Pubblicato il 07/02/2017

N. 00546/2017REG.PROV.COLL.

N. 02604/2016 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2604 del 2016, proposto da:
GIOVANNI TRAVAGLIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato Carlo Carpanelli, con domicilio eletto presso la segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro n. 13;

contro

AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

nei confronti di

FRANCESCA IACHETTI, non costituita in giudizio;

per la riforma:

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I n. 10227/2015


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;

Viste le memorie difensive;

Visti gli artt. 35, comma 1, 38 e 85, comma 9, cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 gennaio 2017 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati Claudia Osti, in delega dell’avv. Carlo Carpanelli, e Paolo Marchini dell’Avvocatura Generale dello Stato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

I. L’appello è irricevibile per tardività, essendo esso stato notificato in data 7 aprile 2016, mentre la sentenza impugnata è stata depositata il 25 luglio 2015. È inutilmente spirato il termine “lungo” di sei mesi decorrenti dalla data del deposito della sentenza, peraltro dimidiato nel caso di specie a tre mesi ai sensi del combinato disposto degli articoli 92 e 119, commi 1, lettera b) e 6, del c.p.a.

I.1. La tardiva comunicazione del deposito della sentenza da parte della cancelleria del TAR non è idonea a differire il decorso del termine lungo. Ai sensi dell’art. 92, comma 3, c.p.a., «[i]n difetto della notificazione della sentenza», l’appello e le altre impugnazioni «devono essere notificati entro sei mesi dalla pubblicazione della sentenza» (analogamente dispone l’art. 327, comma 1, c.p.c.). In base all’art. 89, comma 2, c.p.a., la sentenza, dopo la sua sottoscrizione, «è immediatamente resa pubblica mediante deposito nella segreteria del giudice che l’ha pronunciata» (così anche l’art. 133, comma 1, c.p.c.). Di tale deposito il segretario dà atto apponendo in calce alla sentenza data e firma (art. 89, comma 3, c.p.a.). La previsione di un termine decadenziale di impugnazione indipendente dalla notificazione della sentenza (e da ogni altra comunicazione) trova fondamento nella necessità di sottrarre la pronuncia del giudice ad ogni discussione sulla sua incontrovertibilità. L’ampiezza del termine semestrale consente al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguarda, facendo uso della diligenza dovuta “in rebus suis”, a meno che la parte rimasta contumace non dimostri di non avere avuto alcuna conoscenza del processo.

I.2. Del resto, quando ha voluto, il legislatore ha espressamente attribuito rilievo processuale alla comunicazione del provvedimento ad opera della cancelleria, quale adempimento da cui decorre il termine di decadenza per il gravame (cfr. l’art. 1, comma 62, della l. n. 92 del 2012; l’art. 348-ter, comma 3, c.p.c.; l’art. 18, comma 13, l. fall.). Il carattere derogatorio e speciale di tali disposizioni risulta anche dal nuovo testo dell’art. 133, comma 2, c.p.c., secondo cui: «la comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 c.p.c.» (quindi a maggior ragione non è idonea a far decorrere il termine “lungo”).

I.3. Anche secondo la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione, il termine annuale di impugnazione previsto dall’art. 327 c.p.c. è stabilito a pena di decadenza e decorre in ogni caso dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, senza che rilevi l’omessa comunicazione da parte del cancelliere, a carico del quale può dar luogo solo ad una sanzione disciplinare (Cass., sentenze n. 17704 del 2010; n. 16004 del 2009; n. 11910 del 2003, n. 15778 del 2007, le quali hanno anche condivisibilmente ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 327 c.p.c. in riferimento all’art. 24 Cost.).

I.4. Da ultimo, la decadenza da un termine processuale, ivi compreso quello per impugnare, non può ritenersi incolpevole e giustificare, quindi, la rimessione in termini, ove sia avvenuta (come nella specie) per errore di diritto.

II. Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite del presente grado di giudizio, attesa la particolarità della vicenda.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara irricevibile. Le spese del presente grado di giudizio sono interamente compensante tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Carlo Deodato, Consigliere

Silvestro Maria Russo, Consigliere

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Dario Simeoli, Consigliere, Estensore

 
 
L'ESTENSOREIL PRESIDENTE
Dario SimeoliLuciano Barra Caracciolo
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO