Monday 09 December 2013 13:12:24

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Espropriazione per pubblica utilità: il ritrasferimento agli originari proprietari dei beni che non sono serviti alla esecuzione dell’opera oggetto di procedura ablatoria e' possibile sia in presenza di una dichiarazione formale di inservibilità del bene espropriato sia a mezzo di acta concludentia

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV

Con la sentenza in esame il Consiglio di Stato, dato preliminarmente atto della spettanza al giudice amministrativo a conoscere della domanda di retrocessione parziale (cfr Cass. Sez. Unite 24 giugno 2009 n. 14805), procede a verificare se sussistono o meno nella specie i presupposti di fatto e di diritto che giustificano il ritrasferimento in capo agli originari proprietari dei beni che non sono serviti alla esecuzione dell’opera oggetto di procedura ablatoria. Com’è noto, in tema di espropriazione di pubblica utilità, si versa in ipotesi di retrocessione parziale, in base all’istituto normativamente definito dagli artt. 60 e 61 della legge fondamentale sulle espropriazioni, la n.2359 del 1865 (ora dall’art.47 del DPR n.327 del 2001) quando uno o più fondi espropriati non hanno ricevuto ( in tutto o in parte ) la prevista destinazione. Detti fondi possono essere restituiti se la pubblica amministrazione ha manifestato la volontà di non utilizzarli per gli scopi cui l’espropriazione era finalizzata e ciò avviene generalmente all’esito di un procedimento che si conclude con una dichiarazione formale di inservibilità del bene espropriato (Cons. Stato Sez. IV 15/12/2011 n. 6619). Fermo restando che la dichiarazione di inservibilità dei fondi ha una efficacia costitutiva per far insorgere, in linea di massima, il diritto alla restituzione del bene già espropriato ma non utilizzato, ciò che rileva ai fini dell’applicabilità dell’istituto de quo è che la pubblica amministrazione abbia manifestato comunque la volontà di non utilizzare tali immobili, anche a mezzo di acta concludentia e non necessariamente con un atto formalmente dichiarativo della avvenuta inservibilità (Cass. Sezioni Unite 5/6/2008 n. 14826).

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale ***** del 2009, proposto da:

D'Angelo Benito, quale procuratore speciale del Terzo Ordine Francescano Frati Minori Italia, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Vitolo, con domicilio eletto presso Studio Viglione-Vitolo in Roma, via Ovidio, 32;

 

contro

Consorzio ASI della Provincia di Matera, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio; 

nei confronti di

Fallimento Polfruit Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore , non costituita in giudizio; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. BASILICATA n. 00004/2008, resa tra le parti, concernente retrocessione parziale terreni espropriati.

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2013 il Cons. Andrea Migliozzi e udito per la parte appellante l’avv. Felice Laudadio (su delega dell’avv. Giuseppe Vitolo);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

Facendo seguito alla delibera n.51 del 13/10/1977 con cui il Consorzio per lo Sviluppo Industriale della provincia di Matera approvava il progetto della Pangelo Sud S.p.A. di insediamento in località Bosco Soprano del Comune di Policoro di un opificio per la trasformazione di prodotti ortofrutticoli, il Presidente della Giunta Regionale della Basilicata con decreto del 17/8/1978 autorizzava il Consorzio predetto ad occupare in via di urgenza i terreni siti nella predetta località, di proprietà del Terzo Ordine Francescano dei Frati Minori, per una superficie complessiva di 120.000 mq occorrenti per l’insediamento del suindicato opificio.

In data 30/6/1979 il Sindaco del Comune di Policoro rilasciava alla Pangelo Sud la concessione edilizia per la realizzazione del manufatto industriale di che trattasi e con decreto del 27/1/1981 il Presidente della Giunta Regionale della Basilicata disponeva in favore del Consorzio ASI di Matera l’espropriazione dei predetti terreni, ceduti poi in vendita alla Pangelo Sud dal Consorzio con successivo atto del 21/4/1982.

Con atto del 20/12/1986 la Pangelo Sud vendeva l’opificio de quo alla Polfruit s.r.l., Società che veniva dichiarata fallita dal Tribunale Civile di Matera all’inizio del 1996.

Intanto con istanza del 31/12/1999 il Terzo Ordine dei Francescani dei Frati Minori faceva presente al Consorzio ASI che per la realizzazione dell’opificio erano stati utilizzati soltanto 45.000 mq dei 120.000 mq espropriati, venendo i restanti 75.000 mq destinati ad uso agricolo e chiedeva al predetto Ente di provvedere alla retrocessione della parte dei terreni non utilizzati a scopi di natura industriale.

In riscontro a tale richiesta, il Consorzio ASI con nota del 28 febbraio 2000 dava atto che una parte consistente dei terreni, pari a mq 75.000 mq non è stata utilizzata a fini industriali dalle precedenti Ditte assegnatarie e che il richiedente poteva far valere le proprie ragioni innanzi al Tribunale di Matera dove era pendente la procedura di fallimento della Polfruit e a tale Autorità il 14/12/2999 e il 9/12/2003 il Terzo Ordine Francescano dei Frati Minori chiedeva la restituzione e/o retrocessione di detti terreni non utilizzati.

Quindi l’attuale appellante con ricorso proposto innanzi al TAR della Basilicata chiedeva la declaratoria del proprio diritto ad ottenere la dichiarazione di inservibilità e/o la retrocessione parziale dei predetti 75.000 mq dei terreni siti in località Bosco Soprano, con conseguente restituzione della porzione dell’area a suo tempo occupata ed espropriata.

Con sentenza n. 4/08 il Tar della Basilicata respingeva il ricorso, giudicandolo infondato e avverso taledecisum, ritenuto errato ed ingiusto è insorto il Terzo Ordine Francescano dei Frati Minori, deducendo con un unico articolato motivo, le seguenti censure:

Error in judicando - violazione dei principi generali in tema di retrocessione dei beni espropriati nonchè degli artt. 60 e ss della legge n. 2359/1865 in relazione all’art.53 DPR n. 218/78. Insufficienza ed erroneità della motivazione.

Ad avviso dell’appellante trova piena applicazione l’istituto della retrocessione parziale di cui agli artt.60 e ss. della legge n.2359/1865, in virtù del quale nei confronti dei proprietari espropriati, una volta che l’intervento industriale progettato e approvato non viene realizzato nella sua totalità, deve essere disposta la restituzione della parte degli immobili non utilizzata, come accaduto nella fattispecie all’esame.

Né può considerasi circostanza ostativa al riconoscimento del diritto in favore del Terzo Ordine Francescano dei Frati Minori alla restituzione dei terreni non utilizzati la mancanza di un provvedimento formale di inservibilità dei beni, atteso che il Consorzio ASI ha confermato che per la realizzazione dell’opificio industriale de quo sono stati utilizzati solo 45.000 mq dei 120.000 mq del fondo di proprietà dell’appellante e comunque il diritto alla retrocessione parziale si invera anche per atti concludenti. Neppure può essere opposto il contenuto limitativo della norma di cui all’art.53 comma 7 della legge n. 218/78 che a fronte di un vero e proprio diritto alla retrocessione parziale si porrebbe in contrasto con le disposizioni di cui agli artt.3 e 42 della Costituzione.

Non risultano costituite in giudizio le parti intimate.

All’odierna udienza pubblica la causa viene introitata per la decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto, con conseguente conferma della impugnata sentenza, sia pure con una motivazione diversa da quella resa dal primo giudice.

Il thema decidendum è costituito dalla richiesta di accertamento del diritto alla retrocessione parziale di terreni, posti in zona ASI del Comune di Policoro e di proprietà del Terzo Ordine Francescano dei Frati Minori d’Italia fatti oggetto di procedura di occupazione ed espropriazione per la realizzazione di un opificio industriale.

Sostiene, in pratica, parte appellante che dal momento che la realizzazione dell’opera de qua non ha interessato tutti i terreni espropriati, va riconosciuta la fondatezza della domanda dell’ente già proprietario di detti immobili alla restituzione di parte di essi (mq 75.000 su 140.000 mq)

Ciò debitamente precisato e dato preliminarmente atto della spettanza al giudice amministrativo a conoscere della domanda di retrocessione parziale (cfr Cass. Sez. Unite 24 giugno 2009 n. 14805), occorre andare a verificare se sussistono o meno nella specie i presupposti di fatto e di diritto che giustificano il ritrasferimento in capo agli originari proprietari dei beni che non sono serviti alla esecuzione dell’opera oggetto di procedura ablatoria.

Com’è noto, in tema di espropriazione di pubblica utilità, si versa in ipotesi di retrocessione parziale, in base all’istituto normativamente definito dagli artt. 60 e 61 della legge fondamentale sulle espropriazioni, la n.2359 del 1865 (ora dall’art.47 del DPR n.327 del 2001) quando uno o più fondi espropriati non hanno ricevuto ( in tutto o in parte ) la prevista destinazione.

Detti fondi possono essere restituiti se la pubblica amministrazione ha manifestato la volontà di non utilizzarli per gli scopi cui l’espropriazione era finalizzata e ciò avviene generalmente all’esito di un procedimento che si conclude con una dichiarazione formale di inservibilità del bene espropriato (Cons. Stato Sez. IV 15/12/2011 n. 6619).

Fermo restando che la dichiarazione di inservibilità dei fondi ha una efficacia costitutiva per far insorgere, in linea di massima, il diritto alla restituzione del bene già espropriato ma non utilizzato, ciò che rileva ai fini dell’applicabilità dell’istituto de quo è che la pubblica amministrazione abbia manifestato comunque la volontà di non utilizzare tali immobili, anche a mezzo di acta concludentia e non necessariamente con un atto formalmente dichiarativo della avvenuta inservibilità (Cass. Sezioni Unite 5/6/2008 n. 14826).

Ora, in relazione ai profili di fatto e di diritto che connotano la vicenda de qua, è accaduto che in riscontro ad apposita istanza di parte appellante, formulata in data 31/12/1999, il Consorzio ASI di Matera con nota del 28/2/2008 ha sostanzialmente ammesso il fatto che “una parte consistente dei terreni, pari mq 75.000 non è stata utilizzata ai fini industriali dalle precedenti Ditte assegnatarie”, sicchè nella specie pur mancando uno specifico provvedimento che dichiari formalmente l’intervenuta non servibilità di parte dei terreni espropriati, non si può negare che si è comunque verificata, per ammissione della stessa P.A, la circostanza di una non integrale utilizzazione dei fondi espropriati.

Per tali profili dunque l’evento costitutivo che può dare luogo alla restituzione di parte degli immobili (non avvenuta utilizzazione di parte dei fondi espropriati) si sarebbe senz’altro inverato e ciò legittima di per sé l’azione giudiziaria qui instaurata dalla parte interessata, volta ad ottenere un accertamento positivo della inservibilità di dette aree, quale fase costitutiva del procedimento di riconoscimento del diritto alla retrocessione.

Nondimeno, ritiene il Collegio che la domanda avanzata dall’appellante sia da rigettare, stante la presenza di una circostanza di tipo assolutamente preclusiva dell’applicazione dell’istituto della retrocessione parziale da ravvisarsi nel fatto che i terreni già di proprietà dell’appellante, dopo essere stati espropriati sono stati acquisiti definitivamente dai soggetti beneficiari della procedura ablatoria per effetto di usucapione come eccepito in prime cure e perciò stesso, allo stato, non possono essere restituiti.

Invero, come rilevasi dalla scansione dei fatti come cronologicamente succedutisi, con decreto del Presidente della giunta Regionale della Basilicata del 17/8/1978 veniva autorizzata l’occupazione d’urgenza dei terreni siti in località Bosco Soprano del Comune di Policoro di proprietà del Terzo Ordine Francescano e con verbale del successivo 6 settembre 1978 interveniva l’immissione in possesso di detti immobili e se così è, al di là degli effetti connessi al decreto di esproprio emanato il 27/1/1981, nella specie si è concretizzata l’intervenuta usucapione di tutti gli immobili in questione, appunto, per il possesso continuato di detti terreni da parte delle Ditte assegnatarie a partire dal settembre del 1978 e fino alla data di formale domanda di retrocessione dei fondi c.d. relitti (75.00 mq) avanzata solo nel dicembre del 1999 dalla parte appellante in relazione agli immobili di sua proprietà incisi dalla procedura espropriativa.

Bisogna allora convenire sulla incompatibilità e comunque infondatezza di una domanda di retrocessione di beni espropriati ma non utilizzati per le finalità di interesse pubblico legittimanti la predente procedura ablatoria, in ragione dell’avvenuta acquisizione in maniera definitiva dell’intero compendio in capo ai soggetti beneficiari dell’espropriazione, già inizialmente beneficiari della procedura espropriativa proprio perché non è possibile ritrasferire la proprietà di un bene in relazione al quale integralmente il relativo diritto di proprietà non sussiste più per l’effetto estintivo della proprietà dall’originario titolare in favore di altri soggetti che hanno esercitato il possesso continuato nel tempo dei beni in questione per un periodo idoneo ad acquisirne la proprietà.

Ciò che qui impedisce il riconoscimento della pretesa giudiziale alla restituzione parziale dei beni avanzata dalla parte appellante non è allora il contenuto pretesamente ostativo della norma di tipo speciale di cui all’art.53 del DPR 6/3/1978 n.218 (Testo Unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno) pure addotta dal giudice di primo grado (statuizione specificatamente criticata dall’appellante) così come irrilevanti si appalesano le vicende giudiziarie riguardanti la pendenza di procedura fallimentare per una delle Ditte assegnatarie (la Polfruit srl)., argomentazione anch’essa (impropriamente) fatta valere dal Tar .

In realtà il notevolissimo lasso di tempo (1978-1999) trascorso prima che il Terzo Ordine Francescano si attivasse per riavere la proprietà di alcuni dei terreni espropriati ma non utilizzati, per gli effetti sopra evidenziati impedisce di configurare l’applicazione nella specie dell’ invocato istituto della retrocessione parziale, per assenza, appunto, della necessaria “condicio sine qua non” costituita dalla perdurante titolarità del diritto reale di proprietà con riferimento all’intera area 140.000 mq.

Gli aspetti interpretativi testè messi in evidenza, impongono di definire sfavorevolmente il petitum avanzato dalla parte appellante sia pure sulla base di una motivazione diversa da quella resa dal primo giudice, restando peraltro assorbiti gli altri profili di contestazione giudiziale pure dedotti col proposto gravame che si appalesano, invero, non rilevanti.

Non occorre pronunziarsi sulle spese del presente grado del giudizio stante la non costituzione in giudizio della parti intimate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Nulla spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Riccardo Virgilio, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere, Estensore

Massimiliano Noccelli, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il **/11/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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