N. 07682/2008 REG.RIC.

N. 02911/2016REG.PROV.COLL.

N. 07682/2008 REG.RIC.

logo

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7682 del 2008, proposto dall’Impresa Individuale Bianchi P.I.E. Umberto, rappresentato e difeso dagli avv. Giuliano Bologna e Mario Lavatelli, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, Via Merulana, n. 234;

contro

Comune di Como, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Galasso, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Andrea Manzi in Roma, Via Federico Confalonieri, n. 5;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Lombardia – Milano - Sezione II, n. 1927 del 5 giugno 2008, resa tra le parti, concernente diniego di concessione edilizia in sede di condono straordinario.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Como;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 giugno 2016 il Consigliere Carlo Schilardi e uditi per le parti gli avvocati Della Valle, su delega di Lavatelli, e Manzi, su delega di Galasso;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.- Il sig. Umberto Bianchi, in data 28 febbraio 1995, presentava al Comune di Como domanda di condono edilizio per un capannone ad uso magazzino deposito (accorpato ad un fabbricato rustico esistente sul mappale 1586), realizzato su di un'area di sua proprietà, destinata, secondo il piano regolatore urbanistico generale adottato dal Comune con delibera del consiglio comunale n. 72 del 6.7.1993, a zona EA florovivaismo-orticoltura.

1.1. Il Comune, con atto n. 5705 del 5 settembre 1995, comunicava all'interessato il diniego di rilascio di concessione edilizia in sanatoria, atteso che dal rapporto redatto dalla polizia municipale e dall'esame delle foto delle riprese aerofotogrammetriche effettuate in data 23 maggio 1994, l'opera edilizia oggetto della domanda di condono risultava, alla suddetta data, "inesistente" e conseguentemente non avrebbe potuto beneficiare della procedura di condono di cui alla legge n. 47/1985.

Successivamente, in data 16 ottobre 1995 il Comune revocava parzialmente il provvedimento negatorio, avendo rilevato che il rustico sito sul mappale n. 1586 di m. 4,25 x 4,25 "era comunque preesistente alla data del 31.12.1993 e quindi suscettibile di condono edilizio …".

2. Avverso il provvedimento di diniego di condono edilizio, nella parte non revocata, il sig. Umberto Bianchi proponeva ricorso al T.A.R. per la Lombardia.

3. Il T.A.R., con sentenza n. 1927 del 5 giugno 2008 ha rigettato il ricorso ed ha condannato il sig. Bianchi al pagamento delle spese processuali in favore del Comune di Como.

4. - Avverso la sentenza il sig. Umberto Bianchi ha proposto appello, chiedendo la condanna del Comune di Como alla reintegrazione in forma specifica, mediante il rilascio della concessione in sanatoria e al risarcimento dei danni asseritamente patiti.

5. Si è costituito in giudizio il Comune di Como che ha chiesto di rigettare l'appello perché infondato.

6. All'udienza pubblica del 16 giugno 2016 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

7. L'appello è infondato e deve essere respinto.

8 - Con unico articolato motivo di appello (pagine 6 – 12) il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990 per difetto di motivazione del provvedimento negatorio, la non corretta applicazione degli artt. 31, comma 3, 35 e 40 della legge n. 47 del 1985 nonché difetto di istruttoria.

L'appellante sostiene che il provvedimento gravato sarebbe erroneamente fondato sull'asserita inesistenza del magazzino-deposito, senza considerare che sull'area in questione vi era, invece, una preesistente struttura in ferro ad uso deposito attrezzi e macchinari agricoli.

9. Nessuna delle articolate doglianze è suscettibile di favorevole esame.

Risulta in atti che il sig. Umberto Bianchi, convocato dalla polizia municipale in data 28.8.1995, ha dichiarato che nell'area interessata, da lui acquistata negli anni 1985 - 1986, già esistevano due fabbricati in muratura ed una struttura in ferro sprovvista di copertura ad uso deposito attrezzi e macchinari agricoli.

L'appellante sostiene che l'amministrazione comunale, proprio a seguito della suddetta dichiarazione da lui rilasciata, circa la presenza nell'area interessata di una struttura in ferro, avrebbe dovuto ponderare se la stessa potesse costituire presupposto per la sanabilità dell'opera, a termini dell'art. 31, comma 2, della legge n. 47/1985.

Tuttavia il Comune, a suo tempo, ha fatto ciò che l’appellante ritiene che il Comune dovesse fare, disponendo opportuni rilievi aerofotogrammetrici in cui, però, il manufatto in ferro oggetto del giudizio non compare ed a seguito degli accertamenti effettuati il Comune ha revocato parzialmente il provvedimento di diniego di sanatoria, relativamente agli altri fabbricati in muratura.

A supporto delle proprie determinazioni il Comune ha tenuto conto, altresì, degli accertamenti svolti dalla polizia urbana, per cui è ulteriormente infondata la tesi dell'appellante, che il provvedimento comunale sarebbe stato contraddittorio nella motivazione e nei presupposti con riferimento agli artt. 35 e 40 della legge n. 47/1985 e che il Comune non avrebbe svolto "una adeguata istruttoria".

Resta fermo, peraltro, che come di seguito si dirà, competeva proprio all'appellante documentare quanto da lui dichiarato in data 28.8.1995.

Giova soggiungere che, come evidenziato dal Comune di Como, l'appellante ha indicato l'esistenza solo di una struttura metallica senza copertura, che non sarebbe potuta, comunque, essere oggetto di sanatoria edilizia perché, come correttamente i giudici di prime cure hanno evidenziato, per accedere ai benefici previsti dalla legge n. 47/1985 è necessario che un manufatto abusivo abbia "raggiunto la funzionalità propria della destinazione d'uso per la quale è stato richiesto il condono" mentre, nel caso di specie, l'avvenuto completamento funzionale del manufatto non è supportato da "alcuna prova, laddove invece il provvedimento impugnato trova conforto negli accertamenti di fatto effettuati dal Comune …".

Secondo la consolidata giurisprudenza (da ultimo: Cons. di Stato, sez. IV, 8 novembre 2013, n. 5336; sez. IV, 1 agosto 2014, n. 4089; sez. VI, 15 settembre 2015, n. 4287), in sede di condono straordinario, ai sensi dell'art. 43, comma 5, della legge n. 47/1985, è consentito il completamento delle sole opere già funzionalmente definite alla data ultima del 31 dicembre 1993 (articolo 39 della legge 23 dicembre 1994 n. 724), che si realizza quando si è in presenza di uno stato di avanzamento nella realizzazione del manufatto tale da consentirne potenzialmente, e salve le sole finiture, la fruizione.

In altri termini, l'organismo edilizio deve aver assunto una sua forma stabile ed una adeguata consistenza planovolumetrica (come per gli edifici, per i quali è richiesta la c.d. ultimazione "al rustico", ossia intelaiatura, copertura e muri di tompagno).

Priva di fondamento è, poi, la censura dell'appellante, laddove lamenta che i giudici di prime cure non avrebbero "valutato l'oggetto effettivo dell'impugnazione" ed avrebbero ritenuto legittimo il provvedimento comunale, in assenza della prova del completamento o meno del manufatto abusivo, onere che sarebbe stato a carico dell'amministrazione ai sensi dell'art. 31, comma 3, della legge n. 47/1985.

Diversamente da quanto assunto, l'onere della prova in ordine all'ultimazione dei lavori entro la data utile per ottenere la sanatoria grava, infatti, sul richiedente perchè, essendo le norme sul condono edilizio di carattere straordinario, esse sono anche di stretta interpretazione ed onerano rigorosamente il richiedente di fornire atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza in ordine alla realizzazione, anche sul piano temporale, dell'opera abusiva.

Non può, invece, ritenersi sufficiente al riguardo, la sola allegazione della dichiarazione dell'interessato, senza il supporto di precisi riscontri documentali, eventualmente indiziari, purché altamente probanti, quali, ad esempio, le fatture, le ricevute relative all'esecuzione dei lavori o all'acquisto di materiali, rilievi aereofotogrammetrici, ecc. (Consiglio di Stato sez. V, 3 giugno 2013, n. 3034).

10. L'infondatezza dell'appello e la piena legittimità dell'operato del Comune escludono che possa essere esaminata sia l’istanza istruttoria che la domanda risarcitoria per presunti danni subiti.

11.- Le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55.

12.- Il Collegio rileva, inoltre, che il rigetto dell’appello si basa su ragioni manifeste, e cioè sull’applicazione di norme da lungo tempo in vigore e certamente applicabili alla fattispecie esaminata, in modo da integrare i presupposti applicativi dell’art. 26, comma 1, cod. proc. amm. secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. sez. V, 21 novembre 2014, nr. 5757; id., 11 giugno 2013, nr. 3210; id., 31 maggio 2011, nr. 3252; id., 26 marzo 2012, nr. 1733, cui si rinvia ai sensi degli artt. 74 e 88, comma 2, lettera d), cod. proc. amm. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della misura indennitaria).

Le conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza del Consiglio di Stato sul punto in esame sono state, nella sostanza, recepite dalla novella recata all’art. 26 cod. proc. amm. dal decreto-legge 24 giugno 2014, nr. 90, e in particolare:

a) l’art. 26, comma 1, che rinviava (e rinvia) all’art. 96 cod. proc. civ., prevedeva la condanna, su istanza di parte, al risarcimento del danno se la parte ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave (art. 96, comma 1, cod. proc. civ.), nonché la condanna anche d’ufficio in favore dell’altra parte, di una somma equitativamente determinata;

b) il d.l. nr. 90 del 2014 ha inciso sia sull’art. 26, comma 1, cod. proc. amm., in termini generali applicabile per tutti i riti davanti al giudice amministrativo, sia sull’art. 26, comma 2, cod. proc. amm., in termini specifici applicabile solo per il rito in materia di appalti;

c) sebbene l’art. 26, comma 1, cod. proc. amm. continui a richiamare l’art. 96 cod. proc. civ. in tema di lite temeraria, esso detta ora una regola più specifica, stabilendo che in ogni caso il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, comunque non superiore al doppio delle spese liquidate, in presenza di motivi manifestamente infondati.

La condanna dell’originario ricorrente ai sensi dell’art. 26 cod. proc. amm. rileva, infine, anche agli effetti di cui all’art. 2, comma 2-quinquies, lettere a) e f), della legge 24 marzo 2001, nr. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28 dicembre 2015, nr. 208.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l'appellante al pagamento, in favore del Comune di Como, di spese e onorari del presente grado del giudizio che liquida in € 3.000,00 (tremila) oltre agli accessori di legge.

Condanna altresì l'appellante, ai sensi dell’art. 26, comma 1, cod. proc. amm., al pagamento in favore del Comune di Como dell’ulteriore somma di € 2.000,00 (duemila).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 giugno 2016 con l'intervento dei magistrati:

Vito Poli, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere

Carlo Schilardi, Consigliere, Estensore

Giuseppe Castiglia, Consigliere

 
 
L'ESTENSOREIL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 28/06/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)