N. 05887/2010 REG.RIC.

N. 05611/2015REG.PROV.COLL.

N. 05887/2010 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5887 del 2010, proposto da:
Nicolini s.r.l. (gia' Isocoibent), in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Gianfranco Tobia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Renato Tobia in Roma, viale Mazzini, 11;

contro

Inps - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso per legge dagli avvocati Fausto M. Prosperi Valenti, Gaetano De Ruvo, Daniela Anziano e Francesca Ferrazzoli, domiciliata in Roma, via della Frezza, 17;

per la riforma

della sentenza 24 febbraio 1994, n. 380 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Roma, Sezione III-ter.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Inps - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 luglio 2015 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Vecchio Verderame, per delega dell’avvocato Tobia, e l’avvocato Di Meglio per delega dell’avvocato Anziano.


FATTO e DIRITTO

1.– Il Consiglio di amministrazione dell’I.N.P.D.A.I. (oggi I.N.P.S.), con delibera 10 aprile 1992, ha indetto una licitazione privata per l’aggiudicazione di un appalto di lavori di manutenzione di immobili di proprietà dell’Ente.

All’esito dell’espletamento della procedura di gara la Isocoibent s.r.l. (oggi Nicolini s.r.l.) è risultata aggiudicataria del lotto numero 5.

L’ente, con delibera del 19 giugno 1992, ha deciso di non stipulare il contratto.

Tale atto è stato impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, che, con sentenza 24 febbraio 1994, n. 380, ha rigettato il ricorso.

Il Consiglio di Stato, con sentenza 10 ottobre 1007, n. 1418, in riforma della sentenza appellata, ha accolto il ricorso di primo grado e annullato gli atti impugnati.

2.– La società ha proposto, con successivo ricorso, azione di risarcimento del danno innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio che, con sentenza 20 luglio 2009, n. 7193, lo ha accolto solo in parte. In particolare, il Tribunale ha rilevato come non fosse configurabile il danno ingiusto, in quanto il Consiglio di Stato avrebbe accolto il ricorso per un motivo formale costituito dal difetto di motivazione e dalla omessa comunicazione di avvio del procedimento, con la conseguenza che l’amministrazione sarebbe rimasta titolare del potere discrezionale di riesercitare il potere mediante la riedizione della gara. Soltanto all’esito di tale riesercizio si sarebbe potuta valutare la sussistenza della lesione sostanziale alla posizione giuridica fatta valere. Lo stesso Tribunale ha, invece, ritenuto sussistente il danno «da contatto amministrativo qualificato», con conseguente diritto di ottenere, all’esito della procedura di cui all’art. 35 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, il risarcimento del danno da lesione dell’interesse negativo.

3.– La ricorrente in primo grado ha proposto appello, per i motivi indicati nei successivi punti.

3.1.– Si è costituito in giudizio l’ente intimato, chiedendo il rigetto dell’appello e proponendo appello incidentale per la riforma della parte della sentenza in cui ha condannato l’ente al risarcimento del danno «da contatto amministrativo qualificato».

4.– La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 14 luglio 2015.

6.– L’appello è in parte fondato.

7.– L’appellante deduce come il Consiglio di Stato avesse, invero, ravvisato una illegittimità sostanziale e non vi sarebbe stato spazio per un riesercizio del potere diverso in quanto sarebbe certo che la società appellante aveva “diritto” all’appalto essendo risultata aggiudicataria e comunque «il lotto n. 5 che era stato legittimamente aggiudicato dall’I.N.P.D.A.I. alla società appellante è stato poi aggiudicato, a seguito di una nuova licitazione privata, alla ditta Plastwerke e che i relativi lavori di manutenzione sono stati eseguiti oramai da tempo».

La dimostrazione dell’esistenza del fatto lesivo comporterebbe, secondo l’appellante, il diritto ad ottenere i seguenti danni:

a) «danno per vincolo improduttivo di personale e mezzi tecnici», che sarebbe pari ad euro 151.374,28;

b) «danno per la perdita di chance a partecipare ad altre gare di appalto», da valutare in via equitativa;

c) «danno per mancato utile», che sarebbe pari ad euro 96.835,66;

d) «danno c.d. curriculare», che sarebbe pari ad euro 150.000,00;

e) «danno da contatto amministrativo qualificato», che sarebbe pari ad euro 50.000,00.

L’appellante ha contestato, infine, il capo della sentenza nella parte in cui ha rigettato la richiesta di condanna di controparte alle spese nella misura di euro 23.632,21.

8.– Il motivo è, in parte, fondato.

La responsabilità extracontrattuale, che rinviene il fondamento della sua disciplina nell’art. 2043 cod. civ., presuppone che l’agente non abbia normalmente alcun rapporto o contatto con la parte danneggiata. La norma citata, infatti, impone, con clausola generale dotata di autonomia precettiva, il rispetto del dovere generale del neminem laedere a tutela di qualunque posizione soggettiva meritevole di protezione giuridica.

La responsabilità contrattuale è conseguenza della violazione di un dovere di prestazione o di protezione inserito nell’ambito di un rapporto giuridico che sorge non solo da un contratto ma, esprimendo l’espressione impiegata una sineddoche, anche dalla legge o da contatto tra le parti che può generare un rapporto contrattuale di fatto. Le posizioni soggettive sono riconducibili alla categoria del diritto soggettivo relativo.

La responsabilità della pubblica amministrazione da provvedimento illegittimo ha natura speciale non riconducibile agli indicati modelli normativi di responsabilità (Cons. Stato, VI, 27 giugno 2013, n. 3521; id. 14 marzo 2005, n. 1047), per le seguenti ragioni.

In primo luogo, rispetto alla responsabilità civile, quella in esame presuppone che il comportamento illecito si inserisca nell’ambito di un procedimento amministrativo. L’amministrazione, in ossequio al principio di legalità, deve rispettare predefinite regole, procedimentali e sostanziali, che scandiscono le modalità di svolgimento della sua azione. L’esistenza di un contatto tra le parti, pubbliche e private, impedisce di ritenere che si sia in presenza della responsabilità di un soggetto non avente alcun rapporto con la parte danneggiata.

In secondo luogo, rispetto alla responsabilità contrattuale, sono diverse le posizioni soggettive che si confrontano: da un lato, dovere di prestazione o di protezione e diritto di credito, dall’altro, potere pubblico e interesse legittimo o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, diritto soggettivo.

Infine, rispetto ad entrambe le responsabilità civilistiche, la stretta connessione esistente tra sindacato di validità sul potere discrezionale e sindacato di responsabilità sul comportamento impone al giudice amministrativo, nel caso in cui sia proposta anche l’azione di annullamento o di nullità, di non sovrapporre, nell’accertare la sussistenza del fatto illecito, proprie valutazioni a quelle riservate alla pubblica amministrazione.

In definitiva, la peculiarità dell’attività amministrativa – che deve svolgersi nel rispetto di determinate regole procedimentali, sostanziali e processuali – rende speciale, per le ragioni indicate, anche il sistema della responsabilità da attività illegittima (in questo senso, da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 29 maggio 2014, n. 2792).

E’ bene chiarire che la descritta forma di responsabilità deve essere tenuta distinta dalla responsabilità precontrattuale. Quest’ultima, da un lato, non richiede necessariamente la sussistenza di una illegittimità amministrativa, dall’altro, è finalizzata a “sanzionare” l’abuso della libertà negoziale della parte pubblica che, in contrasto con la buona fede (artt. 1337-1338 cod. civ.), intesa come lealtà di comportamento, incide sulla libertà negoziale dei partecipanti nella fase delle “trattative” che precedono la stipulazione di un contratto (cfr., da ultimo, Cass. civ., sez. I, 12 maggio 2015, n. 9636).

Chiarito ciò, deve rilevarsi come gli elementi costitutivi della responsabilità della p.a., sul piano della fattispecie, sono: i) l’elemento oggettivo; ii) l’elemento soggettivo; iii) il nesso di causalità materiale o strutturale; iv) il danno ingiusto, inteso come lesione della posizione di interesse legittimo e, nella materie di giurisdizione esclusiva, di diritto soggettivo.

Sul piano delle conseguenze e, dunque, delle modalità di determinazione del danno, il fatto lesivo, così come sopra individuato, deve essere collegato, con un nesso di causalità giuridica o funzionale, con i pregiudizi subiti dalla parte danneggiata (Cass., 17 settembre 2013, n. 21255, ritiene, invece, che anche tale fase, avendo rilevanza causale, debba essere inserita nell’ambito della fattispecie).

In questa sede interessa soffermarsi sul rapporto di causalità.

Questa Sezione ha già avuto modo di ricostruire, con la citata sentenza n. 2792 del 2014, la nozione di nesso di causalità nell’ambito di una più ampia ricostruzione che ha riguardato anche la natura giuridica della responsabilità della p.a.

In questa sede è sufficiente riportare il passo rilevante di tale decisione, in cui si è affermato quanto segue.

La ricostruzione del nesso eziologico è necessaria al fine di valutare se la condotta della pubblica amministrazione sia stata idonea a ledere la posizione soggettiva di interesse legittimo.L’accertamento della lesione dell’interesse legittimo – in ragione della stretta connessione con il potere pubblico – richiede, infatti, l’effettuazione di un giudizio prognostico mediante il ricorso alla teoria condizionalistica, integrata, ove occorra, dal modello della sussunzione sotto leggi scientifiche e corretta dalla teoria della causalità adeguata.

Occorre distinguere due diverse fattispecie.

La prima fattispecie ricorre nel caso in cui la parte abbia proposto sia l’azione di invalidità sia l’azione di responsabilità e l’esito del giudizio amministrativo di annullamento di un determinato provvedimento consente il riesercizio di poteri amministrativi discrezionali. In queste ipotesi la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha costantemente ritenuto che il giudice amministrativo non possa effettuare, per evitare di invadere sfere di valutazione che la Costituzione riserva alla pubblica amministrazione, il predetto giudizio prognostico. Si ritiene, infatti, necessario attendere che l’amministrazione rinnovi il procedimento emendato dal vizio riscontrato in sede giudiziale e soltanto se all’esito di tale giudizio si accerta che il privato aveva “diritto” a quel determinato bene della vita sarà possibile ottenere, ricorrendo gli altri presupposti, il risarcimento del danno. In questo caso, pertanto, svolgendosi un giudizio di spettanza, la regola probatoria applicata è quella della “certezza” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 dicembre 2013, n. 6260; sez. IV, 4 settembre 2013, n. 4452; V, 27 marzo 2013, n. 1781; V, 8 febbraio 2011, n. 854).

La seconda fattispecie ricorre nel caso in cui la parte abbia proposto un’autonoma azione di responsabilità ovvero, ed è questo il profilo che rileva in questa sede, nel caso in cui l’attività amministrativa sia vincolata o l’amministrazione abbia esaurito la discrezionalità e pertanto la rinnovazione procedimentale si svolge nel solo rispetto di quanto stabilito dal giudice ovvero determinato dalla legge. In queste ipotesi il giudice amministrativo, senza il rischio di sovrapporre il proprio giudizio alle valutazioni dell’autorità pubblica, può effettuare un giudizio prognostico applicando, con gli esposti adattamenti, le regole elaborate in ambito civilistico per ricostruire il nesso di causalità.

Occorre, pertanto, accertare se vi è stato danno ingiusto valutando se, in applicazione della teoria condizionalistica e della causalità adeguata, è “più probabile che non” che l’azione o l’omissione della pubblica amministrazione siano state idonee a cagionare l’evento lesivo (Cons. Stato, Sez. VI, 29 maggio 2014, n. 2792) ovvero, nel caso di attività vincolata o discrezionalità esaurita, se è stato raggiunto il livello probatorio della certezza. Nel caso la richiesta risarcitoria sia volta ad ottenere i danni da perdita di chance la parte deve dimostrare non la perdita del “risultato” favorevole ma la perdita di una “occasione” favorevole (Cass. civ., sez. III, 27 marzo 2014 n. 7195, ha chiarito che nel danno da perdita di chance non si possono applicare regole statistiche correlative alle percentuali di “successo”).

Applicando questi principi alla fattispecie in esame, risulta dimostrata la sussistenza del nesso di causalità.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1418 del 1997, ha ritenuto sussistenti illegittimità di natura sostanziale. La stazione appaltante aveva annullato la gara ritenendo non sufficiente il numero delle imprese che avevano partecipato alla gara e aveva individuato una anomalia delle offerte a causa di eccessivi ribassi. Il Consiglio di Stato ha ritenuto non adeguata tale motivazione in quanto, da un lato, non sarebbe «comprensibile, in base alla comune esperienza, perché una partecipazione di 26 imprese su 39 invitate risulti, in sé, un esito non auspicato», dall’altro, come il giudizio di anomalia presupponga «l’acquisizione di dati concreti e specifici» e un contraddittorio con le imprese che è mancato. Da tale motivazione della sentenza emerge, con chiarezza, come il Consiglio di Stato abbia ritenuto che l’aggiudicazione già disposta non doveva essere annullata. Per quanto il vizio sia stato quello della motivazione inadeguata, in concreto non vi sarebbe stato spazio, in ragione del fatto che era stata la stessa amministrazione ad adottare l’atto di aggiudicazione, per una diversa determinazione in fase di riesercizio del potere. In altri termini, l’amministrazione, adottando il provvedimento di aggiudicazione, aveva “esaurito” la sua discrezionalità e, pertanto, una volta annullato l’atto con cui si era decisa la non stipulazione del contratto, per le illegittime ragioni sostanziali sopra indicate, può considerarsi raggiunta, con il livello della certezza, la prova della lesione della posizione giuridica vantata dall’appellante. Si rientra, pertanto, nella seconda fattispecie che questo Consiglio ha individuato, con conseguente sussistenza del nesso di causalità negato dal primo giudice.

Chiarito ciò si tratta di valutare quali sono i danni risarcibili.

A) In relazione al «danno per mancato utile» e dunque al lucro cessante la giurisprudenza di questo Consiglio ha già avuto modo di affermare che «il risarcimento del cd. lucro cessante è subordinato alla prova, a carico dell'impresa ricorrente, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell'appalto, prova desumibile in via principale dall'esibizione dell'offerta economica presentata al seggio di gara» (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 11 novembre 2014, n. 5531).

Ne consegue che all’appellante spetta l'utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicatario quale risultante dall'offerta economica presentata in sede di gara.

B) In relazione al «danno per vincolo improduttivo di personale e mezzi tecnici», lo stesso non spetta perché sfornito di prova sia nell’an che nel quantum. Questa Sezione ha, recentemente, avuto modo di affermare che «tale immobilizzazione, anziché costituire un danno in sé, rappresenta lo stesso presupposto (negativo) del risarcimento del danno da mancato guadagno, in quanto è proprio l'immobilizzazione delle risorse e dei mezzi tecnici ad escludere il c.d. aliunde perceptum, il quale, ove percepito in conseguenza di attività materialmente incompatibili (data la struttura imprenditoriale) con la contestuale esecuzione dell'appalto di cui si lamenta la mancata aggiudicazione, dovrebbe altrimenti essere detratto da quanto riconosciuto a titolo di lucro cessante». Si è aggiunto che: «l'aliunde perceptum rappresenta, tuttavia, un fatto impeditivo del diritto al risarcimento del danno: l'onere di eccepirlo e provarlo grava, secondo principi costantemente affermati dalla giurisprudenza civile della Corte di Cassazione (cfr., fra le tante, Cass. civ. sez. lav., 11 giugno 2013, n. 14643), sul danneggiante e, in mancanza di tale eccezione o di tale prova, non può darsi luogo a nessuna detrazione di quanto riconosciuto a titolo di mancato guadagno». La Sezione ha, poi, condivisibilmente aggiungto che «il contrario indirizzo a volte espresso da questo Consiglio di Stato non risulta condivisibile in quanto trasforma irragionevolmente l'(assenza dell') aliunde perceptum da fattore impeditivo ad elemento costitutivo della pretesa risarcitoria, facendo, peraltro, gravare sull'impresa che chiede il risarcimento la difficile prova di un fatto negativo» (Cons. Stato, sez. VI, 15 settembre 2015, n. 4283).

C) In relazione al «danno per la perdita di chance a partecipare ad altre gare di appalto», anch’esso non può essere risarcito perché “coperto” dalla voce risarcitoria da lucro cessante. La parte può, infatti, pretendere, quando non è più possibile ottenere la tutela in forma specifica, i danni per il mancato utile conseguente alla perdita del “risultato” favorevole ovvero i danni da perdita di chance conseguente alla perdita di una “occasione” favorevole. Nel caso in esame, la parte ha optato per la prima forma di tutela.

D) In relazione al “danno curriculare”, esso viene generalmente ritenuto risarcibile «posto che il mancato arricchimento del curriculum professionale dell'impresa danneggiata dal provvedimento illegittimo pregiudica la sua capacità di competere nel mercato e diminuisce le chances di aggiudicarsi ulteriori affidamenti» (Cons. Stato, III, 10 aprile 2015, n. 1839).

La sezione, con la citata sentenza n. 4283 del 2015, ha affermato che, in relazione a tale voce risarcitoria, «il terreno della prova si fa evidentemente molto scivoloso, posto che, come è stato evidenziato, ammettendo una sorta di “danno per immagine depotenziata”, si entra nelle sabbie mobili di un danno non surrogabile patrimonialmente e non agevolmente quantificabile».

La quantificazione di tale voce di danno è stata, infatti, sino ad ora operata dal giudice amministrativo in via equitativa, riconoscendo una somma pari ad una percentuale (variabile dall'1% al 5%) applicata in alcuni casi sull’importo globale dell'appalto, in altri sulla somma già liquidata a titolo di lucro cessante.

Il Collegio ritiene che, nel caso di specie, sia congruo, tenuto conto della tipologia di appalto, liquidare in via equitativa a titolo di danno curriculare una somma pari al 2% di quanto riconosciuto a titolo di mancato guadagno.

E) In relazione al danno «da contatto amministrativo qualificato», riconosciuto dal primo giudice nei limiti delle spese sostenute e non delle occasione perse, lo stesso non può essere riconosciuto, neanche nella misura determinata dal Tribunale amministrativo, in quanto esso attiene alla diversa fattispecie di responsabilità precontrattuale. In quest’ultimo caso, il risarcimento del danno è “limitato” all’interesse negativo e dunque è strettamente correlato al pregiudizio subito dalla parte per essere stata “coinvolta” in una negoziazione procedimentale che non è stata condotta dalla stazione appaltante nel rispetto delle regole della correttezza. Il danno da illecito civile è, invece, ancorato all’accertamento di una illegittimità amministrativa nell’ambito dello stesso procedimento. E’ evidente come, trattandosi di due diverse tecniche risarcitorie applicabili alla medesima vicenda, la parte deve effettuare la scelta di quale è la violazione che, in concreto, ha ritenuto sussistente. Alla luce dei motivi di ricorso e delle violazioni lamentate, l’appellante ha agito con l’azione da responsabilità civile connessa ad una illegittimità amministrativa, con la conseguenza che, in relazione a tale azione, non è possibile “aggiungere” voci risarcitorie che, si ribadisce, attengono ad una diversa fattispecie di responsabilità.

F) In relazione, infine, alla corresponsione degli accessori del credito, «va ricordato che nel liquidare l'obbligazione di risarcimento del danno da fatto illecito andrà svolta una duplice operazione: in primo luogo, il danneggiato andrà reintegrato nella stessa situazione patrimoniale nella quale si sarebbe trovato se il danno non fosse stato prodotto, dovendosi così provvedere alla rivalutazione del credito, cioè alla trasformazione dell'importo del credito originario in valori monetari correnti alla data in cui è compiuta la liquidazione giudiziale, avvalendosi del coefficiente di rivalutazione elaborato dall'ISTAT, applicando l'indice dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati, in quanto non è stata in questa sede evocato altro criterio; in secondo luogo, dovrà calcolarsi il cd. danno da ritardo, utilizzando il metodo consistente nell'attribuzione degli interessi (c.d. compensativi), da calcolare secondo i criteri già fissati dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 1712 del 1995), secondo cui gli interessi vanno calcolati dalla data del fatto non sulla somma complessiva rivalutata alla data della liquidazione, bensì sulla somma originaria rivalutata anno dopo anno, cioè con riferimento ai singoli momenti con riguardo ai quali la predetta somma si incrementa nominalmente in base agli indici di rivalutazione monetaria» (Consiglio di Stato, sez. IV, 1 aprile 2015, n. 1708).

9.–. Ai sensi dell'art. 34, comma 4, c.p.a., l’Inps, proporrà, entro il termine di giorni quarantacinque decorrenti dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notificazione della presente sentenza, il pagamento di una somma determinata sulla base dei criteri indicati in motivazione, riconoscendo le voci di danno ivi indicati, quantificate secondo i criteri precisati.

10.– Per quanto attiene alla pretesa relativa alle spese legali, le stesse, come correttamente messo in rilievo dal primo giudice, non possono ricomprendere tutte le attività difensive, anche stragiudiziali, compiute nell’ambito della vicenda in esame, ma esclusivamente le spese relative ad entrambe le fasi del processo. In questa prospettiva, le spese processuali che la parte resistente deve corrispondere all’appellante sono pari ad euro 8.000,00, oltre accessori.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta:

a) accoglie, nei limiti di cui in motivazione, l’appello e condanna l’Istituto nazionale della previdenza sociale a corrispondere alla società appellante la somma risarcitoria da corrispondere nel rispetto dei criteri e delle modalità indicate nella motivazione;

b) accoglie l’appello incidentale e, pertanto, riforma la parte della sentenza che aveva condannato il predetto Istituto al risarcimento della voce di danno «da contatto amministrativo qualificato»;

c) la parte resistente è condannata al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio che si determinano in euro 8.000,00, oltre accessori.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 luglio 2015 con l'intervento dei magistrati:

Stefano Baccarini, Presidente

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Roberta Vigotti, Consigliere

Carlo Mosca, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore

 
 
L'ESTENSOREIL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 10/12/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)