Thursday 17 July 2014 09:08:00

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Opere pubbliche: non sussiste alcun obbligo dell'Amministrazione di comunicare l'avvio del procedimento ex art. 7 L. n. 241/1990 relativamente all'approvazione di un progetto preliminare

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 7.7.2014

Osserva la Quinta Sezione del Consiglio di Stato che la giurisprudenza, con orientamento consolidato, ha chiarito che la comunicazione dell'avvio del procedimento prevista dall'art. 7 L. 7 agosto 1990, n. 241, non è necessaria nel caso di approvazione del progetto soltanto preliminare di un'opera pubblica: tale comunicazione occorre solo nel caso in cui debba approvarsi il progetto definitivo dell'opera, al quale è riconnessa per implicito anche la dichiarazione di pubblica utilità, come previsto dall'art. 14, comma 13, L. 11 febbraio 1994 n. 109 (C.d.S., V, 3 maggio 2012, n. 2535; IV, 11 aprile 2007, n. 1668; 29 maggio 2009, n. 3364; 14 dicembre 2002, n. 6917; 26 settembre 2001, n. 5070).In via di principio, quindi, non sussiste alcun obbligo dell'Amministrazione di comunicare l'avvio del procedimento ex art. 7 L. n. 241/1990 relativamente all'approvazione di un progetto preliminare (IV, 3 agosto 2010, n. 5155), il quale non è nemmeno un atto di per sè autonomamente impugnabile, in quanto solo endoprocedimentale, diversamente da quelli che approvano il progetto definitivo e quello esecutivo, che sono invece impugnabili in quanto suscettibili di ledere la posizione giuridica soggettiva individuale (IV, 22 giugno 2006, n. 3949).1b Tanto premesso in via di principio, deve però convenirsi con il primo Giudice che nella peculiare vicenda quello adottato dall'organo consiliare del Comune di Costa di Mezzate con l'impugnata delibera n. 62 del 28.12.2000, pur definito come "progetto preliminare", è stato utilizzato dall'Amministrazione ai fini della procedura ablativa, in concreto, alla stregua di un progetto definitivo ex art. 14 u.c. della Legge n. 109 del 1994.Tale constatazione emerge dal fatto che - l'Amministrazione ha disposto l'adozione non solo di tale progetto, ma anche della corrispondente variante al vigente P.R.G. a norma dell'art. 1 della legge n. 1 del 1978, oltre a dichiarare la pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dell'opera, nonchè a fissare i termini di inizio e fine delle espropriazioni e dei lavori (laddove la giurisprudenza ha precisato che, poichè la volontà di realizzare un'opera pubblica deve esplicitarsi attraverso provvedimenti tipici, come chiarito dall'art. 12, d.P.R. n. 327 del 2001 in continuità con quanto in precedenza previsto dall'art. 14, comma 13, legge n. 109 del 1994, all'approvazione del progetto preliminare non può essere connesso il significato di dichiarazione di pubblica utilità dell'opera: C.d.S., VI, 24 novembre 2011, n. 6207).Nessun dubbio potrebbe perciò nutrirsi sulla necessità di consentire le garanzie partecipative all'atto della deliberazione di un progetto che, al di là della propria denominazione formale, venga associato dall'Amministrazione a clausole ed effetti giuridici quali quelli indicati, giusta un indirizzo giurisprudenziale uniformemente seguito in tema di dichiarazione di pubblica utilità implicita a partire dalla decisione dell'Adunanza Plenaria di questo Consiglio n. 14 del 15 settembre 1999 (cfr., tra le tante, C.d.S., VI, 25 marzo 2004, n. 1617; IV, 9 dicembre 2010, n. 8688; 18 marzo 2010, n. 1616). Il vizio di legittimità così riscontrato, tuttavia, diversamente da quanto ritenuto dal primo Giudice, non può condurre all'invalidazione dell'azione amministrativa dispiegata nel caso di specie, per essere stato esso sollecitamente sanato dall'Amministrazione proprio attraverso i provvedimenti amministrativi richiamati con il presente appello.Per scaricare la sentenza clicca su "Accedi al Provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale * del 2003, proposto dal Comune di Costa di Mezzate, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Santarelli e Francesco Daminelli, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Asiago 8; 

contro

la signora Camozzi de Gherardi Vertova Maria Edvige, rappresentata e difesa dagli avvocati Gabriele Pafundi, Domenico Palma e Luca W. Benzoni, con domicilio eletto presso il primo in Roma, viale Giulio Cesare 14a/4; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - Sez. Staccata di BRESCIA n. 297/2003, resa tra le parti, concernente un progetto di ampliamento di una preesistente struttura scolastica;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 aprile 2014 il Cons. Nicola Gaviano e uditi per le parti gli avvocati Santarelli e Pafundi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

La sig.ra Maria Edvige Camozzi de Gherardi Vertova, proprietaria di un terreno nel Comune di Costa di Mezzate di un’estensione di circa mq. 3.500, con il ricorso n. 437 del 2001 adiva il T.A.R. per la Lombardia – Sezione di Brescia esponendo, in sintesi:

- che il Comune di Costa di Mezzate - con delibera del Consiglio comunale n. 62 del 28 dicembre 2000 - aveva adottato un progetto preliminare di ampliamento delle strutture scolastiche per un importo complessivo di L 1.780.000.000, riguardante l’area di proprietà di essa ricorrente;

- che in tale deliberazione si dava atto che l’adozione del progetto avveniva ai sensi dell’art. 1 della Legge n. 1 del 1978, con dichiarazione implicita di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori, nonché in variante alle previsioni del vigente P.R.G., e venivano contestualmente fissati i termini di inizio e fine dell’espropriazione e dei lavori;

- che solo successivamente l’Amministrazione, con la nota n. 594 del 27 gennaio 2001, aveva inviato all’interessata una comunicazione di avvio del procedimento diretto alla realizzazione dell’opera e all’espropriazione della relativa area.

Da qui l’impugnativa da parte della interessata: della citata delibera consiliare n. 62 del 2000; della precedente delibera dello stesso organo n. 17 del 29 febbraio 2000, di approvazione del programma dei LL.PP. per l’anno 2000; della già menzionata comunicazione di avvio del procedimento.

Contro tali provvedimenti venivano dedotte le censure che il Giudice adìto avrebbe così sintetizzato:

1) “violazione di legge ed eccesso di potere per sviamento, difetto dei presupposti e della motivazione con riferimento alla decisione dell’Amministrazione di procedere alla realizzazione dell’ampliamento scolastico sull’area della ricorrente, sottoponendola così a procedura espropriativa”;

2) “violazione di legge ed eccesso di potere per sviamento, difetto dei presupposti e della motivazione con riferimento alla decisione di reiterare il vincolo di PRG preordinato all’esproprio già annullato da questa Sezione con la citata sentenza n. 716/93”;

3) “violazione delle garanzie partecipative di cui alla Legge 7.8.1990 n. 241”;

4) “violazione di legge, con riferimento all’omessa acquisizione del parere della Commissione per l’edilizia scolastica di cui all’art. 10 comma 2 della legge n. 412 del 1975.”

La medesima ricorrente con due successivi atti di motivi aggiunti impugnava in seguito anche, rispettivamente: la delibera consiliare n. 17 del 19 aprile 2001 di approvazione definitiva del suddetto progetto preliminare; il decreto di occupazione d’urgenza delle aree occorrenti adottato dal Responsabile del Servizio in data 22 aprile 2002.

Con i motivi aggiunti, nel riproporre, nella sostanza, a carico dei nuovi atti le censure già dedotte venivano formulate anche le seguenti ulteriori doglianze:

- illegittimità della delibera di C.C. n. 62/2000 per contrasto con le previsioni del programma delle opere pubbliche approvato con la precedente n. 17/2000;

- difetto di motivazione e carenza dei presupposti dell’approvazione del progetto, in quanto a seguito della mancata attuazione della riforma dei cicli scolastici di cui alla Legge n. 30 del 10 febbraio 2000 sarebbe venuto meno uno degli elementi giustificativi della determinazione comunale di ampliamento del plesso.

Resisteva all’impugnativa il Comune intimato, che contestava le argomentazioni di parte ricorrente e chiedeva il rigetto del ricorso introduttivo e dei successivi motivi aggiunti in quanto infondati.

All’esito, il Tribunale adìto con la sentenza n. 297/2003 in epigrafe così decideva:

- in rito, sulla premessa che tanto il ricorso introduttivo quanto il secondo atto di motivi aggiunti erano stati depositati oltre il termine dimidiato previsto dall’art. 21, comma 3, della Legge n. 1034 del 1971 e s.m., mentre per il primo deposito concedeva il beneficio dell’errore scusabile, in relazione al secondo dichiarava improcedibile il secondo atto di motivi aggiunti;

- nel merito, l’impugnativa veniva reputata fondata e conseguentemente accolta con riferimento a due vizi: violazione delle garanzie partecipative nel corso del procedimento di adozione del progetto; divergenza del progetto approvato dalle indicazioni del programma triennale dei LL.PP. approvato con la precedente delibera n. 17/2000.

Seguiva la proposizione del presente appello alla Sezione avverso tale sentenza da parte del Comune soccombente.

L’Amministrazione, nel riprendere le proprie difese di prime cure, contestava in rito il riconoscimento all’avversaria del beneficio della rimessione in termini rispetto al deposito dell’originario atto introduttivo, e, nel merito, argomentava nel senso dell’insussistenza delle violazioni a base della pronuncia del T.A.R., di annullamento degli atti impugnati

L’appellata si costituiva in giudizio in resistenza all’appello il 26 aprile 2005.

Nelle more del giudizio l’opera pubblica veniva realizzata, e con decreto del 12 aprile 2007 era disposta la relativa espropriazione, fatta oggetto di autonoma impugnativa giurisdizionale.

In seguito, con il decreto n. 1714 del 2012 il corrente appello veniva dichiarato perento.

Tale declaratoria veniva tuttavia di lì a poco revocata, dinanzi alla dichiarazione di parte del persistente interesse alla trattazione della causa, con il successivo decreto n. 2384 del 2012, con il quale veniva disposta la reiscrizione dell’affare sul ruolo di merito.

Il Comune con successiva memoria del 20 marzo 2014 ribadiva e sviluppava le proprie censure, insistendo per l’accoglimento dell’appello.

L’appellata, dal canto suo, con memoria del 26 marzo 2014 replicava ai motivi dell’appello comunale e riproponeva i mezzi di gravame assorbiti dal TAR.

Alla pubblica udienza del 29 aprile 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

L’appello è fondato.

Il Collegio ritiene di dover concentrare subito la propria attenzione sui motivi d’appello intesi a contestare l’effettiva esistenza dei vizi di legittimità ascritti all’Amministrazione appellante dal Giudice di prime cure

1 La prima censura accolta dal T.A.R. riguarda la violazione delle garanzie partecipative che sarebbe stata commessa in occasione della deliberazione del progetto dell’opera realizzata dall’amministrazione.

1a Osserva la Sezione che la giurisprudenza, con orientamento consolidato, ha chiarito che la comunicazione dell'avvio del procedimento prevista dall'art. 7 L. 7 agosto 1990, n. 241, non è necessaria nel caso di approvazione del progetto soltanto preliminare di un'opera pubblica: tale comunicazione occorre solo nel caso in cui debba approvarsi il progetto definitivo dell’opera, al quale è riconnessa per implicito anche la dichiarazione di pubblica utilità, come previsto dall'art. 14, comma 13, L. 11 febbraio 1994 n. 109 (C.d.S., V, 3 maggio 2012, n. 2535; IV, 11 aprile 2007, n. 1668; 29 maggio 2009, n. 3364; 14 dicembre 2002, n. 6917; 26 settembre 2001, n. 5070).

In via di principio, quindi, non sussiste alcun obbligo dell'Amministrazione di comunicare l'avvio del procedimento ex art. 7 L. n. 241/1990 relativamente all'approvazione di un progetto preliminare (IV, 3 agosto 2010, n. 5155), il quale non è nemmeno un atto di per sé autonomamente impugnabile, in quanto solo endoprocedimentale, diversamente da quelli che approvano il progetto definitivo e quello esecutivo, che sono invece impugnabili in quanto suscettibili di ledere la posizione giuridica soggettiva individuale (IV, 22 giugno 2006, n. 3949).

1b Tanto premesso in via di principio, deve però convenirsi con il primo Giudice che nella peculiare vicenda quello adottato dall’organo consiliare del Comune di Costa di Mezzate con l’impugnata delibera n. 62 del 28.12.2000, pur definito come “progetto preliminare”, è stato utilizzato dall’Amministrazione ai fini della procedura ablativa, in concreto, alla stregua di un progetto definitivo ex art. 14 u.c. della Legge n. 109 del 1994.

Tale constatazione emerge dal fatto che - l’Amministrazione ha disposto l’adozione non solo di tale progetto, ma anche della corrispondente variante al vigente P.R.G. a norma dell’art. 1 della legge n. 1 del 1978, oltre a dichiarare la pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dell’opera, nonché a fissare i termini di inizio e fine delle espropriazioni e dei lavori (laddove la giurisprudenza ha precisato che, poiché la volontà di realizzare un'opera pubblica deve esplicitarsi attraverso provvedimenti tipici, come chiarito dall'art. 12, d.P.R. n. 327 del 2001 in continuità con quanto in precedenza previsto dall'art. 14, comma 13, legge n. 109 del 1994, all'approvazione del progetto preliminare non può essere connesso il significato di dichiarazione di pubblica utilità dell'opera: C.d.S., VI, 24 novembre 2011, n. 6207).

Nessun dubbio potrebbe perciò nutrirsi sulla necessità di consentire le garanzie partecipative all’atto della deliberazione di un progetto che, al di là della propria denominazione formale, venga associato dall’Amministrazione a clausole ed effetti giuridici quali quelli indicati, giusta un indirizzo giurisprudenziale uniformemente seguito in tema di dichiarazione di pubblica utilità implicita a partire dalla decisione dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio n. 14 del 15 settembre 1999 (cfr., tra le tante, C.d.S., VI, 25 marzo 2004, n. 1617; IV, 9 dicembre 2010, n. 8688; 18 marzo 2010, n. 1616).

1c Il vizio di legittimità così riscontrato, tuttavia, diversamente da quanto ritenuto dal primo Giudice, non può condurre all’invalidazione dell’azione amministrativa dispiegata nel caso di specie, per essere stato esso sollecitamente sanato dall’Amministrazione proprio attraverso i provvedimenti amministrativi richiamati con il presente appello.

E’ pacifico, infatti, che subito dopo la delibera n. 62 del 28 dicembre 2000 il Comune abbia proceduto, con nota n. 594 del 27 gennaio 2001, ad inviare all’interessata una comunicazione di avvio del procedimento diretto alla realizzazione dell’opera e all’espropriazione della relativa area.

Come pure è incontroverso che poco dopo, con la successiva delibera consiliare n. 17 del 19 aprile 2001, l’Ente, una volta permesso all’interessata di esprimere le proprie osservazioni nell’ambito del procedimento (senza che la medesima, peraltro, di tale facoltà ritenesse di avvalersi), abbia nuovamente approvato il medesimo progetto “preliminare” dell’opera, sempre con valenza di dichiarazione di pubblica utilità della medesima, in occasione dell’approvazione della corrispondente variante del P.R.G..

Dal punto di vista del rispetto del c.d. giusto procedimento, quindi, la procedura è rientrata nei binari della legalità già con tale delibera del 19 aprile 2001, che dopo l’instaurazione del contraddittorio ha definitivamente approvato il progetto preliminare (dando atto che all’esito delle formalità di deposito del progetto e di pubblicazione del relativo avviso all’albo comunale, nel F.A.L. e nel B.U.R.L., ai sensi della legge n. 167/1962, alcuna osservazione individuale era stata presentata).

Né medio tempore, ossia nel periodo intermedio tra le due delibere, la proprietà privata dell’interessata era stata effettivamente incisa.

Il decreto di occupazione d’urgenza è stato infatti emanato solo dopo la rinnovata approvazione del progetto preliminare, in data 22 aprile 2002, ed è stato comunicato all’interessata il successivo giorno 27; la concreta immissione nel possesso dell’area si è verificata, infine, soltanto il seguente 28 maggio.

1d In conclusione, poiché il vizio riscontrato dal primo Giudice, per quanto esistente, è stato dal Comune sollecitamente sanato, dando subito all’attuale appellata piena possibilità di partecipare al procedimento e rinnovando la dichiarazione di pubblica utilità senza che, nel frattempo, la proprietà privata venisse violata, questo primo motivo dell’appello dell’Amministrazione deve essere accolto.

2 La seconda doglianza reputata in primo grado fondata riguarda la divergenza del progetto dalle indicazioni del programma dei LL.PP. approvato con la precedente delibera consiliare n. 17 del 29 febbraio 2000.

2a Conviene ricordare l’iter logico seguito dal T.A.R. sul punto.

Il Giudice di primo grado ha constatato che la compiuta disciplina dell’attività di programmazione dei lavori pubblici sia stata disposta solo con l’entrata in vigore del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, e con l’emanazione del D.M. 21 giugno 2000, recante “Modalità e schemi-tipo per la redazione del programma triennale, dei suoi aggiornamenti annuali e dell'elenco annuale dei lavori, ai sensi dell'art. 14, comma 11, della Legge 109/94”, ed ha altresì osservatoche l’art. 14, comma 12, della Legge n. 109 del 1994 ha subordinato all’emanazione del medesimo D.M. l’operatività dei propri commi 1, 5 e 10.

Il T.A.R. ha tuttavia rilevato che anche prima dell’emanazione del citato D.M. il programma delle opere pubbliche costituiva un allegato al bilancio di previsione degli enti locali, ed ha rimarcato come l’ordinamento impronti la gestione degli enti locali all’osservanza del principio di programmazione degli interventi.

Posta questa premessa, il T.A.R. ha osservato che il Comune di Costa di Mezzate, con la citata delibera di C.C. n. 17/2000, nell’ambito della propria discrezionalità amministrativa aveva autolimitato le proprie scelte, nel campo delle opere pubbliche, approvando un apposito programma di lavori per l’anno 2000 in cui l’opera in questione figurava inclusa limitatamente ad un importo complessivo di L. 680.000.000..

Con la ulteriore delibera di C.C. n. 62/2000, di contro, l’Amministrazione, pur richiamando la precedente n. 17/2000, aveva proceduto all’approvazione del progetto dell’intervento per un importo, però, largamente superiore, ossia di L 1.780.000.000, indicativo di un’opera del tutto diversa, per dimensione e previsione di spesa, rispetto a quella programmata.

E questo, secondo l’avviso del T.A.R., senza fornire motivazione in merito alla “così evidente divergenza fra l’opera programmata e l’opera successivamente progettata; divergenza che non può essere riferita ai soli aspetti economici ma, data l’entità del maggiore importo, anche ai profili strutturali, dimensionali e funzionali”, in violazione non soltanto del principio di necessaria motivazione dei provvedimenti ma anche dei canoni di efficienza, efficacia, razionalità ed economicità dell’azione amministrativa, stante il contrasto della decisione assunta con la logica programmatoria.

2b Anche questo capo della sentenza è stato fondatamente censurato dal Comune appellante.

L’Amministrazione con la propria impugnativa ha posto in evidenza come la fisionomia dell’iniziativa in rilievo fosse stata definita, in pratica, unicamente con l’elaborazione del progetto c.d. preliminare oggetto delle cennate delibere nn. 62/2000 e 17/2001, progetto la cui redazione aveva formato oggetto d’incarico affidato solo con la delibera n. 95 del 7 novembre 2000 e adempiuto il successivo 6 dicembre.

E’ stato quindi dedotto che soltanto attraverso la predisposizione del progetto l’Ente aveva potuto disporre degli elementi occorrenti per effettuare una stima dell’intervento, non vedendosi come l’Amministrazione avrebbe potuto effettuarne una valutazione economica senza disporre dei necessari elementi progettuali.

Da qui l’assunto dell’appello che il Comune non potesse ritenersi vincolato alla previsione del valore dell’opera recata dal programma in precedenza approvato.

2c La Sezione ritiene che tale deduzione sia condivisibile almeno nel suo nucleo centrale: nel senso, cioè, che dal Comune non fosse dovuta alcuna particolare motivazione, in concreto, per illustrare le ragioni del maggior valore che l’intervento avrebbe acquisito rispetto alla previsione fattane in sede programmatoria con la delibera n. 17/2000.

L’esame di tale delibera, che includeva l’opera per cui è causa nel programma dei lavori per l’anno 2000, non solo conferma, infatti, come alla base dell’inclusione dell’intervento non vi fosse stato un progetto preliminare; ma rivela che la delibera non menzionava neppure l’esistenza, in proposito, di uno “studio di fattibilità”, pur richiesto dal comma 6 dell’art. 14 della legge n. 109/1994 per le opere di ammontare inferiore alla soglia del milione di euro.

L’opera figura perciò annoverata nel programma senza essere stata definita a mezzo di coordinate tecniche di sorta, con l’unica indicazione di un determinato importo astratto (“680.000”) e la specificazione che il finanziamento sarebbe stato tratto, per tale importo, da un “avanzo di amministrazione”.

Da ciò emerge l’impossibilità di costruire in termini di “contraddizione” il rapporto fra due previsioni delle quali una soltanto, la seconda, riferibile ad un’opera debitamente individuata.

Peraltro, l’indicazione dell’entità finanziaria dell’intervento (che in origine era stata probabilmente contenuta entro le disponibilità economiche allora esistenti) era stata, mediotempore, aggiornata ed incrementata. La difesa comunale, in prime cure, nella memoria dell’11 luglio 2001 aveva esposto, infatti, che già nell’all. C della delibera n. 58 del 28 novembre 2000 era stata incrementata per l’opera una spesa da L. 680.000.0000 a L. 1.380.000.000, mentre nel bilancio di previsione del 2001 erano state finanziate le ulteriori somme per L. 400.000.000.

E i dati esposti nella Relazione illustrativa del progetto preliminare, sezione “Calcolo della Spesa”, che l’Amministrazione avrebbe conclusivamente approvato, erano appunto coerenti con tali maggiori disponibilità finanziarie.

In conclusione, non vi sono elementi sufficienti a ritenere che l’incremento dell’importo stanziato per l’intervento fosse espressione di una profonda diversità di quest’ultimo rispetto alla fisionomia inizialmente programmata, più verosimile essendo, invece, che il registrato, progressivo aumento dei mezzi posti a disposizione dell’opera abbia espresso, puramente e semplicemente, il mero crescere delle disponibilità utilizzabili dall’Ente, senza dunque apparenti contraddizioni sulle quali questo fosse tenuto a motivare a pena di illegittimità della propria azione.

3 Dopo aver riscontrato l’infondatezza dei motivi dell’impugnativa di prime cure accolti dal T.A.R., la Sezione si deve dedicare ai mezzi assorbiti dal primo Giudice, in questa sede riproposti con la memoria dell’appellata.

3a Il primo di essi è imperniato sul vizio di sviamento.

L’Amministrazione avrebbe “inventato” la necessità di dotarsi di nuove aule scolastiche, laddove la motivazione da essa addotta riceverebbe smentita dal suo stesso progetto.

Il previsto ampliamento si concretizzerebbe in un edificio di tre piani collegato, sì, al complesso già esistente da un corridoio, ma munito anche di ingressi indipendenti. Inoltre, dei nuovi tre piani solo il piano terra sarebbe destinato ad ospitare aule scolastiche: la destinazione d’uso degli altri due, che sarebbero rimasti al rustico fino a nuove disposizioni, sarebbe stata stabilita dall’Amministrazione soltanto in futuro.

Da qui l’assunto che l’interesse realmente perseguito dal Comune sarebbe stato un altro, avendo esso inteso costruire qualcosa di ben diverso, “al quale non sa nemmeno che destinazione dare e che, comunque, certamente non è destinata a utilizzi scolastici”.

L’originaria ricorrente deduce, inoltre, che, se davvero l’obiettivo dell’Ente fosse stato quello di dotarsi di aule scolastiche supplementari, sarebbe stato allora più logico realizzare in aderenza alla scuola già esistente un ragionevole ampliamento, senza travalicare l’ambito dell’area di proprietà comunale (che, si deduce, sarebbe stata sufficiente alla bisogna).

Queste critiche non sono suscettibili di accoglimento.

La difesa comunale ha circostanziatamente opposto sin dal primo grado di giudizio, senza trovare congrue confutazioni ex adverso, che le esigenze di ampliamento del plesso non avrebbero potuto trovare adeguato soddisfacimento all’interno dell’area già in proprietà pubblica. Richiamandosi alla planimetria da essa allegata, tale difesa ha fatto invero notare che l’edificio scolastico esistente aveva intorno a sé il parcheggio, l’annesso scivolo nonché la palestra, mentre sugli altri lati aveva la necessaria area verde a disposizione quale spazio ricreativo e, infine, una striscia di terreno lungo la Strada Provinciale che sarebbe stata inutilizzabile a fini di edilizia scolastica, a fronte del disposto dell’art. 1 del d.P.R. n. 1688/1956.

Quanto alle caratteristiche del nuovo manufatto, la Relazione illustrativa del progetto precisava che “l’ampliamento avrà sia lo scopo di ospitare nuove classi, sia di fondere le nuove attività didattiche con quelle già attuate nella scuola esistente: a questo scopo un collegamento verrà realizzato per mettere in comunicazione l’attuale fabbricato con il nuovo”.

Vale poi sottolineare come il detto passaggio di collegamento fra le due strutture sarebbe stato su due piani, raccordando al preesistente edificio tanto il piano terra quanto il primo della nuova costruzione, con il risultato, dunque, di fare di quest’ultima un tutt’uno con il nucleo giù esistente.

La difesa comunale ha esposto, infine, che il plesso preesistente non permetteva nemmeno di offrire un servizio mensa, svolto presso un Asilo esterno in più turni. E che il piano seminterrato ed il primo piano della nuova struttura, lasciati al rustico, sarebbero stati adibiti appena possibile, quando il Comune avrebbe disposto di ulteriori fondi, anch’essi ad uso scolastico, come spazio mensa e spazio ricreativo coperto.

A fronte di tutti gli elementi e le precisazioni fornite dall’Amministrazione, cui è naturalmente riservata l’interpretazione ed identificazione dell’utilità pubblica comunale, le critiche di parte ricorrente devono essere respinte, non risultanto manifestamente anomale le contestate valutazioni tecnico-discrezionali.

3b Dall’attuale appellata viene riproposta, altresì, la doglianza di difetto di motivazione in cui il Comune sarebbe incorso all’atto della reiterazione, sull’area, di quel vincolo di destinazione ad edilizia scolastica che in precedenza il Giudice amministrativo aveva già annullato proprio per carenza di motivazione.

Secondo la ricorrente la nuova previsione di vincolo, susseguente all’annullamento giurisdizionale della precedente, avrebbe richiesto una specifica e congrua motivazione, la quale per contro non sarebbe stata fornita.

Anche questo rilievo è infondato.

L’Amministrazione nell’approvare il progetto ha specificamente motivato che “intende realizzare l’opera sia per far fronte al continuo aumento delle famiglie a Costa di Mezzate con conseguente aumento degli alunni, sia per adeguare l’edificio alla riforma dei cicli scolastici, la quale prevede l’accorpamento delle attuali Scuole Elementari e Medie in un unico corso …, e, conseguentemente, la necessità di reperire nuove aule per soddisfare le suddette esigenze scolastiche”.

D’altra parte, l’iniziativa di cui si tratta era già prevista in sede programmatoria.

La mancata attuazione della riforma sui cicli scolastici appena detta non toglie che l’iniziativa in progetto conservasse pur sempre a propria giustificazione la contestuale considerazione legata all’aumento della popolazione studentesca. E sotto questo profilo va notato come la difesa comunale abbia prodotto anche in questo grado i documenti (all.ti 14-17) riflettenti il registrato trend ascendente di nati e di iscritti ed il conseguente maggior fabbisogno di aule, senza che ex adverso pervenissero puntuali obiezioni corroborate da sufficienti elementi dimostrativi.

In presenza, pertanto, di una precisa motivazione a base della riproposizione del vincolo, e non essendovi state persuasive critiche avverso la sostanza logica della motivazione stessa, anche questo mezzo deve essere disatteso.

3c Altra censura di primo grado qui riproposta è quella della mancata acquisizione da parte del Comune del parere della Commissione paritetica provinciale prevista dall'art. 10 della legge 5 agosto 1975, n. 412 (“Norme sull'edilizia scolastica e piano finanziario d'intervento”).

A questo riguardo, non è dubbio che sia di regola illegittima la delibera con la quale un Comune prescelga delle aree da destinare ad edilizia scolastica senza aver prima richiesto il parere obbligatorio della predetta commissione (cfr. C.d.S., IV, 17 luglio 2002, n. 3991).

Il fatto è, però, che nel caso concreto non veniva in rilievo la necessità di individuare con la consueta ampia discrezionalità le aree per l’esecuzione di nuove opere di edilizia scolastica, bensì si trattava di decidere in ordine al semplice potenziamento di un plesso già esistente.

Onde la scelta del sito era praticamente obbligata in partenza in favore di un’area adiacente, nell’ambito di una zona già rivelatasi idonea e positivamente scrutinata.

Da qui l’assenza dei presupposti per reputare, nella specie, indispensabile l’acquisizione del parere pur occorrente in linea generale.

3d Viene lamentata, infine, la mancata instaurazione del contraddittorio procedimentale mediante apposita comunicazione dell’avvio della procedura espropriativa prima della decretazione dell’occupazione d’urgenza.

La doglianza risulta infondata in considerazione del principio, più volte enunciato dalla giurisprudenza, per la quale non è necessaria la comunicazione dell'avvio del procedimento per l'emanazione del decreto di occupazione d’urgenza, dal momento che questo è atto di mera attuazione del provvedimento dichiarativo della pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori: di conseguenza, le garanzie procedimentali relative alla partecipazione sono proprie solo di quest'ultimo (C.d.S., Ad.Pl., 15 settembre 1999, n. 14; IV, 8 giugno 2007, n. 2999; 5 febbraio 2009, n. 676; V, 26 settembre 2013, n. 4766; VI, 2 marzo 2011, n. 1312).

Peraltro, comunque la previa comunicazione dell'avvio del procedimento non è richiesta, dall'art. 7, comma 1, della legge n. 241/1990, ove “sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento” (C.d.S., IV, 15 luglio 2013, n. 3861), come avviene in re ipsa nel caso della occupazione d’urgenza.

3e In definitiva, tutti i motivi a suo tempo assorbiti dal T.A.R. vanno respinti.

4 In conclusione, in accoglimento del fondato appello del Comune di Costa di Mezzate (i cui residui mezzi possono rimanere assorbiti) la sentenza appellata deve essere riformata, sicché il ricorso di primo grado n. 437 del 2001 va respinto.

Si ravvisa, nondimeno, l’esistenza di ragioni tali da giustificare la compensazione tra le parti delle spese processuali del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe n. 3314 del 2003, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado n. 437 del 2001.

Compensa tra le parti le spese processuali del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 29 aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Luigi Maruotti, Presidente

Carlo Saltelli, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere, Estensore

Fabio Franconiero, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 07/07/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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