Tuesday 24 March 2015 20:15:23

Giurisprudenza  Pubblico Impiego e Responsabilità Amministrativa

Pubblico impiego: lo svolgimento di mansioni superiori è irrilevante, sia ai fini economici, sia ai fini della progressione di carriera, salva l'esistenza di un'espressa disposizione che disponga diversamente

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V sentenza del 24.3.2014

Nel giudizio in esame la richiesta dell’interessata è diretta all'inquadramento nel livello sovraordinato in forza della superiore posizione temporaneamente ricoperta, ma in giudizio la stessa parte riconosce - tanto nel suo atto di appello quanto nella sua conclusiva memoria - che l’evoluzione normativa e giurisprudenziale “ha ormai categoricamente escluso la possibilità di inquadramento nel profilo superiore”. Sicché la Sezione può limitarsi, in proposito, a dare atto che l’impostazione consolidata della giurisprudenza amministrativa è proprio nel senso indicato (cfr. di recente, ad es., Consiglio di Stato sez. V, 29 novembre 2013, n. 5715; VI, 27 luglio 2010, n. 4880; IV, 15 settembre 2009, n. 5529), venendo pacificamente esclusa l’applicabilità all’impiego presso le Amministrazioni Pubbliche dell'art. 2103 cod. civ..Parimenti infondata, però, è la pretesa di parte di conseguire le differenze retributive corrispondenti alle vantate mansioni superiori.La giurisprudenza del Consiglio è ormai stabilizzata in senso sfavorevole anche alle istanze del personale pubblico tese al riconoscimento delle differenze retributive legate allo svolgimento di mansioni superiori.La posizione si fonda sulle seguenti acquisizioni (cfr. la decisione n. 3314\2010 della Sezione, dalla quale si traggono i passaggi di seguito riportati):“a) a meno che non via sia una specifica disposizione di legge che disponga altrimenti, lo svolgimento in via di mero fatto di mansioni superiori da parte del pubblico dipendente, rispetto a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di inquadramento, costituisce circostanza irrilevante, oltre che ai fini della progressione in carriera, anche ai fini economici, non essendo sotto tale aspetto il rapporto di pubblico impiego assimilabile al rapporto di lavoro privato, sia perché gli interessi pubblici coinvolti sono di natura indisponibile, sia, comunque, perché l'attribuzione di mansioni superiori e del correlativo trattamento economico devono avere il loro presupposto indefettibile nel provvedimento di inquadramento (cfr., tra le tante, Sez. VI, 8.1.2003, n. 17; 19.9.2000, n. 4871; 22.8.2000, n. 4553; 11.7.2000, n. 3882; Ad. Pl. 23.2.2000 n. 11);b) la domanda volta ad ottenere una retribuzione superiore a quella riconosciuta dalla normativa applicabile non può essere basata sull'art. 36 Cost., che afferma il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato; tale norma, infatti, non può trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dall'art. 98 Cost. (che, nel disporre che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio) e quali quelli previsti dall'art. 97 Cost., contrastando l'esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con il buon andamento e l'imparzialità dell'Amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità dei funzionari (cfr. Sez. VI, 19.9.2000, n. 4871; Sez. VI, 11.7.2000, n. 3882; Sez. VI, 15.5. 2000, n. 2785; Ad. Plen. 18.11.1999, n. 22);c) per effetto degli artt. 51 e 97 Cost. le attribuzioni delle mansioni e del relativo trattamento economico non possono essere oggetto di libere determinazioni dei funzionari amministrativi (cfr. Sez. VI, 8.1.2003, n. 17; 19.9.2000, n. 4871; Sez. VI, 11.7. 2000, n. 3882; Ad Pl. 23.2.2000, n. 11);d) il diritto alle differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni superiori da parte dei pubblici dipendenti va riconosciuto con carattere di generalità soltanto a decorrere dall'entrata in vigore del D.Lgs. 29.10.1998, n. 387, che con l'art. 15 ha reso anticipatamente operativa la disciplina dell'art. 56 D.lgs. 3.2.1993 n. 29, atteso che, prima di tale data, nel settore del pubblico impiego, salvo diversa disposizione di legge, le mansioni svolte da un pubblico dipendente erano del tutto irrilevanti ai fini della progressione di carriera ovvero agli effetti economici di un provvedimento di preposizione ad un ufficio di livello superiore (cfr., tra le tante, Cons. St., Ad. Plen. 23.2.2000, n. 11; Sez. VI 8.1.2003, n. 17; 27.11.2001, n. 5858; 7.5.2001, n. 2520)” (C.d.S., V, n. 3314 cit.).In conclusione, pertanto, nell'ambito del pubblico impiego lo svolgimento da parte del dipendente di mansioni superiori a quelle dovute in base all'inquadramento è irrilevante, sia ai fini economici, sia ai fini della progressione di carriera, salva l'esistenza di un'espressa disposizione che disponga diversamente (Sez. V, 29 novembre 2013, n. 5715; 17 ottobre 2013, n. 5047; 11 ottobre 2013, n. 4973).

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

 

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale *del 2003, proposto omissis

contro

Regione Puglia; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Puglia – Bari, Sezione I, n. 5403/2001, resa tra le parti, concernente corresponsione differenze retributive a seguito svolgimento mansioni superiori.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 marzo 2014 il Cons. Nicola Gaviano e udito per la parte appellante l’avv. Aurelio Pappalepore su delega dell'avv. Enzo Augusto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. per la Puglia la sig.ra *, dipendente della Regione Puglia appartenente alla VII q.f., premesso di avere disimpegnato mansioni corrispondenti alla qualifica immediatamente superiore quale responsabile del Centro di servizio e programmazione culturale di Bari – Quartiere San Paolo, e tanto a partire dal 19 ottobre 1984 (quando il precedente responsabile della struttura era stato trasferito in altra sede) e fino al febbraio del 1990, impugnava la nota dell’Amministrazione dell’11 luglio 1989 con la quale era stata respinta la sua richiesta di essere inquadrata, in forza della superiore posizione ricoperta, nel livello sovraordinato, e chiedeva la condanna dell’Ente a disporre il suddetto inquadramento nonché, in ogni caso, a corrisponderle le differenze retributive riflettenti le mansioni svolte, con interessi e rivalutazione monetaria.

A fondamento delle pretese di parte venivano invocate le previsioni dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 59 della L.R. n. 13/1988.

La Regione Puglia ometteva di costituirsi in giudizio.

All’esito il Tribunale adìto, con la sentenza n. 5403/2001 in epigrafe, respingeva il ricorso, reputando infondate le pretese di parte.

Seguiva il presente appello alla Sezione avverso tale decisione da parte dell’interessata, che riproponeva le proprie domande e contestava gli argomenti con l’ausilio dei quali il primo Giudice le aveva disattese.

La Regione non si costituiva nemmeno in questo grado di giudizio.

In seguito, con decreto n. 1700 del 27 giugno 2012, l’appello veniva dichiarato perento. Tale declaratoria veniva tuttavia di lì a poco revocata, dinanzi alla dichiarazione di parte del persistente interesse alla trattazione della causa, con il successivo decreto n. 3153 dell’11 dicembre 2012, con il quale veniva disposta la reiscrizione dell’affare sul ruolo di merito.

La ricorrente, infine, con una conclusiva memoria riprendeva e sviluppava le proprie argomentazioni, insistendo per l’accoglimento dell’appello.

Alla pubblica udienza del 4 marzo 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.

L’appello è infondato.

1 Le pretese di parte che formano oggetto di causa poggiano sul presupposto che l’interessata, operando quale responsabile del Centro di servizio e programmazione culturale di Bari – Quartiere San Paolo, abbia prestato con ciò mansioni inerenti a qualifica superiore a quella formalmente rivestita (come detto, la VII).

La Sezione deve però immediatamente ricordare che il primo Giudice ha escluso la sussistenza in concreto di un simile presupposto. Questi ha osservato, infatti, che, poiché la Legge Regionale 12 dicembre 1979 n. 76 (“Disciplina Centri Servizi Sociali e Culturali della Regione Puglia e interventi di programmazione culturale sul territorio”) si limitava ad esigere, all’art. 4, che i responsabili dei Centri in discorso fossero “in possesso di laurea”, la relativa posizione avrebbe potuto essere ricoperta anche da personale appartenente alla VII q.f..

Avverso tale specifico aspetto della decisione oggetto di scrutinio non è stata tuttavia mossa in questa sede alcuna puntuale critica, essendosi l’appellante limitata alla mera riproposizione del proprio apodittico assunto (presentato come “indiscutibile”) di avere prestato, nel ricoprire l’incarico suddetto, mansioni superiori. 

2 La Sezione intende però per completezza far notare che le pretese di parte si rivelano infondate anche a prescindere dal precedente rilievo (che pure sarebbe di per sé già decisivo). 

3 Con riferimento alla richiesta dell’interessata di essere inquadrata nel livello sovraordinato in forza della superiore posizione temporaneamente ricoperta, è la stessa parte richiedente a riconoscere - tanto nel suo atto di appello quanto nella sua conclusiva memoria - che l’evoluzione normativa e giurisprudenziale “ha ormai categoricamente escluso la possibilità di inquadramento nel profilo superiore” (memoria cit., pag. 2). Sicché la Sezione può limitarsi, in proposito, a dare atto che l’impostazione consolidata della giurisprudenza amministrativa è proprio nel senso indicato (cfr. di recente, ad es., Consiglio di Stato sez. V, 29 novembre 2013, n. 5715; VI, 27 luglio 2010, n. 4880; IV, 15 settembre 2009, n. 5529), venendo pacificamente esclusa l’applicabilità all’impiego presso le Amministrazioni Pubbliche dell'art. 2103 cod. civ..

4 Parimenti infondata, però, è la pretesa di parte di conseguire le differenze retributive corrispondenti alle vantate mansioni superiori.

4a La giurisprudenza di questo Consiglio è ormai stabilizzata in senso sfavorevole anche alle istanze del personale pubblico tese al riconoscimento delle differenze retributive legate allo svolgimento di mansioni superiori.

La posizione si fonda sulle seguenti acquisizioni (cfr. la decisione n. 3314\2010 della Sezione, dalla quale si traggono i passaggi di seguito riportati):

a) a meno che non via sia una specifica disposizione di legge che disponga altrimenti, lo svolgimento in via di mero fatto di mansioni superiori da parte del pubblico dipendente, rispetto a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di inquadramento, costituisce circostanza irrilevante, oltre che ai fini della progressione in carriera, anche ai fini economici, non essendo sotto tale aspetto il rapporto di pubblico impiego assimilabile al rapporto di lavoro privato, sia perché gli interessi pubblici coinvolti sono di natura indisponibile, sia, comunque, perché l'attribuzione di mansioni superiori e del correlativo trattamento economico devono avere il loro presupposto indefettibile nel provvedimento di inquadramento (cfr., tra le tante, Sez. VI, 8.1.2003, n. 17; 19.9.2000, n. 4871; 22.8.2000, n. 4553; 11.7.2000, n. 3882; Ad. Pl. 23.2.2000 n. 11);

b) la domanda volta ad ottenere una retribuzione superiore a quella riconosciuta dalla normativa applicabile non può essere basata sull'art. 36 Cost., che afferma il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato; tale norma, infatti, non può trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dall'art. 98 Cost. (che, nel disporre che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio) e quali quelli previsti dall'art. 97 Cost., contrastando l'esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con il buon andamento e l'imparzialità dell'Amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità dei funzionari (cfr. Sez. VI, 19.9.2000, n. 4871; Sez. VI, 11.7.2000, n. 3882; Sez. VI, 15.5. 2000, n. 2785; Ad. Plen. 18.11.1999, n. 22);

c) per effetto degli artt. 51 e 97 Cost. le attribuzioni delle mansioni e del relativo trattamento economico non possono essere oggetto di libere determinazioni dei funzionari amministrativi (cfr. Sez. VI, 8.1.2003, n. 17; 19.9.2000, n. 4871; Sez. VI, 11.7. 2000, n. 3882; Ad Pl. 23.2.2000, n. 11);

d) il diritto alle differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni superiori da parte dei pubblici dipendenti va riconosciuto con carattere di generalità soltanto a decorrere dall'entrata in vigore del D.Lgs. 29.10.1998, n. 387, che con l'art. 15 ha reso anticipatamente operativa la disciplina dell'art. 56 D.lgs. 3.2.1993 n. 29, atteso che, prima di tale data, nel settore del pubblico impiego, salvo diversa disposizione di legge, le mansioni svolte da un pubblico dipendente erano del tutto irrilevanti ai fini della progressione di carriera ovvero agli effetti economici di un provvedimento di preposizione ad un ufficio di livello superiore (cfr., tra le tante, Cons. St., Ad. Plen. 23.2.2000, n. 11; Sez. VI 8.1.2003, n. 17; 27.11.2001, n. 5858; 7.5.2001, n. 2520)” (C.d.S., V, n. 3314 cit.).

In conclusione, pertanto, nell'ambito del pubblico impiego lo svolgimento da parte del dipendente di mansioni superiori a quelle dovute in base all'inquadramento è irrilevante, sia ai fini economici, sia ai fini della progressione di carriera, salva l'esistenza di un'espressa disposizione che disponga diversamente (Sez. V, 29 novembre 2013, n. 5715; 17 ottobre 2013, n. 5047; 11 ottobre 2013, n. 4973). 

4b Tutto ciò posto, con riferimento all’eventuale esistenza di un’ipotetica norma specifica che possa munire di fondamento la pretesa dell’attuale ricorrente si può osservare quanto segue. 

4b1 L’arco di tempo al quale la domanda giudiziale si riferisce è compreso tra il 1984 ed il 1990. Ai relativi fini non potrebbero venire quindi in rilievo le previsioni, di gran lunga posteriori, dell’art. 56 del d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, così come successivamente modificato dall’art. 15 del d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387.

4b2 A supporto della pretesa è stato invocato in prime cure il disposto dell’art. 59 della L.R. n. 13/1988. 

Il Giudice locale ha fatto tuttavia già debitamente notare come il testo di tale norma sia univoco nel riferirsi non a qualsivoglia superiore posizione di servizio ricoperta, ma unicamente a quelle implicanti la responsabilità di una delle strutture organizzative di massima dimensione dell’Ente: onde della norma l’interessata non avrebbe potuto beneficiare. L’interpretazione seguita dal Tribunale non può essere considerata, d’altra parte, né “singolare” né “restrittiva”, essendo essa puramente letterale. Sicché neanche avverso tale aspetto della sentenza in epigrafe risulta sollevata in questa sede alcuna puntuale critica. 

4b3 Nel tentativo di reperire un fondamento normativo a sostegno della pretesa, infine, è stato fatto da ultimo un richiamo all’art. 72, comma 4, d.P.R. n. 268/1987, e al successivo decreto n. 333/1990 confermativo della relativa disciplina.

Tali fonti, però, non riguardavano il personale regionale, bensì quello degli enti locali. 

Il primo decreto, per la verità, nel recepire il contenuto degli accordi stipulati in data 28 aprile 1987, estendeva originariamente la propria efficacia a tutte le diverse categorie di personale richiamate nell'art. 4 del d.P.R. n. 68 del 1986, e così anche al personale regionale (cfr. l’art. 1, primo comma, del d.P.R. n. 268 del 1987). Tuttavia la Corte Costituzionale ha prontamente dichiarato (sentenza 27 ottobre 1988, n. 1003) che non spettava allo Stato recepire nel decreto presidenziale n. 268/1987 le norme del sottostante accordo sindacale per la parte concernente il personale delle Regioni e degli enti regionali, dovendo gli accordi sindacali essere recepiti direttamente dalla singola Regione nella sua autonomia costituzionalmente garantita, e conseguentemente la Corte ha annullato il decreto n. 268 nella parte in cui aveva esteso la propria efficacia al suddetto personale (C.Cost. n. 1003/1988 cit.).

Senza dire, infine, che questa Sezione ha già chiarito che l’art. 72 d.P.R. cit. prevede, in via eccezionale, la corresponsione della retribuzione per lo svolgimento di funzioni superiori solo allorché si tratti di incarichi attribuiti relativamente a posti di responsabili delle massime strutture organizzative del singolo Ente: cfr. Sez. V, 3 febbraio 2005, n. 264; 22 ottobre 2007, n. 5484.

Sicché il richiamo alla norma indicata si rivela privo di pregio sotto ogni profilo.

4c Per quanto precede, confermandosi la pretesa di parte carente di fondamento normativo, la decisione reiettiva che forma oggetto d’appello deve essere confermata anche per questo aspetto.

5 Per le ragioni complessivamente esposte l’appello non può che essere respinto.

La mancata costituzione in giudizio dell’Amministrazione appellata esime dal dettare disposizioni sulle spese processuali del presente grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, lo respinge.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 4 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Mario Luigi Torsello, Presidente

Fulvio Rocco, Consigliere

Doris Durante, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere, Estensore

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 24/03/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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