Friday 31 October 2014 11:39:22

Giurisprudenza  Procedimento Amministrativo e Riforme Istituzionali

Dipendenti pubblici: la giurisprudenza sul recupero delle somme indebitamente erogate dalla Pubblica Amministrazione

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 27.10.2014

Nel giudizio in esame la Sesta Sezione del Consiglio di Stato ha evidenziato come il Tribunale amministrativo regionale correttamente ha escluso l’applicabilità, alla fattispecie concreta dedotta in giudizio, dell’orientamento giurisprudenziale formatosi negli ultimi anni in materia di recupero di somme indebitamente erogate dalla pubblica amministrazione ai propri dipendenti, secondo cui detto recupero ha carattere di doverosità e costituisce esercizio, ai sensi dell’art. 2033 Cod. civ., di un vero e proprio diritto soggettivo a contenuto patrimoniale, non rinunziabile, in quanto correlato al conseguimento di quelle finalità di pubblico interesse, cui sono istituzionalmente destinate le somme indebitamente erogate, mentre le situazioni di affidamento e di buona fede dei percipienti rileverebbero ai soli fini delle modalità con cui il recupero deve essere effettuato, in modo cioè da non incidere in maniera eccessivamente onerosa sulle esigenze di vita del dipendente (v., ex plurimis, Cons. St., Sez. III, 9 giugno 2014, n. 2903, e gli ivi richiamati precedenti giurisprudenziali). Invero, i riportati principi giurisprudenziali, pur apparendo condivisibili in linea astratta, non possono essere applicati in via automatica, generalizzata e indifferenziata a qualsiasi caso concreto di indebita erogazione, da parte della pubblica amministrazione, di somme ai propri dipendenti, dovendosi aver riguardo alle connotazioni, giuridiche e fattuali, delle singole fattispecie dedotte in giudizio, tenendo conto della natura degli importi di volta in volta richiesti in restituzione, delle cause dell’errore che aveva portato alla corresponsione delle somme in contestazione, del lasso di tempo trascorso tra la data di corresponsione e quella di emanazione del provvedimento di recupero, dell’entità delle somme corrisposte in riferimento alle correlative finalità, ecc. (v., in tal senso, sent. Cons. St., Sez. V, 13 aprile 2012, n. 2118, citata nell’impugnata sentenza). Sulla base di tali principi il Consiglio di Stato nel caso di specie ha evidenziato come l’Amministrazione, nel procedere, ai sensi dell’invocato art. 2033 Cod. civ., al recupero delle maggior somme erogate all’odierno appellato a titolo e in forma di buoni-pasto nel periodo 2002-2009, in primo luogo, non ha preso in considerazione, omettendo ogni correlativa motivazione negli impugnati provvedimenti di recupero, le circostanze messe in rilievo nell’appellata sentenze, segnatamente: - l’avvio del procedimento di recupero solo nell’anno 2011, mentre la corresponsione delle somme in controversia era iniziata nel 2002; - l’emersione dell’indebito in esito alle verifiche amministrativo-contabili del Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, sulla gestione economico-finanziaria della C.R.I., dalle quali è emerso che era stato indebitamente esteso al personale militare l’importo dei buoni pasto fissato per il personale civile; - l’assenza di qualsiasi contestazione, nei confronti del percipiente, in merito alla correttezza del numero di buoni-pasto richiesti e ottenuti, con conseguente incontrovertibile dimostrazione della sua buona fede, protratta nel tempo; - le conseguenti peculiarità della posizione del ricorrente e delle motivazioni poste a base dell’attribuzione di buoni-pasto per un valore superiore a quello dovuto. In secondo luogo – e ciò incide sulla stessa fondatezza, in punto di an debeatur, della pretesa di ripetizione d’indebito – l’Amministrazione ha del tutto obliterato di considerare la struttura e funzione dei buoni-pasto, sostitutivi della fruizione gratuita del servizio mensa presso la sede di lavoro ed escludenti «ogni forma di monetizzazione indennizzante» (v. così, testualmente, l’accordo quadro del 31 ottobre 2003). Infatti, a prescindere dalla natura assistenziale o retributiva dell’istituto in questione, è decisivo rimarcare che, nel caso di specie, i dipendenti non hanno percepito somme in denaro, bensì titoli non monetizzabili destinati esclusivamente ad esigenze alimentari in sostituzione del servizio mensa e, per tale causale, pacificamente spesi nel periodo di riferimento, e che, pertanto, si tratta di benefici destinati a soddisfare esigenze di vita primarie e fondamentali dei dipendenti medesimi, di valenza costituzionale, con conseguente inconfigurabilità di una pretesa restitutoria, per equivalente monetario, del maggior valore attribuito ai buoni-pasto nel periodo di riferimento. Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale * del 2013, proposto da:

Croce Rossa Italiana - C.R.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

 

contro

omissis, rappresentato e difeso dall’avvocato Bruno Ribera, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Riccardo Vicerè, in Roma, Lungotevere Flaminio, 60; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI, SEZIONE VII- n. 3311/2013, resa tra le parti e concernente: recupero eccedenza valore buoni-pasto;

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della parte appellata;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 22 luglio 2014, il Cons. Bernhard Lageder e uditi, per le parti, l’avvocato dello Stato Lumetti e l’avvocato Fabio Orefice, per delega dell’avvocato Ribera;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale amministrativo regionale per la Campania accoglieva parzialmente il ricorso n. 3263 del 2012, proposto da* – nella sua qualità di dipendente della Croce Rossa Italiana (C.R.I.), appartenente al personale non contrattualizzato in quanto militare (operante nella Provincia di Napoli) – avverso il provvedimento di recupero delle maggior somme indebitamente corrisposte al personale militare della C.R.I., e dunque anche al ricorrente, negli anni dal 2002 al 2009 a titolo di buoni-pasto, e avverso i relativi atti presupposti.

Per una migliore comprensione alla vicenda sfociata nei provvedimenti di recupero, occorre esporre quanto segue:

- con determinazione dipartimentale C.R.I. n. 122 del 4 agosto 2011, preso atto della rideterminazione del valore nominale dei buoni-pasto per il personale militare della C.R.I. da euro 8,93 ad euro 4,65 (con ordinanza commissariale n. 20 del 20 gennaio 2009) e dell’adeguamento alla misura di euro 7,00 in applicazione del d.P.R. n. 52 del 2009 (con ordinanza commissariale n. 191 del 18 giugno 2009), era stato disposto il recupero delle maggiori somme corrisposte al predetto personale negli anni precedenti;

- con avviso di avvio del procedimento di recupero la C.R.I. aveva quindi dato notizia al ricorrente che a partire dal mese di dicembre 2011 avrebbe provveduto al recupero delle maggiori somme erogate a beneficio del personale militare, mediante l’interruzione dell’erogazione dei buoni pasto sino alla compensazione totale del debito ovvero, a richiesta dell’interessato, mediante il prelievo dell’intero importo dalla busta paga (segnatamente, per l’importo complessivo lordo di euro 3.688,30);

- a partire dal mese di novembre 2011, la C.R.I. ha, quindi, interrotto l’erogazione dei buoni pasto, con richiamo alla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 31 gennaio 2011, n. 722, con la quale, a conferma della legittimità in parte qua della relazione ispettiva del Ministeri dell’economia e delle finanze, stilata a conclusione dell’ispezione svoltasi presso la C.R.I. nel periodo febbraio - giugno 2008, era stata affermata l’illegittima estensione al personale militare del valore dei buoni-pasto contrattato in sede collettiva per il personale civile (disposta con i provvedimenti direttoriali n. 107 del 12 ottobre 2002, n. 5313 del 10 febbraio 2004 e n. 224 del 13 luglio 2004, ritenuti illegittimi in sede ispettiva con valutazione confermata dalla citata sentenza del Consigli odi Stato).

2. In particolare, l’adìto Tribunale amministrativo regionale provvedeva come segue:

(i) respingeva il primo motivo di ricorso – di violazione degli artt. 6 e 7 l. n. 241 del 1990, per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento – , emergendo dall’acquisita documentazione che il ricorrente aveva ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento di recupero in questione, e che lo stesso era stato posto in grado di esercitare i diritti di partecipazione procedimentale;

(ii) respingeva il secondo motivo di ricorso – di violazione dei provvedimenti direttoriali n. 107 del 12 ottobre 2002, n. 5313 del 10 febbraio 2004 e n. 224 del 13 luglio 2004 e di eccesso di potere –, richiamando la sentenza di questa Sezione n. 722/2011, affermativa dell’illegittimità di tali provvedimenti, che avevano esteso al personale militare il valore dei buoni-pasto contrattato in sede collettiva per il personale civile;

(iii) respingeva il quarto e il sesto motivo di ricorso – basati sulla natura assistenziale e non retributiva dei buoni-pasto –, ritenendo l’irrilevanza della questione ai fini della decisione, attesa l’illegittimità della determinazione del valore dei buoni-pasto per il personale militare nella misura di euro 8,93, con conseguente ripetibilità in astratto delle maggiori somme erogate;

(iv) respingeva il settimo motivo di ricorso – con cui era stata eccepita la prescrizione quinquennale ex art. 2948 Cod. civ. in relazione a parte delle somme oggetto della richiesta di recupero –, affermando l’applicabilità, all’azione di ripetizione d’indebito, dell’ordinaria prescrizione decennale;

(v) accoglieva, invece, il terzo e il quinto motivo di ricorso – con cui il ricorrente aveva dedotto la lesione del principio di affidamento, giacché l’Amministrazione erroneamente aveva ritenuto di recuperare le maggiori somme erogate, senza tenere conto del fatto che l’attribuzione delle somme non dovute non era avvenuta per evidente errore di calcolo o per evidente erronea applicazione di norme, ma sulla base di un comportamento della C.R.I. improntato per anni al convincimento dell’estensione al personale militare di determinati accordi collettivi, nonché del lungo lasso di tempo (ben otto anni), durante il quale il destinatario aveva percepito i buoni-pasto al valore di euro 8,93, in buona fede e in forza di una situazione fattuale definita da atti amministrativi inoppugnati –, ritenendo che l’Amministrazione avesse illegittimamente omesso di tener conto delle peculiarità della concreta fattispecie in esame, costituite dal lungo tempo trascorso, dalla riconducibilità dell’azione di recupero alle risultanze di un’ispezione del Ministero dell’economia e delle finanze, da cui era emersa l’indebita estensione al personale militare del valore dei buoni-pasto stabilito per il personale civile, e dalla mancata contestazione al ricorrente in merito alla correttezza del numero dei buoni-pasto richiesti e ottenuti;

(vi) annullava, di conseguenza, «i soli provvedimenti di recupero delle maggiori somme erogate a titolo di buoni pasto individualmente indirizzati all’attuale ricorrente» (v. così, testualmente, la parte dispositiva dell’appellata sentenza), condannando l’Amministrazione alla restituzione di quanto finora trattenuto in compensazione e respingendo il ricorso per il resto;

(vii) dichiarava le spese di causa interamente compensate tra le parti.

3. Avverso tale sentenza interponeva appello la C.R.I., deducendo il contrasto delle statuizioni di accoglimento con il consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui il recupero delle somme indebitamente erogate dalla pubblica amministrazione ai propri dipendenti costituisce un atto dovuto, discendente direttamente dalla disposizione dell’art. 2033 Cod. civ. e non necessitante di specifica motivazione sull’interesse pubblico prevalente, da ritenersi in re ipsa, e secondo cui l’affidamento e la buona fede del soggetto percipiente non ostano alla ripetizione dell’emolumento erroneamente corrisposto neppure quando intervenga a lunga distanza di tempo dall’erogazione delle somme, comportando solo l’obbligo, in capo all’Amministrazione, di procedere al recupero con modalità tali da non incidere sulle esigenze di vita del debitore.

L’Amministrazione appellante chiedeva, pertanto, previa sospensione della provvisoria esecutorietà dell’impugnata sentenza e in sua riforma, l’integrale rigetto dell’avversario ricorso di primo grado.

4. Costituendosi in giudizio, l’originario ricorrente eccepiva l’intervenuta acquiescenza, per mancanza d’impugnazione, al capo di accoglimento del quinto motivo di ricorso (con cui era stata dedotta la violazione dell’art. 21-nonies l. n. 241 del 1990), autonomamente sufficiente a sorreggere la parte dispositiva dell’appellata sentenza, e la conseguente inammissibilità dell’appello. Nel merito, l’appellato contestava, ad ogni modo, la fondatezza dell’appello, chiedendone la reiezione.

5. All’udienza pubblica del 22 luglio 2014 la causa veniva trattenuta in decisione.

6. Premesso che infondata è l’eccezione di inammissibilità dell’appello principale, sollevata dall’originario ricorrente, poiché, contrariamente all’assunto posta a base dell’eccezione, da una lettura sistematica della parte-motiva e della parte-conclusiva del ricorso in appello emerge in modo chiaro ed univoco la volontà dell’Amministrazione appellante di impugnare la statuizione di accoglimento sub 2.(v) nella sua integralità, sia con riguardo al terzo, sia con riguardo al quinto motivo del ricorso di primo grado ivi accolti (v., in particolare, le censure sub §§ 2. e 3. del ricorso in appello), con conseguente inconfigurabilità dell’eccepita acquiescenza, si osserva nel merito che l’appello è infondato.

Infatti, il Tribunale amministrativo regionale correttamente ha escluso l’applicabilità, alla fattispecie concreta dedotta in giudizio, dell’orientamento giurisprudenziale formatosi negli ultimi anni in materia di recupero di somme indebitamente erogate dalla pubblica amministrazione ai propri dipendenti, secondo cui detto recupero ha carattere di doverosità e costituisce esercizio, ai sensi dell’art. 2033 Cod. civ., di un vero e proprio diritto soggettivo a contenuto patrimoniale, non rinunziabile, in quanto correlato al conseguimento di quelle finalità di pubblico interesse, cui sono istituzionalmente destinate le somme indebitamente erogate, mentre le situazioni di affidamento e di buona fede dei percipienti rileverebbero ai soli fini delle modalità con cui il recupero deve essere effettuato, in modo cioè da non incidere in maniera eccessivamente onerosa sulle esigenze di vita del dipendente (v., ex plurimis, Cons. St., Sez. III, 9 giugno 2014, n. 2903, e gli ivi richiamati precedenti giurisprudenziali).

Invero, i riportati principi giurisprudenziali, pur apparendo condivisibili in linea astratta, non possono essere applicati in via automatica, generalizzata e indifferenziata a qualsiasi caso concreto di indebita erogazione, da parte della pubblica amministrazione, di somme ai propri dipendenti, dovendosi aver riguardo alle connotazioni, giuridiche e fattuali, delle singole fattispecie dedotte in giudizio, tenendo conto della natura degli importi di volta in volta richiesti in restituzione, delle cause dell’errore che aveva portato alla corresponsione delle somme in contestazione, del lasso di tempo trascorso tra la data di corresponsione e quella di emanazione del provvedimento di recupero, dell’entità delle somme corrisposte in riferimento alle correlative finalità, ecc. (v., in tal senso, sent. Cons. St., Sez. V, 13 aprile 2012, n. 2118, citata nell’impugnata sentenza).

Orbene, nel caso di specie, l’Amministrazione, nel procedere, ai sensi dell’invocato art. 2033 Cod. civ., al recupero delle maggior somme erogate all’odierno appellato a titolo e in forma di buoni-pasto nel periodo 2002-2009, in primo luogo, non ha preso in considerazione, omettendo ogni correlativa motivazione negli impugnati provvedimenti di recupero, le circostanze messe in rilievo nell’appellata sentenze, segnatamente:

- l’avvio del procedimento di recupero solo nell’anno 2011, mentre la corresponsione delle somme in controversia era iniziata nel 2002;

- l’emersione dell’indebito in esito alle verifiche amministrativo-contabili del Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, sulla gestione economico-finanziaria della C.R.I., dalle quali è emerso che era stato indebitamente esteso al personale militare l’importo dei buoni pasto fissato per il personale civile;

- l’assenza di qualsiasi contestazione, nei confronti del percipiente, in merito alla correttezza del numero di buoni-pasto richiesti e ottenuti, con conseguente incontrovertibile dimostrazione della sua buona fede, protratta nel tempo;

- le conseguenti peculiarità della posizione del ricorrente e delle motivazioni poste a base dell’attribuzione di buoni-pasto per un valore superiore a quello dovuto.

In secondo luogo – e ciò incide sulla stessa fondatezza, in punto di an debeatur, della pretesa di ripetizione d’indebito – l’Amministrazione ha del tutto obliterato di considerare la struttura e funzione dei buoni-pasto, sostitutivi della fruizione gratuita del servizio mensa presso la sede di lavoro ed escludenti «ogni forma di monetizzazione indennizzante» (v. così, testualmente, l’accordo quadro del 31 ottobre 2003). Infatti, a prescindere dalla natura assistenziale o retributiva dell’istituto in questione, è decisivo rimarcare che, nel caso di specie, i dipendenti non hanno percepito somme in denaro, bensì titoli non monetizzabili destinati esclusivamente ad esigenze alimentari in sostituzione del servizio mensa e, per tale causale, pacificamente spesi nel periodo di riferimento, e che, pertanto, si tratta di benefici destinati a soddisfare esigenze di vita primarie e fondamentali dei dipendenti medesimi, di valenza costituzionale, con conseguente inconfigurabilità di una pretesa restitutoria, per equivalente monetario, del maggior valore attribuito ai buoni-pasto nel periodo di riferimento.

In reiezione dell’appello principale meritano, dunque, conferma le statuizioni di accoglimento sub 2.(v) e 2.(vi), sfociate nell’annullamento dei provvedimenti di recupero delle maggiori somme erogate a titolo di buoni-pasto, individualmente indirizzati all’odierno appellante e nella condanna alla restituzione di quanto a tale titolo trattenuto in compensazione.

7. Tenuto conto di ogni circostanza connotante la presente controversia, si ravvisano i presupposti di legge per dichiarare le spese del presente grado di giudizio interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto (ricorso n. 7403 del 2013), respinge l’appello e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza, nei sensi di cui in motivazione; dichiara le spese del presente grado di giudizio interamente compensate tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

 

 

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 22 luglio 2014, con l’intervento dei magistrati:

 

 

Giuseppe Severini, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere

Carlo Mosca, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 27/10/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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