Monday 05 May 2014 14:52:13

Giurisprudenza  Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio

Super D.I.A.: demolizione e ricostruzione non sono restauro conservativo ma "ristrutturazione pesante"

segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 28.4.2014

Nella controversia giunta all'attenzione della Quinta Sezione del Consiglio di Stato il ricorrente contesta la qualificazione dell’intervento edilizio operata dal comune sostenendosi la tesi che, nella specie, sarebbe stato realizzato un intervento di restauro conservativo. Il Collegio ha ritenuto in accoglibile l'eccezione, avendo fatto buon governo, il comune prima e il T.a.r. poi, delle norme e dei principi elaborati sul punto dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. fra le tante Sez. V, n. 7325 del 2004), secondo cui gli interventi di demolizione e ricostruzione non possono mai sussumersi nel genus del restauro conservativo ma in quello della c.d. “ristrutturazione pesante” che presuppone l’emanazione di una regolare concessione edilizia (oggi permesso di costruire o c.d. super d.i.a.). In fatto è sufficiente osservare sul punto che da tutta la documentazione tecnica acquisita al fascicolo d’ufficio emerge pacificamente l’entità e consistenza delle opere realizzate che devono necessariamente qualificarsi come interventi di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione. Con il quarto mezzo il ricorrente lamenta poi il contrasto fra il contenuto del parere della Soprintendenza – acquisito a suo tempo ai sensi dell’art. 9, co. 4, l. n. 47 del 1985 cit., oggi art. 33, co. 4, t.u. edilizia) – che aveva imposto il ripristino per le sole opere esterne, ed il provvedimento sindacale di ingiunzione che invece ha ordinato al privato di ripristinare in toto la preesistente opera. Anche tale mezzo è stato ritenuto infondato atteso che la Soprintendenza, come risulta dal tenore testuale del parere, non ha vietato al comune (né avrebbe potuto alla stregua del micro ordinamento di settore), di ordinare l’integrale ripristino del corpo di fabbrica preesistente anche relativamente agli aspetti interni, trattandosi di scelta ampiamente discrezionale rimessa dalla legge alle insindacabili valutazioni degli organi tecnici comunali; valutazione, nel caso di specie, preceduta da una adeguata istruttoria e comunque non affetta da manifesta irragionevolezza o abnormità. Anche il quinto mezzo d'impugnazione e' stato rigettato laddove il ricorrente lamenta che il comune, una volta ordinata la demolizione, in una con il parere della Soprintendenza, non avrebbe potuto rinviare ad una fase successiva l’opzione fra l’una e l’altra sanzione. Come rilevato dalla giurisprudenza in casi analoghi (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 2001 del 2013), la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata dall’amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento potendo avvenire contestualmente all’emanazione del provvedimento di ripristino solo in caso di impossibilità della demolizione sulla scorta di una valutazione tecnica rimessa in via esclusiva alla medesima. Per continuare nella lettura della sentenza cliccare su "Accedi al Provvedimento".

 

Testo del Provvedimento (Apri il link)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale *del 2003, proposto dal signor Manino Doriano, rappresentato e difeso dagli avvocati Luigi Cocchi e Enrico Romanelli, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, viale Giulio Cesare n. 14; 

contro

Comune di Ovada, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Menghini e Giorgio Santilli, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Vittorio Colonna n. 32; 

per la riforma

delle sentenze del T.a.r. per il Piemonte - Sezione I - n. 335 del 16 febbraio 2002 e n. 1235 del 15 giugno 2002.

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1° aprile 2014 il consigliere Vito Poli e uditi per le parti gli avvocati Pafundi su delega dell’avvocato Cocchi e De Micheli su delega dell’avvocato Santilli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

1. Le impugnate sentenze hanno respinto, con dovizia di argomenti, tutte le censure proposte – a mezzo di due ricorsi principali - dal signor Manino Doriano avverso i seguenti atti:

a) ordinanza sindacale n. 320 del 6 febbraio 1995 recante l’ingiunzione a ripristinare l’edificio ubicato nel comune di Ovada, sito in piazza Garibaldi n. 2 angolo piazza Assunta, zona omogenea A, oggetto di lavori abusivi consistenti nella demolizione e integrale ricostruzione del IV° e V° piano;

b) diniego sindacale – di cui alla nota prot. n. 2397 dell’ 8 febbraio 1995 – di autorizzazione in sanatoria delle sole opere interne relative ai lavori abusivi di cui sopra;

c) ordinanza sindacale in data 23 novembre 1995 recante la determinazione della sanzione pecuniaria alternativa alla inesigibile riduzione in pristino, a mente dell’art. 9, co.2, l. n. 47 del 1985, in misura pari a lire 103.698.000.

2. Con ricorso ritualmente notificato e depositato, il signor Manino ha interposto appello avverso le su indicate sentenze – la prima delle quali non definitiva e recante adempimenti istruttori in ordine alla esatta quantificazione della sanzione pecuniaria – senza però muovere specifiche censure nei confronti della seconda sentenza che, all’esito della verificazione a cura dell’Ufficio tecnico comunale, ha respinto le ultime doglianze volte a contestare l’ammontare della sanzione pecuniaria.

3. Si è costituito il comune eccependo l’infondatezza dell’appello in fatto e diritto.

4. All’udienza pubblica del 1° aprile 2014, la causa è stata trattenuta in decisione.

5. L’appello è infondato e deve essere respinto.

Preliminarmente il collegio:

a) rileva l’inammissibilità dell’introduzione, per la prima volta nel giudizio di appello (cfr. memoria conclusionale del 28 febbraio 2014), di doglianze ulteriori rispetto a quelle che, proposte con atti ritualmente notificati, hanno delimitato il perimetro del thema decidendum in prime cure; non si può tener conto di tali profili nuovi perché sollevati in spregio al divieto dei nova sancito dall’art. 345 c.p.c. (ora art. 104, co.1, c.p.a.), ed al valore puramente illustrativo delle memorie conclusionali (cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 18 aprile 2012, n. 2232; sez. V, 22 marzo 2012, n. 1640; ad. plen., 19 dicembre 1983, n. 26, cui si rinvia a mente del combinato disposto degli artt. 74, co.1, e 88, co. 2, lett. d), c.p.a.); conseguentemente, per ragioni di comodità espositiva, prende in esame direttamente i motivi degli originari ricorsi al T.a.r. come criticamente riproposti nell’atto di gravame;

b) prende atto che la reiezione dell’ultimo motivo del secondo ricorso di primo grado, respinto dalla sentenza definitiva n. 1235 del 2002, non è stata investita da specifici mezzi di gravame ed è pertanto coperta dalla forza del giudicato interno.

5.1. Con il primo motivo (pagine 8 – 10 dell’atto di appello) si ripropone il vizio di violazione dell’art. 7, l. n. 241 del 1990 non avendo l’amministrazione, a suo tempo, comunicato l’avviso di avvio del procedimento culminato nell’emanazione dell’ingiunzione a demolire.

Il mezzo è palesemente infondato alla luce della ormai costante giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. Cons. Stato, sez. II, 26 giugno 2013, n. 649/13; sez. IV, 15 febbraio 2013, n. 915, cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.), secondo cui l’ordine di demolizione conseguente all’accertamento della natura abusiva delle opere edilizie, come tutti i provvedimenti sanzionatori edilizi, è un atto dovuto e come tale non deve essere preceduto dall’avviso ex art. 7 cit., trattandosi di una misura sanzionatoria per l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge; pertanto, trattandosi di un atto volto a reprimere un abuso edilizio, esso sorge in virtù di un presupposto di fatto, ossia, l’abuso, di cui il ricorrente deve essere ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera di controllo.

5.2. Con il secondo motivo (pagine 10 – 12 dell’atto di appello), si contesta la mancata applicazione dell’art. 4 del regolamento edilizio comunale nella parte in cui consentirebbe di eseguire talune categorie di opere, inter alios, i lavori di cui si renda necessaria l’esecuzione d’urgenza a tutela dell’incolumità pubblica. Si contesta l’esegesi della norma compiuta dal T.a.r. secondo cui solo le opere soggette al regime autorizzatorio potrebbe essere eseguite sine titulo in presenza del presupposto cogente della tutela dell’incolumità pubblica.

La tesi posta a sostegno del mezzo è inaccoglibile sulla scorta del tenore testuale della norma in esame nonché avuto riguardo alla sua indole eccezionale (a cagione degli effetti derogatori della medesima), che impongono una interpretazione restrittiva a tutela del valore fondamentale del buon governo del territorio che sarebbe inopinatamente vulnerato ove si consentisse al privato di realizzare, in assenza di qualsivoglia titolo edilizio, interventi, come quello per cui è causa, ordinariamente attratti al regime concessorio.

5.3. Con il terzo mezzo (pagine 12 – 15 dell’atto di appello), si contesta la qualificazione dell’intervento edilizio operata dal comune sostenendosi la tesi che, nella specie, sarebbe stato realizzato un intervento di restauro conservativo.

Anche tale mezzo è inaccoglibile avendo fatto buon governo, il comune prima e il T.a.r. poi, delle norme e dei principi elaborati sul punto dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. fra le tante Sez. V, n. 7325 del 2004), secondo cui gli interventi di demolizione e ricostruzione non possono mai sussumersi nel genus del restauro conservativo ma in quello della c.d. “ristrutturazione pesante” che presuppone l’emanazione di una regolare concessione edilizia (oggi permesso di costruire o c.d. super d.i.a.).

In fatto è sufficiente osservare sul punto che da tutta la documentazione tecnica acquisita al fascicolo d’ufficio emerge pacificamente l’entità e consistenza delle opere realizzate che devono necessariamente qualificarsi come interventi di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione.

5.4. Con il quarto mezzo (pagine 15 – 18 dell’atto di appello), il ricorrente lamenta il contrasto fra il contenuto del parere della Soprintendenza – acquisito a suo tempo ai sensi dell’art. 9, co. 4, l. n. 47 del 1985 cit., oggi art. 33, co. 4, t.u. edilizia) – che aveva imposto il ripristino per le sole opere esterne, ed il provvedimento sindacale di ingiunzione che invece ha ordinato al privato di ripristinare in toto la preesistente opera.

Il mezzo è infondato atteso che la Soprintendenza, come risulta dal tenore testuale del parere, non ha vietato al comune (né avrebbe potuto alla stregua del micro ordinamento di settore), di ordinare l’integrale ripristino del corpo di fabbrica preesistente anche relativamente agli aspetti interni, trattandosi di scelta ampiamente discrezionale rimessa dalla legge alle insindacabili valutazioni degli organi tecnici comunali; valutazione, nel caso di specie, preceduta da una adeguata istruttoria e comunque non affetta da manifesta irragionevolezza o abnormità.

5.5. Con il quinto mezzo (pagine 18 – 20 dell’atto di appello), il ricorrente lamenta che il comune, una volta ordinata la demolizione, in una con il parere della Soprintendenza, non avrebbe potuto rinviare ad una fase successiva l’opzione fra l’una e l’altra sanzione.

Il mezzo è infondato atteso che, come rilevato dalla giurisprudenza di questo Consiglio in casi analoghi (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 2001 del 2013), la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata dall’amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento potendo avvenire contestualmente all’emanazione del provvedimento di ripristino solo in caso di impossibilità della demolizione sulla scorta di una valutazione tecnica rimessa in via esclusiva alla medesima.

5.6. Con il sesto mezzo (pagine 20 – 21 dell’atto di appello), il ricorrente contesta la legittimità del diniego di sanatoria sostenendo che, nella sostanza, il comune avrebbe inflitto due sanzioni cumulativamente (ripristino e misura pecuniaria).

Il motivo è infondato avuto riguardo al peculiare sviluppo della vicenda; invero:

I) il comune ha ingiunto il ripristino dell’intera opera, avvertendo che era possibile presentare istanza di sanatoria – si intende per l’intero compendio abusivo – e che, nel caso di diniego di sanatoria e di impossibilità del ripristino, sarebbe stata inflitta la sanzione pecuniaria;

II) il signor Manino ha presentato richiesta parziale di sanatoria, limitata cioè ad una sola quota delle opere interne realizzate abusivamente, tentando all’evidenza di evitare il rigetto dell’istanza di accertamento di conformità in considerazione del divieto di ristrutturazione sancito dal P.r.g. per la zona in questione;

III) correttamente, pertanto, atteso il carattere ontologicamente unitario del nuovo organismo edilizio realizzato sine titulo e il divieto di praticare frazionamenti elusivi delle opere abusive in violazione delle stringenti regole che presidiano le cause di sanatoria edilizia, il comune ha respinto l’istanza procedendo all’applicazione della sanzione pecuniaria.

5.7. Con il settimo e ottavo motivo (pagina 21 dell’atto di appello), si reiterano le doglianze di invalidità derivata della determinazione della pena pecuniaria e illegittimità della stessa per difetto di motivazione.

I motivi sono infondati.

L’invalidità derivata non è configurabile atteso il rigetto delle superiori doglianze.

Quanto al difetto di motivazione è sufficiente osservare che l’irrogazione della pena pecuniaria è stata preceduta da una accurata istruttoria; in particolare, il parere dell’ufficio tecnico comunale reso all’esito del sopraluogo effettuato su impulso del Manino, sebbene non allegato al provvedimento principale, è stato tuttavia ivi richiamato e messo a disposizione.

5.8. Con il nono motivo, infine (pagine 21 – 23 dell’atto di appello), si contesta l’inflizione della pena pecuniaria anche in relazione a parti di opere completamente ripristinate in esecuzione dell’ingiunzione sindacale.

La doglianza risulta smentita per tabulas dalla lettura della relazione dell’ufficio tecnico dell’agosto 1995 e della precedente lettera del signor Manino (del luglio 1995) nella quale si dichiara esplicitamente che risulterebbe impossibile la rimessione in pristino come ingiunta dal comune; in realtà il Manino si riferisce, nell’atto di appello, ad un ripristino accertato in verbali di sopraluogo e provvedimenti comunali del dicembre 1996 e del febbraio 1997, in epoca ampiamente successiva alla data di emanazione della pena pecuniaria (23 novembre 1995).

6. Sulla scorta delle rassegnate conclusioni è giocoforza respingere l’appello.

7. Le spese di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma le sentenze impugnate.

Condanna l’appellante a rifondere in favore dell’intimato comune gli onorari del presente giudizio che liquida nella misura complessiva di euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori come per legge (I.V.A. e C.P.A.).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1° aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Mario Luigi Torsello, Presidente

Vito Poli, Consigliere, Estensore

Fulvio Rocco, Consigliere

Doris Durante, Consigliere

Antonio Bianchi, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 28/04/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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