Thursday 09 October 2014 20:07:30

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Autorizzazione paesaggistica: se é pur vero che la Soprintendenza può annullare l'autorizzazione, é altrettanto vero che la cogestione del vincolo non può ritenersi legittimamente esercitata se risulti comprensibile l’iter logico seguito dal Comune restando invece oscuro quello della Soprintendenza

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 1.10.2914

Nella sentenza in esame il Consiglio di Stato ha evidenziato che é vero – come riconosciuto da ampia e consolidata giurisprudenza – che alla Soprintendenza è affidata una compiuta valutazione di legittimità, anche sotto il profilo del ponderato bilanciamento degli interessi tutelati, quale espressione di un potere non di mero controllo di legalità,ma di vera e propria attiva cogestione del vincolo, funzionale all’ “estrema difesa” dello stesso (Corte cost., 27 giugno 1986, n. 151; 18 ottobre 1996, n. 341; 25 ottobre 2000, n. 437), con conseguente riferibilità dell’eventuale annullamento dell’autorizzazione paesaggistica a qualsiasi vizio di legittimità, ivi compreso l’eccesso di potere in ogni figura sintomatica (sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta: cfr. in tal senso Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9, nonché, fra le tante, Cons. Stato, VI, 25 marzo 2009, n. 1786 e 3557, 11 giugno 2012, n. 3401, 23 febbraio 2010, n. 1070, 21 settembre 2011, n. 5292; Cons. Stato, V, 3 dicembre 2010, n.8411). E’ anche vero tuttavia che – tenuto conto del principio di leale collaborazione fra Stato e Regione (o ente sub-delegato) – la predetta cogestione del vincolo non può ritenersi correttamente esercitata quando, come nel caso di specie, risulti comprensibile – a seguito di specifico approfondimento e di varianti progettuali – l’iter logico seguito dall’Amministrazione comunale, restando invece oscuro quello della Soprintendenza, che – pur essendo abilitata a richiedere ogni necessario chiarimento in via interlocutoria (ove comunque alcune ragioni fossero risultate non chiare, o non confrontabili con il reale stato dei luoghi) – operi invece l’immediato annullamento dell’autorizzazione, senza esplicitare alcuna concreta ragione di contrasto dell’intervento edilizio da effettuare con i valori oggetto di tutela, con ciò stesso imponendo al Comune un onere motivazionale di oggetto incerto, con conseguente perplessità delle stessa ragioni giustificatrici dell’annullamento (non integrabili peraltro, come riconosciuto da una pacifica giurisprudenza, con considerazioni contenute solo negli scritti difensivi). Per scaricare la sentenza cliccare su "Accedi al provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale * del 2009, proposto dal Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato e presso la medesima domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12; 

contro

Fallimento Cerfim S.r.l. ex Cerfim Spa, rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Manzi e Francesca Mazzonetto, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Federico Confalonieri, 5; 

nei confronti di

Comune di Vittorio Veneto, rappresentato e difeso dall'avv. Luigi Manzi, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via Federico Confalonieri, 5; 

per la riforma della sentenza del t.a.r. veneto – venezia, sezione ii, n. 02801/2008, resa tra le parti, concernente annullamento dell’autorizzazione per la ristrutturazione di un fabbricato;

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Fallimento Cerfim S.r.l. ex Cerfim Spa e del Comune di Vittorio Veneto;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 giugno 2014 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Messuti, e l’avv. Luca Mazzeo per delega dell’avv. Luigi Manzi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

 

FATTO e DIRITTO

Con l’atto di appello in esame, notificato il 2 novembre 2009, è stata impugnata dal Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto n. 2801/09, pubblicata il 10 settembre 2008, con cui veniva accolto il ricorso proposto dalla società Cerfim s.p.a. avverso l’annullamento, da parte della Soprintendenza, dell’autorizzazione paesaggistica per lavori di ristrutturazione da effettuare su un fabbricato, a destinazione residenziale e commerciale. La causa è pervenuta in decisione a seguito di riassunzione, effettuata dal citato Ministero con atto notificato il 9 ottobre 2013, dopo l’interruzione del processo dichiarata da questa sezione con ordinanza n. 3621/13 del 9 luglio 2013, a causa dell’intervenuto fallimento della società Cerfim s.p.a., oggetto di sentenza n. 134 del 27 marzo 2012 del Tribunale di Treviso, sezione fallimentare. Si sono costituiti in giudizio, per resistere all’accoglimento dell’impugnativa, prima la citata società Cerfim s.p.a. e poi il curatore del Fallimento Cerfim s.r.l. in liquidazione.

Premesso quanto sopra, il Collegio è chiamato a valutare, in via preliminare, l’eccezione di tardività dell’originario atto di appello, sollevata dalla società resistente. Tale eccezione appare infondata, tenendo conto del termine annuale, fissato per l’impugnazione delle sentenze non notificate prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104 del 2 luglio 2010, il cui articolo 92, comma 3 riduce detto termine a sei mesi), nonché per intervenuta sospensione feriale dei termini dal giorno 1 agosto al 15 settembre 2008.

Nel caso di specie, il termine annuale in questione iniziava a decorrere non dalla data di pubblicazione della sentenza (10 settembre 2008, quando i termini erano ancora sospesi), ma – a norma dell’art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742 – dal successivo giorno 15, con scadenza del termine per l’appello (tenuto conto del periodo da recuperare per la predetta sospensione) il 31 ottobre 2009: tale giorno, cadendo di sabato, doveva però ritenersi prorogato – ex art. 155 c.p.c., come modificato dall’articolo 2, lettera f), della legge 28 dicembre 2005, n 263 (ora recepito dall’art. 52, comma 5 c.p.a.) – fino a lunedì 2 novembre, data in cui si è appunto perfezionata la notifica di cui trattasi, con conseguente ricevibilità del gravame (cfr. anche in tal senso Cons. St., sez. IV, 8 febbraio 2008, n. 446).

Quanto all’atto di riassunzione, non si pone il problema del rispetto della scadenza temporale di cui all’art. 80, comma 3, c.p.a., nel frattempo entrato in vigore, che fissa il termine perentorio di 90 giorni, decorrenti “dalla conoscenza legale dell’evento interruttivo, acquisita mediante dichiarazione, notificazione o certificazione”.

A tale riguardo, infatti, la giurisprudenza ha chiarito che il termine per la riassunzione decorre – in base sia alla norma sopra richiamata che al previgente art. 24, comma 2, della legge n. 1034 del 1971 – non dal giorno in cui si è verificato l’evento interruttivo, o da quello della relativa dichiarazione in giudizio, ma da quando vi è prova della ufficiale conoscenza, tramite comunicazione della segreteria, dell’intervenuta pronuncia di interruzione, anche ove il legale della parte interessata fosse presente in udienza, all’atto della predetta dichiarazione (cfr. Cons. St., sez. IV, 31 dicembre 2010, n. 9608; Cons. Giust. Amm. Sic., 29 aprile 2013, n. 421; Cons. St., sez. V, 27 maggio 2014, n. 2713). Nel caso di specie, pertanto, risultando l’ordinanza di interruzione pubblicata il 9 luglio 2013 e successivamente comunicata, appare tempestiva l’avvenuta notifica dell’atto di riassunzione il 9 ottobre 2013, anche a prescindere dall’interruzione feriale dei termini dal 31 luglio al 15 settembre.

Nel merito, tuttavia, l’impugnativa non appare condivisibile.

Nella sentenza appellata si rileva, infatti, l’insufficiente motivazione dell’atto di annullamento di un’autorizzazione paesaggistica da parte della Soprintendenza, emesso nei seguenti termini: “Dall’esame della documentazione di progetto trasmessa si rileva che l’intervento proposto viene ad interessare un edificio ottocentesco, che presenta interesse storico e paesaggistico. Viste le caratteristiche tipologiche del fabbricato oggetto di ristrutturazione, si ritengono le motivazioni, fornite nell’atto autorizzativo comunale, insufficienti a garantire il corretto inserimento degli interventi nel contesto paesaggistico vincolato. L’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune di Vittorio Veneto, qualora attuata, comporterebbe l’alterazione dei tratti caratteristici della località protetta, che sono la ragione stessa per cui la località medesima è sottoposta al vncolo”.

In rapporto alla motivazione sopra riportata, nella medesima sentenza si ritiene censurabile l’omessa esplicazione “in concreto” degli “elementi che, in relazione al contesto paesaggistico vincolato, comporterebbero l’alterazione dei tratti caratteristici della località protetta”, peraltro senza considerare che, nell’autorizzazione comunale, erano espresse ragioni specifiche, per ravvisare un armonico inserimento dell’edificio ristrutturato nel contesto ambientale, grazie al tipo di copertura previsto nel progetto. Vi sarebbe stata, pertanto violazione sia dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, sia dell’art. 159, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, prescrittivo di motivazione per l’atto di controllo della Soprintendenza.

Nell’impugnativa in esame le considerazioni anzidette vengono contestate, non sulla base di motivi di gravame singolarmente formalizzati, ma in quanto l’insufficienza della motivazione sarebbe dipesa dall’esclusivo riferimento comunale alla copertura a padiglione dell’edificio ed alla semplificazione delle finiture della facciata: elementi, quelli appena indicati, ritenuti parziali, ovvero tali da non evidenziare perché l’intero edificio – una volta ristrutturato nei termini previsti in progetto – potesse inserirsi armonicamente nel contesto tutelato, peraltro in assenza di descrizioni puntuali delle finiture, di cui si sottolineava soltanto la semplificazione. La sopraelevazione dell’ultimo piano con inserimento di volumi tecnici, inoltre, avrebbe “inciso sulla tipologia del fabbricato, rendendolo avulso dall’ambiente paesaggio circostante”, mentre la “variazione della forometria della facciata” avrebbe reso irriconoscibile la valenza storica dell’edificio, “strettamente collegato al contesto paesaggistico ottocentesco e novecentesco, che caratterizza il centro storico di Vittorio Veneto”.

La società appellata, resistendo all’accoglimento dell’impugnativa, sottolineava invece come il vincolo riguardasse non direttamente l’edificio da ristrutturare, ma il contesto in cui il medesimo era inserito, in zona B2 del PRG (“zone completamente edificate in epoca recente”), con riconosciuta possibilità di riassetto edilizio, urbanistico e funzionale, comprensivo di interventi di ristrutturazione.

Nel caso di specie, peraltro, la Commissione edilizia integrata comunale aveva, in un primo tempo, espresso parere non favorevole, sia poiché il progetto prevedeva “totale trasformazione della forometria e dell’orditura della facciata” (resa “più complessa rispetto a quella originaria”), sia perché risultava modificata la copertura a padiglione, tipica dell’architettura novecentesca locale (tale essendo l’epoca di costruzione del fabbricato di cui trattasi), di modo che il ripristino delle caratteristiche della copertura e la semplificazione della facciata, con conservazione della struttura essenziale di quella originaria, avrebbero pienamente giustificato il successivo parere favorevole: parere, viceversa, annullato dalla Soprintendenza senza esplicitazione di ragioni comprensibili.

Il Collegio condivide le argomentazioni da ultimo sintetizzate.

E’ vero infatti – come riconosciuto da ampia e consolidata giurisprudenza – che alla Soprintendenza è affidata una compiuta valutazione di legittimità, anche sotto il profilo del ponderato bilanciamento degli interessi tutelati, quale espressione di un potere non di mero controllo di legalità,ma di vera e propria attiva cogestione del vincolo, funzionale all’ “estrema difesa” dello stesso (Corte cost., 27 giugno 1986, n. 151; 18 ottobre 1996, n. 341; 25 ottobre 2000, n. 437), con conseguente riferibilità dell’eventuale annullamento dell’autorizzazione paesaggistica a qualsiasi vizio di legittimità, ivi compreso l’eccesso di potere in ogni figura sintomatica (sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta: cfr. in tal senso Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9, nonché, fra le tante, Cons. Stato, VI, 25 marzo 2009, n. 1786 e 3557, 11 giugno 2012, n. 3401, 23 febbraio 2010, n. 1070, 21 settembre 2011, n. 5292; Cons. Stato, V, 3 dicembre 2010, n.8411). E’ anche vero tuttavia che – tenuto conto del principio di leale collaborazione fra Stato e Regione (o ente sub-delegato) – la predetta cogestione del vincolo non può ritenersi correttamente esercitata quando, come nel caso di specie, risulti comprensibile – a seguito di specifico approfondimento e di varianti progettuali – l’iter logico seguito dall’Amministrazione comunale, restando invece oscuro quello della Soprintendenza, che – pur essendo abilitata a richiedere ogni necessario chiarimento in via interlocutoria (ove comunque alcune ragioni fossero risultate non chiare, o non confrontabili con il reale stato dei luoghi) – operi invece l’immediato annullamento dell’autorizzazione, senza esplicitare alcuna concreta ragione di contrasto dell’intervento edilizio da effettuare con i valori oggetto di tutela, con ciò stesso imponendo al Comune un onere motivazionale di oggetto incerto, con conseguente perplessità delle stessa ragioni giustificatrici dell’annullamento (non integrabili peraltro, come riconosciuto da una pacifica giurisprudenza, con considerazioni contenute solo negli scritti difensivi).

Per le ragioni esposte, pertanto, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto, con assorbimento di ogni ragione difensiva non esaminata; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, si ritiene equo disporne la compensazione, tenuto conto della natura degli interessi coinvolti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello; compensa le spese giudiziali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 giugno 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 01/10/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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