Sunday 22 February 2015 09:31:24

Giurisprudenza  Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza

Interdittiva tipica: le caratteristiche essenziali ed il sindacato del giudice amministrativo

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 21.1.2015

La Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 21.1.2015 ha evidenziato come la Sezione ha indicato da ultimo (cfr., per tutti, Cons. St., III, 1° settembre 2014 n. 4441; id., 15 settembre 2014 n. 4693) le caratteristiche essenziali dell’interdittiva c.d. tipica ex artt. 91 e ss. del Dlg 159/2011, la quale esprime l’anticipazione massima possibile, in uno Stato di diritto qual è la Repubblica, della soglia di difesa sociale.Insomma, l’interdittiva de qua vuol assicurare una tutela avanzata nel contrasto alle attività della criminalità organizzata e, appunto per questo, essa non deve per forza collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull'esistenza della contiguità di un'impresa con le organizzazioni malavitose. Tanto perché il condizionamento in atto dell'attività di impresa può esser inferito, in base ad una valutazione complessiva di discrezionalità lata sulla loro rilevanza, da elementi sintomatici ed indiziari da cui emerga il pericolo che si possa verificare il tentativo (quindi, non il fatto specifico) dell’ingerenza criminale nell'attività d’impresa. Se, dunque, l’interdittiva stessa è misura preventiva per impedire alla criminalità organizzata d’aver rapporti contrattuali, diretti (grazie ad imprese di mafiosi) o mediati (da imprese condizionate dalle mafie) con la P.A., la valutazione prefettizia dei relativi elementi sintomatici, proprio perché esprime un’ampia discrezionalità, è soggetta al sindacato di legittimità di questo Giudice sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (cfr. così Cons. St., III, 25 giugno 2014 n. 3208).Ebbene, l’accertamento di questo Giudice sulla rilevanza, o meno, di detti elementi anzitutto attiene alla tenuta logica complessiva di tutti e di ciascuno di essi, onde ben può esser aggredita, in questa sede di legittimità, anche confutandone l’esistenza, la consistenza e la pertinenza dato per dato.Non è qui in discussione che l’analisi dei dati in sé e della loro rilevanza debba esser condotta considerandoli nella loro globalità (cfr., per tutti, Cons. St., VI, 6 agosto 2013 n. 4119). Infatti, l’eventuale carenza o l’insufficienza d’un dato, se non in sé erroneo, non inficia la valutazione complessiva, ben potendo esser compensato dalla presenza di altri che, nel loro insieme, siano precisi e concordanti nel concludere per la serietà del pericolo d’infiltrazione.Ma neppure va dimenticato che l’interdittiva, proprio per la sua natura cautelare, è sempre ad tempus e soggetta a revisione e ad aggiornamento, anche in pejus, man mano che la situazione dell’impresa considerata evolve e si affinano le tecniche d’indagine e le notizie che la riguardano. Sicché non è consentito invero al Prefetto, basare il proprio giudizio su elementi che, tutti e ciascuno, non attingano la soglia della ragionevolezza e, soprattutto, siano smentiti in fatto o in diritto da sentenze dell’AGO che intervengano sugli stessi dati considerati. Tanto affinché l’interdittiva non trasmodi da misura cautelare ad arbitrio o, peggio, ad un centone di sospetti e dicerie, tali da farne sminuire la serietà e l’efficacia di essa quale buon strumento di lotta in itinere (e non ex post) alle mafie.

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso n. 5374/2014 RG, proposto dal Ministero dell'interno, in persona del Ministro pro tempore e l’UTG - Prefettura di Roma, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici si domiciliano in Roma, via dei Portoghesi n. 12,

contro

il Consorzio Stabile AEDARS s.c.a.r.l., corrente in Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Angelo Clarizia e Francesco Zaccone, con domicilio eletto in Roma, via P.ssa Clotilde n. 2 e

nei confronti di

Comune di Reggio di Calabria, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio,  

per la riforma

della sentenza del TAR Lazio – Roma, sez. I-ter, n. 3048/2014, resa tra le parti e concernente 

l’informativa antimafia interdittiva resa a carico del Consorzio intimato;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del solo Consorzio appellato;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore all'udienza pubblica del 16 ottobre 2014 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti costituite, l’avv. Clarizia e l’Avvocato dello Stato D'Ascia;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

 

 

FATTO

omissis

 

DIRITTO

1. – Si controverte in questa sede dell’interdittiva antimafia ex artt. 84, c. 3 e 91 del Dlg 6 settembre 2011 n. 159, disposta dal Prefetto di Roma il 27 settembre 2013 nei confronti del Consorzio stabile AEDARS s.c.a.r.l. (corrente in Roma ed oggi in concordato preventivo) ed annullata dal TAR Lazio con la sentenza in esame. 

L’appello non può esser condiviso e va respinto, con integrale conferma di detta sentenza, per le ragioni di metodo e di merito qui di seguito indicate ed alla luce dell’ampia narrativa in fatto. 

2. – La Sezione ha indicato da ultimo (cfr., per tutti, Cons. St., III, 1° settembre 2014 n. 4441; id., 15 settembre 2014 n. 4693) le caratteristiche essenziali dell’interdittiva c.d. tipica ex artt. 91 e ss. del Dlg 159/2011, la quale esprime l’anticipazione massima possibile, in uno Stato di diritto qual è la Repubblica, della soglia di difesa sociale. 

Insomma, l’interdittiva de qua vuol assicurare una tutela avanzata nel contrasto alle attività della criminalità organizzata e, appunto per questo, essa non deve per forza collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull'esistenza della contiguità di un'impresa con le organizzazioni malavitose. Tanto perché il condizionamento in atto dell'attività di impresa può esser inferito, in base ad una valutazione complessiva di discrezionalità lata sulla loro rilevanza, da elementi sintomatici ed indiziari da cui emerga il pericolo che si possa verificare il tentativo (quindi, non il fatto specifico) dell’ingerenza criminale nell'attività d’impresa. Se, dunque, l’interdittiva stessa è misura preventiva per impedire alla criminalità organizzata d’aver rapporti contrattuali, diretti (grazie ad imprese di mafiosi) o mediati (da imprese condizionate dalle mafie) con la P.A., la valutazione prefettizia dei relativi elementi sintomatici, proprio perché esprime un’ampia discrezionalità, è soggetta al sindacato di legittimità di questo Giudice sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (cfr. così Cons. St., III, 25 giugno 2014 n. 3208). 

Ebbene, l’accertamento di questo Giudice sulla rilevanza, o meno, di detti elementi anzitutto attiene alla tenuta logica complessiva di tutti e di ciascuno di essi, onde ben può esser aggredita, in questa sede di legittimità, anche confutandone l’esistenza, la consistenza e la pertinenza dato per dato. 

Non è qui in discussione che l’analisi dei dati in sé e della loro rilevanza debba esser condotta considerandoli nella loro globalità (cfr., per tutti, Cons. St., VI, 6 agosto 2013 n. 4119). Infatti, l’eventuale carenza o l’insufficienza d’un dato, se non in sé erroneo, non inficia la valutazione complessiva, ben potendo esser compensato dalla presenza di altri che, nel loro insieme, siano precisi e concordanti nel concludere per la serietà del pericolo d’infiltrazione. 

Ma neppure va dimenticato che l’interdittiva, proprio per la sua natura cautelare, è sempre ad tempus e soggetta a revisione e ad aggiornamento, anche in pejus, man mano che la situazione dell’impresa considerata evolve e si affinano le tecniche d’indagine e le notizie che la riguardano. Sicché non è consentito invero al Prefetto, basare il proprio giudizio su elementi che, tutti e ciascuno, non attingano la soglia della ragionevolezza e, soprattutto, siano smentiti in fatto o in diritto da sentenze dell’AGO che intervengano sugli stessi dati considerati. Tanto affinché l’interdittiva non trasmodi da misura cautelare ad arbitrio o, peggio, ad un centone di sospetti e dicerie, tali da farne sminuire la serietà e l’efficacia di essa quale buon strumento di lotta in itinere (e non ex post) alle mafie. 

3. – Non può, dunque, il Collegio seguire la tesi delle appellanti, laddove anzitutto affermano che la ricostruzione operata dal TAR, nel descrivere in modo distinto e compiuto ogni elemento raccolto dall’interdittiva de qua, ometta di considerare la delineazione del quadro indiziario complessivo. 

Così non è, in quanto il TAR muove da un preciso assunto d’ordine generale, nel predicare ai fini interdittivi la sufficienza di elementi da cui sia ragionevole e con evidenza non inattendibile il collegamento dell’impresa alle organizzazioni criminali o il pericolo della sua permeabilità da parte di queste ultime. 

Però siffatta rilevanza vien meno una volta che i vari elementi, su cui si fonda l’interdittiva, siano esclusi o reputati insussistenti dall’AGO o risalenti nel tempo (nel senso che occorre sempre la pertinenza e l’attualità degli indizi, arg. ex Cons. St., III, 13 dicembre 2013 n. 5985; id., 20 marzo 2014 n. 1367). Del pari, l’attendibilità complessiva, o no, del pericolo stesso non si deve fermare (arg. ex Cons. St., VI, 21 luglio 2011 n. 4444), ma non può nemmeno prescindere dalla disamina puntuale dei dati che la P.A. utilizza e combina tra loro per fondare l’interdittiva, al fine di valutarne la coerenza complessiva. Come la P.A. assume e coordina vari dati tra loro differenti ed anche eterogenei, così questo Giudice, come s’evince dalla serena lettura della sentenza appellata, è tenuto a riscontrare se tutti e ciascun dato, nelle loro essenza e congruente concatenazione logica, s’appoggi su indizi fattuali seri e non su ipotesi, per quanto suggestive. In tal caso, il Prefetto non può opporre la propria lata discrezionalità nel voler considerare elementi non più esistenti o smentiti dall’AGO, ché la loro rilevanza in termini di pericolo è, almeno rebus sic stantibus e nei limiti della pronuncia (e, a più forte ragione, del giudicato), esclusa proprio dalle istituzioni che ne accertano l’assenza di danno. 

Non è chi non veda l’erroneità d’una vicenda in cui il Prefetto (alla luce delle relazioni delle Forze di polizia) assuma dati, tracci ipotesi, le consideri rilevanti, le mantenga o, addirittura, le ribadisca quando già l’AGO sul medesimo punto abbia espresso una valutazione del tutto differente, se non opposta. Né si può dire che, per quanto il relativo accertamento dell’AGO (ma lo stesso dicasi per gli argomenti a confutazione recati dal Consorzio appellato) tocchi ciascun singolo elemento che il Prefetto ha a suo tempo considerato, non perima con questi ultimi pure la loro rilevanza complessiva, giacché così vengono a mancare quegli indizi solo la cui concordante gravità determina la misura interdittiva. E neppure significative appaiono, per fondare la rilevanza del dato versato nell’interdittiva, quelle archiviazioni disposte solo a causa del mero decorso del termine per concludere le indagini, posto che da quest’ultimo evento non solo non si può inferire un sospetto rilevante, ma addirittura si dovrebbe affermare che, nonostante gli sforzi investigativi profusi nel tempo dato, il fatto iniziale non ha trovato riscontro, restando allo stato di ipotesi. 

Pertanto, di fronte ad accuse poi insussistenti, ad illazioni, a dati incompleti ed imprecisi o a meri sospetti, non vi sarebbe alcun limite per la P.A., grazie all’affermata discrezionalità, di combinare e ricombinare infinite volte tal materiale e di provvedere così all’infinito. E ciò senza che nemmeno il giudicato o l’archiviazione sugli stessi fatti abbiano alcuna possibilità di superare qualunque, sia pur attualmente infondata, asserzione della P.A. In fondo, tal conclusione non è che una delle possibili declinazioni del controllo di legittimità di questo Giudice sull’interdittiva che, come prescrive la citata giurisprudenza e pur muovendo dai singoli elementi, ne valuta le complessive logicità e coerenza e l’attitudine a dimostrare il temuto pericolo. In altre parole, una cosa è la congruenza dei vai dati e delle ipotesi formulate (e, se del caso, la loro correzione nel prosieguo dell’attività informativa su una certa impresa), ben altra è l’insistenza della P.A. su un’ipotesi in varia guisa smentita, che va perciò abbandonata, appunto per una miglior efficacia della tutela antimafia. 

Assodato, quindi, che il metodo ricostruttivo adoperato dalla sentenza s’appalesa corretto e preciso —tant’è che le stesse appellanti si sforzano di dar sostanza a tutti ed a ciascun elemento considerato nell’interdittiva per dimostrarne l’unitaria coerenza—, è proprio il TAR a sottolineare come la P.A. per prima tenda a parcellizzare gli elementi stessi ed a darne una lettura se non opposta, certo non coerente alle sentenze da essa stessa citate. Tanto, peraltro, senza riuscire a dare adeguata contezza d’un realistico collegamento del Consorzio appellato alla criminalità organizzata e, quindi, in tal modo manifestando i denunciati vizi di carenza e della motivazione e dell’istruttoria. 

Non è possibile ritenere fondato un provvedimento, qual è quello per cui è causa, che adoperi dati indizianti una volta che l’AGO ne abbia accertato l’insussistenza. Allo stesso modo, non può esser condiviso il ricorso in epigrafe laddove, al fine di confutare la sentenza impugnata, estrapola alcuni passaggi o frasi isolate d’una sentenza della Corte d’appello che, in sé assolutoria circa la posizione dei fratelli Mollica, si limiti a citare i capi d’accusa o alcune righe della sentenza di primo grado non al fine di decidere, ma solo per descrivere lo svolgimento di quel processo. 

4. – Ebbene, non è corretta l’interdittiva del Prefetto di Roma, nella parte in cui assume che: A) – la FRACLA s.r.l., socio di maggioranza assoluta del Consorzio appellato, sia «… riconducibile al gruppo imprenditoriale che fa capo ai fratelli Mollica (Pietro, Domenico e Antonino…»; B) – «… le informazioni attualmente disponibili indicano i fratelli Mollica sospettati da tempo di collusioni con ambienti mafiosi … (risultando) …essere stati coinvolti in diversi procedimenti anche per reati di mafia fin dagli anni novanta…». 

Quanto al primo aspetto, non è dato dimostrato in che cosa si sostanzi il gruppo di imprese afferenti ai germani Mollica, constando solo che la FRACLA s.r.l. è stata considerata riconducibile a questi ultimi perché l’attuale assetto societario è composto dalla sig. Tindara Scaffidi (suocera di Pietro Mollica) per il 2% e dal sig. Francesco Davide Mollica, per restante il 98%. Di per sé solo questo dato, quand’anche si voglia ritenere l’esistenza materiale di un tutt’uno tra la FRACLA s.r.l. e le imprese riconducibili in vario modo ai germani Mollica, non manifesta altro che un collegamento familiare tra i vari soggetti ora indicati. Ora, la Sezione (cfr., per tutti, Cons. St., III, n. 3208/2014, cit.) ha chiarito che il mero rapporto di parentela, foss’anche con soggetti risultati appartenenti (in modo conclamato) alla criminalità organizzata, non basta a comprovare collegamenti con la stessa in assenza di altri seri indizi. Nella specie, se già non vi sono seri indizi di appartenenza dei germani Mollica alle mafie, a più forte ragione i rapporti parentela con riguardo alla FRACLA s.r.l. sono in sé indizi di scarsa rilevanza interdittiva. La Prefettura di Milano ha trasmesso alla Prefettura di Roma la nota della DIA – Centro Operativo di Milano del 7 agosto 2013 sulle criticità in capo al Consorzio Aedars, aggiudicatario dei lavori di edilizia residenziale sociale nel Comune di Milano (via Cogne), proprio a causa della situazione della FRACLA s.r.l. e della R.A. Costruzioni s.r.l. (nel frattempo subentrata alla prima nello stesso appalto). Ma anche in questo caso, non vi sono indicazioni dirimenti a carico della FRACLA s.r.l., ma soltanto il riuso circolare di vicende o in sé manifestamente irrilevanti o suggestive, o non approfondite con il livello di dettaglio di cui v’è bisogno anche quando si tratta di materiale indiziario. 

È appena da osservare, su tal punto e sulla circostanza dell’elevato numero di imprese consorziate ed in vario modo escluse dalla compagine consortile, che sussiste tra queste ed il Consorzio un nutrito contenzioso al riguardo che, ben lungi dal dimostrare la cointeressenza tra lo ro e, quindi, l’interesse del Consorzio a volerle mantenere, evidenzia invece il patente conflitto di interessi su tal mantenimento. 

Sul secondo aspetto, vi sono varie pronunce dell’AGO in varia guisa tutte liberatorie a favore degli stessi germani Mollica, tranne quella per bancarotta, pronunciata sì dal Tribunale di Patti, ma con appello tuttora pendente e per reato in sé non pertinente, mentre irrilevanti appaiono le vicende che portarono allo scioglimento del Consiglio comunale di Piraino (ME) nel 1991, per difetto d’attualità e per esser poi state ritenute non significative dalle predette pronunce. 

Inoltre, la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria n. 115 del 2011, alcuni passaggi della quale sono adoperati, però in modo erroneo, dall’atto impugnato in primo grado per dimostrare il pericolo (stavolta non di infiltrazione, ma) di collusione con le mafie, ha assolto i germani Mollica perché i fatti non sussistono. La sentenza ha escluso: 1) – l’adesione di costoro al sistema politico - mafioso c.d. “dei pass” (ossia, alla spartizione mafiosa degli appalti pubblici); 2) – un qualunque rafforzamento di Cosa Nostra da parte loro, che son risultati, anzi, sottoposti ad estorsione da famiglie mafiose locali. 

Per quanto poi concerne i rapporti tra detto Consorzio ed il sig. Salvatore Sidoti, la Corte d’assise di appello di Messina ha assolto quest’ultimo dai reati di tipo mafioso per non aver commesso il fatto, con sentenza ormai passata in giudicato, onde pure questo dato è spurio ed in sé irrilevante. Stando così le cose, scolorano le conclusioni tratte dagli accessi del 22 maggio 2008 e del 22 gennaio 2009 in un cantiere gestito in Rosarno (RC) dal Consorzio appellato, per il sol fatto che l’a.u. della FRACLA s.r.l. (sig. Sandro Miraudo) ne era direttore e responsabile tecnico e che colà era stata rilevata la presenza di operai e mezzi delle imprese Sidoti Salvatore e Sidoti Costruzioni piccola soc. coop. a r.l., con cui il Consorzio aveva stipulato contratti di nolo di macchine e di attrezzature. Invero, sulla FRACLA s.r.l. non vi sono seri dubbi, tenuto conto della posizione dei germani Mollica, mentre per le imprese del sig. Sidoti i fatti a lui addebitabili o erano ben risalenti nel tempo o son divenuti irrilevanti grazie alla predetta assoluzione. 

Per quanto quindi concerne l’eventuale condizionamento mafioso per la presenza della ICOP s.r.l. nel cantiere di Rosarno, i relativi lavori non furono assegnati a tal Società ed essa poi è stata espulsa dal Consorzio appellato, una volta informato, a cura dell’ANAS s.p.a., dell’interdittiva che la colpì. 

Infine, è vero che i fratelli Mollica ebbero rapporti societari con il geom. Francesco Scirocco, ma non ne constano dopo il 2005 (donde l’assenza d’ogni serio indizio le imprese di questi farebbero parte del Consorzio stesso). Viceversa, i procedimenti penali che l’hanno visto coimputato con i sigg. Pietro ed Antonino Mollica si sono conclusi con l’assoluzione di questi ultimi proprio a causa dell’assenza di cointeressenze mafiose tra loro ed il sig. Scirocco. Non a diversa conclusione deve il Collegio pervenire con riguardo al procedimento penale n. 4208/2002 RGNR (c.d. Operazione Icaro), in esito al quale i germani Mollica hanno ottenuto l’archiviazione della loro posizione, a differenza di quanto è accaduto al sig. Scirocco. Anzi, nell’ambito di quest’ultimo procedimento, si è appurato che le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Santo Lenzo hanno concluso per la soggezione dei sigg. Mollica ad estorsione, mentre quelle del collaboratore Angelo Siino, uomo d’onore di Cosa Nostra (deputato al controllo degli appalti pubblici in Sicilia per conto di Totò Riina), o sono de relato, o sono del tutto generiche e non degne di considerazione neppure quali indizi (pur se l’interdittiva non dà precisa contezza in parte qua), oppure collocano non oltre il 1991 i contatti con gli imprenditori. È appena da far presente che siffatta archiviazione è intervenuta sugli stessi fatti poi esclusi dalla sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria n. 115/2011. Va detto poi che, quand’anche le imprese Italcantieri s.p.a. e Assetti del territorio s.p.a. fossero direttamente riconducibili al geom. Scirocco, esse un tempo presero parte al Consorzio appellato, ma ne vennero fuori fin dal 2005, onde la notizia in sé riguarda vicende ormai prive dei requisiti dell’attualità e della rilevanza ai presenti fini e, in particolare, a quelli della persistente cointeressenza tra i germani Mollica ed il geom. Scirocco. 

5. – È materialmente vero che il procedimento penale n. 55028/2009 RGNR presso il Tribunale di Roma non era ancora definito al momento d’emanazione dell’interdittiva, ancorché avesse coinvolto anche i sigg. Pietro ed Antonino Mollica. 

A parte che l’oggetto di quella causa non riguardò reati di mafia, ai fini cautelari il GIP e la Sezione del riesame di Roma hanno riscontrato l’assenza (perché smentiti da dati obiettivi) di indizi a carico dei medesimi sigg. Mollica. Sicché il PM ha poi rinunciato alla contestazione del reato associativo verso questi ultimi. 

Ed è vero pure che, quando è stata emanata l’interdittiva de qua, non v’era la definizione del procedimento n. 577/2005 RGNR presso il Tribunale di Patti (ME), ma il sequestro preventivo fu annullato dalla Sezione del riesame, con ordinanza confermata in Cassazione, donde la richiesta di archiviazione per i fratelli Mollica (8 ottobre 2009) e, ai presenti fini, la risalenza e l’irrilevanza di tal dato ai fini interdittivi. 

Alla luce delle fin qui esposte considerazioni, s’appalesano in sé non conducenti gli argomenti che l’interdittiva vuol evincere dal rapporto della Prefettura di Agrigento del 19 aprile 2013, a seguito dell’accesso al cantiere di Porto Empedocle (AG). 

Rettamente il TAR esclude la rilevanza d’un dato da cui emergerebbe «… la contestuale presenza sul cantiere di imprese già destinatarie di provvedimenti interdittivi o informazioni atipiche adottati dalla Prefettura di Agrigento…». Invero, non basta predicare il grave pericolo d’infiltrazione della criminalità organizzata, per mezzo di varie imprese direttamente connesse ad elementi appartenenti alle mafie, occorrendo che tal i indizi siano supportati da elementi non ipotetici o, peggio, destituiti di fondamento, altrimenti appalesandosi essi (e l’atto che, come nella specie, ne ripete il contenuto) se non arbitrari, certo inidonei a rilevare ai fini interdittivi. Non sfugge certo al Collegio che la mera adesione del Consorzio stesso ai c.d. “protocolli di legalità” predisposti e/o applicati dalle stazioni appaltanti (nel caso in esame, il Protocollo di Legalità Carlo Alberto Dalla Chiesa) di per sé solo è inopponibile ad un’informativa che contenga, ai fini interdittivi, una messe di dati ed indizi negativi per l’impresa. Nondimeno, ha ragione il TAR nell’affermare che, allo stato i sub-fornitori coinvolti nel cantiere di Porto Empedocle non erano stati attinti da informative antimafia e, quand’anche in un secondo momento lo fossero stati, l’effetto interdittivo sarebbe valso solo nei loro riguardi e non sarebbe stato legittimamente possibile inferirne alcunché a carico ed in pregiudizio al Consorzio. Tanto, peraltro, non considerando anche l’intervenuta autorizzazione, da parte della stazione appaltante (che essa e non il Consorzio non aveva attivato il controllo previo previsto dal citato Protocollo verso i sub-fornitori), alla stipula dei subappalti, già revocati, seppure sotto la condizione risolutiva di eventuali e successive verifiche antimafia negative. 

Pure inconferente s’appalesa il richiamo delle appellanti alle vicende che, coinvolgendo pure detto Consorzio, portarono allo scioglimento del Consiglio comunale di Augusta (SR), in esito al quale fu nominata la Commissione straordinaria. 

A parte ogni questione sull’ammissibilità di tale argomento, la relazione del Ministero dell’interno, che accompagnò il DPR di scioglimento, fece presente che, ad anomalie ed irregolarità riscontrate nell’attività di quel Comune, s’aggiunse l’assenza di controlli previ ed in corso d’esecuzione dell’appalto per i lavori assegnati al Consorzio stesso (ristrutturazione del Convento di S. Domenico), il cui legale rappresentante fu coinvolto in procedimenti penali per turbativa d’asta, associazione a delinquere ed altri reati rilevanti. L’atto di scioglimento, emanato nel 2003, nella prospettazione delle appellanti sembra quasi incentrato sull’appalto del Consorzio AEDARS per i lavori de quibus. A ben vedere, però, sul Consorzio stesso non appaiono seri e gravi indizi, né sui reati contestati all’allora legale rappresentante sig. Alessandro Lambiase la Prefettura nulla chiarisce. Inoltre, s’appalesa manifestamente irrilevante, per le ragioni fin qui viste, la circostanza che questi successe nella carica al sig. Calogero Natoli Scialli, sol perché contiguo ai germani Mollica o con essi coinvolto in pregresse vicende giudiziarie. In entrambi i casi, si tratta di dati o suggestivi ma di poca concretezza, o non pertinenti con l’oggetto dell’interdittiva, donde la loro inattitudine a corroborare il quadro sfavorevole da questa delineato a carico del Consorzio. 

6. – In definitiva, l’appello va respinto, ma giusti motivi suggeriscono la compensazione integrale, tra le parti, delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. III), definitivamente pronunciando sull'appello (ricorso n. 5374 in epigrafe proposto), respinge l'appello.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 16 ottobre 2014, con l'intervento dei sigg. Magistrati:

 

 

Giuseppe Romeo, Presidente

Carlo Deodato, Consigliere

Roberto Capuzzi, Consigliere

Dante D'Alessio, Consigliere

Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 21/01/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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