Tuesday 01 July 2014 08:15:56

Giurisprudenza  Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza

Slot Machine: il Comune può inibire l'attività per comprovate esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica solo in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute)

segnalazione del Prof. Avv. Enrico. Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 30.6.2014

Oggetto del contenzioso giunto innanzi alla Quinta Sezione del Consiglio di Stato e' l'ordinanza del sindaco del Comune di Desio che stabiliva la fascia oraria massima di apertura (ricompresa tra le ore 13.00 e le ore 22.30) per il funzionamento degli apparecchi da gioco negli esercizi autorizzati, nonché il regolamento comunale per le sale giochi e l'installazione di apparecchi da gioco approvato dal Comune con delibera del consiglio comunale n. 51 del 19 dicembre 2011 ed, infine, con motivi aggiunti, l'ordinanza sindacale n. 248 del 5 ottobre 2012, con la quale erano state disposte analoghe limitazioni al funzionamento degli apparecchi da gioco all'interno degli esercizi autorizzati. Il T.A.R. aveva annullato le ordinanze sindacali impugnate ed il Comune di Desio ha proposto appello davanti al Consiglio di Stato. Con il primo motivo di appello il Comune deduce l'inapplicabilità dell'art. 31 del D.L. n. 201/2011 (decreto "Salva Italia") con il quale è stato modificato l'art. 3 del D.L. n. 223/2006, in quanto trattasi nel caso di specie di esercizi commerciali o attività commerciali, inquadrabili nei "pubblici esercizi", che svolgono attività di gioco e scommessa e che, pertanto, sfuggirebbero ad "una assoluta libertà di iniziativa economica ", e all'uopo cita la direttiva n. 123/2006 e l'art. 7, comma 1, lett. d) del D.lgs. n. 59/2010. Al riguardo, si osserva che l'art. 3 della legge n. 248/2006 è applicabile non solo al commercio in genere, quale disciplinato dal D.Lgs. n. 114/1998, ma anche al settore specifico della somministrazione di alimenti e bevande e ai pubblici esercizi latu sensu, attesa la "ratio" della recente legislazione, che è rivolta alla sempre maggiore liberalizzazione del mercato ed alla promozione della concorrenza, come si evince dalla chiara dizione del comma 1 dell'art. 3 della legge n. 248/2006, in ordine al suo ambito applicativo "… le attività commerciali, come individuate dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte …". Va, altresì, richiamato il parere reso dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato con atto del 7 giugno 2007 (pubblicato sul Bollettino dell'Autorità n. 22/2007), nel quale è evidenziata la necessità di ricomprendere nell'ipotesi applicativa dell'art. 3, comma 1, lettera d) della legge n. 248/2006, anche le attività di somministrazione di alimenti e bevande, posto che la scelta contraria costituirebbe un "ostacolo normativo ad un corretto funzionamento del mercato". Nel caso di specie appare, poi, pienamente calzante quanto già ritenuto da questa Sezione, cioè che le disposizioni, espressioni del principio di libertà di impresa e di concorrenza, sono applicabili a tutte le attività economiche che una specifica norma legislativa statale o regionale non confliggente con quella statale, non sottopone a specifica regolamentazione (Cons.Stato, sez. V, 9 dicembre 2008, n. 6060). Con il terzo ed ultimo motivo di censura l'appellante lamenta l'erroneità della sentenza laddove è detto che il sindaco, per la tutela di valori collettivi quali la quiete pubblica, la circolazione stradale e la frequenza scolastica minorile, non poteva fare riferimento, nel provvedimento, al disposto dell'art. 50 del D.Lgs. n. 267/2000. Il Comune di Desio sostiene, in particolare, che "l'ordinanza sindacale (originariamente) impugnata fonda il proprio potere sulle previsioni dell'art. 50 comma 7 del D.Lgs. n. 267/2000, secondo cui il sindaco (altresì) coordina e riorganizza, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell'ambito dei criteri eventualmente indicati dalla regione, gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici …". L'appellante sostiene, ancora, che il provvedimento sindacale ha tra le sue finalità la tutela di valori collettivi, messi in concreto pericolo dalle attività commerciali in questione, quali la quiete pubblica, la circolazione stradale e la frequenza scolastica minorile. Il Comune di Desio critica, infine, la sentenza laddove è detto che il sindaco, per la tutela dei suddetti valori, diversamente da quanto ha fatto, poteva ricorrere ad altri strumenti giuridici, quale l'art. 54 del D.Lgs. n. 267/2000. Le suddette censure non sono condivisibili. Le amministrazioni comunali possono, invero, regolare l’attività degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, a termini dell’art. 50, comma 7, del D.lgs. 267/2000, graduando, in funzione della tutela dell’interesse pubblico prevalente, gli orari di apertura e chiusura al pubblico. Tuttavia, tale potere è stato ridimensionato nei suoi contenuti dall’art. 31 del D.L. 201/2011, convertito nella legge 214/2011 (c.d. decreto “salva Italia”), che ha riformato l’art. 3 del D.L. 223/2006 statuendo, che “le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni … (quali) il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell'esercizio”. L’art. 3 del D.L. n. 138/2011, convertito nella legge n. 148/2011, sempre in tema di abrogazione delle restrizioni all'accesso e all’esercizio delle professioni e delle attività economiche, ha poi disposto che “l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge”, affermando un principio, derogabile soltanto in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute), interessi che nella specie non possono ritenersi incisi. La circostanza che il regime di liberalizzazione degli orari sia applicabile indistintamente agli esercizi commerciali e a quelli di somministrazione, non preclude all’amministrazione comunale la possibilità di esercitare il proprio potere di inibizione delle attività, per comprovate esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica; tuttavia, ciò è consentito dal legislatore solo in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati quali quelli richiamati (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute), interessi che non possono considerarsi violati aprioristicamente e senza dimostrazione alcuna. Nel caso di specie, il nocumento asseritamente derivante dal notevole aumento della frequentazione dei luoghi ove sono posti gli esercizi in questione, con presunto e intollerabile incremento del traffico e del rumore e con conseguente compromissione della quiete pubblica, appare descritto in via del tutto generica e per nulla circostanziato e tale carenza della motivazione “sostanziale”, non può ritenersi superata dall'affermazione che, essendo l’ordinanza di carattere generale, non necessitava di particolare motivazione. Giova soggiungere, peraltro, che allorquando un comune ritiene di dover contrastare la lesione di specifici interessi pubblici degni di tutela, ha il potere di emanare ordinanze mirate, con effetti spaziali e temporali limitati. Ugualmente inconferente è quanto sostenuto nell'appello, che con il provvedimento si sia inteso provvedere alla protezione della popolazione giovanile e a contrastare un fenomeno sempre più diffuso, quale l'evasione scolastica, amplificato da attrattive forti quali quelle rappresentate dall'uso dei giochi elettronici". L'art. 50 del D.lgs n. 267/2000 non attribuisce, infatti, all'amministrazione comunale il potere di individuare o disciplinare gli orari degli esercizi commerciali senza vincoli di sorta, come si è verificato nella decisione qui assunta dal Comune, con un provvedimento che nulla ha da vedere con i poteri di polizia. Ingiustificato è quanto sostenuto dal comune che "nessuna specifica istruttoria andava quindi svolta, …, avendo il provvedimento impugnato dato peraltro conto delle ragioni a fondamento della sua adozione", dovendosi ritenere sufficienti i generici accertamenti di viabilità compiuti dalla polizia locale nei pressi dei locali al cui interno si trovano apparecchi da gioco. Nella sentenza il T.A.R. non manca di evidenziare, infatti, che "anche a voler ammettere in astratto la possibilità di ricorrere al potere di disciplina degli orari in funzione della tutela dei predetti interessi, ciò dovrebbe essere il frutto di un'accurata e documentata istruttoria che mettesse in evidenza quali siano le specifiche esigenze della collettività locale che rendano necessaria la limitazione degli orari in cui è possibile offrire determinati servizi". Tuttavia, anche nel caso di adozione di provvedimenti contingibili a termini dell'art. 54 del D.lgs. n. 267/2000, un'amministrazione, operando restrittivamente nei confronti di operatori economici, non può astenersi dal dimostrare la esistenza concreta di fenomeni pregiudizievoli per la collettività, quali una particolare e documentata evasione scolastica, blocchi anomali della circolazione o turbamenti della quiete pubblica. Conclusivamente l'appello è stato respinto. Per scaricare la sentenza clicca su "Accedi al Provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale * del 2013, proposto dal Comune di Desio, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Roberto Guida, con domicilio eletto presso Ettore Travarelli in Roma, via Alberico II, n 5; 

contro

Romano Valentina in proprio e quale legale rappresentante di “Il Baretto Snc” di Romano Valentina & C.; Beatrice Ferruccia Cuppari quale titolare di Hexe Kaffee; Procolo D'Isanto quale titolare di “Pausa Caffè”; Antonio Radaelli quale titolare dell’omonima impresa individuale; Vasilisa Diacoglo, in proprio e quale legale rappresentante della “Vdm Sas di Diacoglo Vasilisa & C.”; Luca Caputo, in proprio e quale legale rappresentante della “Quotrem Cafè Sas di Luca Caputo & C.”; Mirko Cellamare in proprio e quale legale rappresentante della “Elite Cafè Snc di Cellamare & C.”; Anna Grosso, in proprio e quale legale rappresentante de “La Caffetteria Sas di Grosso Anna e Emanuele Bertoncello”; Emanuele Bertoncello in proprio e quale legale rappresentante del “Bar del Corso di Bertoncello Emanuele”; Pierpaolo Povolato in proprio e quale legale rappresentante della “Società Povolato Pierpaolo”, tutti non costituiti in giudizio; Donatella Ripamonti in proprio e quale titolare della omonima impresa individuale, rappresentata e difesa dagli avvocati Generoso Bloise e Cino Benelli, con domicilio eletto presso Federico Mazzella in Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio, n. 1; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE I n. 01182/2013, resa tra le parti, concernente regolamentazione orario funzionamento apparecchi da gioco negli esercizi autorizzati;

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Donatella Ripamonti;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 maggio 2014 il Consigliere Carlo Schilardi e uditi per le parti gli avvocati Roberto Guida e Generoso Bloise;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

Con ricorso al T.A.R. per la Lombardia, notificato il 5 aprile 2012, gli attuali appellati impugnavano l'ordinanza n. 15 del 7 febbraio 2012, con la quale il sindaco del Comune di Desio stabiliva la fascia oraria massima di apertura (ricompresa tra le ore 13.00 e le ore 22.30) per il funzionamento degli apparecchi da gioco negli esercizi autorizzati, nonché il regolamento comunale per le sale giochi e l'installazione di apparecchi da gioco approvato dal Comune con delibera del consiglio comunale n. 51 del 19 dicembre 2011 ed, infine, con motivi aggiunti, l'ordinanza sindacale n. 248 del 5 ottobre 2012, con la quale erano state disposte analoghe limitazioni al funzionamento degli apparecchi da gioco all'interno degli esercizi autorizzati.

I ricorrenti lamentavano violazione dell'art. 3 del D.L. n. 223 del 2006 (come modificato dal D.L. n. 201 del 2011) che aveva liberalizzato gli orari di apertura e chiusura delle attività commerciali e degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande e, inoltre, deducevano che il potere esercitato dal sindaco con il provvedimento gravato non poteva essere inquadrato nell'ambito dell'art. 50, comma 7, del T.U.E.L. (D.lgs. n. 267/2000), ma piuttosto in quello previsto dall'art. 54 del citato decreto legislativo che disciplina i casi di ordinanze contingibili ed urgenti.

Il T.A.R. con sentenza n. 1182 del 24 aprile 2013, depositata il 9 maggio 2013, ha accolto il ricorso e per l'effetto ha annullato le ordinanze sindacali impugnate.

Avverso la sentenza ha proposto appello il Comune di Desio.

Si è costituita in giudizio la signora Donatella Ripamonti, titolare dell'omonima ditta individuale, che ha chiesto di rigettare l'appello con vittoria di spese.

All'udienza pubblica del 13 maggio 2014 la causa è stata trattenuta per la decisione.

Con il primo motivo di appello il Comune deduce l'inapplicabilità dell'art. 31 del D.L. n. 201/2011 (decreto "Salva Italia") con il quale è stato modificato l'art. 3 del D.L. n. 223/2006, in quanto trattasi nel caso di specie di esercizi commerciali o attività commerciali, inquadrabili nei "pubblici esercizi", che svolgono attività di gioco e scommessa e che, pertanto, sfuggirebbero ad "una assoluta libertà di iniziativa economica ", e all'uopo cita la direttiva n. 123/2006 e l'art. 7, comma 1, lett. d) del D.lgs. n. 59/2010.

Al riguardo, si osserva che l'art. 3 della legge n. 248/2006 è applicabile non solo al commercio in genere, quale disciplinato dal D.Lgs. n. 114/1998, ma anche al settore specifico della somministrazione di alimenti e bevande e ai pubblici esercizi latu sensu, attesa la "ratio" della recente legislazione, che è rivolta alla sempre maggiore liberalizzazione del mercato ed alla promozione della concorrenza, come si evince dalla chiara dizione del comma 1 dell'art. 3 della legge n. 248/2006, in ordine al suo ambito applicativo "… le attività commerciali, come individuate dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte …".

Va, altresì, richiamato il parere reso dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato con atto del 7 giugno 2007 (pubblicato sul Bollettino dell'Autorità n. 22/2007), nel quale è evidenziata la necessità di ricomprendere nell'ipotesi applicativa dell'art. 3, comma 1, lettera d) della legge n. 248/2006, anche le attività di somministrazione di alimenti e bevande, posto che la scelta contraria costituirebbe un "ostacolo normativo ad un corretto funzionamento del mercato".

Nel caso di specie appare, poi, pienamente calzante quanto già ritenuto da questa Sezione, cioè che le disposizioni, espressioni del principio di libertà di impresa e di concorrenza, sono applicabili a tutte le attività economiche che una specifica norma legislativa statale o regionale non confliggente con quella statale, non sottopone a specifica regolamentazione (Cons.Stato, sez. V, 9 dicembre 2008, n. 6060).

Con il terzo ed ultimo motivo di censura l'appellante lamenta l'erroneità della sentenza laddove è detto che il sindaco, per la tutela di valori collettivi quali la quiete pubblica, la circolazione stradale e la frequenza scolastica minorile, non poteva fare riferimento, nel provvedimento, al disposto dell'art. 50 del D.Lgs. n. 267/2000.

Il Comune di Desio sostiene, in particolare, che "l'ordinanza sindacale (originariamente) impugnata fonda il proprio potere sulle previsioni dell'art. 50 comma 7 del D.Lgs. n. 267/2000, secondo cui il sindaco (altresì) coordina e riorganizza, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell'ambito dei criteri eventualmente indicati dalla regione, gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici …".

L'appellante sostiene, ancora, che il provvedimento sindacale ha tra le sue finalità la tutela di valori collettivi, messi in concreto pericolo dalle attività commerciali in questione, quali la quiete pubblica, la circolazione stradale e la frequenza scolastica minorile.

Il Comune di Desio critica, infine, la sentenza laddove è detto che il sindaco, per la tutela dei suddetti valori, diversamente da quanto ha fatto, poteva ricorrere ad altri strumenti giuridici, quale l'art. 54 del D.Lgs. n. 267/2000.

Le suddette censure non sono condivisibili.

Le amministrazioni comunali possono, invero, regolare l’attività degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, a termini dell’art. 50, comma 7, del D.lgs. 267/2000, graduando, in funzione della tutela dell’interesse pubblico prevalente, gli orari di apertura e chiusura al pubblico.

Tuttavia, tale potere è stato ridimensionato nei suoi contenuti dall’art. 31 del D.L. 201/2011, convertito nella legge 214/2011 (c.d. decreto “salva Italia”), che ha riformato l’art. 3 del D.L. 223/2006 statuendo, che “le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni … (quali) il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell'esercizio”.

L’art. 3 del D.L. n. 138/2011, convertito nella legge n. 148/2011, sempre in tema di abrogazione delle restrizioni all'accesso e all’esercizio delle professioni e delle attività economiche, ha poi disposto che “l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge”, affermando un principio, derogabile soltanto in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute), interessi che nella specie non possono ritenersi incisi.

La circostanza che il regime di liberalizzazione degli orari sia applicabile indistintamente agli esercizi commerciali e a quelli di somministrazione, non preclude all’amministrazione comunale la possibilità di esercitare il proprio potere di inibizione delle attività, per comprovate esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica; tuttavia, ciò è consentito dal legislatore solo in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati quali quelli richiamati (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute), interessi che non possono considerarsi violati aprioristicamente e senza dimostrazione alcuna.

Nel caso di specie, il nocumento asseritamente derivante dal notevole aumento della frequentazione dei luoghi ove sono posti gli esercizi in questione, con presunto e intollerabile incremento del traffico e del rumore e con conseguente compromissione della quiete pubblica, appare descritto in via del tutto generica e per nulla circostanziato e tale carenza della motivazione “sostanziale”, non può ritenersi superata dall'affermazione che, essendo l’ordinanza di carattere generale, non necessitava di particolare motivazione.

Giova soggiungere, peraltro, che allorquando un comune ritiene di dover contrastare la lesione di specifici interessi pubblici degni di tutela, ha il potere di emanare ordinanze mirate, con effetti spaziali e temporali limitati.

Ugualmente inconferente è quanto sostenuto nell'appello, che con il provvedimento si sia inteso provvedere alla protezione della popolazione giovanile e a contrastare un fenomeno sempre più diffuso, quale l'evasione scolastica, amplificato da attrattive forti quali quelle rappresentate dall'uso dei giochi elettronici".

L'art. 50 del D.lgs n. 267/2000 non attribuisce, infatti, all'amministrazione comunale il potere di individuare o disciplinare gli orari degli esercizi commerciali senza vincoli di sorta, come si è verificato nella decisione qui assunta dal Comune, con un provvedimento che nulla ha da vedere con i poteri di polizia.

Ingiustificato è quanto sostenuto dal comune che "nessuna specifica istruttoria andava quindi svolta, …, avendo il provvedimento impugnato dato peraltro conto delle ragioni a fondamento della sua adozione", dovendosi ritenere sufficienti i generici accertamenti di viabilità compiuti dalla polizia locale nei pressi dei locali al cui interno si trovano apparecchi da gioco.

Nella sentenza il T.A.R. non manca di evidenziare, infatti, che "anche a voler ammettere in astratto la possibilità di ricorrere al potere di disciplina degli orari in funzione della tutela dei predetti interessi, ciò dovrebbe essere il frutto di un'accurata e documentata istruttoria che mettesse in evidenza quali siano le specifiche esigenze della collettività locale che rendano necessaria la limitazione degli orari in cui è possibile offrire determinati servizi".

Tuttavia, anche nel caso di adozione di provvedimenti contingibili a termini dell'art. 54 del D.lgs. n. 267/2000, un'amministrazione, operando restrittivamente nei confronti di operatori economici, non può astenersi dal dimostrare la esistenza concreta di fenomeni pregiudizievoli per la collettività, quali una particolare e documentata evasione scolastica, blocchi anomali della circolazione o turbamenti della quiete pubblica.

Conclusivamente l'appello è infondato e va respinto.

Attesa la complessità interpretativa della materia trattata sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese del presente grado di giudizio compensate tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Carlo Saltelli, Presidente FF

Fulvio Rocco, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Carlo Schilardi, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 30/06/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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