Sunday 10 November 2013 12:48:57

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Non implica precarietà dell'opera, ai fini dell'esenzione dal permesso di costruire, il suo carattere stagionale

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato

La giurisprudenza è consolidata nel ritenere che non implica precarietà dell'opera, ai fini dell'esenzione dal permesso di costruire, il carattere stagionale di essa, quando la stessa è destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel tempo della sua funzione (Cass. Pen., sez. III, 5 marzo 2013, n. 10235 e 21 giugno 2011, n. 34763; Cons. Stato, sez. IV, 22 dicembre 2007, n. 6615). Nella specie, per stessa ammissione, parte dell’area a verde e del piazzale destinati urbanisticamente a servizio durevole e ornamento dell’edificio principale (tipo villa), è stata trasformata con l’espediente della pompeiana tamponata e coperta da PVC e in un “...chiosco...punto di somministrazione esterno di bevande utilizzato nell’ambito dell’attività...”. Orbene, una siffatta struttura costituisce opera del tutto nuova per consistenza e funzione ad integrazione della pizzeria-ristorante, la quale ne viene per l’effetto ampliata sia dal punto di vista della volumetria utile, sia della superficie commerciale (Cons. Stato, sez. I, 6 maggio 2013, n. 1193).

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale **** del 2012, proposto da Mario Guarriera, Salvatore Guarriera, Sonia Guarriera, Rosalina Balzarin, rappresentati e difesi dall'avv. Mario Sanino, con domicilio eletto presso Mario Sanino in Roma, viale Parioli, n. 180; 

contro

Comune di Creazzo, rappresentato e difeso dagli avv. Alessandro Calegari e Andrea Manzi, con domicilio eletto presso Andrea Manzi in Roma, via Confalonieri n. 5; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA: SEZIONE II n. 01713/2011, resa tra le parti, concernente demolizione opere abusive e acquisizione al patrimonio comunale.

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Creazzo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 luglio 2013 il Cons. Vito Carella e uditi per le parti gli avvocati Sanino, A. Calegari e A. Manzi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

I.- Gli odierni appellanti, cui era stata assentita dal Comune di Creazzo la installazione di una “pompeiana” nel giardino-piazzale dell’esercizio condotto di ristorazione (bar-pizzeria), hanno realizzato la copertura della struttura e il suo tamponamento con teloni di polietilene, in difformità dall’art. 59, comma 5 delle N.T.A. di P.R.G., che la consente unicamente mediante “canicciato, arelle, telo antigrandine traforato o tende da sole estensibili”.

Tali ricorrenti, a seguito di trasposizione dell’originario ricorso straordinario instaurato, hanno censurato in primo grado le ordinanze comunali di demolizione n. 68 del 21 giugno 2010, di acquisizione gratuita al patrimonio comunale n. 125 del 7 settembre 2010, unitamente al verbale di accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione e agli atti inerenti il successivo frazionamento catastale, nonché l'ordinanza n. 137 del 12 ottobre 2010 di sospensione dell'efficacia del permesso di costruire n. C08/05 del 2 agosto 2010, in quanto interessante il sedime oggetto di acquisizione.

II.- Il Tribunale adito, con la gravata sentenza in epigrafe indicata, ha rigettato con condanna alle spese il ricorso, disattendendo le quattro doglianze relative alla ristrettezza del termine di 15 giorni assegnati per la demolizione, alla precarietà della copertura in quanto tale non necessitante di permesso di costruire, alla mancata acquisizione del parere della commissione edilizia comunale, all’omessa comunicazione d’avvio del procedimento.

Con l’appello in esame l’abile difesa dei deducenti, ricostruita con tratti nuovi la vicenda in relazione ai fatti di causa e con riguardo al giudizio di primo grado, sulla base di quattro mezzi di impugnazione ha contestato l’erroneità di detta sentenza.

Hanno lamentato i ricorrenti, come motivo principale, l’omesso rilievo da parte dei primi giudici dell’intervenuta cessazione della materia del contendere a seguito dell’ordinanza comunale n. 61 del 31.3.2011, adottata in esecuzione della concessa misura cautelare nonché per la susseguente avvenuta rimozione del telo bianco in PVC.

Hanno inoltre escluso che il tipo di copertura della pompeiana abbia dato luogo ad una trasformazione edilizia tale da configurare un nuovo organismo edilizio completamente diverso da quello autorizzato con la D.I.A.

Hanno poi denunziato, in riferimento al termine ritenuto riduttivo di 15 giorni assegnati, la postuma integrazione del contenuto provvedimentale dell’ordinanza di demolizione, fondata sull’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 e non sull’art. 92, comma 4, della legge regionale Veneto n. 61 del 1985.

Hanno infine reiterato la censura di omesso preavviso circa l’attivato procedimento sanzionatorio.

III.- Si è costituito in giudizio il comune di Creazzo, eccependo che le opere abusive non sono mai state rimosse e riportandosi, anche con documentazione fotografica, a circostanze sopravvenute collegate alla presentazione da parte dei ricorrenti di s.c.i.a al fine dell’ampliamento e mantenimento della pompeiana nello stato di fatto sanzionato, nonostante l’inibitoria dei lavori iniziati e la ingiunzione di loro demolizione.

La difesa comunale ha richiamato allo scopo le rispettive ordinanze n. 88 del 30.5.2012 e n. 124 dell’8.8.2012, le quali citano anche l’eliminazione delle opere oggetto dell’ordinanza n. 68/2010 (controversia pendente innanzi al Tar Veneto a rg. n. 466/2013 e in ordine ai quali atti sopravvenuti è stata presentata dai ricorrenti in data 27 marzo 2013 domanda di permesso di costruire in sanatoria all’esame degli uffici comunali).

IV.- Entrambe le parti hanno prodotto memorie e repliche.

All’udienza del 12 luglio 2013 la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

1.- La prima considerazione da cui muove il Collegio è che le successive opere di modifica e mantenimento della pompeiana intraprese dai ricorrenti, inizialmente sanzionate con gli originari provvedimenti qui oggetto di esame (n. 68 del 21 giugno 2010, n. 125 del 7 settembre 2010, n. 137 del 12 ottobre 2010) e successivamente represse con gli atti sanzionatori sopravvenuti (n. 88 del 30.5.2012 e n. 124 dell’8.8.2012), pur formando parte di un disegno unitario, tuttavia regolino situazioni di fatto differenti.

Infatti, non solo i secondi sono ancora sub judice in primo grado, ma entrambi sono anche fondati su distinte pretese di conformità edilizia (d.i.a. e s.c.i.a.) nonché su separati procedimenti coercitivi che escludono la mera natura confermativa degli atti sopravvenuti, essendo questi in rapporto alla s.c.i.a. ed essendo stata dall’amministrazione comunale richiesta documentazione integrativa in ordine alla relativa domanda di inizio lavori e la cui assentibilità, anche in sanatoria, fuoriesce dall’odierno ambito processuale in trattazione.

Così circoscritto il perimetro di esame dell’attuale ricorso, possono ora essere affrontate le questioni poste dalla controversia.

2.- Va subito rilevato come gli appellanti, con il primo ragionamento, sostengano l’omessa pronuncia da parte del Tar dell’intervenuta cessazione della materia del contendere a seguito dell’ordinanza comunale n. 61 del 31.3.2011, adottata in esecuzione della concessa misura cautelare e in esito alla rimozione, a loro avviso avvenuta ma contestata dal Comune, del telo bianco in PVC.

Al riguardo, i ricorrenti aggiungono (pag. 16 dell’appello) che poco rileva, al predetto fine della ventilata improcedibilità, che al suo posto sia stata successivamente realizzata una diversa copertura (quella formata da arelle) e che anche quest'ultima sia stata ritenuta irregolare da parte dell'Amministrazione, proprio perché, anche a volere ammettere che tale ultima copertura installata successivamente all'accesso coattivo fosse a sua volta illegittima, comunque si tratterebbe di un intervento edilizio (e, quindi, di un illecito) diverso.

Questa tesi non può essere condivisa e va quindi disattesa, sia perché la citata misura cautelare è stata attratta e superata dalla decisione finale di merito, sia perché è la prosecuzione in sé dei lavori ad essere preclusa, a prescindere dal regime edilizio a tali opere applicabile.

Giustamente quindi il Tar non ha applicato l’auspicata cessazione del contendere nel giudizio in primo grado, mancando tanto un atto eliminatorio dei provvedimenti impugnati, quanto un atto satisfattivo dell’interesse al mantenimento della pompeiana nella situazione di sua realizzazione non conforme alla normativa di piano regolatore.

3.- Gli istanti hanno anche lamentato il riduttivo termine di 15 giorni assegnato per la demolizione (ordinanza n. 68 del 21 giugno 2010) in luogo dei 90 giorni previsti dall’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 nonché l’errata statuizione dei primi giudici a giustificazione di tale minore spazio temporale in relazione agli artt. 13 e 92, comma 4, della legge regionale Veneto n. 61 del 1985 (norma locale di dettaglio che espressamente prevede che le opere abusive vadano demolite entro un termine “non superiore” a 90 giorni e, perciò, autorizzante anche un termine inferiore).

In punto di fatto giova precisare che l’abusiva copertura con teli fissi della pompeiana in argomento è stata sanzionata già una prima volta mediante la inottemperata ordinanza n. 82 dell’11 agosto 2008 con la previsione di 90 giorni per la demolizione, che è stata sì rimossa dai proprietari ricorrenti ma subito ripristinata dagli stessi. A tanto ha fatto seguito il comunicato diniego comunale alla temporanea installazione stagionale, come materialmente riscontrato dai successivi accertamenti in esito ai quali è stata emanata la impugnata ordinanza n. 68 del 21 giugno 2010 con il giustificato termine di 15 giorni (ravvisato congruo in relazione alla vicenda anteriore e con riguardo all’entità dei lavori occorrenti per la rimozione).

Relativamente al detto termine limitato, è sufficiente osservare che si discute di un atto ripristinatorio dell’iniziale ordine violato che ha svolto la funzione di eliminare le conseguenze dell’illecito continuato, inbonam partem per un ravvedimento dei ricorrenti e al fine precipuo di sfuggire alle più pregiudizievoli sanzioni, quali l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive.

Consegue da tanto che la condotta comunale non può essere minimamente tacciata di sproporzione e gli autori dell’abuso non possono qui venire contro il fatto proprio nel gioco reiterato.

Quanto alla norma regionale, la mancata menzione da parte dell’amministrazione comunale della norma legale di riferimento può essere superata mediante i poteri propri di interpretazione spettanti al giudice adito quando è accertata l’esistenza della specifica norma attributiva della potestà limitativa e la conseguente azione pubblica si dimostra conforme a legge.

D’altro canto, tale disposizione regionale, riconducibile alla materia governo del territorio e attuativa in ambito locale della normativa recata dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, non ha alterato la corrispondente disciplina statale, in quanto non ha inciso nei suoi aspetti immodificabili e nell’area delle tassative fattispecie sostanziali di sanabilità delle opere abusive o nei criteri di accesso ovvero nelle regole di repressione degli abusi, bensì è intervenuta unicamente sotto l’aspetto del relativo procedimento con la previsione di un obbligatorio e ravvicinato provvedimento di demolizione, in tale modo rendendo non fisso il termine di 90 giorni e, per l’effetto, ancorandolo alla concreta fattispecie sanzionata, a miglior tutela dell’assetto del territorio.

Orbene, nello specifico, per le ragioni innanzi precisate, il termine assegnato di 15 giorni risulta essere adeguato in relazione al complessivo andamento della vicenda di causa e, con riguardo alle diffuse e ragionevoli motivazioni contenute nell’atto censurato, anche proporzionato.

4.- Priva di pregio è altresì la formale censura di omesso preavviso circa l’attivato procedimento sanzionatorio.

Intanto, risulta agli atti processuali che, a seguito di verbale della Polizia Locale inerente ulteriore verifica della pompeiana in parola, è stato dato avviso ai ricorrenti dell’avvio del procedimento amministrativo di accertamento delle violazioni urbanistico-edilizie, come da prot. n. 13146 del 31 maggio 2010.

Inoltre, in punto di omesso preavviso, è appena il caso di richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la violazione dell' art. 10 bis della legge 7 agosto 1990 n. 241 non è invocabile in relazione a provvedimenti di carattere vincolato o connotati ex lege da tratti di assoluta specialità, al di là della mancanza di ogni asserzione circa l'apporto che avrebbe fornito una effettiva ulteriore partecipazione.

Conseguentemente, questa doglianza non trova riscontro nella sua effettività e nel dovere di legge incombente in capo al Comune di reprimere gli abusi edilizi.

5.- Resta infine da esaminare la questione di principio relativa alla funzione e natura della pompeiana per la quale, secondo la prospettazione, andrebbe escluso che il relativo tipo di copertura abbia dato luogo ad una trasformazione edilizia tale da configurare un nuovo organismo edilizio completamente diverso da quello autorizzato con la D.I.A.

Dal punto di vista tecnico-giuridico la pompeiana, a prescindere dai materiali usati e dalle concrete categorie applicative (porticato, pergolato, gazebo, berceau, dehor), è caratterizzata dal dover essere una struttura costruttiva leggera e aperta, la cui copertura (teli, rampicanti, assi distanziate) deve consentire di fare filtrare l’aria e la luce, assolvendo a finalità di ombreggiamento e di protezione nel passaggio o nella sosta delle persone, in soluzione di continuità con lo spazio circostante e senza creare interruzione dimensionale dell’ambiente in cui è installata.

L’aspetto tipico di essa, in sintesi, risiede nella mancanza di pareti e di una copertura integrale assimilabile ad un tetto o solaio, che si viene invece a concretizzare con una copertura impermeabile in polietilene o tegole e quant’altro che la faccia configurare come volume edilizio.

Come rilevato nella esposizione in fatto, la N.T.A. del Comune di Creazzo consente la realizzazione di pompeiane ma unicamente mediante “canicciato, arelle, telo antigrandine traforato o tende da sole estensibili”, e cioè vieta coperture totali con materiali rigidi e bloccati.

Nella fattispecie, oltre all’intreccio dell’installazione dei teli stabili in PVC e dei ripetuti occultamenti tesi a nascondere la consistenza di struttura fissa, documentata nei vari verbali di sopralluogo sino a più recenti e dalle rilevazioni fotografiche agli atti processuali, lo snaturamento della pompeiana trova conferma nella sua stessa destinazione funzionale impressa dagli appellanti che hanno deciso di sfruttare il piazzale-giardino “nel corso della stagione estiva nell’ambito della propria attività, allo scopo di fornire un ulteriore servizio alla propria clientela e di incrementare così l’attività del proprio locale”.

Al riguardo merita osservare che la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che non implica precarietà dell'opera, ai fini dell'esenzione dal permesso di costruire, il carattere stagionale di essa, quando la stessa è destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel tempo della sua funzione (Cass. Pen., sez. III, 5 marzo 2013, n. 10235 e 21 giugno 2011, n. 34763; Cons. Stato, sez. IV, 22 dicembre 2007, n. 6615).

Nella specie, per stessa ammissione, parte dell’area a verde e del piazzale destinati urbanisticamente a servizio durevole e ornamento dell’edificio principale (tipo villa), è stata trasformata con l’espediente della pompeiana tamponata e coperta da PVC e in un “...chiosco...punto di somministrazione esterno di bevande utilizzato nell’ambito dell’attività...”.

Orbene, una siffatta struttura costituisce opera del tutto nuova per consistenza e funzione ad integrazione della pizzeria-ristorante, la quale ne viene per l’effetto ampliata sia dal punto di vista della volumetria utile, sia della superficie commerciale (Cons. Stato, sez. I, 6 maggio 2013, n. 1193).

Questo aspetto della disputa va ora ulteriormente dettagliato con riguardo alla dedotta natura pertinenziale della pompeiana in dibattito.

6.- La nozione di "pertinenza urbanistica" ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica: deve trattarsi, invero, di un'opera - che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato - preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non indurre un ulteriore carico urbanistico e da non avere una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede (Cass. Pen., sez. III, 24 marzo 2010, n. 24241; Cons. Stato, sez. V, 18 aprile 2001, n. 2325; sez. VI, 8 marzo 2000, n. 1174).

Nella specie, l’intervento innovativo contestato dal Comune, non semplicemente conservativo e manutentivo della pompeiana in asserita pertinenza con la villa, viene invece a realizzare una diversa connessione fisica e una mutata strumentalità funzionale, che deve ricondursi non alla nozione di servizio ma a quella di integrazione della diversa attività d’uso cui accede, in quanto tale implicante il previo rilascio del permesso di costruire finalizzato alla nuova essenza configurata dell’immobile (Cons. St., sez. IV, 25 maggio 2011, n. 3134; sez. V, 22 ottobre 2007, n. 5515).

Deriva da ciò, come sostenuto dal Comune, la trasformazione urbanistica ed edilizia della pompeiana in una struttura (chiosco) permanentemente fissa e coperta a servizio della pizzeria-ristorante, necessitante, alla stregua di pacifica giurisprudenza, del permesso di costruire per le ragioni incrementative prima precisate dell’assetto del territorio.

7.- Alla luce delle considerazioni innanzi svolte, ne segue l'accertata infondatezza di tutti i profili denunziati, con i quali si è prospettata l'erroneità della sentenza gravata, invece esente dalle censure mosse nonché comprensibile e coerente nello sviluppo dei suoi ragionamenti in fatto e diritto.

Per le considerazioni suesposte, l'appello deve essere perciò respinto, con conseguente conferma della sentenza appellata.

Le spese di lite relative a questo secondo grado di giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, respinge l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto n. 1713 del 17 novembre 2011.

Compensa interamente tra le parti le spese di lite relative all’odierno grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 luglio 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Stefano Baccarini, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Vito Carella, Consigliere, Estensore

Claudio Contessa, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il **/10/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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