Pubblicato il 25/05/2017

N. 02455/2017REG.PROV.COLL.

N. 00947/2016 REG.RIC.

logo

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 947 del 2016, proposto da:
Asanisimasa srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Angelo Clarizia e Sebastiana Dore, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Sergio Siracusa, con il quale è domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II TER n. 10797/2015, resa tra le parti, concernente la disdetta della concessione di occupazione di suolo pubblico in via Flaminia, n. 450;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 marzo 2017 il Cons. Daniele Ravenna e uditi per le parti gli avvocati Angelo Clarizia, Sebastiana Dore e Sergio Siracusa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.La società Asanisimasa srl, che gestisce una attività di somministrazione di alimenti e bevande in un locale in Roma, via Flaminia, n. 450, otteneva la concessione di 25,09 metri quadrati di suolo pubblico antistanti il predetto locale, giusta D.D. n. 1058 del 17 luglio 2012 del Municipio XX, valida fino al 31 dicembre 2014, recante la precisazione che essa “E’ rinnovabile con il pagamento del canone per l’anno di riferimento a condizione che non risultino variazioni e l’Amministrazione non abbia comunicato il proprio diverso intendimento almeno 30 giorni prima della scadenza….”.

Ai fini di tale concessione, peraltro la predetta società si era impegnata all’ampliamento, a proprie spese, del marciapiede, ai sensi della Direttiva del Presidente della XX Circoscrizione prot. 14948 del 18 marzo 2011, che permetteva il rilascio di una concessione di suolo pubblico previa sottrazione di porzioni di carreggiata non necessarie al traffico, da cementare.

2. Con nota prot. CU n. 98069 del 27 novembre 2014 il Municipio Roma XV comunicava l’intendimento di non voler procedere al rinnovo della concessione OSP in scadenza al 31 dicembre successivo e la formale disdetta della stessa, richiamando nel preambolo anche la Direttiva n. 2 del 23 aprile 2014 del Presidente del XV Municipio che aveva revocato la precedente direttiva prot. 14948 del 18 marzo 2011.

3. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. II ter, adito dall’interessata per l’annullamento della predetta nota (oltre che, ove occorra, del verbale del 31.7.2013 del Consiglio del Municipio XV in relazione al punto 2 dell’Ordine del giorno avente ad oggetto la revoca della Direttiva prot. n. 14948 del Municipio XX del 18.3.2011; della Direttiva del Presidente della Circoscrizione n. 2 del 23.4.2014 avente lo stesso oggetto e di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale, comunque lesivo, anche se non conosciuto), nella resistenza dell’intimata amministrazione comunale, con la sentenza segnata in epigrafe, ha respinto il ricorso, ritenendo infondati i motivi di censura sollevati, imperniati sull’eccesso di potere per illogicità e irragionevolezza, difetto di presupposti, motivazione insufficiente e violazione dei principi di affidamento del terzo.

4. La società Asanisimasa s.r.l. ha chiesto la riforma di tale sentenza, deducendo l’erroneità e l’ingiustizia alla stregua di un solo motivo di gravame, rubricato “Motivazione illogica e insufficiente”.

In sintesi, secondo l’appellante, aveva errato il tribunale a ritenere sufficientemente motivato il provvedimento impugnato sulla base del solo richiamo della clausola di cui all’art. 10 del Regolamento comunale in materia di occupazione suolo pubblico (di seguito “Regolamento OSP”), secondo cui “le concessioni permanenti possono essere rinnovate con il pagamento del canone per l’anno di riferimento, a condizione che non risultino variazioni e l’Amministrazione non abbia comunicato il proprio diverso intendimento almeno trenta giorni prima della scadenza”, dal momento che non erano state affatto indicate né le ragioni del “diverso intendimento”, che giustificavano la disdetta, né tanto mento il relativo interesse pubblico (da compararsi con quello privato); ugualmente non poteva costituire adeguata motivazione dell’atto impugnato il richiamo alla Direttiva n. 2 del 23 aprile 2014 del Presidente del Municipio Roma XV (di revoca della precedente Direttiva prot. 14948 del 18 marzo 2011), giacché essa, mirando sostanzialmente a limitare le concessioni di occupazione di suolo pubblico in relazione alle riscontrate carenze di posti auto, alle esigenze del traffico e ai problemi connessi al deflusso delle acque meteoriche, riguardava le nuove concessione e non quelle già rilasciate, quale quella di cui si discuteva; ciò senza contare che la stessa amministrazione comunale, come emergeva dagli atti depositati nel giudizio di primo grado, aveva prospettato ai fini della sistemazione complessiva delle questioni relative alle occupazioni di suolo pubblico l’adozione di un “Piano di massima occupabilità”, che avrebbe dovuto contemperare tutti gli interessi in gioco, ivi compresi quelli delle concessioni di suolo pubblico esistenti, piano di cui non vi era alcuna traccia. In conclusione i primi giudici avevano omesso di considerare che l’Amministrazione avrebbe dovuto adeguatamente motivare la scelta discrezionale di disdettare la concessione di occupazione di suolo pubblico in discussione.

5. Ha resistito al gravame Roma capitale, che con una puntuale memoria ne ha dedotto l’inammissibilità e l’infondatezza, chiedendone il rigetto.

6. Nell’imminenza dell’udienza di trattazione le parti hanno illustrato con apposita memoria le rispettive tesi difensive.

All’udienza pubblica del 2 marzo 2016, la causa, dopo la rituale discussione, è stata introitata per la decisione.


DIRITTO

7. Deve preliminarmente respingersi l’istanza dell’appellante, depositata il 14 febbraio 2017, tesa ad ottenere il rinvio della discussione sul presupposto che la difesa dell’amministrazione comunale nella diversa causa iscritta al NRG. 946/2017 avrebbe impropriamente ed inammissibilmente mutato le proprie difese, rispetto a quelle sostenute nelle memorie difensive depositate in occasione della discussione dell’incidente cautelare, peraltro nella sola memoria di replica, presentata malgrado la mancata redazione della rituale memoria difensiva.

Indipendentemente da ogni questione in ordine alla effettiva sussistenza di un nesso di connessione tra il presente ricorso (NRG. 947/2016) e quello iscritto al NRG. 946/2016, è sufficiente rilevare che nel corso della presente discussione orale la parte appellante ha ampiamente argomentato in ordine alle ragioni che, a suo avviso, inficiano la sentenza impugnata, insistendo per la sua riforma e confutando tutte le prospettazioni difensive dell’amministrazione comunale e chiedendo di non tener conto di quelle che sarebbero state irritualmente ed inammissibilmente introdotte con la memoria di replica.

Risulta in tal modo pienamente rispettato il principio del contraddittorio.

8. Nel merito l’appello è infondato.

8.1. Contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante il provvedimento impugnato in primo grado non solo non ha le caratteristiche della revoca, ovvero di un atto che, in considerazione di sopravvenuti motivi di pubblico interesse o per un mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o, ancora, sulla base di una rinnovata valutazione dell'interesse pubblico originario, priva di effetti un precedente provvedimento amministrativo ad efficacia durevole, per quanto essa è espressamente qualificato come disdetta dall’art. 10 del ricordato regolamento in materia di occupazione di suolo pubblico.

E’ stato puntualizzato (sentenza 31 dicembre 2014, n. 6649) che l’istituto della disdetta “…si conforma a un modello civilistico, proprio della c.d. concessione – contratto, e si fonda su di una dichiarazione dell’amministrazione concedente che, almeno trenta giorni prima della scadenza della concessione, notifica al concessionario la propria volontà di non rinnovare il rapporto in essere, con la conseguenza che la dichiarazione medesima toglie effetto alla rinnovazione tacita della concessione”, aggiungendosi che “Premesso che il concessionario non vanta alcun diritto di insistenza, né aspettative di sorta ai rinnovi del preesistente rapporto concessione (cfr. al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, 7 febbraio 2010 n. 725), e che la previsione nella disciplina di rilascio della concessione di scadenze determinate implica ex se la potestà per l’amministrazione concedente di riesaminare la permanenza dei presupposti per assentire – o meno – il rinnovo del rapporto concessorio medesimo (cfr., ad es., Cons. Stato, sez. V, 17 febbraio 2010 n. 921), va evidenziato che l’utilizzo della disdetta di stampo civilistico da parte della pubblica amministrazione nell’ambito dei rapporti concessori è ammesso da Cons. Stato, sez. V, 13 marzo 2000, n. 327, laddove segnata si afferma – tra l’altro – che l’atto di disdetta di un rapporto di concessione è un atto paritetico e non provvedimentale in quanto la struttura, la funzione e gli effetti della clausola di disdetta afferente ad una convenzione costitutiva della concessione, volta ad evitare la rinnovazione tacita del rapporto, corrispondono, senza apprezzabili differenze morfologiche, alla fisionomia tipica delle clausole dei comuni contratti di durata, non presentando, quindi, l’atto di disdetta, alcun tratto tipico dei provvedimenti amministrativi. Infatti la comunicazione della volontà di non proseguire il rapporto non è affatto caratterizzata dalla valutazione necessaria dell’interesse pubblico, ben potendo essere determinata, in concreto, da altre ragioni, non rappresentando, quindi, l’interesse pubblico il presupposto della disdetta, ma, semplicemente, uno dei motivi, della determinazione assunta dal concedente. La disdetta è riferita alla normale scadenza del rapporto, allo scopo di impedire la rinnovazione tacita del servizio svolto dal precedente gestore, inserendosi nel fisiologico sviluppo paritetico del rapporto, indipendentemente dalle ragioni addotte dall’amministrazione”.

Ciò esclude in radice la sussistenza del dedotto difetto di motivazione (e tanto meno quello di difetto di istruttoria e di eccesso di potere), da cui sarebbe stato affetto il provvedimento impugnato.

8.2. Peraltro, come correttamente rilevato dal tribunale, il provvedimento impugnato risulta comunque adeguatamente motivato anche attraverso il richiamo alla direttiva n. 2 del 2014, che a sua volta richiamava il Regolamento OSP e i limiti in cui questo consente il rilascio di concessioni, così rendendo palese l’iter logico – giuridico seguito dall’amministrazione e consentendo quindi alla parte interessata di esercitare pienamente (e consapevolmente) l’esercizio del diritto di difesa.

8.3. Le considerazioni svolte in precedente escludono anche la sussistenza di un legittimo affidamento, cui ha fatto riferimento l’appellante, a sostegno della dedotta illegittimità del provvedimento impugnato, essendo sufficiente al riguardo ricordare che la concessione rilasciata con la D.D. n. 1058 del 17 luglio 2012, conteneva espressamente la clausola termine della concessione stessa al 31 dicembre 2014, a nulla rilevando pertanto la revoca da parte della direttiva n, 2 del 23 aprile 2014 della direttiva prot. 14948 del 18 marzo 2011, le cui particolari disposizioni avevano consentito il rilascio della concessione di cui alla ricordata D.D. n. 1958 del 17 luglio 2012.

9. In conclusione l’appello deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento in favore dell’amministrazione appellata delle spese del presente grado di giudizio, liquidando nella misura di €. 2000,00 (duemila).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2017 con l'intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Fabio Franconiero, Consigliere

Daniele Ravenna, Consigliere, Estensore

 
 
L'ESTENSOREIL PRESIDENTE
Daniele RavennaCarlo Saltelli
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO