Sunday 06 April 2014 20:41:44

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Variante al piano regolatore generale: nessuna comunicazione di avvio del procedimento a meno che la variante abbia ad oggetto l’esecuzione di una singola opera pubblica su di un’area ben individuata ovvero sia direttamente incidente sugli interessi di singoli proprietari di immobili insistenti nella zone coinvolta dal mutamento di destinazione urbanistica

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 17.3.2014

Ai sensi dell’art. 13 della L. 7 agosto 1990, n. 241, l’adozione di una variante al piano regolatore generale, in quanto provvedimento di pianificazione, non deve necessariamente essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento nei confronti dei soggetti interessati (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 21 agosto 2013, n. 4200), a meno che la variante abbia ad oggetto l’esecuzione di una singola opera pubblica su di un’area ben individuata (così, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 16 settembre 2011, n. 5229), ovvero sia direttamente incidente sugli interessi di singoli proprietari di immobili insistenti nella zone coinvolta dal mutamento di destinazione urbanistica (così, ad es., Cons. Stato, Sez. III, 15 dicembre 2010, n. 4281): ma tali due ipotesi non ricorrono per certo nella specie, posto che l’impugnata variante attiene a una ben ampia parte del territorio comunale che viene nel suo insieme ridisciplinata nella destinazione d’uso senza riguardo a ben specifiche proprietà in essa ricadenti. In tale contesto, quindi, la tutela procedimentale dei proprietari incisi non deve essere differenziata e non può quindi che risolversi nella facoltà di proporre osservazioni o opposizioni al Consiglio Comunale, come previsto dalla disciplina di principio di fonte statuale (cfr. art. 9 della L. 17 agosto 1942, n. 1150) e da quella regionale all’epoca vigente (cfr. art. 11 della L.R. 6 del 1995: cfr., per il relativo principio,la già citata decisione di Cons. Stato, Sez. IV, n. 5229 del 2011). Né può essere condivisa la censura di difetto di istruttoria e di motivazione. Secondo la prospettazione della F.lli Rossi, la Variante al P.R.G. avrebbe dovuto trovare una sua puntuale motivazione in fatti sopravvenuti e oggettivi, la cui contezza avrebbe dovuto essere fondata su di un’adeguata istruttoria e su di una puntuale motivazione. Ciò non può essere condiviso, poché le scelte urbanistiche dettate dall'Amministrazione comunale mediante la relativa strumentazione piano regolatore costituiscono valutazioni connotate da amplissima discrezionalità, sottratte come tali al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto abnormi ovvero da manifesta irragionevolezza (cfr. al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 21 ottobre 2013, n.5114); e che, in tale contesto, fermo restando che l’intero territorio comunale - ovvero una parte preponderante di esso - non può essere inibita all’insediamento di industrie insalubri come definite a’ sensi dell’art. 216 del T.U. approvato con R.D. 1265 del 1934, la presenza di un’area a carattere prettamente storico o residenziale è di per sé sufficiente per fondare la legittimità del divieto all’insediamento medesimo stabilito dal Consiglio Comunale in sede di pianificazione urbanistica (così, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 13 luglio 2011, n. 4243). Inoltre, in linea di principio, e fermo restando che la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico- discrezionale, seguiti nell’impostazione del piano stesso e descritti dalla relazione illustrativa del piano o della sua variante, si richiede una puntuale motivazione allo strumento urbanistico generale soltanto in ipotesi qui, per l’appunto, non sussistenti (di superamento degli standard minimi di cui al D.M. 2 aprile 1968, con riferimento alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento e indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree, nonché di lesione dell’affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree, di aspettative nascenti da giudicati di annullamento di concessioni edilizie o di silenzio rifiuto su una domanda di concessione e, infine, di modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata interclusa da fondi edificati in modo non abusivo: così, ex plurimis, Cons. Stato, Sez.IV, 18 novembre 2013 n. 5453). Per scaricare gratuitamente la sentenza cliccare su "Accedi al provvedimento"

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale* del 2001, proposto dal Comune di Torriana (Rn), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Vittorino Cagnoni, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell’avv. Fabrizio Brochiero Magrone, via Giovanni Bettolo, 4; 

contro

F.lli Rossi fu Alderige S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv. Benedetto Graziosi, con domicilio eletto in Roma presso Gian Marco Grez & associati, corso Vittorio Emanuele II, 18; 

nei confronti di

I signori Guerra Maurizio, Fabbri Mara, Fratti Nevio, Antonini Franco, Gentili Antonella, Guerra Sergio, Battistini Donatella, Giannotti Silvano, Gori Maurizio, Francioni Lea, Amanati Anna, Guerra Marco, Eusebi Severina, Pellegrini Sonia, Sberlati Simona, Bottega Paola, Fratti Aldo, Genestreti Ezia, Fabbri Venanzio, Vulpinari Iolanda, Fabbri Mauro, Antimi Pierina, Zanni Albertina, Bartolini Ugo, Bartolini Bruno, Fabbri Michele, Antonelli Narcisa, Di Emiliano Bianca, Santussi Rinaldo, Magnani Alberto, Antonini Anna, Travaglini Orietta, Fabbri Giovanni, Raggi Valeria, Gualtieri Andrea, Gualtieri Mario, Genestreti Maria Domizia, Cappello Luigi, Spadazzi Gigliola, Cappello Matteo, Vulpinari Anna, Ceccarini Marina, Fattori Eleonora, Marchetti Adriano, Giulianelli Giovanna, Bianchi Paolo, Comandini Rosa, Ceccarini Mirco, Bartolucci Sabrina, Calisti Maurizio, Antonini Annamaria, Fratti Renato, Fratti Massimo, Giannotti Rita, Santucci Serena, Montanari Paola, Pula Letizia, Piscaglia Loredana, Casadei Secondo, Banfi Fabrizio, Guerra Marino, Garattoni Gabriella, Antonini Pasquale, Mami Stelinda, Antonini Alfio, Antonini Claudio, Pollini Marina, Bianchi Fausto, Bianchi Angela, Cecchini Remo, Bianchi Luigi; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per l’Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, n. 145 dd. 8 febbraio 2001, concernente diniego concessione edilizia

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2014 il Cons. Fulvio Rocco e uditi per l’appellante Comune di Torriana l’avv. Teresa Barbantini su delega dell'avv. Vittorino Cagnoni, e per l’appellata F.lli Rossi fu Alderige S.r.l. l’avv. Benedetto Graziosi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

1.1. La F.lli Rossi fu Alderige S.r.l. ha presentato in data 3 settembre 1998 al Comune di Torriana (Rn) un progetto di variante a concessione edilizia riguardante un edificio destinato ad impianto di zincatura e consistente nella costruzione di un piccolo corpo in ampliamento (mq. 64) e nella sistemazione dei bagni e degli spogliatoi dei dipendenti.

Su tale domanda il Comune non ha adottato alcun provvedimento, nel mentre con deliberazione n. 75 dd. 29 dicembre 1998 il Consiglio Comunale ha adottato una variante al P.R.G. avente ad oggetto la disciplina dell’art. 49 delle N.T.A. del P.R.G. medesimo, riguardante le destinazioni d’uso ammesse nelle zone omogenee produttive D, introducendo per l’effetto il divieto di insediamento nella località Colombare - Via Molino Vigne di industrie insalubri di I classe e, parzialmente, di II classe così come definite dall’art. 216 del T.U. approvato con R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 e dal D.M. 5 settembre 1994.

In dipendenza di ciò, pertanto, con provvedimento n. 6501/92 dd. 3 febbraio 1999 il Responsabile dell’Ufficio tecnico comunale ha sospeso ogni determinazione sulla domanda di concessione edilizia anzidetta, opponendo al riguardo – a’ sensi della L. 3 novembre 1952, n. 1902, e dell’art. 55 della L.R. 7 dicembre 1978, n. 47 - la vigenza delle misure di salvaguardia sull’adottata variante allo strumento urbanistico.

Va opportunamente precisato che il medesimo Responsabile aveva reputato ultroneo far precedere tale provvedimento soprassessorio dal parere della Commissione edilizia comunale, la quale a’ sensi dell’art. 15 della L.R. 24 giugno 1990, n. 33, e dell’art. 14 del Regolamento edilizio del Comune di Torriana doveva in effetti esprimersi sull’intervento della F.lli Rossi esclusivamente sotto il profilo estetico, ossia “solo in ordine agli aspetti formali, compositivi ed architettonici delle opere edilizie ed al loro inserimento nel contesto urbano ed ambientale” .

Tuttavia il Responsabile anzidetto ha deciso poi di acquisire comunque il parere della Commissione edilizia comunale, anche se nel frattempo era stato emesso l’anzidetto provvedimento soprassessorio.

La Commissione edilizia comunale si è espressa nella sua seduta dd. 15 febbraio 1999 in senso negativo sul progetto della F.lli Rossi; e il relativo parere è stato ad essa comunicato dallo stesso Responsabile con nota n. 851 dd. 16 febbraio 1999.

Va pure soggiunto che nel frattempo, ossia in data 20 gennaio 1999, la F.lli Rossi ha presentato al Comune, a’ sensi dell’art. 2, comma 60, della L. 23 dicembre 1996, n. 662, una denuncia di inizio attività per la realizzazione di opere interne e la posa in opera di impianti tecnologici.

Il Responsabile dell’ufficio tecnico, pur prendendo atto che tale nuovo progetto non sostanziava alcuna ipotesi di ampliamento del fabbricato esistente, ha rilevato che lo scopo perseguito dalla F.lli Rossi era comunque quello di realizzare gran parte delle opere previste dal progetto in ordine al quale era stato adottato l’anzidetto provvedimento soprassessorio: e, pertanto, con ulteriore provvedimento Prot. n. 286/99 dd. 3 febbraio 1999 ha diffidato la F.lli Rossi, a’ sensi e per gli effetti dell’art. 4, comma 8, lett. b), del D.L. 5 ottobre 1993, n. 398, convertito con modificazioni in L. 4 novembre 1993, n. 498, e poi modificato dall’anzidetto art. 2, comma 60, della L. 662 del 1996, a realizzare i lavori contemplati dalla predetta denuncia di inizio di attività, stante la loro difformità rispetto allo strumento urbanistico adottato.

1.2. In dipendenza di tutto ciò, con ricorso proposto innanzi al T.A.R. per l’Emilia Romagna, Sede di Bologna, sub R.G. n. 493 del 1999 la F.lli Rossi ha chiesto l’annullamento del provvedimento n. 6501/92 dd. 3 febbraio 1999 a firma del Responsabile dell’Ufficio tecnico comunale di Torriana, recante la sospensione di ogni determinazione sulla domanda di concessione edilizia in variante da essa presentata il 3 settembre 1998; della presupposta deliberazione del Consiglio Comunale di Torriana n. 75 dd. 29 dicembre 1998 recante l’adozione di Variante alle N.T.A. del vigente P.R.G; del parere dd. 15 febbraio 1999 reso dalla Commissione edilizia comunale sulla predetta domanda dd. 3 settembre 1998 e della relativa nota di trasmissione del medesimo Responsabile n. 851 dd. 16 febbraio 1999; nonché della diffida n. 286/99 dd. 3 febbraio 1999 a firma del Responsabile dell’Ufficio tecnico comunale a non realizzare le opere contemplate nella denuncia di inizio di attività presentata il 20 gennaio 1999.

La F.lli Rossi ha – altresì – chiesto la condanna del Comune di Torriana al risarcimento del danno asseritamente discendente dagli atti impugnati.

La F.lli Rossi ha dedotto al riguardo le seguenti censure:

A) Con riferimento al provvedimento di opposizione delle misure di salvaguardia e alla dichiarazione di non accoglibilità della denuncia di inizio attività:

1) Violazione della legge n. 1902/1952; eccesso di potere per falso supposto di fatto e di diritto; violazione del principio di irretroattività degli atti di pianificazione urbanistica; sviamento.

In particolare, secondo la prospettazione della F.lli Rossi, il provvedimento soprassessorio dd. 3 febbraio 1999 non recava alcuna considerazione in ordine alla circostanza che l’ampliamento progettato accedeva ad un’opera realizzata in epoca precedente e non disciplinata dalla pianificazione urbanistica sopravvenuta, completandone la funzionalità: dimodochè un marginale adeguamento del fabbricato non avrebbe costituito quella nuova istallazione di industrie insalubri che la Variante al P.R.G. mirava ad impedire.

Sotto altro profilo, entrambi i provvedimenti controversi erano – sempre ad avviso della F.lli Rossi – viziati da sviamento, in quanto finalizzati ad impedire lo svolgimento concreto dell’attività di impresa;

2) Violazione dell’art. 27 della L.R. 47 del 1978 e successive modificazioni, nonché dell’art. 2, comma 60, della L. 662 del 1996; eccesso di potere per falso presupposto di diritto, difetto di presupposto nonché sviamento: e ciò in quanto, nella fattispecie, l’Amministrazione era priva del potere di provvedere, essendosi consumata la fattispecie abilitativa con il silenzio-assenso ed essendo, in ogni caso, la pendenza della situazione giuridica conseguenza della violazione dell’obbligo di provvedere;

B) Con riferimento al parere della Commissione edilizia dd. 15 febbraio 1999 e alla nota n. 851 dd. 16 febbraio 1999.

1) Eccesso di potere per illogicità manifesta e violazione dei principi generali in materia di rilascio di concessioni edificatorie, avuto riguardo all’asserita abnormità del giudizio formulato dalla Commissione edilizia;

C) Con riferimento alla delibera di adozione della Variante alle N.T.A. del P.R.G.:

1) Violazione degli artt. 7 e 8 della L. 7 agosto 1990, n. 241, per omessa comunicazione alla medesima F.lli Rossi dell’avvio del procedimento;

2) Violazione dell’art. 15 della L.R. 47 del 1978 e dei principi generali in materia di pianificazione urbanistica e di variante; eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, nonché travisamento: e ciò in quanto la nuova Variante, adottata a pochi mesi di distanza dal perfezionamento della precedente variante generale, avrebbe dovuto trovare giustificazione in fatti oggettivi e sopravvenuti ed essere assistita da adeguata motivazione anche in ordine alla comparazione tra i diversi interessi coinvolti, nonché supportata da idonea istruttoria sotto il profilo igienico-sanitario.

1.3. Si è costituito in tale primo grado di giudizio il Comune di Torriana, concludendo per la reiezione del ricorso.

1.4. Sono - altresì - intervenuti, ad opponendum numerosi residenti nella zona adiacente all’edificio di cui è causa, indicati in epigrafe.

1.5. Con ordinanza n. 167 dd. 28 aprile 1999, la Sezione I dell’adito T.A.R. ha accolto la domanda di sospensione cautelare presentata dalla F.lli Rossi limitatamente all’impugnativa della diffida dd. 3 febbraio 1999 ad eseguire opere interne ed impianti tecnologici, nonché al parere negativo dd. 15 febbraio 1999 reso dalla Commissione edilizia comunale e alla sua comunicazione.

La medesima Sezione ha susseguentemente respinto, con ulteriore ordinanza n. 492 dd. 17 novembre 1999, la domanda di esecuzione della testè riferita ordinanza n. 167 del 1999.

A sua volta, in sede cautelare d’appello, questa stessa Sezione ha confermato con propria ordinanza n. 518 dd. 1 febbraio 2000 l’ordinanza n. 492 del 1999 resa dal giudice di primo grado, nel mentre con ordinanza n. 3433 dd. 30 giugno 2000 ha riformato l’ordinanza n. 167 del 1999 resa dallo stesso T.A.R.

1.6. Con sentenza n. 145 dd. 8 febbraio 2001, la medesima Sez. I dell’adito T.A.R. ha parzialmente accolto il ricorso proposto dalla F.lli Rossi, annullando i provvedimenti adottati dal Responsabile dell’Ufficio tecnico comunale n. 6501/92 dd. 3 febbraio 1999, n. 286/99 dd. 3 febbraio 1999 e n. 851 dd. 16 febbraio 1999 e dichiarando improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse l’impugnativa proposta avverso la deliberazione consiliare n. 75 dd. 29 dicembre 1998.

Il T.A.R. ha – altresì – dichiarato inammissibile la domanda di risarcimento del danno proposta dalla F.lli Rossi e ha compensato integralmente tra tutte le parti le spese e gli onorari di tale giudizio di primo grado.

2.1. Con l’appello in epigrafe il Comune di Torriana chiede ora la riforma di tale sentenza limitatamente all’anzidetta statuizione di annullamento dei provvedimenti adottati dal Responsabile dell’Ufficio tecnico comunale n. 6501/92 dd. 3 febbraio 1999, n. 286/99 dd. 3 febbraio 1999 e n. 851 dd. 16 febbraio 1999.

L’appellante Comune deduce al riguardo innanzitutto l’erroneità della sentenza impugnata laddove ha affermato la perdurante vigenza del regime di silenzio-assenso in ordine alle domande di rilascio delle concessioni edilizie contemplato dall’art. 27 della L.R. 47 del 1978 come sostituito dall’art. 22 della L.R. 30 gennaio 1995, n. 6, pur essendo al tempo dei fatti di causa intervenuta a disciplinare la medesima materia, in senso assolutamente difforme al regime medesimo, la normativa contenuta nell’art. 4 del D.L. 398 del 1993, convertito con modificazioni in L. 493 del 1993 e modificato dall’art. 2, comma 60, della L. 662 del 1996.

Con un ulteriore ordine di motivi, lo stesso Comune deduce inoltre l’erroneità della sentenza impugnata per quanto attiene alla qualificazione del parere reso in sanatoria dalla Commissione edilizia comunale come autonomo provvedimento di diniego di rilascio della concessione edilizia.

2.2. Si è costituita in giudizio la F.lli Rossi, concludendo per la reiezione dell’appello e chiedendo che, nell’ipotesi di accoglimento dello stesso, sia disaminato il secondo morivo di ricorso proposto in primo grado e dichiarato improcedibile dal T.A.R., con conseguente annullamento della deliberazione del Consiglio Comunale di Torriana n. 75 dd. 29 dicembre 1998, recante l’adozione della predetta variante normativa al P.R.G.

2.4. Non si sono, viceversa, costituiti nel presente grado di giudizio gli anzidetti residenti nella zona adiacente all’edificio di cui è causa e che innanzi al T.A.R. avevano dispiegato intervento ad opponendum.

2.5. Con ordinanza n. 5303 dd. 25 settembre 2001, la Sezione ha respinto la domanda di sospensione cautelare della sentenza resa in primo grado, “considerato che non è contestato che l’opera sia ormai costruita e che è opportuno tenere fermo lo stato dei fatti sino alla pronuncia di merito sull’appello”.

3. Alla pubblica udienza del 14 gennaio 2014 il patrocinio della F.lli Rossi ha richiamato la circostanza dell’avvenuta fusione dei Comuni di Torriana e di Poggio Berni nel nuovo Comune di Poggio Torriana,medio tempore disposta per effetto della L.R. 7 novembre 2013, n. 19, e ha pertanto chiesto al Collegio di disporre un interruzione del processo.

A tale istanza si è opposto il patrocinio del Comune.

La causa è stata quindi trattenuta per la decisione.

4. Tutto ciò premesso, il Collegio deve innanzitutto disaminare la richiesta della F.lli Rossi di interruzione del presente processo a seguito della fusione –medio tempore avvenuta a’ sensi della L.R. 7 novembre 2013 n. 19 - dei Comuni di Torriana e di Poggio Berni nel nuovo Comune di Poggio Torriana.

Tale richiesta non può essere accolta.

L’art. 79, commi 1 e 2, cod. proc. amm. rinvia per le ipotesi di sospensione e di interruzione del processo alla disciplina contenuta al riguardo nel codice di procedura civile.

Innanzitutto, va precisato che la richiesta del patrocinio di F.lli Rossi deve essere correttamente configurata come diretta a conseguire non già una sospensione del processo, ma una sua interruzione a’ sensi e per gli effetti dell’art. 299 e ss. cod. proc. civ.: e, poiché le norme sull'interruzione del processo sono volte a tutelare la parte nei confronti della quale si sia verificato tale evento e che dallo stesso può essere pregiudicata, questa è la sola legittimata a valersi della mancata interruzione (così, ex plurimis, Cass. Civ., Sez. II, 19 settembre 2011, n. 19095; ma anche, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 7 settembre 2009 n. 5238): il che, pertanto, rende ex se inammissibile la richiesta del patrocinio di F.lli Rossi.

Nella specie, pertanto, soltanto il patrocinio del Comune di Torriana avrebbe potuto chiedere l’interruzione del presente giudizio: ma avendo il patrocinio medesimo espressamente ricusato ciò, va anche in questo caso ribadito che nell’ipotesi di soppressione di un ente pubblico, con il trasferimento dei relativi rapporti giuridici ad un altro ente, trova applicazione l’art. 300 cod. proc. civ. che impone, ai fini della interruzione, la corrispondente dichiarazione in udienza del procuratore costituito per la parte interessata dall’evento (configurabile non come mera dichiarazione di scienza, ma come vera e propria manifestazione di volontà diretta a provocare la predetta interruzione) o la notifica di quest’ultimo alle altre parti e che – come per l’appunto nella presente fattispecie - in assenza di una siffatta dichiarazione entro la chiusura della discussione, la posizione della parte rappresentata resta stabilizzata rispetto alle altre parti ed al giudice quale persona giuridica ancora esistente, con correlativa ultrattività della procura ad litem, nessun rilievo assumendo, ai fini suddetti, la conoscenza dell’evento aliunde acquisita, ancorché evincibile da un provvedimento legislativo che ha disposto tale soppressione (così, puntualmente, Cass. Civ., Sez. I, 13 marzo 2013 n. 6208).

Tale principio rende irrilevante l’esame della questione se, nel caso di ‘fusione’ di due Comuni, si possa ipotizzare proprio che vi sia stata una ‘soppressione’ di una pubblica amministrazione.

5.1. Chiarito quanto sopra, l’appello in epigrafe va accolto.

5.2. Nella sentenza impugnata si legge che “sotto il profilo logico-giuridico, deve essere prioritariamente affrontata e risolta la questione di diritto posta dal secondo mezzo di impugnazione, con il quale la ricorrente sostiene essere intervenuto, sulla propria domanda di concessione edilizia 3 settembre 1998, il silenzio-assenso previsto dall’art. 27 della L.R. n. 47 del 1978 e successive modificazioni” e che la tesi sostenuta nel primo grado di giudizio dal Comune di Torriana, ossia che sia intervenuta l’abrogazione dell’istituto del silenzio-assenso, come disciplinato dalla menzionata disposizione regionale, a seguito della sopravvenuta disciplina contenuta nell’art. 2, comma 60, della L. 662 del 1996 risulterebbe smentita “sulla base della giurisprudenza della Corte Costituzionale” e – segnatamente – della sentenza n. 241 dd. 18-23 luglio 1997 resa da quest’ultima.

Il T.A.R. al riguardo afferma che la Corte Costituzionale si è espressa sull’art. 2, comma 60, della L. 662 del 1996, osservando testualmente quanto segue:

“il diciottesimo comma dell’art. 4 della L. 493 del 1993, introdotto dalla suddetta disposizione, “in modo onnicomprensivo ed indiscriminato pone le Regioni a Statuto speciale, le Province autonome di Trento e Bolzano e le Regioni ordinarie sullo stesso piano nell’obbligo di adeguamento delle proprie normazioni ai principi contenuti nel presente articolo in tema di procedimento, cioè - come definito nella rubrica dell'articolo stesso - di “procedure per il rilascio delle concessione edilizia ”;in tale maniera, il legislatore statale interviene in materia urbanistica nel campo dei procedimenti per il rilascio delle concessioni edilizie, con una serie di norme analitiche e di dettaglio che (in sostituzione di precedente disciplina statale applicabile in assenza di legislazione regionale: v. D.L. n. 398 del 1993, convertito dalla L. n. 493 del 1993) scandiscono le fasi e le cadenze procedimentali degli uffici comunali competenti, prevedendo, altresì, i termini per il rilascio e le conseguenze del decorso del termine, con obblighi per l'Amministrazione comunale e regionale, ed in modo particolareggiato l'istituto della denuncia di inizio di attività”;

“anche se le anzidette nuove norme statali non hanno alcun effetto abrogativo della preesistente disciplina regionale in materia, tuttavia comportano per le Regioni (cosi indicate accanto alle Province autonome) un obbligo generico ed indiscriminato di adeguamento ai principi della stessa legge statale, con una sostanziale parificazione della diversa potestà legislativa esclusiva spettante in materia alla Regione ricorrente a statuto speciale”;

“né può ammettersi che con una formula, sia pure di obbligo di adeguamento ai principi della legge statale (costituenti un limite della legislazione per le Regioni ordinarie), si possa interferire - per di più intervenendo su un assetto normativo preesistente che ciascuna delle Regioni a statuto speciale si era legittimamente dato in modo completo - sulla competenza primaria ed esclusiva in materia urbanistica delle Regioni e delle Province ad autonomia speciale (cfr., nella specie, art. 4 dello Statuto di autonomia della Regione Friuli Venezia Giulia) suscettibile di limiti derivanti da principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato o da norme fondamentali delle riforme economico sociali”.

Il T.A.R. ha rimarcato, quindi, che, “non potendo la competenza primaria delle Regioni a statuto speciale essere declassata negli stessi limiti più ristretti della competenza concorrente delle Regioni di diritto comune”, la Corte ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale del citato art. 4, diciottesimo comma, nella parte in cui prevede l’obbligo di adeguamento per le Regioni a Statuto speciale e per le Province autonome” e che, pertanto, sarebbe “la stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale ad escludere espressamente che le nuove norme statali di carattere procedimentale rivestano efficacia abrogativa nei riguardi della preesistenti norme regionali, comportando esse unicamente un obbligo di futuro adeguamento ai principi della legge statale: obbligo che, nella misura in cui è rivolto indiscriminatamente anche nei confronti delle Regioni a Statuto Speciale e delle province autonome, ne invade illegittimamente la sfera di competenza esclusiva, ma – per quanto riguarda le Regioni a Statuto ordinario – non fa scattare le conseguenze di cui all’art. 10 della L. 10 febbraio 1962 n. 53. …Concludendo sul punto, occorre ritenere che – all’epoca della presentazione della domanda di concessione edilizia da parte della Società ricorrente (3 settembre 1998) – era da considerarsi vigente l’art. 27 della L.R. n. 47 del 1985 (come sostituito dall’art. 22 L.R. n. 6 del 1995), ed in particolare l’undicesimo comma in forza del quale “decorso inutilmente il termine per il rilascio della concessione, di cui al comma decimo, la domanda di concessione si intende accolta”. Invero, a quel momento la Regione Emilia-Romagna non aveva ancora provveduto ad adeguarsi ai principi di cui al più volte citato art. 2 comma 60 della L. 662 del 1996: e, peraltro … la nuova legge regionale in materia urbanistica, successivamente approvata dalla Regione (n. 20 del 2000), si limita all’art. 47 a modificare (mediante aggiunta di un ultimo comma) il menzionato art. 27, come modificato e integrato, della L.R. n. 47 del 1978, con ciò implicitamente confermando che le norme procedimentali ivi contenute (e le conseguenze, in termini di silenzio-assenso, della loro inosservanza) non sono mai venute meno”.

5.3. Ritiene il Collegio che sono fondate e vanno accolte le deduzioni dell’appellante.

L’art. 10, primo comma, della L. 62 del 1953 dispone nel senso che “le leggi della Repubblica che modificano i principi fondamentali” delle materie devolute alla competenza legislativa concorrente delle Regioni a statuto ordinario “abrogano le norme regionali che siano in contrasto con esse”; e, sempre in tal senso, il secondo comma dello stesso art. 10 dispone che “i Consigli regionali dovranno portare alle leggi regionali le conseguenti, necessarie modificazioni entro novanta giorni”, al cui spirare si sostanzia l’applicazione precettiva dello ius novum di fonte statuale e il conseguente effetto abrogativo della fonte normativa regionale divenuta difforme (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 2 ottobre 2008, n. 4793).

In tal senso, quindi, la disposizione contenuta nell’art. 4, comma 18, del D.L. 398 del 1993 convertito con modificazioni in L. 493 del 1993, e rilevante nel giudizio ratione temporis, laddove si affermava che “le Regioni adeguano le proprie formazioni ai principi contenuti nel presente articolo in tema di procedimento”, altro non ha fatto che applicare anche a tale disciplina di settore il contenuto dell’art. 10 della L. 62 del 1953, disponendo in tal modo la sostituzione precettiva dell’istituto del silenzio-assenso contemplato dalla fonte legislativa regionale con la nuova disciplina procedimentale contemplata dalla legislazione statale di principio.

Né può negarsi che l’art. 2, comma 60, della L. 662 del 1996 abbia avuto valenza di disciplina di principio – e, pertanto, cogente nei riguardi della fonte normativa regionale operante in materia di competenza c.d.“concorrente” secondo l’originario testo dell’art. 117 Cost., nonché secondo quello innovato per effetto dell’art. 3 della L. Cost. 18 ottobre 2001 n. 3 – posto che esso ha sostituito completamente l’art. 4 del D.L. 398 del 1993, convertito con modificazioni dalla L. 493 del 1993, innovando funditus la previgente disciplina dettata in tema di procedimento di rilascio della concessione edilizia con l’introduzione di norme palesemente incompatibili con l’istituto del silenzio-assenso.

Va anche soggiunto che secondo la tesi del T.A.R. - fatta propria anche dall’appellante - poiché l’art. 47 della L.R. 24 marzo 2000, n. 20, nel novellare l’art. 27 della L.R. 47 del 1978 non avrebbe sostituito anche la parte di quest’ultimo contemplante l’istituto del silenzio-assenso, dovrebbe concludersi nel senso della perdurante vigenza dell’istituto medesimo nel contesto ordinamentale regionale pur anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 2, comma 60, della L. 662 del 1996.

Così – peraltro - non è, stante la circostanza che, a prescindere dall’esplicito mancato adeguamento al riguardo da parte del legislatore regionale, l’effetto abrogativo dell’istituto del silenzio-assenso nell’ordinamento regionale si era nella specie comunque determinato dopo 90 giorni dall’entrata in vigore dell’art. 2, comma 60, della L. 662 del 1996 (avvenuta il 1° gennaio 1997; cfr. al riguardo la Gazzetta Ufficiale n. 303 del 28 dicembre 1996 - Suppl. Ordinario n. 233), ossia il 1° aprile 1998: e, cioè, in epoca antecedente a quella in cui sono stati emanati gli atti impugnati.

Ma va soprattutto evidenziato che il fulcro della tesi del T.A.R. muove da un presupposto all’evidenza sbagliato, ossia che la surriferita sentenza della Corte Costituzionale n. 241 dd. 18-23 luglio 1997 si riferisca alle Regioni a statuto ordinario.

Così non è, in quanto la sentenza medesima è stata resa su di un ricorso proposto segnatamente avverso l’art. 2, comma 60, della L. 662 del 1996 dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia a’ sensi dell’art. 127 Cost. (nel testo previgente rispetto a quello introdotto con l’art. 8 della L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3) e dell’art. 32 della L. 11 marzo 1953, n. 87: e, pertanto, le proposizioni che il T.A.R. ha tratto dalla sentenza anzidetta e riprodotto nella propria attengono essenzialmente alla particolare disciplina vigente nel Friuli Venezia, Regione ad autonomia speciale, laddove la materia dell’urbanistica (e, a fortiori, anche dell’edilizia che ne è parte integrante) non soggiace ai limiti propri dell’art. 117 Cost. sia nel suo testo originario con riferimento all’“urbanistica” (cfr. ivi: “La Regione emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato”) , sia in quello novellato per effetto dell’art. 3 della L.Cost. 3 del 2001 con riferimento al “governo del territorio” (cfr. ivi: “Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: … governo del territorio”), ma a quelli ben più ampi dell’art. 4, comma primo, nonché n. 12, del relativo Statuto di autonomia speciale approvato con L. Cost. 31 gennaio 1963, n. 1, e come da ultimo modificato dall’art. 5 della L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 2, e che – per l’appunto – non sono contraddistinti dai principi fondamentali vigenti per le singole materie rese oggetto di competenza legislativa regionale “ripartita” “concorrente”, ma dall’ “armonia con la Costituzione, con i principi generali dell'ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato, nonché nel rispetto degli interessi nazionali e di quelli delle altre Regioni” (cfr. ivi).

Solo in tale contesto di autonomia regionale esclusiva, pertanto, e non in quello proprio dell’autonomia concorrente, possono trovare applicazione quegli assunti contenuti nella sentenza della Corte Costituzionale richiamata impropriamente dal T.A.R. e che escludono l’ordinamento regionale dall’applicazione precettiva della difforme disciplina di fonte legislativa statuale (ossia, nel caso di specie, l’art. 2, comma 60, della L. 662 del 1996).

L’insieme delle surriportate notazioni risulta ex se assorbente per l’accoglimento dell’appello in epigrafe, posto che sia il provvedimento soprassessorio adottato dal Responsabile preposto all’Ufficio tecnico nei riguardi della domanda di concessione in variante, sia il provvedimento di diffida a realizzare le opere rese oggetto della denuncia di inizio di attività, parimenti adottato dal Responsabile medesimo, trovavano il proprio legittimo fondamento nella medio tempore adottata Variante al P.R.G., la quale – a differenza di quanto affermato dallo stesso T.A.R. – non può pertanto reputarsi inopponibile alla F.lli Rossi in quanto la sua adozione risulterebbe successiva rispetto alla pretesa formazione del silenzio-assenso in applicazione della legislazione regionale.

5.4. Da ciò, pertanto, consegue la necessità di scrutinare in questa sede, conformemente alla richiesta della parte appellata, i motivi di ricorso proposti in primo grado e che il T.A.R. ha assorbito.

Ciò posto, tali motivi vanno respinti.

Innanzitutto, va ribadito che a’ sensi dell’art. 13 della L. 7 agosto 1990, n. 241, l’adozione di una variante al piano regolatore generale, in quanto provvedimento di pianificazione, non deve necessariamente essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento nei confronti dei soggetti interessati (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 21 agosto 2013, n. 4200), a meno che la variante abbia ad oggetto l’esecuzione di una singola opera pubblica su di un’area ben individuata (così, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 16 settembre 2011, n. 5229), ovvero sia direttamente incidente sugli interessi di singoli proprietari di immobili insistenti nella zone coinvolta dal mutamento di destinazione urbanistica (così, ad es., Cons. Stato, Sez. III, 15 dicembre 2010, n. 4281): ma tali due ipotesi non ricorrono per certo nella specie, posto che l’impugnata variante attiene a una ben ampia parte del territorio comunale che viene nel suo insieme ridisciplinata nella destinazione d’uso senza riguardo a ben specifiche proprietà in essa ricadenti.

In tale contesto, quindi, la tutela procedimentale dei proprietari incisi non deve essere differenziata e non può quindi che risolversi nella facoltà di proporre osservazioni o opposizioni al Consiglio Comunale, come previsto dalla disciplina di principio di fonte statuale (cfr. art. 9 della L. 17 agosto 1942, n. 1150) e da quella regionale all’epoca vigente (cfr. art. 11 della L.R. 6 del 1995: cfr., per il relativo principio,la già citata decisione di Cons. Stato, Sez. IV, n. 5229 del 2011).

Né può essere condivisa la censura di difetto di istruttoria e di motivazione.

Secondo la prospettazione della F.lli Rossi, la Variante al P.R.G. avrebbe dovuto trovare una sua puntuale motivazione in fatti sopravvenuti e oggettivi, la cui contezza avrebbe dovuto essere fondata su di un’adeguata istruttoria e su di una puntuale motivazione.

Ciò non può essere condiviso, poché le scelte urbanistiche dettate dall'Amministrazione comunale mediante la relativa strumentazione piano regolatore costituiscono valutazioni connotate da amplissima discrezionalità, sottratte come tali al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto abnormi ovvero da manifesta irragionevolezza (cfr. al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 21 ottobre 2013, n.5114); e che, in tale contesto, fermo restando che l’intero territorio comunale - ovvero una parte preponderante di esso - non può essere inibita all’insediamento di industrie insalubri come definite a’ sensi dell’art. 216 del T.U. approvato con R.D. 1265 del 1934, la presenza di un’area a carattere prettamente storico o residenziale è di per sé sufficiente per fondare la legittimità del divieto all’insediamento medesimo stabilito dal Consiglio Comunale in sede di pianificazione urbanistica (così, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 13 luglio 2011, n. 4243).

Inoltre, in linea di principio, e fermo restando che la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico- discrezionale, seguiti nell’impostazione del piano stesso e descritti dalla relazione illustrativa del piano o della sua variante, si richiede una puntuale motivazione allo strumento urbanistico generale soltanto in ipotesi qui, per l’appunto, non sussistenti (di superamento degli standard minimi di cui al D.M. 2 aprile 1968, con riferimento alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento e indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree, nonché di lesione dell’affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree, di aspettative nascenti da giudicati di annullamento di concessioni edilizie o di silenzio rifiuto su una domanda di concessione e, infine, di modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata interclusa da fondi edificati in modo non abusivo: così, ex plurimis, Cons. Stato, Sez.IV, 18 novembre 2013 n. 5453).

6. Quanto precede comporta che, in riforma della sentenza del TAR, il ricorso di primo grado va respinto.

Le spese e gli onorari di entrambi i gradi di giudizio possono essere integralmente compensati tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 8949 del 2001, come in epigrafe proposto, lo accoglie e – per l’effetto – in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto in primo grado n. 493 del 1999.

Compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari di entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2014 con l’intervento dei magistrati:

 

 

Luigi Maruotti, Presidente

Carlo Saltelli, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere

Fulvio Rocco, Consigliere, Estensore

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 17/03/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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