Pubblicato il 17/05/2017

N. 02334/2017REG.PROV.COLL.

N. 08264/2013 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8264 del 2013, proposto dalla signora Liliana Dell'Anna, rappresentata e difesa dall'avvocato Valeria Pellegrino, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso del Rinascimento, 11;

contro

Il Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore, e l’Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia - Direzione Generale, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, alla via dei Portoghesi, 12;
la signora Anna Maria Vernaleone, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza 28 giugno 2013, n. 1067, del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Bari, Sezione II.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2017 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti l’avvocato Mario Sanino, per delega dell’avvocato Valeria Pellegrino, e l’avvocato dello Stato Paola Saulino.


FATTO e DIRITTO

1.– Con decreto del direttore generale per il personale scolastico del 13 luglio 2011, il Ministero dell'istruzione, dell’università e della ricerca ha bandito il «concorso per esami e titoli per il reclutamento di dirigenti scolastici per la scuola primaria, secondaria di primo grado, secondaria di secondo grado e per gli istituti educativi».

La procedura concorsuale - che si è svolta, in tutte le sue fasi, a livello regionale - si articolava, una volta superata una prova preselettiva a carattere culturale e professionale, nella seguenti fasi: i) due prove scritte e una prova orale; ii) la valutazione dei titoli; iii) un periodo obbligatorio di formazione e tirocinio per i candidati utilmente collocati nelle graduatorie generali di merito e dichiarati vincitori nei limiti dei posti messi a concorso (artt. 2, 8 e 9 del bando).

L’appellante ha partecipato al concorso che si è svolto nella Regione Campania, superando le prove preselettive e non le prove scritte, avendo ottenuto la valutazione di 16/30 e 13/30, e dunque non ha raggiunto la valutazione minima di 21/30 richiesta dal bando.

La parte ha pertanto impugnato gli esiti della procedura concorsuale innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, che, con sentenza 28 giugno 2013, n. 1067, ha rigettato il ricorso.

2.– La ricorrente ha proposto appello per i motivi indicati nei successivi punti.

2.1.– Si sono costituite in giudizio le amministrazioni statali, chiedendo il rigetto dell'appello.

3.– La causa è stata decisa all’esito dell'udienza pubblica del 23 febbraio 2017.

4.– Con un primo motivo, l’appellante deduce l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto illegittime le modalità di azione della commissione che avrebbe fissato i criteri di valutazione delle prove concorsuali, nel corso della riunione del 31 gennaio 2012, oltre pertanto la prima riunione e le date di svolgimento delle prove di esame che si sono tenute il 14 e 15 dicembre 2011.

Il motivo non è fondato.

L’art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487 (Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi), prevede che «le commissioni esaminatrici, alla prima riunione, stabiliscono i criteri e le modalità di valutazione delle prove concorsuali, da formalizzare nei relativi verbali, al fine di assegnare i punteggi attribuiti alle singole prove».

La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare che il principio di preventiva fissazione dei criteri e delle modalità di valutazione delle prove concorsuali «deve essere inquadrato nell’ottica della trasparenza dell'attività amministrativa perseguita dal legislatore, che pone l'accento sulla necessità della determinazione e verbalizzazione dei criteri stessi in un momento nel quale non possa sorgere il sospetto che questi ultimi siano volti a favorire o sfavorire alcuni concorrenti, con la conseguenza che è legittima la determinazione dei predetti criteri di valutazione delle prove concorsuali, anche dopo la loro effettuazione, purché prima della loro concreta valutazione» (Cons. Stato, sez. VI, 18 luglio 2014, n. 3851; Cons. Stato, sez. V, 25 maggio 2012, n. 3062).

Non rappresenta, pertanto, motivo di invalidità la mancata determinazione dei criteri nella prima riunione. Né varrebbe rilevare, come fa l’appellante, che la norma persegue anche l’obiettivo di consentire ai candidati di conoscere i criteri di valutazione in modo da potere «trarre giusto ed equo profitto dalla comune conoscenza dei criteri stessi».

Una tale finalità non è stata tenuta in considerazione dalla disposizione sopra riportata, la quale si riferisce ad una fase procedimentale nel corso della quale non vi è alcuna interlocuzione tra la commissione e i candidati.

Peraltro, quand’anche una norma avesse previsto una tale formalità, non sarebbe stata riscontrabile una ragione invalidante di portata generale, sia perché la contestata azione della p.a. ha riguardato tutti i candidati senza che possa ritenersi violato, neanche astrattamente, il principio della parità di trattamento, sia per la mancanza di specifiche indicazioni di quali criteri avrebbero assunto, per l’appellante, una valenza determinante ai fini della redazione dell’elaborato.

Si tenga conto, infatti, che anche nel caso in cui la parte fa valere vizi idonei a determinare possibili effetti caducanti dell’intera procedura è necessario (ad eccezione dei casi in cui è lo stesso legislatore a prefigurare una presunzione di lesività in ragione della particolarità del vizio che viene in rilievo) che la stessa parte indichi come l’asserita illegittimità possa avere inciso concretamente nella propria sfera personale.

5.– Con un secondo motivo, si deduce l’irragionevolezza dei predetti criteri nella parte in cui hanno: i) individuato un “modello tipo” che avrebbe vincolato il giudizio di sufficienza della commissione alla rispondenza dell’elaborato al predetto modello; ii) individuato un criterio (criterio 2 «qualità dell’articolazione del testo e delle relative argomentazioni, punti massimo 10»), articolato in due tipi di indicatori (coerenza/concatenazione logica delle argomentazioni; originalità dello sviluppo argomentativo), «non oggettivabile e che sostanzialmente rimette l’esito della sua applicazione alla sensibilità (quindi all’arbitrio) del soggetto valutatore»; iii) assegnato una illegittima preponderanza, in relazione alla prima prova, agli aspetti formali (18/30 circa), diversamente dalla seconda prova (6/30); iv) «l’attribuzione di punteggi è avvenuta ad intervalli ridottissimi» e comunque «a prescindere dal numero di intervalli»; si aggiunge che «i criteri denotano una insista contraddittorietà determinata dalla scelta di una scala di valori a quattro intervalli pur a fronte di un indicatore a due uscite».

I motivi non sono fondati.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato è costante nell’affermare che «nei pubblici concorsi la predeterminazione dei criteri di valutazioni delle prove è connotata da un’ampia discrezionalità, per cui i criteri adottati sfuggono al sindacato giurisdizionale, salvi i casi di manifesta illogicità e irrazionalità» (Cons. Stato, sez. IV, 3 aprile 2014, n. 1596).

Nella fattispecie in esame non è ravvisabile una manifesta irragionevolezza nella individuazione dei criteri, in quanto: i) l’indicazione di un “modello tipo” costituiva un parametro generale di orientamento e non era preclusivo di un giudizio che tenesse conto anche della specificità del singolo elaborato; ii) il criterio 2, per sua natura, rimette il giudizio alla valutazione soggettiva della commissione senza che ciò comporti l’arbitrarietà del giudizio stesso, in mancanza, come nella specie, di puntuali e concrete prospettazioni contrarie della parte; iii) l’attribuzione, per la sola prima prova, di una valenza prioritaria al profilo formale non rende, per ciò solo, irragionevole la scelta, costituendo essa espressione della suindicata discrezionalità tecnica che tiene conto della diversità degli elaborati stessi; iv) la questione relativa agli intervalli, che riprende un rilievo contenuto nella perizia tecnica, non è chiara, non essendo stati dedotti elementi in grado di fare emergere la lamentata irragionevolezza.

6.– Con un terzo motivo, si deduce che il primo giudice non si sarebbe pronunciato in ordine alle censure, che vengono riproposte, relative all’asserita irrazionalità della valutazione degli elaborati dell’appellante, alla luce degli stessi criteri elaborati dalla commissione e di quanto accertato con perizia di parte redatta dal prof. D’Armento.

In particolare, si sostiene che: i) sul piano formale, il solo giudizio positivo in ordine alla «padronanza linguistica» si porrebbe in rapporto di «palese irrazionalità» con il giudizio negativo che la commissione ha formulato in ordine ai criteri costituiti dalla «chiarezza ed efficacia espositiva» nonché alla «coerenza/concatenazione logica delle argomentazioni»; ii) sempre sul piano formale, «i voti assegnati agli elaborati non recano alcuna sottolineatura» come richiesto dalla stessa commissione, che si era auto vincolata a «segnalare gli errori di sintassi e grammatica»; ii) sul piano dei contenuti, l’appellante avrebbe «trattato con ottima padronanza i temi oggetto della traccia» della prima e della seconda prova; iii) la commissione avrebbe valutato positivamente altri candidati e in particolare il «candidato in comparazione n. 55» che avrebbero dovuto essere esclusi.

Il motivo non è fondato.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato è costante nell’affermare che «le valutazioni espresse dalle Commissioni giudicatrici in merito alle prove di concorso, seppure qualificabili quali analisi di fatti (correzione dell’ elaborato del candidato con attribuzione di punteggio o giudizio) e non come ponderazione di interessi, costituiscono pur sempre l’espressione di ampia discrezionalità, finalizzata a stabilire in concreto l'idoneità tecnica e culturale, ovvero attitudinale, dei candidati, con la conseguenza che le stesse valutazioni non sono sindacabili dal giudice amministrativo, se non nei casi in cui sussistono elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico od un errore di fatto, o ancora una contraddittorietà ictu oculi rilevabile» (Cons. Stato, sez. VI, 29 novembre 2016, n. 5056; sez. VI 9 febbraio 2011 , n. 871

Nella fattispecie in esame non è ravvisabile una manifesta irragionevolezza nella fase di correzione degli elaborati, in quanto: i) il giudizio positivo sulla «padronanza linguistica», attenendo allo stile dell’esposizione, non può implicare, per la diversità dei parametri valutativi, un correlativo e necessario giudizio positivo anche in ordine alla chiarezza espositiva e alla sistemazione logica e coerente degli argomenti; ii) la sottolineatura era condizionata al riscontro degli errori sopra indicati e comunque dal citato verbale n. 8 risulta che si trattava di una valutazione discrezionale rimessa ai commissari («può essere segnalato»), con la conseguenza che l’assenza di essa non può implicare illegittimità della valutazione; iii) il giudizio relativo al contenuto degli elaborati costituisce manifestazione di discrezionalità tecnica, che la parte non ha dimostrato, neanche alla luce di quanto contenuto nella perizia tecnica, contraria al principio di ragionevolezza; iv) il giudizio comparativo svolto in relazione agli altri candidati impinge anch’esso in valutazioni di merito che non risultano in contrasto con il richiamato principio di ragionevolezza.

7.– Con un quarto motivo, si deduce l’erroneità della sentenza nella parte cui non ha ritenuto sussistente l’illegittimità delle valutazioni della commissione anche in ragione della «assoluta mancanza della indicazione dei tempi in cui è avvenuta la valutazione» degli elaborati dell’appellante.

L’appellante puntualizza che, contrariamente a quanto rilevato dal primo giudice, si tratterebbe non solo di un autonomo motivo, ma «soprattutto» di un «indice rivelatore delle gravi illegittimità in cui era incorsa la commissione in sede valutativa», con la conseguente sua rilevanza alla luce anche degli altri vizi di illegittimità.

Il motivo non è fondato.

La mancata indicazione nel verbale dell’orario di chiusura della seduta costituisce mera irregolarità (Cons. Stato, sez. IV, 17 luglio 2013, n. 3754). L’assenza delle altre illegittimità lamentate rende, inoltre, privo di rilevanza il vizio in esame anche rapportandolo, come richiesto dall’appellante, alle altre censure.

8.– Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.

La natura della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:

a) rigetta l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe n. 8264 del 2013;

b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2017, con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Bernhard Lageder, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore

Francesco Mele, Consigliere

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

 
 
L'ESTENSOREIL PRESIDENTE
Vincenzo LopilatoLuigi Maruotti
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO