N. 02146/2000 REG.RIC.

N. 02450/2012REG.PROV.COLL.

N. 02146/2000 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 2146 del 2000, proposto da:
LEVACOVICH FABRIZIO, rappresentato e difeso dagli avv. Costantino Tonelli Conti e Giuseppe Pedercini, con domicilio eletto presso l’avv. Costantino Tonelli Conti in Roma, via Orazio 31, e CAMPOS DOMENICO, rappresentato e difeso dagli avv. Andrea Mina e Giovanna Angela Dettori Masala, con i quali è domiciliato in Roma presso l’avv. Giovanna Angela Dettori Masala, in Roma, via Pierluigi da Palestrina, n. 19;

contro

COMUNE DI REZZATO, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv. Claudio Chiola e Innocenzo Gorlani, con domicilio eletto presso l’avv. Claudio Chiola in Roma, via della Camilluccia, n. 785;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - SEZ. STACCATA DI BRESCIA n. 34 del 27 gennaio 1999, resa tra le parti, concernente DEMOLIZIONE OPERE ABUSIVE E RIPRISTINO STATO DEI LUOGHI;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Rezzato;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 gennaio 2012 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le parti gli avvocati Tonelli e Manzi, per delega dell'avvocato Chiola;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

I.1. A seguito della relazione di sopralluogo del 23 marzo 1992 dell’Ufficio di Vigilanza Urbana, il Sindaco del Comune di Rezzato ingiungeva al sig. Fabrizio Levacovich con ordinanza n. 17 (prot. 2537) del 23 marzo 1992 la sospensione dei lavori in corso di esecuzione, consistenti in opere di modifica, senza la prescritta autorizzazione, della destinazione d’uso del terreno (mapp. 36, fog. 28), urbanisticamente destinato a zona “Agricola E1”, mediante ricarica e stendimento di materiale inerte sull’intera superficie, e con ordinanza n. 19 (prot. 3151) del 13 aprile 1992 il ripristino dello stato dei luoghi mediante eliminazione del materiale inerte trasportato.

Con nota n. 2816 del 14 aprile 1992 il Comune di Rezzato comunicava all’interessato il parere negativo espresso nella seduta del 13 aprile 1992 dalla Commissione Igienico Edilizia Comunale sulla richiesta di concessione edilizia per la costruzione di servizio igienico sull’area in questione, ricadendo essa in zona “Agricola E1”, nella quale erano consentite esclusivamente opere destinate all’esercizio delle attività produttive agricole (la cui realizzazione, ammessa solo in relazione a tali attività, era espressamente riservata solo agli imprenditori iscritti all’Albo di cui alla L.R. 13 aprile 1974, n. 18); ciò senza contare che il progetto presentato non era conforme alle vigenti prescrizioni urbanistiche che, per la zona in questione, prevedeva che i manufatti dovessero essere realizzati ad una distanza non inferiore a 10 metri dai confini.

Il sig. Fabrizio Levacovich con ricorso notificato l’11 maggio 1992 chiedeva al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione distaccata di Brescia, l’annullamento di tali atti, deducendone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere per travisamento, sostenendo, in sintesi, che le opere contestate, lungi dall’integrare una modifica della destinazione d’uso dell’area, consistevano nella mera sistemazione dell’ingresso al proprio fondo per consentirne l’effettiva utilizzazione, mediante passaggio dell’auto e delle due roulottes di sua proprietà e creazione di un’area di sosta e utilizzo del fondo per attività agricola e di custodia di animali, ivi compresa la sistemazione di un servizio igienico.

Il ricorso veniva iscritto al NRG. 537 dell’anno 1992.

I.2. Con nota prot. 1783 del 20 maggio 1992 il Comune di Rezzato rigettava la domanda del sig. Fabrizio Levacovich del 28 febbraio 1992 di rilascio di una concessione gratuita per la recinzione del fondo agricolo di cui al mappale n. 36, foglio n. 28, in quanto, pur essendo intervenuto il parere favorevole, con prescrizioni, della Commissione Edilizia, l’area era stata oggetto di interventi abusivi di modificazione della destinazione d’uso (con ingiunzione di ripristino dello stato dei luoghi) e il rilascio della concessione avrebbe aggravato l’abuso, consentendo usi in contrasto con la destinazione urbanistica.

Tale diniego veniva ritualmente e tempestivamente impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione distaccata di Brescia, dall’interessato che ne chiedeva l’annullamento per “Nullità della notifica. Nullità – Illegittimità del provvedimento impugnato – Violazione di legge – art. 160 c.p.c.” e “Violazione di legge (art. 31 l. n. 1150/42 – art. 4 L. n. 10/77) – Eccesso di potere per difetto di motivazione e sviamento”.

A suo avviso, infatti, non solo la notifica del diniego era affetta da nullità insanabile per la mancata indicazione della data nella relativa relata, per quanto, avendo la Commissione Edilizia espresso parere favorevole al rilascio della concessione, il Sindaco avrebbe dovuto indicare le ragioni che non consentivano di condividere quel parere favorevole, tanto più che il progetto presentato era conforme alle previsioni urbanistiche.

Il ricorso veniva iscritto al NRG. 891 dell’anno 1992.

I.3. Con altra ordinanza n. 34 (prot. 5447) del 29 giugno 1992, constatata, giusta verbale di accertamento del 26 giugno 1992, la realizzazione in assenza di concessione edilizia della recinzione del fondo contraddistinto dal mappale n. 36, foglio n. 28, e l’installazione di un cancello scorrevole, il Sindaco del Comune di Rezzato ne ingiungeva al sig. Fabrizio Levacovich la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi.

Anche di tale ordinanza veniva chiesto dall’interessato l’annullamento al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione distaccata di Brescia, denunciandone l’illegittimità per “Violazione di legge – falsa applicazione dell’art. 7, II comma Legge 28/2/85 n. 47 e artt. 1 e 4 L. N. 10/77 e art. 31 L. N. 1150/1942 – Eccesso di potere per travisamento dei fatti”, trattandosi, secondo il ricorrente, di opere che non necessitavano di concessione edilizia, in quanto non comportavano trasformazione della destinazione agricola del fondo, tanto più che la recinzione del fondo rientrava nella facoltà del proprietario di chiudere il fondo ai sensi dell’articolo 841 C.C.

Il ricorso veniva iscritto al NRG. 892 dell’anno 1992.

I.4. Con ordinanza n. 29 (prot. 5201) del 17 giugno 1992 veniva ingiunta al sig. Fabrizio Levacovich l’immediata sospensione dei lavori, eseguiti senza la prescritta autorizzazione, consistenti (come da sopralluogo del 16 giugno 1992 dell’Ufficio di Vigilanza Urbana) in “opere di trivellazione di un pozzo artesiano sul terreno a destinazione agricola situato in Virle Treponti – loc. Camafame e distinto in mappa con il n. 36 fog. 28”, configurandosi tale intervento “come opera di urbanizzazione di un’area agricola al fine di mutarne la destinazione come, peraltro, già fatto per altre opere oggetto di provvedimento sindacale di rimessa in pristino”; con successiva ordinanza n. 33 (prot. 5446) del 29 giugno 1992, vista la precedente ordinanza di sospensione dei lavori n. 29 del 17 giugno 1992, rilevato che erano state realizzate opere di trivellazione di un pozzo senza la prescritta autorizzazione e preso atto inoltre che per il predetto pozzo non risultava ottenuta la preventiva autorizzazione da parte della Regione Lombardia – Servizio Prov.le del Genio Civile, veniva ingiunta all’interessato, ai sensi dell’art. 7 del T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, e del secondo comma dell’art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni, la demolizione delle predette opere abusive ed il ripristino dello stato dei luoghi.

Con rituale e tempestivo ricorso il sig. Fabrizio Levacovich impugnava le due citate ordinanze innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione distaccata di Brescia, deducendone l’illegittimità: 1) quanto alla prima per “Violazione di legge artt. 7 – 95 – 105 T.U. 11/12/33 n. 1775 e successive modificazioni – Incompetenza assoluta del Sindaco ad emettere il provvedimento impugnato. Eccesso di potere per vizio di illogicità del provvedimento impugnato, per sviamento, per contraddittorietà, per travisamento dei fatti e per difetto di motivazione” e “Violazione di legge. Falsa applicazione dell’art. 4 1° e 3° comma L. 28/2/85, n. 47 – Eccesso di potere per difetto di motivazione e per travisamento dei fatti”; 2) quanto alla seconda, per “Violazione di legge. Falsa applicazione artt. 7 – 95 – 105 T.U. 11/12/33 n. 1775. Incompetenza assoluta del Sindaco ad emettere il provvedimento impugnato. Eccesso di potere per vizio di illogicità del provvedimento impugnato. Eccesso di potere per sviamento della causa tipica dell’atto”, “Violazione di legge. Falsa applicazione degli artt. 7, 11, 22, 23 del TU cit.” e “Violazione di legge. Falsa applicazione dell’art. 7 2° comma legge 28.02.85 n. 47”.

Secondo il ricorrente sarebbe spettato all’Ufficio del Genio Civile non solo autorizzare la trivellazione del pozzo, ma anche adottare i relativi provvedimenti sanzionatori, così che erano illegittimi gli impugnati provvedimenti sindacali, tanto più che la stessa attività di trivellazione non poteva essere considerata attività urbanistico – edilizia.

Il ricorso veniva iscritto al NRG. 893 dell’anno 1992.

I.5. Con nota n. 7694 del 21 settembre 1992 il Sindaco del Comune di Rezzato notificava al sig. Fabrizio Levacovich l’accertata inottemperanza all’ingiunzione n. 19/1351 del 13 aprile 1992 di ripristino dello stato dei luoghi in relazione alle opere realizzate senza concessione edilizia, precisando che tale accertamento costituiva titolo per l’immissione in possesso dei beni e per la trascrizione, nei registri immobiliari, della loro acquisizione al patrimonio gratuito del Comune.

Con successivo atto n. 65 (prot. 8882) del 30 ottobre 1992 veniva ordinata l’acquisizione al patrimonio comunale (e l’immissione in possesso in favore dello stesso Comune) dell’area, contraddistinta in catasto al foglio n. 28, mappale n. 36, di proprietà del sig. Fabrizio Levacovich.

Questi chiedeva al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, l’annullamento anche di tali due atti, deducendone l’illegittimità derivata da quella dell’ordinanza n. 19 del 13 aprile 1992, già impugnata col ricorso NRG. 537 dell’anno 1992, nonché, quanto all’ordinanza n. 65 del 30 ottobre 1992, per “violazione di legge (art. 7 L. n. 47/1985) – eccesso di potere per travisamento dei fatti e per difetto di motivazione”, in quanto le opere realizzate non necessitavano per la loro consistenza di alcun titolo edilizio ovvero potevano essere realizzate con una semplice autorizzazione ed in ogni caso non era stata neppure valutata la effettiva sussistenza dell’interesse pubblico che giustificasse il provvedimento di acquisizione.

Il ricorso veniva iscritto al NRG. 8 dell’anno 1993.

I.6. Con ordinanza n. 7 (prot. n. 1293) del 9 febbraio 1994 il Sindaco del Comune di Rezzato ingiungeva al sig. Domenico Campos la demolizione delle opere abusive realizzate senza concessione edilizia, consistenti nella installazione, sul terreno di cui al mappale n. 36, foglio n. 28, di una struttura prefabbricata di dimensioni mt. 10.60x8,10 per un’altezza di mt. 3, corrisponde ad una superficie di mq. 85,86 ed a un volume di mc. 257,58.

Il sig. Domenico Campos impugnava detta ordinanza innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione distaccata di Brescia, deducendo “Violazione di legge (art. 7 – 10 L. n. 47/1985 – art. 934 c.c.), eccesso di potere per travisamento dei fatti”: oltre a ricordare l’esistenza di provvedimenti sanzionatori che erano stati impugnati innanzi al giudice amministrativo, il ricorrente, dichiarandosi terzo estraneo, sosteneva di non poter essere destinatario del provvedimento impugnato che avrebbe dovuto essere notificato al proprietario dell’area, ciò senza contare che il manufatto non poteva essere considerato una costruzione e non necessitava di concessione edilizia, ma tutt’al più di una semplice autorizzazione.

Il ricorso veniva iscritto al NRG. 394 dell’anno 1994.

I.7. Infine con provvedimento sindacale n. 9794/94 del 12 febbraio 1996 veniva respinta la domanda di concessione di edilizia in sanatoria, per lo stendimento di ghiaia e ricarica su terreno agricolo per una superficie di mq. 2.500, per la trivellazione di un pozzo, per la recinzione del fondo e per la costruzione di un prefabbricato ad uso abitativo, presentata dal sig. Fabrizio Levacovich in data 27 ottobre 1994 ai sensi dell’articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724: ciò in quanto gli abusi di cui era stata chiesta la sanatoria non avevano comportato la realizzazione di singoli interventi edilizi, bensì un vero e proprio insediamento urbano rappresentato dalla comunità di nomadi ospitata in roulottes e caravan, con una volumetria indefinita; inoltre la struttura prefabbricata era attualmente inesistente, essendo stata distrutta da un incendio, mentre per il pozzo non era stata presentata la prescritta autorizzazione da parte del Servizio Genio Civile della Regione Lombardia.

Anche tale diniego veniva impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione distaccata di Brescia, sostenendosene l’illegittimità per “violazione di legge (art. 39 L. n. 724 del 23.12.94 e successivi decreti di reiterazione, compreso il D.L. 25.11.94 n. 649, artt. 31, 33, 35 capo IV L. 28.02.85, n. 47); eccesso di potere per difetto di motivazione, per travisamento dei fatti, per illogicità, per contraddittorietà, per sviamento, per difetto di istruttoria”: secondo il ricorrente non sussisteva alcuna causa che potesse legittimamente fondare il diniego di sanatoria, erronee, inconsistenti e non pertinenti essendo le motivazioni indicate dall’amministrazione comunale.

Il ricorso veniva iscritto al NRG. 491 dell’anno 1996.

I.8. L’adito tribunale, nella resistenza dell’intimato Comune di Rezzato, con la sentenza n. 34 del 27 gennaio 1999, riuniti i ricorsi, respingeva il primo (NRG. 537/92), il quinto (NRG. 8/93), il sesto (NRG. 394/94) ed in parte il settimo (NRG. 491/96), accogliendo invece il secondo (NRG. 891/92), il terzo (NRG. 892/92), il quarto (NRG. 893/92) ed in parte il settimo (NRG. 491/96).

In particolare, secondo il predetto tribunale:

- lo stendimento della ghiaia e la ricarica effettuata per uno spessore di circa 25 cm. costituivano fatti da impedire la crescita di qualsiasi vegetale sul terreno, con alterazione definitiva dell’originaria destinazione d’uso, così che legittimi erano da considerare l’ordine di sospensione dei lavori e l’ingiunzione di ripristino dello stato dei luoghi; altrettanto legittimo era il diniego di concessione edilizia per la realizzazione di un servizio igienico, non possedendo il richiedente la qualifica di imprenditori agricolo, ai sensi della legge regionale 7 giugno 1980, n. 93 (ricorso NRG. 537/92); di conseguenza erano legittimi anche i provvedimenti sindacali che avevano accertato l’inottemperanza all’ordine di ripristino dello stato dei luoghi e disposto l’acquisizione dell’opera abusiva al patrimonio comunale (ricorso NRG. 8/93);

- l’amministrazione comunale di Rezzato aveva poi correttamente ordinato la demolizione della struttura prefabbricata realizzata sul terreno di cui al mappale n. 26, foglio n. 28, in quanto per le sue dimensioni era necessaria la concessione edilizia, irrilevante essendo la circostanza che la relativa ordinanza fosse stata notificata al s sig. Domenico Campus che, quale committente, era da considerare sicuramente responsabile dell’abuso (ricorso NRG. 394/94);

- altrettanto correttamente era stato denegato il condono edilizio (ricorso NRG. 491/96) per la sopravvenuta distruzione, a causa di un incendio, dell’immobile da sanare;

- erano invece illegittimi: a) il diniego della concessione edilizia per la recinzione del fondo di proprietà del ricorrente sig. Fabrizio Levacovich, tanto più che la stessa commissione edilizia comunale aveva espresso parere favorevole, sia pur con prescrizioni, e non erano indicati eventuali elementi di contrasto del progetto presentato con le disposizioni del piano regolatore (ricorso NRG. 891/92); b) l’ordinanza di demolizione della recinzione del fondo che, quale estrinsecazione del diritto di proprietà, non necessitava di concessione edilizia (NRG. 892/92); c) l’ordine di sospensione dei lavori e l’ingiunzione di demolizione relativi al pozzo artesiano, non sussistendo al riguardo alcuna competenza sindacale, salva l’eventuale realizzazione di opere edilizie complementari al pozzo stesso, che nel caso di specie non si rinvenivano (NRG. 892/93); d) il diniego di condono relativamente al pozzo artesiano (che, come rilevato, di per sé non poteva configurarsi come opere edilizia) e relativamente alla dedotta impossibilità di determinare la reale volumetria dell’intervenuto, quest’ultima rappresentando una mera argomentazione, di per sé insufficiente.

I.9. I signori Fabrizio Levacovich e Domenico Campos con atto notificato il 3 marzo 2000 chiedevano la riforma di tale sentenza: A) per quanto concerne il rigetto dei ricorsi NRG. 537/92 e NRG. 8/93, per A1) “Violazione di legge (art. 1 e 7 della L. n. 47 del 1985); eccesso di potere per travisamento dei fatti e per difetto di motivazione”: diversamente da quanto ritenuto dai primi giudici, lo stendimento sul terreno di ghiaione di spessore medio di circa 25 cm con ricarica per una superficie di mq. 2500 non costituiva trasformazione urbanistica, non determinava mutamento di destinazione urbanistica e non necessitava di concessione edilizia; peraltro nel provvedimento di acquisizione del bene al patrimonio comunale non vi era alcuna valutazione dell’interesse pubblico; B) per quanto concerne il rigetto del ricorso NRG. 394/94, per B1) “Violazione di legge (artt. 7 – 10 L.N. 47/1985; art. 934 c.c.); eccesso di potere per travisamento dei fatti”: inopinatamente i primi giudici avevano ritenuto legittimo il provvedimento impugnato, benché fosse stato eccepito che esso non era stato diretto, com’era indispensabile, nei confronti del proprietario della struttura prefabbricata, asseritamente abusiva, e senza tener conto che quest’ultima, in quanto facilmente amovibile, non poteva rientrare nel concetto di costruzione e, a tutto voler concedere, necessitava solo di un’autorizzazione e non di concessione edilizia; C) per quanto concerne il ricorso NRG. 491/96, per C1 “Violazione di legge (art. 39 L. n. 724 del 23.12.94 e successivi decreti di reiterazione, compreso il D.L. 25.11.94 n. 649, artt. 31, 33, 35 capo IV L. 28.02.85, n. 47); eccesso di potere per difetto di motivazione, per travisamento dei fatti, per illogicità, per contraddittorietà, per sviamento, per difetto di istruttoria”: ai fini dell’ammissibilità del condono era sufficiente che l’opera abusiva, nel caso di specie la struttura prefabbricata, fosse esistente al momento della presentazione della relativa domanda, così che erroneamente i primi giudici avevano ritenuto legittimo il diniego impugnato nella parte in cui aveva respinto la richiesta di condono per essere stata la struttura edilizia abusiva successivamente distrutta da un incendio; peraltro richiamando le censure sollevate con il ricorso di primo grado, gli appellanti insistevano sulla circostanza che nel caso di specie non sussisteva, né era stato indicato, alcun elemento ostativo al rilascio del condono, irrilevanti e non pertinenti essendo le mere argomentazioni poste a fondamento dell’impugnato diniego.

Ha resistito al gravame il Comune di Rezzato, deducendone l’inammissibilità e l’infondatezza e chiedendone perciò il rigetto.

I.10. Le parti hanno ulteriormente illustrato con apposite memorie le proprie rispettive tesi difensive.

All’udienza pubblica del 10 gennaio 2012, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

II. Deve preliminarmente rilevarsi che i difensori dell’appellante signor Fabrizio Levacovich hanno depositato in data 30 novembre 2011 un permesso di costruire in sanatoria (condono edilizio D.L. 269 del 30/09/2003, mod. con L. 326 del 24/11/2003), prot. n. 8563/04 – n. 48/S/05 del 20 novembre 2009a, rilasciato dal Comune di Rezzato in favore del loro assistito per la realizzazione di un fabbricato residenziale in zona agricola su area distinta in catasto terreni al foglio n. 28, mappale n. 35.

Sennonché, ad avviso della Sezione, anche per la assoluta assenza di qualsiasi espressa indicazione in tal senso, tale provvedimento non determina né la cessazione della materia del contendere, né la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione dell’appello, giacché le opere oggetto di sanatoria insistono su di un’area, in catasto terreni foglio 28, mappale n. 35, diversa da quella oggetto dei provvedimenti impugnati in primo grado, in catasto terreni, foglio 28, mappale n. 36; né in alcun modo dall’esame dei ricorsi introduttivi dei giudizi di primo grado risulta esservi stata alcuna contestazione sulla esatta individuazione dell’area su cui è stata realizzata l’attività edilizia, ritenuta abusiva dall’amministrazione comunale, oggetto dei provvedimenti impugnati, area sempre indicata quale mappale n. 36 del foglio 28.

III. Nel merito l’appello è infondato.

III.1. Con il primo mezzo di gravame, gli appellanti hanno sostenuto, con riguardo al rigetto dei ricorsi NRG. 537/92 e NRG. 8/93 (con cui erano state impugnate, rispettivamente, le ordinanze sindacali n. 17 del 23 marzo 1992, n. 19 del 13 aprile 1992 e la nota prot. n. 2816 del 14 aprile 1992 [NRG. 537/92] nonché la nota n. 7694 del 21 settembre 1992 e l’ordinanza sindacale n. 65 del 30 ottobre 1992 [NRG. 8/93]) “Violazione di legge (art. 1 e 7 della L. n. 47 del 1985); eccesso di potere per travisamento dei fatti e per difetto di motivazione”: ciò in quanto, a loro avviso, lo stendimento sul terreno di ghiaione di spessore medio di circa 25 cm con ricarica per una superficie di mq. 2500 non costituiva trasformazione urbanistica, non determinava mutamento di destinazione urbanistica e non necessitava di concessione edilizia; inoltre nel provvedimento di acquisizione del bene al patrimonio comunale non vi era alcuna valutazione dell’interesse pubblico.

La doglianza non merita favorevole considerazione.

Non vi è infatti motivo per discostarsi dal condivisibile indirizzo giurisprudenziale (C.d.S., sez. V, 22 dicembre 2005, n. 7343; 11 novembre 2004, n. 7324) secondo cui anche l’attività di spargimento di ghiaia, su di un’area che ne era precedentemente priva, è soggetta a concessione edilizia, allorché appaia preordinata, come nel caso di specie, alla modifica della precedente destinazione d’uso (nel caso in esame, pacificamente agricola).

Nei citati precedenti giurisprudenziali è stato puntualmente sottolineato, per un verso, che “Tale indirizzo, peraltro, risulta corroborato dalla risalente interpretazione del Giudice penale, secondo cui deve ritenersi soggetto a concessione lo spianamento di un terreno agricolo ed il riporto di sabbia e ghiaia, al fine di ottenerne un piazzale per deposito e smistamento di autocarri e containers (Cass. pen., 09/06/1982; cfr. altresì <<è legittimo il provvedimento del sindaco che ordini la riduzione in pristino di un'area destinata, in base al piano regolatore, a verde pubblico, che sia stata coperta di ghiaia, per essere destinata a parcheggio>> Cons. Stato, sez. II, 15/02/1989, n. 18/89), e, per altro verso, che esso “…sembra, oggi, avere un testuale riscontro nel nuovo Testo unico in materia edilizia - D.P.R. n. 380/2001 - (che non ha certo potenzialità applicativa e di risoluzione del caso in esame, ma che può rappresentare un valido ausilio interpretativo, specie ove "codifica" un orientamento giurisprudenziale pregresso): l'art. 3, in materia di definizione degli interventi edilizi, assoggetta a permesso di costruire - ascrivendole al genus delle nuove costruzioni - <<la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato>> (lett. e. 3) e <<la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato>> (e. 7); si tratta, come è facile rilevare, di interventi privi di connotazione strettamente edilizia e, nondimeno, assoggettati a titolo abilitativo (oggi permesso di costruire). Significativa è, poi, la previsione dell'art. 10 comma 2 secondo cui <<Le regioni stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività>>”.


Correttamente pertanto i primi giudici hanno ritenuto legittimi i provvedimenti impugnati in primo grado, non potendo dubitarsi che attraverso lo spargimento di ghiaione sull’area in questione il proprietario intendeva effettivamente modificare la destinazione agricola dell’area utilizzandola quale piazzale di sosta e ricovero dell’auto e delle due roulottes di sua proprietà, determinando così una trasformazione urbanistica che necessitava di concessione edilizia (sulla necessità di concessione edilizia per ogni intervento che determini una perdurante modifica dello stato dei luoghi con materiale posto sul suolo, pur in assenza di opera in muratura, anche C.d.S., sez. V, 21 ottobre 2003, n. 6519).

Quanto al preteso vizio del provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale dell’abuso realizzato per la carenza di motivazione in ordine alla valutazione dell’interesse pubblico, è sufficiente osservare che l’ordinanza di acquisizione gratuita al patrimonio comunale di un’opera abusiva si configura quale atto dovuto, privo di discrezionalità, subordinato al solo accertamento dell’inottemperanza di ingiunzione di demolizione ed al decorso del termine di legge (che ne costituiscono i presupposti) (C.d.S., sez. V, 1° ottobre 2001, n. 5179), così che la censura è destituita di qualsiasi fondamento giuridico, non essendovi alcuna valutazione discrezionale da compiere (e di conseguenza da giustificare).

III.2. E’ infondato anche il secondo motivo di gravame, con il quale, con riferimento al rigetto del ricorso NRG. 394/94 (concernente l’impugnazione dell’ordinanza sindacale n. 7 del 9 febbraio 1994, di demolizione di una struttura prefabbricata realizzata abusivamente), è stato denunciato “Violazione di legge (artt. 7 – 10 L.N. 47/1985; art. 934 c.c.); eccesso di potere per travisamento dei fatti”.

Non può infatti condividersi la tesi degli appellanti secondo cui l’ordinanza in questione sarebbe illegittima sia in quanto non diretta nei confronti del proprietario della struttura prefabbricata, asseritamente abusiva, sia perché si trattava di una struttura facilmente amovibile che non poteva rientrare nel concetto di costruzione e che, a tutto voler concedere, necessitava solo di un’autorizzazione e non di concessione edilizia.

Quanto al primo aspetto è sufficiente rilevare che è stata ritenuta legittima l’ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive effettuata nei confronti del responsabile dell’abuso e non anche del proprietario dell’immobile, in quanto l’articolo 7, comma 3, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, si riferisce esclusivamente all’uno e non all’altro, per l’evidente ragione di ancorare l’attività riparatoria del responsabile, quale autore dell’illecito, al rapido ripristino dello stato dei luoghi (C.d.S., sez. V, 1° ottobre 1999, n. 1228); quanto al secondo profilo, poi, anche a voler prescindere dalle significative dimensioni della struttura prefabbricata realizzata (oltre 80 metri quadrati, per un volume di 257,78 metri quadrati, il che esclude in radice la sua stessa amovibilità (sul cui carattere insistono gli appellanti), deve ricordarsi che in ogni caso anche la precarietà (e mobilità) di un manufatto, che rende non necessaria la concessione edilizia, dipende non dal suo sistema di ancoraggio al terreno, ma dalla sua inidoneità a determinare una stabile trasformazione del territorio, con la conseguente necessità del titolo edilizio allorquando, come nel caso di specie, la struttura, ancorché prefabbricata, sia destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo, circostanza giammai contestata dagli appellanti, e non meramente occasionale ( C.d.S., sez. V, 15 giugno 2000, n. 3321; 3 aprile 1990, n. 317).

III.3. Anche il terzo motivo di gravame, con cui è stato contestato l’erroneo rigetto in parte del ricorso NRG. 491/96 (concernente l’impugnativa del diniego di condono edilizio) per “Violazione di legge (art. 39 L. n. 724 del 23.12.94 e successivi decreti di reiterazione, compreso il D.L. 25.11.94 n. 649, artt. 31, 33, 35 capo IV L. 28.02.85, n. 47); eccesso di potere per difetto di motivazione, per travisamento dei fatti, per illogicità, per contraddittorietà, per sviamento, per difetto di istruttoria” è destituito di fondamento giuridico.

Occorre premettere che, come esposto in fatto, i primi giudici hanno ritenuto legittimo l’impugnato diniego per il fatto che il manufatto oggetto di condono era andato distrutto, laddove lo hanno invece annullato per quanto attiene il pozzo artesiano (non configurabile come opera edilizia) e quanto alle restanti opere per la asserita impossibilità di determinare la reale volumetria dell’abuso.

Ciò posto, deve rilevarsi che, diversamente da quanto opinato dagli appellanti, posto che la concessione in sanatoria rilasciata per effetto di un condono edilizio produce l’effetto della regolarizzazione della costruzione dal punto di vista urbanistico, attribuendo ad essa un regime giuridico che in nulla si differenzia da quello proprio di una normale concessione (C.d.S., sez. IV, 30 novembre 2009, n. 7491; sez. V, 7 maggio 2008, n. 2086), presupposto fattuale indispensabile per l’accoglimento della domanda di condono (e per il rilascio della relativa concessione in sanatoria) è la stessa esistenza del manufatto abusivo, non solo al momento della domanda di condono, ma anche al momento del rilascio della concessione (C.d.S., sez. V, 18 novembre 2004, n. 7538): è stata così ritenuta legittima l’archiviazione della domanda di condono (relativa ad un edificio demolito e non fedelmente ricostruito) per essere venuto meno la stessa opera cui si riferiva la richiesta (C.d.S., sez. IV, 28 dicembre 2008, n. 6550).


Del tutto legittimamente, come ritenuto anche dai primi giudici, l’amministrazione ha denegato il condono per la per struttura prefabbricato ad uso abitativo realizzata abusivamente, essendo la stessa andata distrutta nell’incendio del 25 luglio 1995, dopo la presentazione della domanda di condono, ma prima dell’eventuale rilascio della concessione in sanatoria.

Tanto è sufficiente a confermare la sentenza impugnata (con assorbimento di qualsivoglia altra censura), tanto più che, quanto ai profili relativi all’annullamento parziale del diniego di condono in esame, essa non è stata impugnata dalla soccombente (sul punto) amministrazione comunale.

IV. In conclusione, alla stregua delle osservazioni svolte, l’appello deve essere respinto.

Tuttavia la peculiarità della controversia e la sua risalenza nel tempo giustificano la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello proposto dai signori Fabrizio Levacovich e Domenico Campos avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. 34 del 27 gennaio 1999, lo respinge.

Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2012 con l'intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Trovato, Presidente

Francesco Caringella, Consigliere

Carlo Saltelli, Consigliere, Estensore

Manfredo Atzeni, Consigliere

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere

 
 
L'ESTENSOREIL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 27/04/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)