Sunday 15 December 2013 07:43:37

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Abusi edilizi: l'ordine di demolizione e' atto vincolato non essendo configurabile alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente, che il tempo non può legittimare in via di fatto

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI

Osserva il Collegio che in base ad un orientamento giurisprudenziale, da cui il Collegio medesimo non ravvisa ragioni per discostarsi, “l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato alla constatata abusività, che non richiede alcuna specifica valutazione delle ragioni d'interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati e neppure una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non essendo configurabile alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente, che il tempo non può legittimare in via di fatto” (Cons. di Stato, Sez. IV, 28 dicembre 2012, n. 6702)."

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale *** del 2012, proposto da:

Gino Proia, rappresentato e difeso dall'avvocato Angelo Cavaliere, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fabrizio Peverini in Roma, via dei Savorelli, 11;

 

contro

Comune di Latina, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Francesco Di Leginio, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Paolo Pontecorvi in Roma, piazza dell'Orologio, 7; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - SEZ. STACCATA DI LATINA: SEZIONE I n. 484/2011, resa tra le parti;

 

 

Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Latina;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 novembre 2013 il Cons. Claudio Boccia e uditi per le parti gli avvocati Cavaliere e Di Leginio;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso n. 588 del 2010, presentato al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, il signor Gino Proia chiedeva l’annullamento dell’ordinanza del dirigente del servizio del settore urbanistica del Comune di Latina n. 14978 del 21 maggio 2010, tramite la quale veniva ordinato al medesimo signor Proia di provvedere alla demolizione delle opere abusive realizzate sul lotto di sua proprietà, distinto in catasto al foglio 251, particella 62.

2. Il Tar per il Lazio respingeva il predetto ricorso, ritenendolo infondato, con la sentenza n. 484 del 2011 che veniva appellata dal medesimo signor Proia con il ricorso n. 114 del 2012.

3. In data 16 novembre 2012 si è costituito in giudizio il Comune di Latina, che ha chiesto il rigetto dell’appello.

4. All’udienza del 19 novembre 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

5. Con il primo motivo il signor Proia ha lamentato l’erroneità della sentenza impugnata che non ha tenuto conto del fatto che il provvedimento dirigenziale impugnato n. 14978/3902 del 2010 sarebbe una reiterazione della precedente ordinanza comunale di demolizione n. 13811/3902 del 2003, rivolta verso le medesime opere edilizie, già oggetto di giudizio da parte del giudice di primo grado con la sentenza del Tar per il Lazio n. 638 del 2005.

Inoltre, nella zona in esame sarebbero presenti diverse “opere edili di ben altra consistenza”, con la conseguenza che il “minuscolo manufatto” in esame non modificherebbe in maniera sostanziale l’assetto del territorio circostante.

5.1. Il motivo è infondato.

Osserva il Collegio che la sentenza n. 638 del 2005 del Tar per il Lazio - relativa all’annullamento dell’ordinanza comunale di demolizione n. 13811/3902 del 2003- aveva disposto la sospensione dell’esame del ricorso presentato dal signor Proia “sino alla scadenza dei termini fissati (per legge) per la presentazione della domanda di condono edilizio” e aveva statuito che “la mancata riassunzione entro il biennio dalla fine dell’effetto sospensivo (avrebbe determinato) l’estinzione del giudizio ex art. 25” della legge n. 1034 del 1971.”

Ai sensi dell’art. 32, comma 32 del d.l. n. 269 del 2003, convertito con modifiche nella legge n. 326 del 2003, il termine per la presentazione delle domande di condono scadeva il 10 dicembre 2004.

Dagli atti di causa ed, in particolare, dalla nota dell’Ufficio condono edilizio del Comune di Latina n. 15946 del 2011, emerge che l’appellante non aveva fino a tale data presentato alcuna domanda di condono edilizio.

Da quanto precede deriva, dunque, che - in ragione di quanto disposto dalla sentenza n. 638 del 2005 del Tar per il Lazio - il giudizio relativo all’annullamento dell’ordinanza di demolizione n. 13811/3902 del 2003 doveva ritenersi estinto, a far data dal 10 dicembre 2006, non avendo il signor Proia presentato domanda di condono edilizio e non avendo riassunto il giudizio relativo alla predetta ordinanza entro i due anni decorrenti dalla data di scadenza dei termini per la presentazione della domanda di condono edilizio.

L’adozione, da parte dell’Amministrazione comunale, della successiva ordinanza di demolizione n. 14978/3902 del 2010 non poteva, quindi, porsi in contrasto con quanto stabilito con la sentenza n. 638 del 2005 del Tar per il Lazio, dovendosi ritenere estinto, per quanto detto, il relativo giudizio.

Per ciò che concerne la seconda delle censure suesposte, tramite la quale l’appellante ha lamentato che insistendo nella zona in esame diverse “opere edili di ben altra consistenza” il “minuscolo manufatto” in esame non modificherebbe in maniera sostanziale l’assetto del territorio circostante, il Collegio osserva che, in base ad un orientamento giurisprudenziale, da cui il Collegio medesimo non ravvisa ragioni per discostarsi, “l'esistenza di una anteriore lesione arrecata alla zona non rappresenta, da sola, un motivo sufficiente a dispensare dalla verifica riguardante la realizzabilità o la sanabilità di un'opera; anzi, l'eventuale danno pregresso produce la necessità di una indagine ancora più accurata, per scongiurare un maggiore, più grave e definitivo turbamento dei valori tipici dei luoghi” (Cons. di Stato, Sez. VI, 29 novembre 2012, n. 6047).

Ne deriva, quindi, che l’assunto secondo cui nella zona de qua insisterebbero opere edili di maggior consistenza rispetto al manufatto in esame non può avere alcuna rilevanza ai fini della presente controversia.

6. Con il secondo motivo l’appellante ha censurato l’impugnata sentenza del Tar per il Lazio per erroneità nella valutazione dei presupposti di fatto nella motivazione della sentenza in quanto il giudice di prime cure non avrebbe in alcun modo tenuto in considerazione la documentazione dal medesimo prodotta al fine di dimostrare che il manufatto de quo sarebbe esistito sin dal 1957 e non avrebbe neanche statuito in merito alla richiesta di ammissione di una “prova orale”, concernente la testimonianza da parte del signor Alberto Musco, Maresciallo dei Vigili Urbani.

Inoltre, il giudice di primo grado non si sarebbe pronunciato in merito alla circostanza che la misurazione del manufatto de quo da parte della Polizia municipale, riportata nel verbale di sopralluogo del 30 gennaio 2003, sarebbe avvenuta “a vista”.

6.1. Il motivo è infondato.

Osserva il Collegio che, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, nella fattispecie in esame “assumono in ogni caso valore determinante e risolutivo” i verbali della polizia locale, che nella circostanza di cui è causa sono stati predisposti rispettivamente in data 14 aprile 1981 e 30 gennaio 2003.

Dal primo dei citati verbali emerge che sul lotto di proprietà dell’appellante insisteva, in data 14 aprile 1981, un manufatto, che mostrava “segni inequivocabili di vetustà e di fatiscenza”, delle “dimensioni di ml. 3,50 frontali per ml. 1,80 di lato e alto ml. 3 circa”.

Gli accertamenti contenuti nel secondo verbale, invece, hanno portato la Polizia municipale a rilevare l’esistenza, sul medesimo lotto, di un “basamento in calcestruzzo delle dimensioni di ml. 6,00 x 5,00 circa con sovrastante manufatto in muratura delle dimensioni di ml. 5,00 x 2,00 x 3,00 circa, con solaio in muratura ad una falda spiovente, una tettoia ad una falda spiovente coperta con lastre di eternit delle dimensioni di ml. 5,00 x 4,00 poggiante su quattro colonnine di c.a.”.

Dai precitati verbali di sopralluogo emerge, dunque, che il manufatto insistente sul predetto lotto in data 30 gennaio 2003 era differente rispetto a quello esistente al tempo del sopralluogo del 1981.

Ne deriva, quindi, che nel periodo intercorrente fra il 14 aprile 1981 e 30 gennaio 2003 ha avuto luogo un intervento edilizio sul terreno de quo, tale da integrare - in ragione dell’aumento di volumetria nonché della modifica della sagoma del manufatto - gli estremi di una “nuova costruzione” ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e) del d.p.r. n. 380 del 2001.

Il predetto intervento era, pertanto, soggetto a concessione edilizia ai sensi della legge n. 10 del 1977, nonché ai preventivi nulla osta da parte degli enti preposti alla tutela dei vincoli gravanti sull’area: in assenza di tali titoli abilitativi, dunque, risulta corretta l’adozione, da parte del Comune di Latina, dell’impugnata ordinanza di demolizione n.14978/3902 del 2010.

A quanto rilevato non può, peraltro, opporsi che la documentazione prodotta in atti dall’appellante proverebbe la circostanza che il manufatto in esame esisteva già a partire dal 1957.

Osserva, infatti, il Collegio che, in base ad un orientamento giurisprudenziale, da cui il Collegio medesimo non ravvisa ragioni per discostarsi, “il verbale della polizia municipale, come tutti i verbali provenienti da pubblici ufficiali, ha efficacia di piena prova, fino a querela di falso, ai sensi dell'art. 2700 c.c. relativamente alla provenienza dell'atto dal pubblico ufficiale che lo ha formato, alle dichiarazioni delle parti e agli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti” (Cons. di Stato, Sez. I, 8 gennaio 2010, n. 250).

Orbene, dagli atti di causa non risulta che l’appellante abbia presentato alcuna querela di falso avverso i succitati verbali, con la conseguenza che i medesimi mantengono integro il loro valore probatorio: ne deriva, dunque, che la documentazione prodotta dall’appellante non può considerarsi idonea a confutare le risultanze dei sopralluoghi effettuati dalla Polizia municipale di Latina e che la richiesta testimonianza del Maresciallo dei vigili urbani, Alberto Musco, è da ritenersi non utile a fini probatori, e quindi da respingere, non potendo, per quanto appena detto, scalfire il valore probatorio dei citati verbali.

7. Con il terzo motivo l’appellante ha lamentato che il provvedimento comunale impugnato avrebbe reiterato, nel contenuto, la precedente ordinanza di demolizione n. 13811/3902 del 2003, con la conseguenza che lo stesso provvedimento impugnato e la sentenza gravata sarebbero stati adottati in violazione sia della sentenza n. 638 del 2005 del Tar per il Lazio - che aveva disposto la sospensione della causa - sia dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003.

A giudizio dell’appellante, in altri termini, nel caso di specie “si (appaleserebbe) fondata l’eccezione di litispendenza in quanto lo stesso provvedimento (ordinanza di demolizione) (sarebbe) stato reiterato quando già vi era la pendenza del giudizio davanti al Tar investito della decisione”.

7.1. Il motivo è infondato.

Osserva, infatti, il Collegio che, in ragione dell’estinzione del giudizio relativo all’ordinanza comunale di demolizione n. 13811/3902 del 2003 - rilevata al precedente numero 5.1. - non può ritenersi sussistente, nel caso in esame, alcuna fattispecie di litispendenza rispetto alla sentenza n. 638 del 2005 del Tar per il Lazio.

8. Con il quarto motivo l’appellante ha lamentato l’erroneità della sentenza impugnata per violazione del principio del “ne bis in idem”.

Secondo l’appellante, infatti, la sentenza impugnata si porrebbe in contrasto con la precedente ordinanza del Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 5801 del 2010, che aveva accolto l’istanza cautelare proposta dallo stesso signor Proia avverso il provvedimento comunale n. 14978/3902 del 2010, statuendo in merito ad una materia già esaminata dal Consiglio di Stato.

8.1. Il motivo è infondato.

Osserva il Collegio che, come rilevato dal medesimo appellante, l’ordinanza cautelare, sia essa adottata da un Tar o dal Consiglio di Stato, esplica i suoi effetti solo “fino alla decisione nel merito” della controversia.

Orbene, nel caso di specie, la decisione nel merito della controversia in esame si è avuta tramite l’impugnata sentenza del Tar per il Lazio:conseguentemente, per quanto appena detto, non si può ritenere che quest’ultima possa essere stata emessa in violazione del principio del ne bis in idem rispetto a quanto statuito, interinalmente, da questo Consiglio di Stato con l’ordinanza citata dall’appellante.

9. Con il quinto motivo l’appellante ha lamentato l’erroneità dell’impugnata sentenza che non ha tenuto conto del lungo lasso di tempo trascorso dall’eventuale commissione dell’abuso edilizio contestato - precedente rispetto al 1960 - e dell’inerzia dell’Amministrazione al riguardo: elementi tutti che avrebbero ingenerato, in capo al medesimo appellante, una posizione di affidamento che avrebbe dovuto comportare l’insorgere del dovere da parte dell’Amministrazione, di fondare l’impugnato provvedimento di demolizione su di una puntuale motivazione dell’interesse pubblico sotteso all’adozione dell’atto medesimo, e cioè su una motivazione ulteriore rispetto a quella concernente l’interesse pubblico al ripristino della legalità e tale da giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato.

L’assenza, nel provvedimento comunale impugnato, di una motivazione espressa nei termini citati comporterebbe, quindi, la sua illegittimità.

9.1. Il motivo è infondato.

Osserva il Collegio che in base ad un orientamento giurisprudenziale, da cui il Collegio medesimo non ravvisa ragioni per discostarsi, “l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato alla constatata abusività, che non richiede alcuna specifica valutazione delle ragioni d'interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati e neppure una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non essendo configurabile alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente, che il tempo non può legittimare in via di fatto” (Cons. di Stato, Sez. IV, 28 dicembre 2012, n. 6702).

Orbene, alla luce di quanto precede ed in ragione della natura permanente dell’abuso di cui è causa, non può ritenersi sussistente alcuna posizione di affidamento in capo all’appellante e non doveva, quindi, l’Amministrazione competente motivare in maniera specifica l’interesse pubblico sotteso all’impugnato provvedimento n. 14978/3902 del 2010.

10. Con il sesto motivo l’appellante ha lamentato l’erroneità dell’impugnata sentenza per violazione dei principi “tempus regit actum” e “die interpellat pro homine”.

Secondo l’appellante, infatti, la documentazione dal medesimo prodotta in atti dimostrerebbe in maniera incontrovertibile che il manufatto de quo sarebbe esistito sin dal 1957.

Tale circostanza sarebbe comprovata non solo dalla documentazione che attesterebbe che il DAT avrebbe realizzato il manufatto in esame nel 1957, ma anche dal rilievo che lo stesso Comune di Latina, nel 1963, avrebbe acconsentito l’allaccio dell’immobile alla rete idrica ed all’utenza per l’energia elettrica.

10.1. Il motivo è infondato.

Osserva il Collegio che il presente motivo ripropone sostanzialmente censure già esaminate al precedente numero 6.1. al quale, pertanto, si rinvia ribadendo che le ulteriori prove documentali presentate dall’appellato non possono che avere valore recessivo a fronte di verbali della polizia municipale che hanno efficacia di piena prova, fino a querela di falso, ai sensi dell'art. 2700 c.c. .

11. Per quanto sin qui esposto l’appello risulta infondato e va, pertanto, respinto.

12. Il Collegio ritiene che le spese di giudizio devono seguire il principio della soccombenza ed essere liquidate nella misura indicata nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello (Ricorso n.1114 del 2012), come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese, dei diritti e degli onorari di giudizio che quantifica in Euro 3000,00 oltre gli accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere

Andrea Pannone, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Claudio Boccia, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il **/12/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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