (come meglio verrà chiarito immediatamente di seguito);per altro verso, il Collegio non ritiene sussistere alcuna causa di sospensione per pregiudizialità (anche facoltativa) siccome invocato dalla difesa comunale.

2.Una pluralità di dati conduce ad affermare la fondatezza della prima parte del mezzo, logicamente pregiudiziale,concernente la assenza di elementi per accordare, nell’an, il petitum risarcitorio.

2.1.Va premesso che, armonicamente rispetto alle più recenti –e consolidate –affermazioni della giurisprudenza anche Costituzionale (Corte Cost. n. 204/2004) non può dubitarsi (la tesi, seppure in forma perplessa è stata adombrata dall’amministrazione appellante) che in materia sussista la giurisdizione di questo plesso visto che vi fu spendita del potere amministrativo e neppure sulla astratta proponibilità del petitum risarcitorio (Cass. civ. Sez. Unite Sent., 08-04-2008, n. 9040 602751, in relazione a Corte Cost. n. 77 del 2007).

2.2.Il Tar esattamente, quindi, non ha declinato la propria giurisdizione: il petitum proposto in primo grado avrebbe dovuto, però, essere respinto alla stregua delle seguenti considerazioni.

2.2.1.Il Collegio condivide e fa propria l’affermazione giurisprudenziale secondo cui (ex aliis Cons. Stato Sez. IV, 23-09-2004, n. 6239) “l’ accordo amichevole sull'ammontare dell'indennità di esproprio previsto dall'articolo 26 della legge 2359 del 1865 non comporta una cessione volontaria del bene, sicché è sempre necessario il completamento della procedura espropriativa al fine del passaggio della proprietà del bene dall'espropriato all'espropriante: pertanto, l'accordo amichevole viene a caducarsi e a perdere di efficacia ove il procedimento di espropriazione per pubblica utilità non si concluda con il negozio di cessione o con il decreto di esproprio; in tale ipotesi il privato subisce un danno ingiusto a causa della sopraggiunta perdita della proprietà del bene per effetto della occupazione divenuta illegittima e della sua radicale e irreversibile trasformazione per la costruzione dell'opera pubblica. Tuttavia, quando il contenuto dell'accordo amichevole si arricchisce e si accompagna al pagamento e alla relativa quietanza, nonché alla dichiarazione di non avere null'altro a pretendere per quel titolo, il mancato compimento della procedura di esproprio nei termini, unita alla mancata impugnazione del decreto tardivo da parte del privato interessato, rende l'assetto di interessi concordato dalle parti stabile, legittimo, valido e non disapplicabile dal giudice a fini risarcitori.”.

Nel caso di specie, con ben due dichiarazioni, l’ una resa nel 1996 e la successiva nel 2001, l’appellata ebbe ad accettare le indennità espropriative ed occupative stabilite dall’Ufficio tecnico comunale e di cedere il bene. E sulla riferibilità delle dichiarazioni all’appellata medesima non può utilmente controvertersi, trattandosi di accertamento regiudicato contenuto nella sentenza del Tar n. 365/2010

E’ poi utile rilevare che, successivamente alla dichiarazione resa nel 1996, l’odierna appellata ebbe ad adire sia il giudice ordinario (Pretore di Como) che il Tar (ricorso n. 4228/1998 su cui venne resa la sentenza n. 365/2010).

IL Pretore rese decreto ex art. 1168 cc, poi revocato e detto ultimo provvedimento di revoca (la ricostruzione del Comune è rimasta in parte qua incontestata) non venne mai gravato da parte appellata, né il giudizio fu altrimenti proseguito.

Nel 1998 l’appellata dichiarò di non accettare la indennità proposta,ma non propose mai opposizione alla stima, e nel 2001 rese una nuova dichiarazione di cessione dell’area ed accettazione dell’indennità.

La particolarità della vicenda - non adeguatamente colta dal Tar, ad avviso del Collegio- riposa nella circostanza che il ricorso n. 4228/1998 venne deciso a distanza di un rilevante lasso temporale (proprio con la sentenza n. 365/2010) ed il Giudice in detta occasione adito ebbe a valutare tutti gli elementi fattuali e giuridici medio tempore intervenuti, ivi compresi quelli che sono stati finora esposti.

Nell’ambito della detta decisione n. 365/2010 il Tar ( che ha poi dichiarato la improcedibilità del mezzo) ha rilevato quanto di seguito (si riporta un breve stralcio della decisione):

“In prossimità dell’udienza del 10.11.09, fissata per il merito, il Comune produceva un atto a firma di uno dei due amministratori della società ricorrente che dichiarava di accettare l’indennità di esproprio come determinata dalla Commissione Provinciale espropri e di ritirare tutti i procedimenti in corso nei confronti del Comune di Lipomo, con compensazione delle spese.

Per verificare la sussistenza dei poteri di sottoscrizione di un atto siffatto il Collegio emanava un’ordinanza istruttoria per acquisire copia dello statuto della società e rinviava all’udienza del 26.1.10 dove il ricorso passava in decisione.

Alla luce della documentazione prodotta sembra prima facie cessata la materia del contendere in virtù dell’atto firmato dall’amministratore della società ricorrente in data 3.5.01; la sottoscrizione è avvenuta regolarmente poiché l’amministrazione della società compete ai due soci con poteri disgiunti e pertanto la mancata sottoscrizione dell’altro socio non rileva.

La difesa della società ricorrente osserva come l’indennità accettata non sia mai stata corrisposta, ma sul punto potrebbe osservarsi che l’impegno assunto in via transattiva dall’amministratore della società non subordinava la validità dell’accordo alla materiale corresponsione dell’indennità e d’altro canto il Comune potrebbe eccepire che non è stato rispettato l’impegno ad abbandonare ogni contenzioso.”.

Nella detta decisione n. 365/2010 – non gravata da parte appellata- è rimasto quindi accertato che:

a)la dichiarazione del 2001 era stata validamente resa e quindi “impegnava” la società;

b)essa aveva natura transattiva.

2.3. E’ ben vero che nella detta decisione nel dichiararsi la improcedibilità si ipotizzava che si potesse ancora utilmente controvertere sulle conseguenze della asserita omessa corresponsione della indennità (e sulla circostanza che l’odierna appellata e ricorrente in quella sede non aveva abbandonato il contenzioso).

Senonchè, ritiene il Collegio che, innanzitutto, la sentenza oggi gravata sia incompleta e poco chiara, laddove attribuisce il risarcimento del danno nella “constatazione” che non era stato reso alcun provvedimento conclusivo della procedura (decreto di esproprio od accordo amichevole) non soffermandosi sulla natura della dichiarazione di accettazione dell’indennità di esproprio come determinata dalla Commissione Provinciale espropri e di ritiro di tutti i procedimenti in corso.

Secondariamente, che la analisi della natura dell’atto e soprattutto della circostanza che lo stesso intervenne quando già in passato era stata resa analoga dichiarazione di cessione/accettazione delle indennità rimasta inadempiuta, e mentre il contenzioso instaurato nel 1998 era già pendente, deponga per la piena natura transattiva della fattispecie maturatasi (del resto già affermata dal Tar nella precedente sentenza di cui si è riportato uno stralcio) e per la incontestabilità ex post del detto stabile assetto di interessi.

2.3.1.In verità, laddove si consideri che la sentenza n. 365/2010 si era pronunciata su una richiesta di “annullamento dell’illecita occupazione ed utilizzazione di area di proprietà della ricorrente in assenza di un valido titolo giuridico (decreto di espropriazione o cessione bonaria del fondo) per la realizzazione di opera pubblica (allargamento della strada) con conseguente irreversibile trasformazione del sito” e che il mezzo era stato dichiarato improcedibile avendo ritenuto la accertata sussistenza di un negozio transattivo si potrebbe ben dubitare della riproponibilità sotto altra veste della domanda (il petitum risarcitorio postula l’assenza di accordo bonario, ma questo era stato positivamente affermato dal Tar, tanto che venne utilizzato in chiave declaratoria della improcedibilità).

2.3.2. Ma anche prescindendo da detta circostanza, il valore transattivo della seconda dichiarazione del 2001 concretante nei fatti un accordo amichevole si staglia evidente,ad avviso del Collegio, sol che si consideri che:

a)esso seguì a precedente dichiarazione analoga, resa nel 1996 e contraddetta dalla iniziativa giudiziaria successivamente intrapresa dall’appellata nel 1998;

b)esso intervenne a contenzioso in corso, ed al fine di vanificarne gli effetti, tanto che ivi l’appellata si impegna a “ritirare i procedimenti in corso” ed accetta l’indennità di esproprio.

Che poi l’accordo non sia stato seguito dal rispetto di tale impegno al ritiro dei procedimenti in corso e, a quel che è dato conoscere dagli atti neppure dal versamento della somma accettata - neppure contestata in sede di opposizione alla stima, peraltro- non rileva al fine di disconoscerne la natura (non di mero accordo amichevole sulla indennità avente natura endoprocedimentale ma) di cessione bonaria dei beni occupati, non potendosi altro significato che quello complessivamente transattivo attribuire all’atto de quo, essendo stato reso in pendenza di contenzioso, non impugnato sul quantum, contemplante la dichiarazione di cessione del terreno e reso in costanza di occupazione

Detto assetto appare immodificabile, se non complessivamente svalutando la portata dell’atto, dal che consegue che – se indubitabilmente l’appellata ha diritto di pretendere la somma sulla quale è stato raggiunto l’accordo, ove non tempestivamente versata, maggiorata ovviamente della mora credendi - l’omesso versamento della stessa sino a data odierna non potrebbe vanificare il detto assetto, facendo “risorgere” la posizione proprietaria lesa, in armonia con il consolidato orientamento della giurisprudenza civilistica secondo il quale “non è ammissibile, in applicazione dell'art. 1976 c.c., la risoluzione per inadempimento della transazione novativa, ovvero quella in forza della quale si determina l'estinzione del precedente controverso rapporto e la sua sostituzione con uno nuovo di per sé incompatibile con quello anteriore - in quanto portatore di obbligazioni nuove e diverse - salvo l'ipotesi in cui il diritto in parola sia stato espressamente previsto in apposita clausola facente parte dell'accordo transattivo.”(ex aliis Cass Civile Sez. III, sent. n. 24377 del 16-11-2006).

L’inottemperanza successiva agli obblighi nascenti dalla transazione (comunque mai “contestata” nella odierna sede processuale) sarebbe perseguibile innanzi al Giudice Ordinario, trattandosi di credito ordinario, nascente da rapporto negoziale, che lascia sullo sfondo quale fosse la causa petendi della pretesa originaria sottesa alla stipula del negozio transattivo novativo.

3. Quanto sinora affermato riveste portata assorbente, e conduce ad affermare che la domanda introduttiva del giudizio di primo grado avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile, o, comunque, respinta nel merito quanto all’an del petitum, il che implica l’integrale riforma della gravata sentenza, la reiezione del mezzo di primo grado e, ovviamente l’improcedibilità di tutte le ulteriori censure tese a contestare il quantum del risarcimento asseritamente dovuto all’appellata quantificato dal Tar. Alla stregua di quanto si è prima rilevato in termini assorbenti,vanno ovviamente disattese le tesi di parte appellata ed appellante incidentale dirette ad ottenere la liquidazione di un importo risarcitorio maggiore di quello (a torto) liquidato dal Tar, mentre tutti gli ulteriori argomenti critici sollevati da parte appellata non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso

4. Quanto alle spese processuali del doppio grado, esse possono tuttavia essere integralmente compensate tra le parti, ricorrendo i presupposti di legge riposanti nella inusuale complessità della controversia in punto di fatto.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie l’appello principale nei termini di cui alla motivazione che precede e respinge l’appello incidentale: per l’effetto, in riforma della gravata decisione, respinge il mezzo di primo grado.

Spese processuali del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Goffredo Zaccardi, Presidente

Sandro Aureli, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Diego Sabatino, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 07/11/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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